Malinconia struggente, tristezza, solitudine Eppure, lontano, un angolo di cielo si sta rischiarando Bisogna attendere
Forse, ritornerà il sereno.
Me lo auguro!
Non mi piace star fermo con questo gelo che mi penetra nelle ossa e mi fa sentire fragile come un cristallo, pronto ad incrinarsi al minimo sussulto
Maurizio Crispi (2 dicembre 2009)
Una traccia pubblicata su Facebook il 2 dicembre 2009, saltata fuori come “ricordo” con l’algoritmo
Mi hanno lasciato solo, al freddo, esposto alla pioggia
Prima, la mia vita era stata una bella festa, vedevo tanti bimbi ciarlieri attorno a me
Non immaginavo che, senza alcun preavviso sarei stato considerato una vita di scarto e gettato via con tanta indifferenza
I miei occhi vuoti non vedono più niente nuovo
Ma ho scoperto il modo di trarre consolazione da questa nuova esistenza che mi rimane - anche se non so per quanto tempo ancora
Guardo il cielo, così alto ed immenso sopra sopra di me, e le nuvole che, a volte, viaggiano come fiocchi cotonosi simili a pecorelle e che, altre volte, si addensano minacciose, incutendomi timore
Guardo il sole nel suo ciclo giornaliero e qualche volta la sua radiosità mi fa male, perchè sono una creatura della penombra.
Guardo la luna benevola e le stelle di cui è tempestata la volta celeste, di notte
E tutto questo mi tiene compagnia
Ora sei arrivato con quella macchinetta fotografica e mi hai salvato: anche se il mio corpo di carta si dissolverà presto, la mia immagine sopravviverà per molto tempo ancora
Grazie, amico sconosciuto, per avermi preso con te!
Un mio piccolo scritto dimenticato del 2 dicembre 2009. E appartiene alla categoria delle 'foto raccontate' o delle "foto parlanti'. La foto da cui scaturisce la piccola storia è un bell'esempio di
E' del 29 giugno 2023 questa mia annotazione che combina assieme due diversi avvistamenti, quella dell'anfora (o arancina) semovente su monopattino elettrico e quella della cicciona incastrata nella poltroncina con braccioli in pizzeria.
Vi prego, leggete queste due storielle gustandovi gli aneddoti in sé, senza lasciarvi forviare da chi potesse dire che si tratta di descrizioni poco consone e politicamente scorrette.
Sono avvistamenti che si inseriscono perfettamente nella grande narrazione delle 'Storie di Massa' e, in fondo, trattano di ciccioni felici e fieri della propria pacchionaggine.
L’altro giorno dalla coffa della mia nave ho avvistato una donna anfora solcare la strada sul suo mono-moto pattino a vela.
La foggia dell’anfora era suggerita dal grosso culone, dalla bassa statura e dalla posizione dei piedi che formavano una base d’appoggio piccola e circoscritta che andava a svasare verso l’alto e culminava nell’ampio deretano che rappresentava, appunto, la parte capiente dell’anfora o anche della giara.
Qualcuno leggendo la breve descrizione impressionistica (forse anche umoristica) che ho lanciato nel mio status ha suggerito che potesse trattarsi di un’arancina semovente su monopattino elettrico.
Non ho chiesto, però, a colui che aveva formulato questo commento (e sollevato questo interrogativo) se intendesse riferirsi ad un’arancina con carne o ad un’arancina al burro, messa per il lungo (quest’ultima, un’immagine decisamente più benevola!).
Comunque, rimanendo nel tema, l’altro giorno ero in pizzeria e ho visto ad uno dei tavoli apparecchiato per quattro, una tipa (appartenente indubbiamente alla multiforme categoria delle "signore Massa") chiacchieriare affabilmente con le sue amiche.
La tizia era enorme, saldamente tonica, gioviale e allegra.
Fianchi moolto sviluppati, debordanti; culone sovradimensionato.
Le sedie a disposizione erano, in verità, delle poltroncine con i laterali (piuttosto robuste, e solide, non c’è che dire).
Poichè le sponde laterali impedivano al culone della tizia di potere appoggiare totalmente alla seduta, le terga opime rimanevano sollevate, in realtà incastrate tra i due braccioli (se la tizia avesse dovuto alzarsi all’improvviso, quasi certamente la poltroncina sarebbe rimasta attaccata al suo tafanario come il carapace di una grande testuggine).
La postura dell’emula della Signora Massa (il mio prototipo, in quest’ambito) era quindi tutta sbilenca e con il suo corpo pendeva in avanti come una Torre di Pisa che é andata già ben oltre il suo punto di equilibrio e che non si ribalta solo perché ha trovato un efficace puntello.
In questo caso, il puntello era rappresentato dal tavolo sul quale poggiava in modo pieno ed invadente un senone ultra-prosperoso, di dimensioni pari al sottostante culone.
Il davanzale occupava una buona metà del tavolo, tanto che mi sorpresi a pensare come su di esso avrebbero potuto esserci appoggiate le pietanze per lei e le commensali sue amiche.
Interrogativo che, purtroppo, é rimasto senza risposta perché l’allegro quartetto aveva già consumato ed era intento a conversare fitto, indugiando in un’atmosfera di conviviale rilassatezza.
Ho solo potuto fare delle illazioni: forse la gigantessa e le sue tre convitate hanno mangiato a turno, oppure i camerieri hanno portato loro un unico piatto con il cibo disposto per tutte…
Insomma, in questo caso, mi è sembrato di intravedere un personaggio rabelaisiano, pieno di vitalità e assolutamente baldanzoso, oltre che fiero del suo ridondante corpaccione.
Il più delle volte quelli che vedo in giro sono dei ciccioni felici e non credo che ci sia nessuna offesa se mi soffermo a descrivere questi incontri-avvistamenti con dettagli ridondanti.
Thar! She blows! Così gridavano le vedette appostate sulla coffa quando avvistavano una balena.
Ho sognato che arrivavano a casa,
come ospiti, la regina Elisabetta
e il principe consorte Filippo
Si trattava di una visita non formale
C’era anche la mamma
Io ero ero coinvolto in prima persona
e mi davo da fare
per rendere confortevole
la permanenza della regina
intrattenendola in conversazione
offrendole qualcosa da mangiare
e da bere
Insomma, facevo tutto ciò
che s’ha da fare
quando ci sono ospiti di riguardo
Ricordo, in particolare,
che dovevo selezionare una tovaglietta elegante
da collocare sul desco
davanti al quale la regina
s’era accomodata
Cercavo e scartabellavo nei cassetti
alla ricerca di quella più bella
E qui chiedevo il parere della mamma
alla quale però non piacevano
le soluzioni da me trovate
Provavo anche a fare conversazione
in inglese con la regina
e con il principe consorte
Quest’ultimo lo blandivo
dicendogli che appariva molto giovanile
e in ottima forma
E provavo a spiegargli un posto
non distante da casa
dove avrebbe potuto montare a cavallo,
sapendo - o supponendo -
che lui fosse appassionato di equitazione
Ero lusingato di avere a casa
ospiti così importanti
C’erano anche altre persone presenti
- non dignitari, bensì gente comune -
che sembravano essere un po’ inibite
dal rango delle Loro Maestà
Io invece non provavo soggezione alcuna,
come se fosse del tutto normale
trovarsi per casa una coppia di regnanti
Quell’esperienza rimase per me come il modello archetipico del viaggio
Maurizio Crispi
Mio padre viaggiava spessissimo già quando ero piccolo Per via delle sue attività giornalistiche andava molto frequentemente a Roma Erano i suoi viaggi brevi, nervosi, andare e tornare senza ozi Negli anni ‘50 si viaggiava ancora molto in treno forse Ancora non esisteva nemmeno l’aeroporto di Punta Raisi che venne costruito in epoca più recente e c’era un traffico di voli di linea molto limitato sull’aeroporto di Boccadifalco, con piccoli aereomobili, semplici bimotori ad elica Quindi, il mezzo elettivo per viaggiare era il treno Mio padre andava a Roma a seguire spesso lavori parlamentari o per prendere contatti importanti per il suo lavoro giornalistico Una volta disse a mia madre che mi avrebbe portato con sé nel suo prossimo viaggio Io ero molto piccolo - potevo avere forse 10 o 11 anni al massimo Fui molto inorgoglito (ed eccitato) da questa idea di papà e non stavo più nella pelle Venne il momento della partenza e io salutai pieno di emozione la mamma che rimase in banchina a sventolare la mano in segno di saluto mentre ai miei occhi si andava facendo sempre più piccola Allora, viaggiando in treno, c’era il momento del passaggio dello stretto Quella fu per me una prima volta in assoluto Si usava allora - come poi ho fatto decine di altre volte nella mia vita di adulto - scendere dalla carrozza, che era stata appena imbarcata sul traghetto, sul ponte della nave per andare al bar a consumare qualche cosa (era un rito mangiare le arancine con carne di cui lì era in mostra una bella scorta) e poi affacciarsi all’esterno per osservare con emozione la costa siciliana che si allontanava e quella calabrese che farsi sempre più vicina. In quella mia prima esperienza ci fu il seme di tutte quelle, successive, dell’attraversamento dello stretto sia in andata sia in ritorno e sempre mi ritrovai a sperimentare le stesse emozioni di quella prima volta in cui ebbi in modo netto la percezione della nostra insularità Seguendo dunque il copione (quello che per molti era un rituale irrinunciabile) salimmo con papà sul ponte del traghetto, poiché lui voleva portarmi fuori ad ammirare il panorama (ma anche a farmi prendere consapevolezza - a toccar con mano - dell’insularità della Sicilia che ci stavamo lasciando alle spalle). Però prima venne intercettato da alcuni conoscenti e si fermò ad parlare con loro, forse suoi colleghi, per un tempo che a me sembrò interminabile. Io fremevo per l’eccitazione. Avrei voluto uscire al più presto per guardare fuori. Però papà s’era immerso in una fitta conversazione con i suoi colleghi - o forse persone importanti, pensa io così piccolo come ero - e quindi io ero là che guardavo dal basso in alto questa conversazione che andava avanti apparentemente infinita, un parlare di cui non capivo un bel niente Fu allora che provai ad interferire e tirai papà per i pantaloni con insistenza e lui mi guardò di rimando con uno sguardo duro che mi intimorì, come a dirmi “Stai al tuo posto, non interferire mentre parlo di cose di lavoro!” Rimasi come paralizzato. E rimasi ad aspettare senza dire altro. Questa cosa mi è rimasta profondamente impressa in tutti gli anni successivi. Mi viene sempre in mente quando Gabriel piccolino interferisce in una telefonata che ricevo - “importante” o di lavoro - che cerco di portare avanti mentre lui è presente. Invariabilmente, in queste situazioni, anche adesso che lui è decente Gabriel manifesta degli improvvisi bisogni, sente l’urgenza di dire qualche cosa di importante o di chiedermi qualche cosa. Quando era più piccolo, presi l'abitudine di non rispondere nemmeno e di rimandare le mie telefonate ad altro momento. Ogni volta che questo succede la mia mente torna a quell’episodio con papà, alla sua severità e al suo bisogno di dover tenere separati le sfere tra ciò che era la sua attività di lavoro la sua funzione di genitore.
Ieri, ho provato a raccontare a Gabriel questa piccola storia del mio passato, proprio dopo che aveva interferito in una mia telefonata…
Ma tornando a quel viaggio con papà, la cosa strana è non ne ricordo molti altri dettagli.
Questo episodio è quello che si staglia in maniera prepotente e che esce fuori da una nebbia indistinta, assieme alle impressioni del treno che sbuffando si allontana dalla banchina della stazione e la figura della mamma che si fa sempre più piccola, mentre ci saluta:
forse in questa immagine c'è l'archetipo di tutte le mie partenze successive che il più delle volte, avvenivano senza accompagnamento da parte di parenti stretti, familiari e amici.
Il più delle volte, da solo partivo e da solo ritornavo, bevendo sino all'ultima goccia il calice del viaggio.
Di quel viaggio con papà, ricordo un altra cosa e fu il fatto che mi portò a visitare il per me "mitico" negozio di giocattoli che, nei suoi viaggi frequenti visitava sempre, per portarmi ogni volta soldatini e modellini di automezzi militari. Il negozio, se non ricordo male, si chiamava Gulliver (adesso non ne ne trovo traccia, facendo una ricerca veloce su internet) ed era non lontano dall'albergo in cui mio padre scendeva e che era in pieno centro, a poca distanza dalla piazza dove campeggiava solenne la Colonna Traiana e dunque non distante dai luoghi topici per le sue attività giornalistiche e per i suoi incontri.
Mi parlava di questo negozio come di una vera e propria caverna delle meraviglie ed io morivo dal desiderio di visitarlo: quella volta fui accontentato.
Anche da grande, ormai autonomo nei miei spostamenti, ci tornai a comprare soldatini da collezione.
Non so se esista ancora.
Del resto di quel soggiorno, non ricordo granché - come ho detto.
Sicuramente, passavo diverse ore in albergo (ero abbastanza grande da stare da solo in camera, ma non tanto da andarmene in giro da solo), mentre lui sbrigava le sue cose.
Poi, al termine di quei due o tre giorni (nemmeno ricordo l'esatta durata del viaggio), risalimmo sul treno per tornare indietro in Sicilia,
E fu tutto.
Ero un simpatico cagnolino da cappelliera d'auto
Me ne stavo sul retro alle spalle del mio padrone e, mentre l'auto si muoveva, la mia testa oscillava festosamente salutando il mondo che scorreva ai miei piedi
Poi, un giorno, ho visto una cagnetta
Bellissima! Aveva le ciglia lunghe lunghe e mi guardò una sola volta, ammiccando con i suoi occhioni neri
E poi, mi ha lanciato uno sguardo lungo e languido
Io, in un attimo, di fronte a tanta bellezza e leggiadria, persi la testa per lei
Fu un vero colpo di fulmine, di quelli che più non si dimenticano
La mia testa, letteralmente, se ne andò appresso a quella meravigliosa cagnetta, e il mio corpo - una spoglia vuota - rimase indietro, senza vita
Il mio padrone, avendo constatato che io ero ormai ero andato via - la mia testa perduta in un sogno d'amore - e fallito ogni tentativo di rianimazione del mio corpo senza vita e decollato, pensò che fossi ormai inservibile: non potevo più fare oscillare il mio capo con quella eleganza che mi contraddistingueva, fingendo un sorriso che non era più dentro di me
Allora, crudelmente, in un attimo decise di sbarazzarsi di me e, con una gentilezza riparatoria (questo lo devo ammettere), mi depose sul marciapiedi, vicino a dove aveva parcheggiato la sua auto
Spero che, un giorno, la mia testa rinsavita possa ricongiungersi con il resto del mio corpo
Ma non c'è più molto tempo ormai: stiamo arrivando ad un punto di non ritorno
Presto qualcuno mi raccatterà e mi butterà nel cassonetto che si erge minaccioso a soli pochi passi da me
Lo sento
Attendo malinconicamente e consumo questi ultimi istanti come una fiammella morente, prossima ad estinguersi
La mia vita di giocattolo mi sta abbandonando a poco a poco
Ma sino all'ultimo non smetterò di sperare che la mia testa ritorni o che qualcuno mi raccatti e mi porti via con sé, anche così come sono, decollato
Ho sognato che, mentre ero a casa,
e mi muovevo tra scaffali e pile di libri
improvvisamente, loro (i libri)
prendevano a moltiplicarsi
Si suddividevano e si clonavano
sotto i miei occhi esterrefatti
Da ogni nuovo clone
ne nascevano altri
Era un processo continuo, inarrestabile,
fuori controllo
Mi sembrava di vivere una situazione
analoga a quella dell’apprenti sorcier
del cartone animato Disney
Lo spazio di ogni stanza
si colmava rapidamente
Poi cominciavano ad esondare,
uscendo, schizzando e saettando
fuori dalle finestre e dalla porta,
sospinti da un’incoercibile pressione
Quando, all’esterno,
cadevano a terra
subito mettevano radici
trasformandosi in alberi
che con rapidità inaudita
crescevano vigorosi
sino alla fioritura
e poi fruttificavano
con frutti libreschi
i quali cadendo a terra
generavano nuovi virgulti
in un processo veloce ed inarrestabile
Presto tutt’attorno a me
cresceva una foresta di alberi
portatori di libri,
votata a diventare più grande e più fitta
d'una foresta amazzonica
E poi di botto
mi svegliavo
con un libro
posato sulla faccia
Esaminandolo per bene
mi accorgevo con un brivido
che, dalla sua rilegatura,
era in corso una gemmazione
di piccoli cloni
e il loop onirico ricominciava
(dissolvenza)
Risveglio
Sfoglio qualche pagina
scricchiolante
quasi fosse fatta di antica pergamena
Leggo parole
assaporandole una ad una
quasi fossero chicchi d'uva,
e poi digerendole
Una prima colazione
a base di parole,
parole lette dapprima in silenzio,
poi articolate e pronunciate
ad alta voce
con voce gracchiante,
spigolosa e rigida
come il richiamo del corvo,
Parole ispide e ruvide
come la barba non fatta
al tocco delle dita
E poi sono pronto
a lanciare le gambe
fuori dal letto,
che è come una nave spaziale
dove ho viaggiato
verso lontananze siderali,
per iniziare un nuovo giorno
Basta un nonnulla
- anche il tocco d'una piuma -
a mandarmi in frantumi
come i petali d’una rosa congelati
Sono deboluccio
e tutti pensano che io sia una roccia
che nulla può scalfire
E invece no!
Son fragile,
son vulnerabile,
son cagionevole,
son caduco,
son frangibile
e devo sempre muovermi circospetto
perché posso rompermi
ad ogni piè sospinto
So bene che il mio destino ultimo
sarà quello di finire a terra
come un giocattolo rotto
spaccato in mille pezzi
Abbiate misericordia!
Cercate sempre di essere gentili con me
Toccatemi con cautela
Usate guanti di velluto
e ve ne sarò sempre grato
e forse non andrò in frantumi
Un mio piccolo scritto dimenticato del 2 dicembre 2009. E appartiene alla categoria delle 'foto raccontate' o delle "foto parlanti'.
La foto da cui scaturisce la piccola storia è un bell'esempio di quelle foto che suscitano delle storie; ma si potrebbe anche dire che ci sono delle storie nella mia testa che prendono corpo in una foto e che la foto che allora scatto la scatto proprio perché c'è quella storia che preme per essere espressa e raccontata.
In questa faccenda è difficile comunque trovare il bandolo della matassa, come è impossibile, del resto, rispondere alla fatidica domanda: 'Viene prima l'uovo o la gallina?'
Mi hanno lasciato solo, al freddo, esposto alla pioggia
Prima, la mia vita era stata una bella festa, vedevo tanti bimbi ciarlieri attorno a me
Non immaginavo che, senza alcun preavviso sarei stato considerato una vita di scarto e gettato via con tanta indifferenza
I miei occhi vuoti non vedono più niente nuovo
Ma ho scoperto il modo di trarre consolazione da questa nuova esistenza che mi rimane - anche se non so per quanto tempo ancora
Guardo il cielo, così alto ed immenso sopra sopra di me, e le nuvole che, a volte, viaggiano come fiocchi cotonosi simili a pecorelle e che, altre volte, si addensano minacciose, incutendomi timore
Guardo il sole nel suo ciclo giornaliero e qualche volta la sua radiosità mi fa male, perchè sono una creatura della penombra
Guardo la luna benevola e le stelle di cui è tempestata la volta celeste, di notte
E tutto questo mi tiene compagnia
Ora sei arrivato tu con quella macchinetta fotografica e mi hai salvato: anche se il mio corpo di carta si dissolverà presto, la mia immagine sopravvivrà per molto tempo ancora
Grazie, amico sconosciuto, per avermi preso con te!
Questo scrissi il 6 novembre 2009 come nota su Facebook. Poi trascurai di lanciare il raccontino su uno dei miei due blog di quel periodo e nemmeno su quello attuale.
Lo rilancio adesso: in un fondo è una storiella carina.
La fortuna è cieca, si dice, o anche viene detto che sia una "dea bendata".
Dunque, ecco un piccolo raccontino paradigmatico di questo assunto, a proposito di una cosuccia che mi è capitata di recente.
Ieri mattina scendendo le scale di casa mia, cosa vedo su di un gradino? Una banconota da venti euro, più volte ripiegata, assieme ad un foglietto bianco che, ad occhio e croce, sembrava uno scontrino fiscale!
Con concitazione, mi sono piegato a raccogliere il prezioso reperto, non senza provare quel lieve senso di colpa quando capitano queste inaspettate fortune.
Con disinvoltura, ho ficcato la banconota nella tasca dei pantaloni e ho proseguito per la mia strada.
Dopo un po' di tempo (ma nel corso della stessa giornata), frugando nella tasca, mi sono ricordato del ritrovamento e ho estratto la banconota e il pezzettino di carta bianca per esaminare meglio il tutto.
Lì per lì ho pensato che soldi e bigliettino fossero caduti a qualche fornitore che veniva per un consegna a domicilio.
Poi, guardando meglio, mi sono accorto di avere davanti agli occhi uno scontrino fiscale rilasciato da una bottega di ceramica, proprio la stessa dove il giorno prima io avevo fatto degli acquisti.
Che coincidenza!, ho pensato.
Esaminando lo scontrino nel dettaglio, vi scopro che l'importo è esattamente di trenta euro che era la somma che in quella circostanza avevo pagato, dando una banconota da cinquanta e prendendo il resto di venti.
Ergo, tirando le conclusioni, si trattava della mia stessa banconota che io nella fretta avevo infilato in tasca tutta stropicciata e che, evidentemente doveva esserne sgusciata fuori, mentre salivo le scale di casa.
E' ovvio che io sia rimasto un po' deluso: pensavo di avere ricevuto in dono un piccolo obolo e, invece, non avevo fatto altro che ritrovare ciò che avevo perduto.
La cosa notevole è che io non sapevo di aver perduto quei venti euro.
La cosa ancora più notevole è che dalla sera prima, quando mi era scivolata fuori dalla tasca, al mattino dopo (quindi, dopo un intervallo di poco più di 12 ore), la banconota era rimasta lì, sul gradino delle scale di casa, bella tranquilla, senza che nessuno se ne accorgesse.
Si potrebbe quasi dire che se fosse rimasta lì, acquattata, ad aspettarmi.
In conclusione, anche se il bilancio della vicenda è stato un pari, posso ritenermi assolutamente fortunato.
La sfortuna mi ha levato qualcosa e la fortuna, in modo cieco e casuale, me l'ha restituito.
In ogni caso, il giorno dopo (cioè, oggi) sempre la fortuna mi ha dato un contentino, facendomi trovare una banconota da cinque euro.
Nel raccoglierla, mi sono chiesto se per caso anche questa non fosse mia, dimenticata in qualche tasca degli indumenti che indossavo e casualmente scivolata fuori.
In ogni caso, aggiungo qui, i soldi ritrovati nelle tasche (perché vi sono stati abbandonati da molto tempo) è come se fossero trovati ex-novo.
Un'improvviso ed inaspettato dono.
Ciò che viene trovato
ritrovato) - anche se di infimo valore - è prezioso sempre e vale il detto: "Ogni cacatedda di mosca, fa sostanza..."
Fortuna caeca est è una locuzione latina che si traduce con «La fortuna è cieca».
È una espressione tratta da un passo di Cicerone che, nel Laelius de amicitia (15,54), scrive precisamente: Non enim solum ipsa Fortuna caeca est, sed eos etiam plerumque efficit caecos quos complexa est (Non solo, infatti, la fortuna è cieca essa stessa, ma per lo più rende ciechi anche coloro che abbraccia).
Il motivo è ripreso dalla commedia greca, in particolare dal Pluto di Aristofane, dove a essere cieca e a rendere ciechi è però la ricchezza. Tuttavia, il parallelismo non ne soffre in quanto la dea Fortuna dei Romani ricopre funzioni simili a quelle del dio greco Plutos.
La fortuna è cieca anche per altri autori latini quali Marziale, Ovidio, Plinio il Vecchio, e Seneca. Si dissocia dal ritenere cieca la fortuna Dionisio Catone, secondo cui è l'individuo che deve imparare ad agire con raziocinio e con le dovute cautele, e quindi a essere cieco è più l'uomo che la fortuna.
In epoca moderna, il motivo torna, tra gli altri, in Shakespeare che, nell'Enrico V fa dire a Fluellen: La fortuna è dipinta cieca, con una benda sugli occhi; e in Gente in Aspromonte di Corrado Alvaro, con l'interessante variante: L'invidia ha gli occhi e la fortuna è cieca.
la Dea Bendata, Si dice che la fortuna sia una dea bendata, che "colpisce" qualsiasi uomo, senza distinzione, capace così talvolta di cambiare il corso delle cose, della vita stessa. Per Dante la fortuna rappresenta l' intelligenza celeste, la provvidenza, che dirige il disegno divinoin maniera incomprensibile alla nostra ragione. Quindi la fortuna non è ne capricciosa, né crudele, ma al di sopra dell'umana comprensione. La nostra possibilità di "intervento" è farsi trovare pronti quando il momento imprevisto arriva, così da cogliere le opportunità che la dea bendata ci offre oppure opporre ogni nostra risorsa agli elementi avversi
Fortuna è una figura della religione romana, la dea del caso e del destino, festeggiata come Fors Fortuna il 24 giugno dai romani. "...nam si a me regnum Fortuna atque opeseripere quivit, at ...
Il giorno é stato ribollente
Temperature roventi, mai viste
Verso sera l’aria si rinfresca,
ma solo dopo il delirio di raggi infuocati
d'un sole implacabile
che scende lentissimo
sulla linea dell’orizzonte
Quando il martellamento delle radiazioni UV decresce
scendo in spiaggia,
sentendo ancora il calore residuo
immagazzinato durante il giorno
Sono pronto
con un asciugamano bianco
drappeggiato attorno alla vita
Mi avvicino indolente al bagnasciuga
dove l’acqua semi immobile
produce un lieve sciabordio
tra piccoli detriti
frammenti di conchiglie
e corpi rappresi di meduse spiaggiate
È l’ora tra il brusco e il lusco:
il sole è già del tutto scomparso,
ma il cielo è ancora imporporato
dai suoi raggi
che diffondono una pura luminosità diffusa
in cui tutto appare nitido e schietto
In lontananza vedo dei pescatori a canna con mulinello
che sistemano con cura le loro postazioni
e si preparano a passare la notte
in attesa che qualche preda abbocchi
Io sono lì per immergermi e nuotare
Vado alla ricerca, ogni giorno,
del massaggiatore nero degli abissi
Tento la sorte
con il mio rito quotidiano
da consumare in solitudine
Immergersi nelle acque marine
in quest’ora fatata (fatale) del giorno
prima che arrivi il buio più totale
(al massimo rischiarato da un raggio di luna)
ha un certo fascino,
soprattutto adesso,
in questa stagione dell'anno e a quest'ora del giorno,
quando le spiagge
sono deserte (a parte i pescatori)
Non più bagnanti
che tirano tardi o s’apprestano
a passare la notte al fresco,
per sfuggire al tormento
di asfittiche e claustrofobiche case
arroventate dalla canicola
e che sono lì pronti a scollinare le ore più buie
con le loro teglie di pasta al forno,
guantiere di arancini,
gigantesche insalate miste,
grigliate improvvisate,
e anguria ghiacciata,
tutti vocianti e sguaiati
No, in questo momento,
posso davvero pensare
di esser solo
nella mia ricerca,
che è anche il mio rito quotidiano
Lascio cadere dunque l’asciugamano
che mi cinge i fianchi
e subito m’immergo, del tutto nudo,
lasciandomi accogliere dal fresco abbraccio
dell’acqua immota
Procedo camminando
fino a che i piedi cominciano
a perdere la presa sul fondale
e allora mi lancio nel nuoto a rana,
procedendo agevolmente, senza impedimenti
Il piacere della pellicola d’acqua che scorre
sul mio corpo ignudo è sublime
Già dopo le prime bracciate
mi sento rigenerato
Di solito, mi piace nuotare
un po' distante dalla riva, a meno di cento metri,
in parallelo rispetto alla linea della costa
così da non perderla di vista
e sentirmi al sicuro
A volte l'acqua è torbida
perché il fondale è sabbioso
e non riesco a vedere granché
Man mano che la luce va scemando,
l'acqua si fa più buia
ed ecco che compaiono miracolosamente
tracce luminescenti
ad ogni mio movimento
Di regola, nuotando a rana,
tengo la testa fuori dall’acqua,
a volte la immergo
In questa dimensione in cui
progressivamente i colori ingrigiscono
e si fanno uniformi
si accavallano pensieri e rimembranze letterarie,
ricordi e desideri
E intanto l’acqua tiepida
accarezza il mio corpo,
attivando un sottofondo
di desideri più carnali e nostalgie profonde
Penso ai libri che vorrei ancora leggere,
ai paesi che vorrei visitare,
alle persone a cui voglio bene,
alle scopate che ho fatto
e a quelle che mi sono mancate,
a qualche altra cosa,
a qualsiasi altra cosa
e tutto questo pensare ha un fine:
distrarmi da pensieri assurdi, ma presenti,
che si incarnano in un grosso squalo,
per me l'essenza (0 l'incarnazione)
della minaccia sottomarina
La mia fantasia, alimentata da troppe letture,
a volte s'infiamma facilmente,
prendendo a deragliare su crinali pericolosi
Sì, ammetto di immaginare di trovarmi davanti
uno squalo o - peggio - un megalodon
la cui pinna dorsale, minacciosa,
inizia a disegnare un carosello attorno a me,
in cerchi concentrici sempre più stretti
fino a farmi sentire il contatto veloce e rasposo
della sua cute dura e viscida,
gelida come le dita della Morte
Questo pensiero è talmente intenso e forte
da attivare i miei sensi e far sì
che basti un nonnulla
a farmi trasalire
(e a farmi accapponare la pelle,
mentre un brivido freddo
percorre la mia schiena)
Tanto mi convinco, a volte,
che un'alga galleggiante
mi sembra un segno inquietante
della sua presenza
Dio mio, qualcosa di viscido
ha appena sfiorato il mio volto
e poi di nuovo il torace!
E aspetto il dolore urticante
provocato dal tocco della Medusa
Così, per sviare la mia attenzione,
prendo a ripetere
in una nenia silenziosa i titoli dei libri
che ho letto e che voglio acquistare
(Via! pensiamo positivo!)
E poi, di nuovo un'alga mi sfiora la gamba
e penso subito a una medusa
(come una di quelle
ridotte ad un cumulo di gelatina
dopo che si erano spiaggiate,
ma più GRANDE!)
e - per divincolarmi dal pericolo -
accelero il ritmo delle mie bracciate,
rischiando un crampo alla gamba
a causa di un movimento brusco
Sulla riva, a parte le esili figurette dei pescatori
intenti nelle loro faccende
non c'è proprio nessuno
a cui poter chiedere aiuto
(I bagnini e gli addetti
al salvamento chiudono baracca presto)
Così inizio a ripetere i nomi dei paesi che vorrei visitare:
Madagascar,
Patagonia,
Namibia,
Groenlandia...
(altra manovra diversiva)
ma l’ultimo nome fa riemergere
con prepotenza le creature marine tanto temute
e via con il lungo elenco tratto da un manuale di zoologia (fantastica) BALENA
MOBY DICK
ORCA
ORCA ASSASSINA
SQUALO
MEG
POLPO GIGANTE
K-K-K-KRAKEN
(che è il non plus ultra di questa sfilza di entità temute)
le immagini di esseri marini reali
e di altri fantastici
si susseguono in un caleidoscopio,
lasciandomi fremente e spossato,
pur nella mantenuta compassatezza del gesto del nuoto
costante e regolare
Penso a dei possibili scenari
in cui - per sfuggire alla presa dei mostri marini -
trovo salvezza su di una zattera (della Medusa? Altro orrore!)
per andare poi alla deriva nel vasto mare,
in balia delle correnti, senza né cibo né acqua
Oppure penso a me stesso naufrago
su di uno scoglio in mezzo al mare,
costretto a cannibalizzare me stesso per sopravvivere
Finalmente quella mezz'ora del mio nuoto rituale
è quasi del tutto trascorsa
Mi accingo ad uscire dall'acqua,
tonico e maschio, rigenerato
Mi avvicino a riva e mi ergo in piedi nell'acqua bassa
Percorro quegli ultimi passi
con i piedi ancora immersi,
con l'unico suono di un debole sciaguattìo ad accompagnarmi,
risucchiando la pancia in dentro
(perché per via della nuotata
ed anche della consapevolezza dello scampato pericolo
o di aver fatto fronte con efficacia alle mie paure più profonde
mi sento super-tonico)
ma - all’improvviso - sento
la stretta fredda ed implacabile
d'un qualcosa di viscido attorno alla caviglia destra
(un tentacolo!)
una presa che subito viene stretta
mentre una forza immane
mi riporta indietro
dentro il mare profondo, ormai nero
come la notte che incombe
e stavolta non bastano i pensieri
per scacciare la paura
La Cosa tanto temuta
- il Kraken, uno dei Grandi Antichi,
Yogh-Sothoth
Chutlhu che vive nella perduta città sommersa di R'lyeh,-
è adesso reale e mi ricaccia dentro il mare
Non c’è più tempo per pensare
In un attimo la mia coscienza si spegne
Non più pensieri,
non più desideri,
non più ricordi
Oblio
Oblivion
E poi mi risveglio nel mio letto
tutto sudato
con le lenzuola aggrovigliate
e l'estremità di una
strettamente attorcigliata attorno alla caviglia destra Allora era soltanto un sogno!
Sto per tirare un sospiro di sollievo,
quando all'improvviso tutto ritorna buio,
mi manca l'aria
e sento una stretta possente che stritola il mio corpo
Yog-Sothoth ( Il Guardiano della Soglia, La Chiave e la Porta, La Guida, Il Tutto-in-Uno e L'Uno-in-Tutto, L'Altrove) è una divinità presente nel Ciclo di Cthulhu e nelle Storie Oniriche di H. P ...
Il kraken è un mostro marino leggendario dalle dimensioni abnormi, generalmente rappresentato come un gigantesco cefalopode somigliante a una piovra o calamaro, con tentacoli abbastanza grandi e ...
Cthulhu Schizzo di Cthulhu realizzato dallo stesso Lovecraft (1934) Universo Ciclo di Cthulhu Lingua orig. Inglese Autore Howard Phillips Lovecraft 1ª app. in Il richiamo di Cthulhu Caratteristiche
R'lyeh è la città creata da quel lurido diucolo di Cthulhu taaaanti anni fa per nascondervisi quando gli altri dei lo prendevano in giro. Oh povero lui.
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.