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23 ottobre 2023 1 23 /10 /ottobre /2023 06:59

"La morte e il morire" di Elisabeth Kubler Ross è stato per me una lettura di fondamentale importanza. I tardi anni Settanta (dalla conclusione dei miei studi di Medicina) e i primi anni anni Ottanta (che hanno coinciso con il conseguimento della specializzazione in Psichiatria e il percorso di formazione psicoanalitica che poi per vicissitudini personali abbandonai) sono stati caratterizzati da una serie di letture extra-curriculari e che derivavano da una mia necessità interiore di elaborare il lutto della improvvisa e traumatica scomparsa di mio padre. Un mio filone di letture, portato avanti in modo febbrile e ossessivo, fu costituito da una serie di saggi sulla morte e sul morire e fu così che, appunto, mi imbattei nel testo della Kubler Ross.

Maurizio Crispi

Elizabeth Kubler Ross, On Death and Dying

Elisabeth Kubler-Ross, medico psichiatra di origine svizzera, viene considerata la fondatrice della psico-tanatologia, ed anche uno dei più noti esponenti dei cosiddetti "death studies" in cui l'oggetto dell'attenzione non è tanto la morte in sé, quanto piuttosto il morire, inteso come "processo", processo affrontato con laica lucidità al di fuori di qualsiasi cornice religiosa pre-costituita.

Il modello elaborato dalla Kubler-Ross è servito a creare una nuova attenzione sui processi del morire (all'interno di categorie psicologiche) dopo che con la perdita di influenza delle organizzazioni religiose e del supporto della fede, il morire era stato in qualche modo de-umanizzato e relagato nel chiuso degli ospedali.

Il modello a cinque fasi del morire, elaborato nel 1970, nel suo studio fondamentale e pioneristico On Death and Dying (La morte e il morire, Assisi, Cittadella, 1976. 13ª ed.: 2005) rappresenta tuttora uno insostituibile strumento che permette di capire le dinamiche mentali più frequenti della persona a cui è stata diagnosticata una malattia terminale, ma ha una portata ben più ampia, poiché gli psicoterapeuti hanno constatato che esso è valido anche ogni volta che ci sia da elaborare un lutto (o una perdita), anche se esclusivamente - o prevalentemente - limitato al livello affettivo e/o ideologico.

E' da sottolineare che si tratta di un modello a fasi e non a stadi, per cui le fasi possono anche alternarsi, presentarsi più volte nel corso del tempo, con diversa intensità, e senza un preciso ordine, dato che le emozioni non seguono regole particolari, ma anzi così come si manifestano, così svaniscono, oppure si presentano magari miste e sovrapposte.

Ed ecco di seguito le cinque fasi, descritto dalla Kubler-Ross, con ampi riferimenti a casi di pazienti terminali che lei stessa ebbe modo di seguire nel loro percorso di avvicinamento alla morte.

Fase della negazione o del rifiuto: “Ma è sicuro, dottore, che le analisi sono fatte bene?”, “Non è possibile, si sbaglia!”, “Non ci posso credere” sono le parole più frequenti di fronte alla diagnosi di una patologia organica grave; questa fase è caratterizzata dal fatto che il paziente, usando come meccanismo di difesa il rigetto dell' esame di realtà, ritiene impossibile di avere proprio quella malattia. Molto probabilmente il processo di rifiuto psicotico della verità circa il proprio stato di salute può essere funzionale al malato per proteggerlo da un’eccessiva ansia di morte e per prendersi il tempo necessario per organizzarsi. Con il progredire della malattia tale difesa diventa sempre più debole, a meno che non s’irrigidisca raggiungendo livelli ancor più psicopatologici.
Fase della rabbia: dopo la negazione iniziano a manifestarsi emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, Dio. La frase più frequente è “perché proprio a me?”. È una fase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale del paziente. Rappresenta un momento critico che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
Fase della contrattazione o del patteggiamento: in questa fase la persona inizia a verificare cosa è in grado di fare, ed in quale progetti può investire la speranza, iniziando una specie di negoziato, che a seconda dei valori personali, può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la sfera relazione del paziente, sia con le figure religiose. “se prendo le medicine, crede che potrò vivere fino a…”, “se guarisco, farò…”. In questa fase, la persona riprende il controllo della propria vita, e cerca di riparare il riparabile.

 

Elisabeth Kubler Ross, La morte e il morire, La Cittadella Editrice

Fase della depressione: rappresenta un momento nel quale il paziente inizia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo o che sta per subire e di solito si manifesta quando la malattia progredisce ed il livello di sofferenza aumenta. Questa fase viene distinta in due tipi di depressione: una reattiva ed una preparatoria. La depressione reattiva è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali, sono andati persi. La depressione preparatoria ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire. In questa fase della malattia la persona non può più negare la sua condizione di salute, e inizia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta. Quanto maggiore è la sensazione dell’imminenza della morte, tanto più probabile è che la persona viva fasi di depressione.
Fase dell’accettazione: quando il paziente ha avuto modo di elaborare quanto sta succedendo intorno a lui, arriva ad un’accettazione della propria condizione ed a una consapevolezza di quanto sta per accadere; durante questa fase possono sempre e comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione, che però sono di intensità moderata. In questa fase il paziente tende ad essere silenzioso ed a raccogliersi, inoltre sono frequenti momenti di profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto. È il momento dei saluti e della restituzione a chi è stato vicino al paziente.
È il momento del “testamento” e della sistemazione di quanto può essere sistemato, in cui si prende cura dei propri “oggetti” (sia in senso pratico, che in senso psicoanalitico).
La fase dell’accettazione non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase pre-morte, momenti in cui i pazienti possono comunque nuovamente sperimentare diniego, ribellione o depressione.

 

Elisabeth Kubler Ross con Madre Teresa di Calcutta

L'autrice. Elisabeth Kübler-Ross (Zurigo, 8 luglio 1926 – Scottsdale, 24 agosto 2004) è stata una psichiatra svizzera. Viene considerata la fondatrice della psicotanatologia e uno dei più noti esponenti dei death studies.

Dopo gli studi in Svizzera, nel 1958 si è trasferita negli USA dove ha lavorato per molti anni presso l'Ospedale Billings di Chicago. Dalle sue esperienze con i malati terminali ha tratto il libro La morte e il morire pubblicato nel 1969,[1] che ha fatto di lei una vera autorità sull'argomento. Celebre la sua definizione delle cinque fasi di reazione alla prognosi mortale: diniego (denial and isolation), rabbia (anger), negoziazione (bargaining), depressione (depression), accettazione (acceptance). Chiave del suo lavoro è la ricerca del modo corretto di affrontare la sofferenza psichica, oltre che quella fisica.

Usava anche praticare la tecnica dell'uscita fuori da corpo (OBE), che aveva appreso da Robert A. Monroe. Negli anni settanta ha tenuto numerosi seminari e conferenze.


Le sue opere

  • La morte e il morire, Assisi, Cittadella, 1976 (edizione originale 1969). 17ª ed.: 2015. ISBN 88-308-0247-6; ISBN 978-88-308-0247-6.
  • Domande e risposte sulla morte e il morire. Essere vicini a chi è prossimo a morire: alleviarne la sofferenza fisica e morale con rispetto della loro dignità umana, del bisogno di verità e di solidarietà, red./studio redazionale, 1981 (edizione originale 1974).
  • La morte e la vita dopo la morte. La nascita ad una nuova vita, Roma, Edizioni Mediterranee, 1991 (edizione originale 1983). ISBN 88-272-0009-6; ISBN 978-88-272-0009-4. Anteprima limitata. Nuova ed.: La morte e la vita dopo la morte. "Morire è come nascere", 2007. ISBN 88-272-1895-5; ISBN 978-88-272-1895-2. Anteprima limitata.
  • La morte è di vitale importanza. Riflessioni sul passaggio dalla vita alla vita dopo la morte, Gruppo Editoriale Armenia S.p.A., 1997 (edizione originale 1995).
  • Impara a vivere impara a morire. Riflessioni sul senso della vita e sull'importanza della morte, Gruppo Editoriale Armenia S.p.A., 2001 (edizione originale 1995).
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13 settembre 2023 3 13 /09 /settembre /2023 07:43
La pietra tombale di John Keats nel cimitero acattolico di Roma

Il grande poeta romantico John Keats, autore di poemi quali Endymion o The fall of Hyperion: a dream, morì di consunzione (come veniva indicata, a quei tempi, la tisi) il 23 febbraio 1821 a Roma alle 18.00 e venne sepolto nel Cimitero protestante (acattolico) di Roma.
La sua ultima richiesta, espressa agli amici che lo assistettero sino al trapasso, venne rispettata ed è così che sulla sua lapide si legge solo il seguente epitaffio, commissionato dai suoi amici Joseph Severn e Charles Brown:
«This grave contains all that was mortal, of a YOUNG ENGLISH POET, who on his death bed, in the bitterness of his heart, at the malicious power of his enemies, desired these words to be engraven on his tombstone: Here lies one whose name was writ in water»
che tradotta in Italiano suona così
«Questa tomba contiene i resti mortali di un GIOVANE POETA INGLESE che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua”»

 

E questa per me è una di quelle cose memorabili che continuerò sempre a tenere presenti nella mia vita, perchè è una grandissima riflessione sull'impermanenza.

John Keats

John Keats nasce il 31 ottobre del 1795 nello Swan and Hoop Inn a Moorgate, sobborgo londinese figlio di Thomas e di Frances Jennings, primo di 5 figli: George Keats (28 febbraio 1797 - 24 dicembre 1841), Thomas Keats (18 novembre 1799 - 1° Dicembre 1818) , Edward Keats (28 aprile 1801 - 10 ottobre 1802), Frances Keats (3 giugno 1803 - 7 febbraio 1889).
Il locale si trova oggi a pochi metri dalla stazione ferroviaria e viene chiamato The John Keats. I primi sette anni di vita furono felici.
Il 16 aprile 1804, a soli 8 anni, cominciano le sue sventure con la morte del padre per un trauma cranico, dovuto ad una caduta da cavallo.
Sua madre si risposa subito con William Rawlings, ma abbandona velocemente il nuovo marito per trasferirsi con i figli presso sua madre Alice (morta il 19 dicembre 1814 )e il padre John (morto l'8 marzo 1805). Lì Keats frequenta la scuola che per la prima volta instilla l'amore per la letteratura. Il 10 marzo 1810 sua madre muore di tubercolosi e lo lascia con i suoi fratelli in custodia alla nonna.
Questa incarica due tutori di prendersi cura dei ragazzi che ritirano Keats dalla scuola, avviandolo all'apprendistato di chirurgia.
Nel 1814 a seguito di una lite con il suo maestro, lascia il suo apprendistato e diviene studente presso l'ospedale locale.
Durante quell'anno dedica sempre più tempo allo studio della letteratura. La sua introduzione alle opere di Edmund Spenser, in particolare The Faerie Queene, è il punto di svolta nello sviluppo poetico di Keats e gli ispira la sua prima poesia: Imitation of Spenser. Stringe amicizia con Leigh Hunt, poeta ed editore che gli pubblica il poema nel 1816. Nel 1817 Keats pubblica il suo primo volume di poesie, intitolato semplicemente Poems, che non riscuote particolare successo, principalmente per il collegamento del nome di Keats con quello controverso di Hunt.
Nell'estate del 1817 Keats si trasferisce sull'Isola di Wight per lavorare alle sue opere. Gli viene affidato suo fratello Thomas che soffre anche lui di tubercolosi. Terminato il suo poema epico Endymion Keats parte per un'escursione in Scozia ed in Irlanda accompagnato dal suo amico Charles Brown. Durante il viaggio presenta i segni dell'infezione da tubercolosi e deve rientrare in anticipo. Al suo ritorno trova le condizioni del fratello aggravate. Inoltre Endymion al pari di Poems è stato stroncato dalla critica. Il 1° Dicembre 1818 Tom Keats muore di tubercolosi e John si trasferisce nella casa di Brown a Londra.
Là incontra Fanny Brawne, che era ospitata insieme alla madre dai Brown. Keats si innamora rapidamente di Fanny, che però non sposa a causa delle sue condizioni economiche poco agiate e della sua salute precaria. La pubblicazione postuma della loro corrispondenza scandalizzerà la società vittoriana.
La sua relazione viene troncata quando nel 1820 la salute di Keats peggiora. Su suggerimento dei suoi medici si lascia alle spalle la fredda aria di Londra e si trasferisce in Italia, invitato da Percy Bysshe Shelley, con il suo amico Joseph Severn.
Per un anno le sue condizioni sembrano migliorare, ma la sua salute alla fine peggiora.La più valida produzione poetica di Keats si situa tra la primavera e l'estate del 1818 ed include Ode to Psyche, Ode on a Grecian Urn e Ode to a Nightingale.

«Non ebbi una disputa, ma una disquisizione con Dilke su vari soggetti; parecchie cose si sono biforcate nella mia mente e all'improvviso compresi quali qualità vadano a formare un Uomo di Successo, particolarmente in letteratura, e che Shakespeare le possedette così largamente - intendo la "Capacità Negativa", cioè quando un uomo sia capace di rimanere in incertezze, Misteri, dubbi senza alcun irritante raggiungimento a seguito di fatti e raziocinio».
(Lettera a George e Thomas Keats)
Keats credeva che i grandi uomini (specialmente i poeti, che egli considerava quasi su un altro livello rispetto al resto dell'umanità) avessero l'abilità di accettare il fatto che non ogni cosa potesse essere risolta - essendo in grado di mantenere un atteggiamento negativo e credeva che la verità non risiedesse nella scienza o nel ragionamento filosofico, ma nell'arte.

Nell'arte lo scopo non è, come nella scienza, risolvere problemi, ma piuttosto esplorarli. Di lì, l'accettare che possa non esserci una soluzione a problemi Keats espresse quest'idea in diverse sue poesie: La Belle Dame sans Merci: A Ballad (1819), Ode to a Nightingale (1819), The Fall of Hyperion: A Dream (1819)

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27 marzo 2023 1 27 /03 /marzo /2023 19:25
L'uomo aggritta (foto di Maurizio Crispi)

L'altro giorno, ho sostato per circa un'ora,

seduto su una delle panchine di piazza Ranchibile
di recente allogamento (e lievemente basculante
non so se a bella posta o per difetto)

Era pomeriggio
La piazza era illuminata in pieno dai raggi di sole
che volgeva al tramonto,

anche se parte di essa risultava ombreggiata

con ombre che si facevano via via più lunghe

Soffiava il vento, a raffiche,

che spostava cartacce e contenitori di plastica vuoti

I piccioni becchettavano a terra,

restii ad alzarsi in volo, 

forse per via del vento

oppure per approfittare dell'ultimo sole per scaldarsi

Tubavano a tratti

 

C’era un tipo fermo nei pressi di una panchina,
ad una ventina di metri da me
All’inizio ho pensato che fosse lì
in attesa di qualcuno
o semplicemente a guardare i piccioni

 

Ma è rimasto in piedi,
a lungo,
facendo minimi spostamenti, 
bilanciandosi sulle due gambe
oppure poggiando un piede 
sulla seduta della panchina che gli era vicino

 

Io dalla mia panchina 
potevo osservarlo

 

L'uomo ogni tanto si girava,
si guardava attorno
Avevo l’impressione che parlasse tra sé e sé
ma non coglievo traccia di telefono o auricolari
Ogni tanto sputava anche
(strano!)
E in controluce, come mi trovavo,
potevo vedere la traiettoria 
del getto di saliva
che si arcuava verso terra

 

Sono stato lì seduto
per quasi un’ora
e il tipo non si è mosso
da quel metro quadrato che occupava
stando in piedi
quasi che quello spazio
fosse la sua querencia

 

Quando sono andato via
l’ho lasciato lì

Ho immaginato che sarebbe rimasto lì
anche dopo il calare del sole

 

 

 

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2 marzo 2023 4 02 /03 /marzo /2023 08:28
Il venditore ambulante (foto di Maurizio Crispi)

(7 dicembre 2022) All'incrocio tra due vie della mia zona (non dirò quali), da anni che io ricordi, addirittura dai tempi in cui praticavo ancora la corsa - sicuramente negli ultimi vent'anni - ogni mattina arriva uno con la sua macchinetta, una piccola cilindrata monovolume
Arriva presto e parcheggia proprio all'angolo dove ci sono le strisce pedonali
Poi, dopo avere indugiato un po' dentro la sua auto, senza fretta, scende, si sgranchisce appena  e si mette all'opera
Apre il cofano posteriore e comincia a scaricare una sua attrezzatura, con ordine immutabile
Prima una sedia pieghevole
Poi ancora dei trispiti metallici
Quindi è la volta di un robusto foglio di compensato che farà da piano d'appoggio per il suo banchetto
E infine numerosi sacchetti e scatole di dimensione standard (all'apparenza si tratta di scatole per scarpe) che contengono la sua mercanzie
A questo punto viene il momento dell'allestimento di un'esposizione di ciò che mette in vendita
Quindi, il tipo si accomoda sulla sua seggia pieghevole e aspetta
Non fa nulla per invogliare i passanti a fermarsi e a visionare i suoi capi
Ma qual'è la  mercanzia che mette in vendita? Ecco, a questo punto lo dirò lo dirò: si tratta di calzini di tutte le misure e colori
E' dunque un venditore ambulante "monotematico", probabilmente senza licenza
Questo è il suo dignitoso lavoro
Ogni giorno di mercoledì (non ricordo se è presente in altri giorni della settimana): forse è sopravvissuto al tempo in cui Piazza Unità d'Italia era sede di un mercatino rionale, che poi venne spostato a Viale Campania e che aveva luogo, appunto, il mercoledì. Attorno vi era tutta una costellazione di venditori ambulanti improvvisati, senza un proprio posto fisso all'interno del mercatino che sfruttavano il grande afflusso di compratore per fare i loro affari
L'uomo è molto meticoloso e misurato nei gesti
Lento
Non ha fretta, come se avesse tutto il tempo del mondo
E' perfino sopravvissuto ai tempi del Covid che per tanti ha significato la perdita di baracca e burattini
Ovviamente, a quei tempi, non era fisicamente presente nel suo angolino
Una volta finite le restrizioni è ricomparso
La cosa più incredibile è che egli sia tanto affezionato a questo punto della città
Non è che si muova da un punto all'altro, come è nella natura di un ambulante ( o forse sì, ma questo non posso dirlo con certezza: mi baso solo su quello che vedo)
Quest'angolo è il suo posto
Questa è la cosa più rimarchevole
NI sembra che ogni anno che passa l tipo sia un po' più acciaccato, il busto è piegato in avanti, e vedo che si muove a fatica nell'espletare le diverse operazioni: però tiene breccia
Non demorde, anche se non ho mai visto in occasione dei miei passaggi, qualche passante fermarsi ad esaminare la sua mercanzia
E' un esemplare vivente di costanza e di buona volontà
Non credo che questa attività sia per lui decisiva ai fini del sostentamento
Tuttavia, , credo che il beneficio secondario principale di essa sia dare dignità alle sue giornate
Conclusa la mattinata raccoglie tutto quanto e se ne va
Non so dove
Riparte e poi, puntualmente ritorna
Ogni volta che passo accanto al suo banchetto lo saluto e lui risponde al mio saluto

 

E se le cose stessero diversamente?
Il fatto che egli non venda mai nulla è indubbiamente un’anomalia che conduce a degli interrogativi
Per esempio, perché - visto che non fa affari.- non si sposta in un punto della città che sia più redditizio
Forse il suo obiettivo è semplicemente quello di stare, ristare ed osservare.
Qualcuno mi ha detto che in altri punti della città è possibile identificare analoghi venditori che nulla vendono, ma passano il loro tempo in silenziosa (o vigile) attes.
Forse l'omino che non vende mai nulla, come altri suoi colleghi sparsi qua e là nel territorio cittadino, è soltanto una sentinella silenziosa, più che in proprio per conto di qualcuno
È incredibile come una stessa cosa, a partire da piccoli dettagli, possa metamorfizzarsi in qualcosa d'altro, magari inquietante, aprendo la strada a perturbanti interrogativi.

Il venditore ambulante (foto di Maurizio Crispi)
Il venditore ambulante (foto di Maurizio Crispi)
Il venditore ambulante (foto di Maurizio Crispi)
Il venditore ambulante (foto di Maurizio Crispi)
Il venditore ambulante (foto di Maurizio Crispi)

Il venditore ambulante (foto di Maurizio Crispi)

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1 ottobre 2022 6 01 /10 /ottobre /2022 08:18
Luigi Nacci, Non mancherò la strada

Bruce Chatwin in "Anatomia dell’irrequietezza" scrive: “Danzare è andare in pellegrinaggio”. 
Leggendo "Storia del camminare" di Rebecca Solnit ho imparato che l’espressione cinese per “andare in pellegrinaggio” significa: rendere omaggio alla montagna. 
Ecco, danzare e rendere omaggio stanno al centro della viandanza. È una parola bellissima che tanti anni fa mi sono ritrovato in bocca. Ho iniziato a usarla e ho notato che subito si installava in altre bocche, al punto che oggi è diventata quasi di uso comune. 
È successo, credo, perché è una parola eufonica e solare: tiene assieme l’immagine del viandante che danza sulla via e quella della via che si fa danza, una grande festa, un tripudio di umanità e natura…
(da Luigi Nacci, da Non mancherò la strada. Che cosa può insegnarci il cammino, Laterza, 2022)
Luigi Nacci, originale cantore della 'viandanza', della vita come cammino, si interroga in quest'opera sul valore che ha in questi tempi concitati e iperconnessi la pratica ancestrale e stravolgente del viaggio a piedi.
«Ci sono estati chiuse come scatole, sigillate. Sono estati che trascorri in una stanza, in ufficio, o su un letto d'ospedale, in una cella, in uno spazio delimitato da pareti che ti sono ostili. A volte è il lavoro che ti costringe alla clausura, altre volte la malattia, tua o di un tuo caro, oppure la necessità di concentrarti per originare un'opera, o è la depressione che ti impedisce di uscire. Sei rinchiuso in un buio che non se ne va nemmeno quando spalanchi le finestre. Sei al centro della stanza ma è come se non ci fossi. Capitano estati così. È da quel buio che nasce il desiderio incontenibile del cammino. Non è desiderio di andare in ferie dopo un anno di lavoro. Chi è al centro del buio non ha bisogno di ferie, non sa che farsene. Né di spiagge, di hotel, di baite, di centri storici, di musei. Chi sta in quel buio vuole di più. Vuole solamente una cosa: il cammino».

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28 giugno 2022 2 28 /06 /giugno /2022 06:33

Il Suo è un atto di civismo e di amore; uno di quei tanti atti che potranno e già possono rendere migliore la nostra città

Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo (1986)

Uno degli alberi del signor Giacomo Minutella, Palermo (foto di Maurizio Crispi)

Vi è un tratto della via Principe di Paternò a Palermo, tra via Veneto e via Lombardia, dove il passante può camminare sotto una volta verde e riparato dai raggi del sole da una fitta e densa ombra
È davvero molto bello questo pezzo di marciapiede che si pone in netto contrasto con quelli a monte e a valle, dove le specie arboree di precedente impianto sono scomparse e perfino le conche che le accoglievano, in successivi lavori di rifacimento del rivestimento di cemento del mariciapiedi, sono state colmate.
L’ombra è data da splendidi esemplari di Ficus (la stessa varietà che forma una meravigliosa volta verde per tutta la lunghezza della “discesa di Valdesi”, tra Palermo e Mondello, trattandosi forse del Ficus Retusa, noto anche come Ficus di Taiwan, ma un tempo denominato impropriamente Ficus Benjamina). Si tratta di sei piante, per la precisione, nella cui fila sono interpolati due esemplari della specie arborea che prima costituiva il filare di alberi di questo tratto di strada e che, nel corso del tempo, si sono schiantati per varie ragioni.
Non tutti sanno che è stato il signor Giacomo Minutella, per decenni laborioso portiere dello stabile in cui vivo, a piantumarli a partire da margotte da lui stesso realizzate dai ficus che formano un filare nel nostro giardinetto condominiale.
Se consideriamo che il signor Giacomo ne ha piantumati altri due esemplari sul marciapiede opposto ed uno più distante, quasi in prossimità dell'incrocio tra via Principe di Paternò e Via Boris Giuliano (ex-Via Piemonte), si è trattato di un’opera davvero memorabile. Questa è una piccola storia paradigmatica che merita di essere ricordata e tramandata.
Sicuramente, in questo tratto di strada, sarebbe bello poter vedere una piccola targa che la racconti.
La nostra città in cui tutto sembra andare allo sfascio - specie oggi - ha bisogno di questo tipo di storie in cui la buona volontà e il senso civico di un singolo cittadino riescono ad abbellire lo spazio pubblico, senza nessun tornaconto personale.
E niente vale nel rendere e mantenere gli spazi pubblici vivibili quanto l'iniziativa di un singolo cittadino dotato di buona volontà (e perchè no?, anche di amore per il bello): se solo si pensa che l'azione virtuosa di un Giacomo Minutella venisse moltiplicata per dieci o per cento in quale tipo di città potrenno ritrovarci? In una città che sia abbellita soltanto dalle iniziative e dalla buona volontà di singoli cittadini! Invece, attraversiamo un tempo in cui tutto sembra dover dipendere da un'amministrazione centrale e questo ci fa vivere con rassegnazione le carenze e le brutture, facendoci dimenticare che potrebbe risiedere nel semplice potere delle nostre mani al lavoro la possibilità di rimediare e di lasciare un nostro segno concreto.

E ciò a prescindere da movimenti come il "Guerilla Gardening" che, in qualche modo, politicizzano questo tipo di intervento e lo fanno diventare una forma di protesta (che però rimane pur sempre relegata nell'ambito della "straordinarietà", piuttosto che appartenere alla normale gestione quotidiana delle cose).
Senza l’azione del signor Giacomo, oggi, quel tratto di strada sarebbe senza alberi e senza ombra alcuna.
Io mi compiaccio sempre a percorrerlo e, ogni volta, penso al nostro signor Giacomo, quando mi mostrava orgoglioso le margotte che stava preparando
Vorrei che molti altri percorrendo questo tratto di strada potessero ricordarsi del signor Giacomo Minutella, dell’uomo che piantava gli alberi (come il John Appleseed che ha rappresentato uno dei miti della saga fondativa degli USA, oppure come Elzéard Bouffier, l'emblematico personaggio allegorico - per quanto ispirato alla realtà - protagonista del meraviglioso racconto di Jean Giono): e  adesso, se vogliamo formulare un pensiero poetico, Giacomo Minutella continua a vivere in essi.
Ci sono molti modi attraverso cui poter tramandare la propria memoria: e piantare gli alberi è sicuramente uno di questi.
Voglio completare questa storia, grazie a due documenti che mi hanno inoltrato i figli del signor Giacomo, quando hanno letto questa mia nota.
Si tratta di due lettere, la prima del compianto professor Giuseppe Genduso, uno dei nostri condomini ed emerito professore di latino e greco in uno dei licei cittadini, la seconda del Sindaco di Palermo.
Nella prima lettera il professor Genduso segnalava al Sindaco di Palermo, allora in carica (Leoluca Orlando), l'esimia opera di Giacomo; nella seconda, indirizzata personalmente al signor Giacomo Minutella, il Sindaco esprimeva parole di elogio nei suoi confronti.

 

(Palermo, il 24 giugno 2022)

Il Professore Giuseppe Genduso inviò al Sindaco di Palermo questa lettera, il 12 dicembre 1986: "... mi permetto di segnalarLe l'iniziativa disinteressata e singolare del portiere del nostro condominio Giacomo Minutella (...). Giacomo è un patito delle piante, cura non solo quelle del nostro spazioso atrio d'ingresso, ma si preoccupa - e si è preoccupato nel passato - di quelle allogate nei marciapiedi di via Principe di Paternò e di via Lombardia. (...) A rimediare a questo scempio [l'azione dei vandali] è intervenuto il nostro Giacomo, che puntualmente ha provveduto a piantare, e a ripiantare nuove piantine, in trepida attesa della loro crescita..."

Il Professore Giuseppe Genduso inviò al Sindaco di Palermo questa lettera, il 12 dicembre 1986: "... mi permetto di segnalarLe l'iniziativa disinteressata e singolare del portiere del nostro condominio Giacomo Minutella (...). Giacomo è un patito delle piante, cura non solo quelle del nostro spazioso atrio d'ingresso, ma si preoccupa - e si è preoccupato nel passato - di quelle allogate nei marciapiedi di via Principe di Paternò e di via Lombardia. (...) A rimediare a questo scempio [l'azione dei vandali] è intervenuto il nostro Giacomo, che puntualmente ha provveduto a piantare, e a ripiantare nuove piantine, in trepida attesa della loro crescita..."

Tempestivamente, dopo pochi giorni appena (il 16 dicembre 1986), è arrivata una lettera del Sindaco Leoluca Orlando, indirizzata personalmente al Signor Giacomo, in cui si legge:  "... Il Suo è un atto di civismo e di amore; uno di quei tanti atti che potranno e già possono rendere migliore la nostra città".

Tempestivamente, dopo pochi giorni appena (il 16 dicembre 1986), è arrivata una lettera del Sindaco Leoluca Orlando, indirizzata personalmente al Signor Giacomo, in cui si legge: "... Il Suo è un atto di civismo e di amore; uno di quei tanti atti che potranno e già possono rendere migliore la nostra città".

Film d'animazione di Frédérick Back tratto dal romanzo di Jean Giono. Vincitore del premio Oscar per il miglior cortometraggio d'animazione nel 1988. Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l'idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo allora, senza rischio d'errore, di fronte a una personalità indimenticabile.

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20 luglio 2021 2 20 /07 /luglio /2021 17:58
Homeless organizzato (foto di Maurizio Crispi, 2021)

C'è uno che ha eletto a suo dimora
un'aiuola di una piazza di Palermo
l'aiuola è recintata da una siepe ben tenuta
che crea uno spazio privato, domestico
In questo spazio, l'uomo allampanato e con i capelli grigi
ha disseminato i suoi beni
Al mattino presto diversi fogli di cartone se ne stanno poggiati
sulla siepi a prendere aria e ad asciugarsi dall'umido della notte
Poi si vedono vari effetti letterecci, indumenti, asciugamani,sempre posati sulla siepe a prendere aria
Un ombrellone aperto (anche se al mattino non serve per dare ombra, poichè c'è quella naturale), ma forse la sua funzione è quella di paletto perimetrale
Un piccolo tavolo da bar e un paio di sedie e poltroncine di plastica,
sempre da bar, spaiate
Sul tavolo rotondo, un calice di vino vuoto e
una bottiglia di liquore, anch'essa vuota, stranamente inclinata
Sembra che la sera prima che qualcuno sia stato lì ad indugiare al fresco, a bere una bibita fresca,
oppure a farsi un cicchetto
Sparse qua e là ci sono altre cose che è difficile distinguere e catalogare, così di primo acchitto,
senza un'esame più analitico e ravvicinato
Sono stato colpito da questo allestimento,
degno di un uccello giardiniere
e mi sono fermato a rimirarlo
Ho anche tentato di scattare un paio di foto
colpito dalla singolarità di ciò che vedevo:
l'accampamento di un homeless organizzato
che ha costituito a tutti gli effetti un suo spazio privato
all'interno dell'aiuola pubblica
Del resto, in quel momento non c'era nessuno:
chi sa dove era andato il proprietario di quella dimora precaria?
- mi son chiesto
Eppure l'uomo era là a poca distanza,
forse era uscito di casa (per così dire)
per far due passi e sgranchirsi le gambe
Si è accorto del mio tentativo maldestro di fare una foto,
non a lui, sia chiaro,
ma alle sue cose sparse
e da lontano mi ha interpellato adirato
Io mi sono allontanato
facendo finta di nulla e lui ha preso a seguirmi da lontano
e non smetteva
Intanto, brontolava tra sé e sé
Ma io ho preso le distanze
Pochi giorni dopo son passato di nuovo da quel giardino,
e il suo campo domestico era era sempre là,
perfettamente organizzato
E lui? Dov'era lui?
Ma sì, eccolo!
Era in piedi vicino al bacino d'acqua della grande fontana monumentale
al centro del giardino grandangolare
Ed era lì con la zappetta (il rasoio) in una mano ed uno specchietto nell'altra
Il volto incipriato di candida schiuma da barba
e con attenzione si ripassava il rasoio sulle guance irsute,
ogni tanto immergendo la zappetta nell'acqua
per risciacquarla per benino
La sua attenzione era totalmente assorbita dall'operazione
Ciao! Buongiorno a te - ho detto con parole mute
E sono passato oltre con i miei cani
Come ho scoperto in seguito, in occasione di ulteriori passaggi da questo piccolo giardino con una monumentale fontana al centro sono diversi quelli che usano le poche panchine verdi come giaciglio per la notte.
Ma lui, l'homeless "organizzato" in questo luogo è un piccolo re: si è ricavato per le sue esigenze un intero piccolo appezzamento, di cui è signore e padrone assoluto.

Finché durerà...

 

(20 luglio 2021)

L'homeless organizzato
L'homeless organizzato
L'homeless organizzato
L'homeless organizzato
L'homeless organizzato
L'homeless organizzato
L'homeless organizzato
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10 febbraio 2021 3 10 /02 /febbraio /2021 16:47
Il Piccolo Principe sul suo asteroide

Lasciamo tracce, tracce dovunque.
Dovunque passiamo, dovunque siamo stati, come se la nostra vita e i luoghi del nostro passaggio fossero le scene di un crimine.
Lasciamo dovunque qualcosa, così come da ogni dove portiamo con noi qualcosa di nuovo o qualcosa di cui ignoriamo consapevolmente l'esistenza, ma che è diventato parte integrante del nostro bagaglio di esperienze e dei nostri gusti o preferenze.
Una sorta di "scambio colombiano" della psiche.
A causa di ciò, siamo esseri stratificati.
E siamo noi le nostre stesse fonti storiografiche.
Siamo noi a scrivere la storia, ad intesserla, giorno dopo giorno, a farla e a disfarla. Il passato nella memoria non è immutabile, scolpito una volta per sempre, ma è plastico, una materia duttile che viene di volta in volta rimodellata.
Pezzi: siamo fatti di tanti pezzi, come dice la canzone di De Gregori.
Pezzi che si mettono assieme in un tutto unico ed originale.
Qualcuno ci ricorderà, qualcun altro no. Ma quei ricordi saranno tutti diversi, poiché a ciascun altra persona nel mondo abbiamo dato modo di accedere ad una parte diversa del nostro essere, una diversa sfaccettatura.
Ed ieri ho ricevuto la triste della dipartita del signor Giacomo Minutella, nostro portiere da una vita, sino a pochi anni fa, quando il sopraggiungere degli acciacchi non gli ha più consentito di tenere la postazione. Solo allora, aveva receduto, costretto dalle circostanze e dall'evidenza di una limitazione fisica non più negoziabile.

 

Candela che arde

Il signor Giacomo, nato nel 1935, è stato sempre una persona laboriosa e industriosa, pilastro della sua famiglia (e lo era stato anche prima di sposarsi, poiché rimasto orfano anzitempo, da primogenito era diventato anzitempo capofamiglia), ma anche pilastro del nostro condominio, sempre pronto a provvedere in molteplici modi e ad essere d'aiuto: non ha mai tradito le sue radici paesane e campagnole ed è sempre stato un valente giardiniere. Ho appreso da lui molte cose, sotto questo profilo. Nello stesso tempo, con la sua scelta di venire in città a lavorare da portinaio, ha consentito ai suoi figli di compiere dei percorsi di istruzione superiore e di trovare una loro via professionale. Encomiabile davvero.
Qui, in via Lombardia 4, lo ricorderemo sempre perché è stato un pezzo importante nella vita di tutti noi condomini e della mia famiglia, in particolare. La mamma sapeva che poteva sempre contare su di lui, se lei avesse avuto aiuto per mio fratello per un'improvvisa emergenza, come più volte si è verificato nel corso del tempo.
Se n'è andato non per Covid, occorre dire: anche se in questi tempi di pandemia è difficile ricordarsi che si continua a morire per altre cause.
Ieri, esalando l'ultimo respiro al termine del suo percorso longevo e operoso, ha raggiunto la moglie Antonietta e adesso può riposare in pace nel ricordo dei figli e dei nipoti, ma anche di tutti coloro che l'hanno conosciuto.
Ieri camminavo per la via: ed ero uscito con i miei cani a passeggio più tardi del solito orario antelucano.
Mi piace camminare nel buio che precede il primo mattino, quando per strada non c'è nessuno: solo qualche ombra distante che posso facilmente schivare.
Ma l'altra mattina ho fatto tardi: ero dispiaciuto perché c'era, a mio avviso, troppa gente per strada ed era rovinata così la magia della città vuota, buia e silente.
Più ancora che dispiaciuto, infastidito devo dire.
Vedere gente che si affrettava al lavoro o genitori che accompagnavano i propri bimbi a scuola, interi gruppi di persone che incrociavano la mia traiettoria.
Mi sono sentito disturbato da questi incontri ravvicinati, con un pizzico, forse, di reazione fobica.
Cercavo di creare con il mio passo una traiettoria divergente. Ma non sempre mi è stato possibile.
Ho benedetto il momento in cui sono rientrato a casa.
Mi chiedo se questa mia reazione non faccia parte della "sindrome della capanna" di cui tanti parlano come post-effetto di questi tempi di Covid.
Siamo a quasi un anno dall'avvio delle prime ristrettezze dovute all'esordio della pandemia in Italia. Ma già esattamente un anno fa l'epidemia era nel pieno a Whuan in Cina.
Un intero anno della nostra vita segnato dalla pandemia: quando ne usciremo?
Intanto, in Italia, mentre ci si avvia al viraggio al giallo nella maggior parte delle regioni, vengono avviate delle micro-zone rosse per contenere i primi focolai di varianti.
Detesto questa incertezza, eppure nello stesso mi rendo conto che la costante incertezza e il permanere delle difficoltà in qualche modo oscuro, mi sollecitano: quanto meno si tratta di uno stato d'animo che attiva dentro di me l'introspezione.
Intanto, si procede verso il megarimpasto del governo che sarà presieduto da Mario Draghi, galantuomo e competentissimo, pronto a sorridere (quando è senza mascherina), ma con lo sguardo di ghiaccio.
Alla fine, sciolte le riserve e le opposizioni tutti sono saliti sullo stesso carro...
Ed anche qui staremo a vedere...
Qui gatta ci cova, dicono alcuni...

Cu issu
cu issu
cu issu e senza issu

La citazione di prima era parte di una storia che mi raccontava mio padre, a proposito dello sgangherato esercito borbonico, o almeno di alcune sue formazioni costituite da illetterati poverelli che venivano dalle campagne e privi di una qualsiasi forma di istruzione. per insegnar loro a marciare - mi raccontava mio padre - sulla gamba destra o sinistra adesso non ricordo gli istruttori tracciavano un segno con il gesso (issu) o appiccicavano dell'erba, in modo tale che fosse alle reclute facile distinguere la destra dalla sinistra, poiché spiegare a voce sarebbe stato molto più complicato e l'esito non sarebbe stato certo.
Ed ancora,  qui gatta ci cova: ci si ritrova con la prospettiva di un governo istituzionale (che, per la verità, potrebbe essere parzialmente tecnico, con dei decisori "tecnici collocati nei posti più cruciali) in cui eccellenze ed escrescenze (si veda il libro "I cazzari del virus. Diario della pandemia tra eroi e chiacchieroni" con una raccolta dei pezzi di  Andrea Scanzi su Il Fatto Quotidiano) saranno combinate in vari modi. Quelle escrescenze che ci tormentano e di cui sarà sempre oltremodo difficile, se non impossibile liberarsi. E, a volte, purtroppo sono proprio le escrescenze a prendere il sopravvento, quasi fossero una muffa maligna che colonizza ogni cosa, soffocandone la vitalità.
Nella letteratura sugli zombi, in una delle più recenti saghe (quella di Manel Loureiro, ovvero "Apocalisse Z") vi si dice che gli zombie non sono eterni, ma che - ad un certo punto - la loro condizione non più vita viene soffocata dalle muffe che, dopo un po', cominciano ad allignare su di loro e al loro interno.
Oggi, sono stato al funerale del signor Giacomo.
In chiesa eravamo tutti con l'opportuno distanziamento e in mascherina, senza potersi toccare e abbracciare: è stta per mela prima volta in assoluta di una messa in suffraggio in tempi di Covid. Ed è anche dolente constatare che in un'occasione del genere, mesta ovviamente, ci si ritrovi con persone che non si vedono da una vita e e che, almeno per molto altro tempo, si continuerà a non incontrare in normali circostanze.

 

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5 gennaio 2021 2 05 /01 /gennaio /2021 10:59
Ritorno al Fuoco Interiore (Andrea Bianchi)

(7 gennaio 2021) Nella prefazione all’edizione italiana della sua raccolta di saggi “Ritorno al fuoco”, l’ecologista, poeta e premio Pulitzer Gary Snyder scriveva nel 2008:
"[...] la metafora centrale che percorre tutti i brani è la necessità di confrontarsi con la distruzione, con la perdita, con i cambiamenti drastici e con il disordine, senza entrare in paranoia. Tutto ciò trova validità, sempre, nella natura (sia dolcemente benevola che implacabilmente severa), nelle nostre vite personali, nella storia e nella politica. Con la natura e con l’impermanenza delle nostre vite è possibile imparare ad andare d’accordo; aiuterebbero, di certo, saggezza e grazia”.
A distanza di più di dodici anni ci troviamo a varcare la soglia di un nuovo anno ancora alle prese “con la distruzione, con la perdita, con i cambiamenti drastici e con il disordine”. Il pensiero va alla pandemia, ma non vorrei passasse inosservato che il 2020 è stato anche l’anno di nuovi record nella classifica degli eventi climatici estremi: dalla più lunga stagione degli uragani nell’Atlantico, che si sono abbattuti sugli Stati Uniti e sull’America centrale, alle inondazioni in Cina, dall’invasione di locuste nell’Africa orientale alle tempeste in Europa, di cui quella in ottobre che ha devastato intere comunità in Piemonte e Liguria. Tutti eventi in cui dalla comunità scientifica è stato ravvisato come fattore decisivo il cambiamento climatico.
Gli incendi hanno imperversato sulla costa Ovest degli Stati Uniti: lo stesso fenomeno distruttivo a cui si riferiva Snyder già nel 2008, osservando che in ben altre epoche di equilibrio con la Terra, i nativi americani di quei luoghi provocavano piccoli incendi pilotati per conservare intatta la capacità rigeneratrice delle foreste, e che “gli esseri umani di tutto il mondo, per diverse centinaia di migliaia di anni, forse per mezzo milione di anni, si sono adattati al fuoco”, e - aggiungo io - al freddo.
Per centinaia di migliaia di anni, se non per milioni di anni, ci siamo lasciati guidare da un senso del Luogo in cui vivevamo per sviluppare la capacità di adattarci ad esso, alla ricerca di una relazione simbiotica con la natura. Oggi perseveriamo invece nell’illusione di imporci ai luoghi e alla natura, magari grazie all’aiuto di una tecnologia ritenuta onnipotente o di un vaccino “salvifico”.

L’”arte del fuoco” ci è sfuggita di mano, di essa abbiamo a stento memoria, ed anche per questo fuggiamo il freddo come tutte le situazioni “fuori comfort”, quelle che non controlliamo, per rinchiuderci nei gusci dove viviamo e facciamo smart working. Ci salutiamo, ci parliamo e ci scambiamo decisioni ed emozioni da un video all’altro, a distanza. Camminiamo sempre meno. Trascorriamo all’aperto sempre meno tempo, ancor meno in natura. Poche volte - o quasi mai, o mai - ci togliamo le scarpe per camminare a piedi nudi sulla neve.
Cari Amici, se non vi riconoscete in questa prospettiva, se questa non è la strada che desiderate percorrere, se sentite che - pur se il destino non vi è chiaro - questa non è la via alla vostra meta, allora condividerete con me un altro passo del testo di Snyder: “Dobbiamo ritornare al fuoco svariate volte, dobbiamo ritornare al nostro sé [...]”.

Che il 2021 sia l’anno della consapevolezza del respiro e del cammino, l’anno del freddo e del caldo vissuti in modo egualmente aperto, l’anno in cui fortificheremo il nostro sistema immunitario con le docce fredde mattutine e i bagni nelle acque naturali, l’anno in cui impareremo a parlare con gli alberi, l’anno dei piedi nudi sull’erba bagnata.
Che il 2021 sia l’anno del ritorno alla Terra.
L’anno del ritorno al nostro fuoco interiore.


Per saperne di più su Andrea Bianchi segui i due link riportati sotto.
 

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31 gennaio 2020 5 31 /01 /gennaio /2020 11:56

Un giorno Gabriel mi ha chiesto: Papà, ma tu quando muori?
Sono un po' basito. Farfuglio qualcosa, poi gli dico: Spero non subito...
Replica di Gabriel: Domani? Dopodomani?
Io: Non so... Ma di certo vorrei il più tardi possibile!
Gabriel: Allora, tu morirai tra un milione di anni!

Tutto è connesso. Mi sono ricordato di un frammento di dialogo tra mia madre ultranovantenne e la signora Maria, da oltre 30 anni impiegata presso di noi come governante. 

Mi racconta la signora Maria che un giorno, quando già si era improvvisamente indebolita, la mamma le disse: Eh, Maria! Presto partirò per un lungo viaggio. E, dopo una pausa, aggiunse: E mi devi promettere che quando io sarò partita ti prenderai cura dei miei figli. La signora Maria, per sdrammatizzare, le disse: Ma, signora Irene, un viaggio per dove? Dove se ne vuole andare?

E la mamma replicò: Sarà un viaggio verso un paese molto, molto, lontano.
Ma non aggiunse altro. Fu una dellepoche volte in cui parlò della sua fine. Altre volte ci diceva, quando si rendeva conto che la sua efficienza si andava incrinando (soprattutto nell'essere di supporto a mio fratello) ci diceva che avrebbe essere portata al Polo Nord ed essere lasciata ad addormentarsi fuori nel freddo e al buio, come un tempo usavano fare gli Inuit (Eschimesi) anziani che, quando si rendevano conto che stavano per diventare decrepiti ed incapaci di avere un ruolo attivo nella vita del gruppo familiare, si allontanavano a piedi trai i ghiacci della Groenlandia, dove poi aspettavano la morte4 per assideramento. Aveva letto tanto prima il Romanzo "Il paese delle Ombre lunghe" (deldimenticato, oggi, Hans Ruesch) che io le avevo passato e neera rimasta molto colpita.

Mia mamma, Irene Salatiello Crispi

C'era molta serenità in questi suoi discorsi, una serenità che nulla aveva a che vedere con la sicurezza di ciò che ci attende nell'Aldilà che la Fede cristiana fornisce circa la promessa di una vita eterna. Non entrava mai nel merito del "dopo", anche se sono convinto che la mamma, pur nella laicità della sua visione, avesse comunque la percezione che sarebbe entrata nel "Mistero" (un mistero insondabile, per la verità) e, in questo processo di transizione, non chiedeva mai aiuto a nessuno, confidando esclusivamente in se stessa, così come aveva fatto nella sua vita operosa affrontando tutte le piccole e grandi battaglie quotidiane.

E la notte seguente ho sognato.  
Mi ritrovavo a tentare di estirpare una tenace pianta grassa. Sembrava fosse viva e le sue radici, grosse come arti, si spingevano dentro la terra avviticchiandosi ad altri tronchi vicini.

Con la sua resistenza, manifestava una forte volontà di sopravvivenza.
Poi, quando con uno sforzo estremo riuscivo ad eradicarla, la pianta divelta prendeva a muovere il moncone delle radici come fruste, divincolandosi dalla mia presa. E avevo la sensazione che stesse diventando con questo moto minacciosa, capace di sopraffarmi: una vaga ma crescente sensazione di pericolo, quasi fossi alle prese con una belva.
E questo frenetico movimento continuava fino a che non recidevo quelle grosse radici pulsanti con una forbice da giardinaggio, incontrando una resistenza all'azione delle lame non di certo lignea ma come di carne viva.

 

Oliver Sacks, Gratitudine, Adelphi

Il giorno dopo, al risveglio, ho afferrato da un piccolo cumulo di libri non ancora letti “Gratitudine” di Oliver Sacks e nel giro di poche ore soltanto, grazie alla sua esilità, l’ho letto.
Il piccolo volume raccoglie quattro scritti autobiografici di Sacks composti nel periodo che decorre dal compimento dei suoi ottant'anni, evento seguito quasi immediatamente da quello infausto dell'identificazione di una grossa metastasi epatica di un melanoma all’occhio di cui aveva sofferto anni prima, alla morte.
Si tratta di pagine che disegnano sentieri già da lui già percorsi ma che hanno allo stesso tempo la valenza un commiato dalla vita e di un rapido, intenso, bilancio del suo percorso vitale, in cui ciò che domina, più che la nostalgia per ciò che egli si accinge a lasciare, è il sentimento di gratitudine per ciò che egli ha potuto fare, per le tracce che è riuscito ad imprimere e, soprattutto, per ciò che ha ricevuto dagli altri. Tutte cose per le quali provare un sentimento di gratitudine che, in nessun modo, potrà essere offuscato dal rammarico di fronte alla vita che fugge via.
Sacks scrive dalla vetta dei suoi ottant'anni: è un’età che ancora non mi appartiene e che non so se raggiungerò; in ogni caso. le sue parole mi hanno offerto fecondi spunti di riflessione.

 

Oliver Sacks

Oliver Sacks, nato a Londra in una famiglia di fisici e scienziati - il più giovane di quattro fratelli di una coppia ebrea -, è stato neurologo e scrittore.
In Gran Bretagna frequenta il Queen's College a Oxford dove consegue Bachelor of Arts nel 1954 in fisiologia e biologia. Presso la stessa università, nel 1958, intraprendendo un Master of Arts, ottiene una laurea in medicina e chirurgia, che gli permette di esercitare la professione di medico.
Lascia l’Inghilterra per trasferirsi prima in Canada e poi negli Stati Uniti nel 1965. Professore di Neurologia clinica presso l’Albert Einstein College of Medicine e di Neurologia alla New York University School of Medicine ha iniziato la sua attività di divulgazione scientifica descrivendo le sue esperienze neurologiche con i pazienti negli anni Settanta e pubblicando anche su The New Yorker e The New York Review of Books articoli di carattere medico- scientifico. Il suo libro più conosciuto è Risvegli, dal quale è stato tratto il film con Robin Williams e Robert De Niro, e a cui sono seguiti i racconti altrettanto noti di altri suoi casi clinici Su una gamba sola e L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Tra gli altri suoi libri L’isola dei senza colore, Emicrania, Un antropologo su Marte, Allucinazioni, editi in Italia da Adelphi. Feltrinelli ha pubblicato Diario di Oaxaca nel 2004.
Oliver Sacks è morto a New York il 30 agosto 2015.
"La fortuna mi ha abbandonato" aveva scritto in una lettera a febbraio sul New York Times annunciando il cancro al fegato "Ora spetta a me decidere come vivere i mesi che mi restano. Devo vivere nel modo più ricco, profondo e produttivo che posso".
Tra le sue ultime dichiarazioni:
"E ora, in questo frangente, in cui la morte non è più un concetto astratto, ma una presenza — una presenza fin troppo vicina e a cui non puoi dire di no — mi sto di nuovo circondando, come feci quando ero ragazzo, di metalli e minerali, piccoli emblemi di eternità."
"Qualche settimana fa, in campagna, lontano dalle luci della città, ho visto il cielo intero «spolverato di stelle» (per dirla con Milton); un cielo come questo, pensavo, si può vedere solo su altipiani elevati e desertici, come quello di Atacama in Cile. Questo splendore celeste mi ha fatto improvvisamente capire quanto poco tempo, quanta poca vita, mi siano rimasti. La mia percezione della bellezza del paradiso, dell’eternità, era per me inseparabilmente mescolata con un senso di transitorietà — e di morte. Ho detto ai miei amici, Kate e Allen: «Mi piacerebbe vedere di nuovo un cielo come questo mentre muoio». «Ti porteremo fuori con la sedia a rotelle», mi hanno risposto."

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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