Ho visto una donna rovistare nei cassonetti
alla ricerca di oggetti utili e di valore
o anche inutili e di scarto,
ma di suo gusto
Ho visto uno chinarsi
per raccogliere gli escrementi
del proprio cane
Ne ho visto un altro
andar via senza pulire,
strafottente
Ho visto una gattara
curarsi amorevolmente
d’un gattino che ha trovato casa
nella Loggia dell’Incoronazione
e che è, dunque,
gatto incoronato e di nobile lignaggio
Ho camminato per vicoli bui e stretti percorsi da auto e moto
a velocità folle
con fasci di luce perentori
che violentano il buio
La città è bellissima,
ma anche indicibilmente sporca
Ondate di fetore
assalgono le mie narici
Decomposizione e terrore
e insieme l’estasi sublime
della bellezza di cose millenarie
Maurizio Crispi (14 novembre 2024)
La vetrina di una bottega del Mercato delle Pulci a Palermo (Foto di Maurizio Crispi)
Ogni tanto,
(ma, con il passare degli anni,
ciò accade più di frequente)
la morte porta via qualcuno che conosciamo
e allora si fa la conta
cercando di rimemorare
con esattezza chi è rimasto
e chi se ne è andato
A volte si è sopraffatti
al pensiero che i nostri morti
si siamo fatti più numerosi
di coloro che sono ancora vivi
Un nutrito drappello,
mentre i viventi sono sempre più rarefatti
Nelle stesse circostanze
capita che si voglia fare una rassegna
dei propri acciacchi
e delle proprie debolezze,
gli uni e le altre drammaticamente
avanzanti con l’età
Magari si prende a ridere
la voglia di far ciò
Si fa anche qualche battuta
Dietro scherzi e scherno,
dietro lazzi e frizzi,
c’è tuttavia un pizzico di disagio,
nel contemplare il tempo che fu
e nel guardare il tempo che fugge
e si fa più stretto
I giovani sono pochi ed evanescenti
La conta dei morti cresce
di anno in anno
di mese in mese
e ad onorarli
c’è il più delle volte
una folla di vecchi,
sempre più vecchi
Si va avanti a testa alta
uniti dalle circostanze luttuose
perché l’unione fa la forza
Ci si stringe gli uni agli altri
Ma la muta domanda che s’impone é:
Chi sarà il prossimo?
Per chi suonerà la campana?
#fotodimauriziocrispi La foto: Graffito di piccole dimensioni sul muro perimetrale dell’Istituto Don Bosco, in via Saverio Scrofani (Palermo)
La notte è severa maestra,
ma anche apportatrice di doni
Nel buio della stanza
o con la lucetta del comodino accesa
c’è sempre il confronto con qualcosa,
a volte inquietante,
talvolta appassionante
con ombre che si agitano
e mi ghermiscono,
facendomi vivere situazioni
curiose e appassionanti,
perturbanti e disturbanti,
portandomi in luoghi lontani ed esotici,
o spingendomi a guardare
quegli stessi luoghi della quotidianità
con occhi diversi
e disvelando la meraviglia
e l’orrore (a seconda dei casi)
che sono racchiusi in essi
É come essere un pescatore di perle
che si tuffa e scende
verso il fondale
dove potrà trovare delle perle
oppure incontrare
il mostro che lo ghermisce
A volte credo di avere sognato
ed invece sono stato desto
a macerarmi nel dormiveglia,
talaltra invece ho dormito
credendo di essere sveglio,
talvolta sogno e sogno di viaggiare,
di andare lontano oppure di stare vicino,
immobile, mentre eventi si svolgono
tutt’attorno a me
ed io ne sono spettatore privilegiato,
osservatore,
o persino osservatore partecipante
Ma sempre me ne sto
ad occhi bene aperti
In fondo nel sogno cerchiamo la meraviglia
ma anche l’incontro con la paura
è desiderabile
poiché ci riconduce
alla nostra natura ancestrale
dell’Uomo, esploratore, cercatore,
cacciatore
che nel confronto con le forze più ostili
doveva cercare di sopravvivere
con le sue sole forze
Il piacere dell’esplorazione, dunque
La ricerca del senso di indicibile paura,
anche
La curiosità
Esperienze forti a cui attingere
a piene mani
Riti di iniziazione, oppure prove ordaliche
cui sottoporsi Eyes Wide Shut, pertanto
Mai deflettere lo sguardo
Sempre cercare di capire
oppure lasciarsi trascinare dall’onda
Chi è il sognatore?
Chi manda i sogni?
Chi li comanda?
Chi ne è il regista?
Questa notte ho vissuto
un’interminabile situazione
Un party
Un incontro poliedrico
con molti diversi personaggi
Una compagnia vagante ed itinerante
di guitti e saltimbanchi,
donne e uomini
con florilegi di tatuaggi bizzarri,
occhi bistrati,
unghie dipinte di nero
movimenti allusivi e ambigui
Andava a finire
che tutti facevano sesso
con tutti
in una ripetizione interminabile
in cui i figuranti realizzavano
composizioni di corpi e di membra
fantasiose ed improbabili,
un groviglio inestricabile
Ed io m’aggiravo per quella casa,
senza essere parte di nulla,
se non imbelle testimone del partouze,
senza potere evadere
senza potere dormire
o sprofondare nell’oblio
d’un sonno senza sogno
Poi mi sono svegliato,
o meglio sono riemerso,
con la sensazione di non aver dormito
per nulla e di non aver riposato
E come ogni volta
eccomi a fare il debriefing
di ciò che ho riportato con me
alla superficie,
tesori,
perle,
meravigliose conchiglie,
inutile robaccia,
mostri e diavoli
È la descrizione di un mio stato d’animo e di un frammento di sogno del 5 novembre 2021, di cui feci una prima trascrizione su Facebook, ma senza pubblicarlo qui nel blog.
L’ho recuperato attraverso l’algoritmo e dunque eccolo qui
Maurizio Crispi (5 novembre 2021)
Ho dormito profondamente
in due riprese
o forse tre
Ad un risveglio
con la testa ancora gonfia
d’un sogno indecifrabile
mi sono seduto a tavola
e ho mangiucchiato dell’uva passa,
masticando ad occhi chiusi
per assaporare meglio,
bevendo dell’acqua a grandi sorsi.
Era buona buona
quell’uva
mai mangiata una più buona
Il sogno che ho sognato
era vivido
ma ne ho perso
quasi ogni traccia al risveglio,
salvo un piccolo frammento
Una pioggia
improvvisa e violenta
trasportava via a valle
tutta la terra fertile
lasciando scoperto
lo strato di roccia e sassi
Cercavo di creare degli argini
all’azione erosiva dell’acqua
anche se il danno era già fatto
Non avevo con me
strumenti adatti
e potevo lavorare soltanto
a mani nude
Ho dato una veloce scorsa
a Faccialibro
Ho guardato le mail
Ho aperto un libro vero
e ci ho infilato il naso dentro
Io sveglio
e la forte consapevolezza
d’un mondo di dormienti
attorno a me
La notte è mia
tutta per me
in momenti
come questo
Quando accadono
li accolgo, senza respingerli
senza lottare,
senza dibattermi
in una futile opposizione
Li amo
e vorrei che si protraessero
il più a lungo possibile
assaporandoli lentamente
come quell’uva passa
Apprezzo il silenzio notturno,
a volte assordante,
rotto soltanto
dai latrati dei cani di ronda
Poi, respirando piano,
inalando ed esalando,
scivolerò di nuovo
nell’abbraccio di Morfeo
Vado alla ricerca di qualcosa
Una cosa che non trovo più da tempo
Passo il mio tempo a rovistare
negli scaffali dei libri,
negli armadi,
negli angoli più riposti
Ma cos’é?
É un libro che ricordo di possedere
da tempo immemore
Sono sicuro che ci sia,
da qualche parte
Eppure non lo trovo
Sono fissato con questo libro
Lo voglio
Mi sembra indispensabile
Devo rileggerlo
per carpirne segreti e significati arcani
Eppure non lo trovo,
cerco e non lo trovo
Conduco ogni giorno
la mia ricerca
con diligenza,
con dedizione,
con determinazione
La ricerca non é soltanto fisica
La mia mente rimugina,
alla ricerca di QUEL libro
Ma se mi doveste chiedermi
cos’é QUEL libro
Io vi risponderei che non lo so
e che del suo titolo
e del suo contenuto
nulla ricordo
Ma credetemi,
quel libro mancante,
quel libro oscuro
prima o poi
lo troverò
E dopo che l’avrò trovato,
tutto sarà diverso
I sogni, a volte, sono complessi
e in essi ci ritroviamo a vivere
cose incredibili;
altre volte, invece,
sono di una disarmante semplicità
e rappresentano soltanto
piccole azioni quotidiane
senza alcuna importanza
I sogni arrivano da qualche parte
senza che il sognatore
possa influenzarne il contenuto,
o plasmarlo a suo piacimento
Per esempio, nel pomeriggio,
mi ero addormentato sul divano,
mentre leggevo e sorseggiavo una tisana
Il sogno è stato questo:
una mano (vedevo solo la mano)
accostava alle mia labbra
un cucchiaio carico di nutella
(o forse era burro di arachidi)
ed io protendevo le labbra in avanti,
contemporaneamente dischiudendole,
per accogliere il ghiotto boccone
Mi sono svegliato di colpo,
e mi sono accorto che questo movimento
delle labbra buffo e ridicolo
lo stavo in effetti compiendo
quasi pregustando il momento
di essere nutrito
come un uccellino nel nido
in attesa di gustosi bocconi
Ma Ale che era accanto a me
non si era accorta di nulla
Invece, poco fa, mi son svegliato
e c’era il residuo di un sogno
(mi pare che i sogni più floridi
vengono a me,
quando mi addormento sul divano)
Qui, io e altri avevamo a che fare
con tre tizie
con le quali non c’era nessun punto in comune
Erano svampite e superficiali,
apparentemente senza alcuno spessore,
vacue e interessate solo a futili argomenti,
indisponenti
cinguettanti
Perché le avevamo invitate?
Forse per una specie di scommessa,
o per da corso
ad un esperimento di psicologia sociale,
non saprei
All’appuntamento, delle tre tizie
se ne presentano soltanto due
La terza ha dato forfait
non si sa perché
La conversazione stenta a partire
Non ci sono degli argomenti comuni
Penso che queste due qui
siano delle autentiche sciacquine
con le quali non voglio avere
nulla da spartire
Eppure ora sono costretto
a sciropparmele
Poi sono seduto
in un basso balconcino, al primo piano,
aggettante su di una strada buia,
poiché é sera
e manca l’illuminazione
C’è una macchina blu
parcheggiata sotto,
di quelle che servono per scarrozzare
dignitari e potenti,
con uomini di scorta
solitamente armati e agguerriti
In effetti, attorno alla vettura,
ci sono tre figuri grossi come armadi
che si guardano attorno paranoici
(la paranoia é il succo del loro mestiere)
e tengono sotto controllo il territorio
Sono chiaramente in attesa
che arrivi il loro protegé
In effetti, di lì a poco,
vedo arrivare uno,
alto ed imponente,
vestito di blu,
tanto che a stento ne vedo emergere
volto e mani dalla coltre scura della notte
Dal poco che posso vedere,
ravviso dei tratti che mi sono familiari
E, sí, con emozione capisco
che si tratta d’un mio zio,
fratello dello mamma,
morto più di dieci anni fa
Lo chiamo “Zio, zio Aldo!”
Gesticolo, mentre lo chiamo per nome,
cercando di attrarre la sua attenzione,
ma niente: è come se fossi invisibile
e la mia voce non avesse suono
Lo zio, con indosso quell’abito blu,
sale sull’auto blu,
assieme agli uomini di scorta
vestiti di blu-nero
e parte per essere inghiottito dalla notte,
lasciandomi con la nostalgia
d’un incontro mancato
(Dissolvenza)
Poi ancora sono in un sogno
Sono in una situazione lavorativa
Portano un nuovo paziente
che deve entrare in comunità
É la prima sua esperienza per lui
Appena arrivato, deve ricevere
la somministrazione di un nuovo farmaco
in forma di polvere bianca
contenuta in un flaconcino di plastica altrettanto bianca,
senza etichette e senza diciture
Il farmaco si chiama “Tatmen”
(sento una voce che ne pronuncia il nome)
e, a quanto capisco,
il contenuto del flacone
serve per dieci giorni di trattamento
La dose del giorno viene somministrata
al nuovo paziente da un addetto,
forse un infermiere
Poi, io e un altro collega rimaniamo
a parlare con lui,
mentre Tatmen fa effetto
Poiché é alla sua prima volta
vorremmo spiegargli
le regole fondamentali della comunità
e ci sediamo vicino lui
Parliamo del più e del meno,
ma senza entrare nel merito delle regole
Poi soprassediamo e decadiamo di farlo
una prossima volta
Intanto, si è fatto il tempo
della quotidiana riunione di gruppo
e lo invitiamo a partecipare
Sono per strada
in una zona malfamata della città
e cammino con una valigetta
C’è uno davanti a me
che pure cammina
Al passaggio lungo una viuzza stretta
c’è da superare una gruppo di facinorosi,
forse i rappresentanti d’una gang
Al passaggio del tizio che mi precede
gli urlano contro parole che non comprendo,
forse insulti o espressioni di dileggio
o minacce
Ma non lo attaccano
Quello prosegue per la sua strada
senza proferire verbo
e senza reagire
Quando sopraggiungo io,
mi tocca lo stesso trattamento
e anch’io tiro innanzi
senza reagire
e senza subire attacchi fisici
Poi mi si affianca
uno che non conosco
e mi dice, riferendosi a quei bravi,
“C’hanno ‘u babbiu!”Arrivo ad un portoncino ed entro,
usando la chiave che ho con me,
per fare scattare la serratura
È come se fosse il mio alloggio,
per quanto temporaneo o di fortuna
Ma è minuscolissimo,
grande quanto una casa di bambole,
spoglio e privo di tutto
Che ci faccio lì?
Rimango, vorrei rilassarmi,
ma poi penso che è tardi
e che devo andare al lavoro
Vengo preso dal pensiero improvviso e disturbante
che non ho ben chiuso l’uscio
e che sono dunque facile preda di quei bravi
Vado per chiuderla,
sentendo l’affanno e il cuore in gola
Prima che io ci arrivi,
la porta che era semplicemente socchiusa
si spalanca di botto
e sulla soglia compare un ceffo spiritato,
grande e corpulento come un armadio
che impronta una tiritera offensiva,
una litania di improperi,
contro i medici che vivono in quel quartiere
e che non sono mai disponibili,
quando c’è bisogno di loro
Nel mentre sta per passare un’auto blu
Il tipo esaltato,
mi gira le spalle di botto,
per accostarsi all’auto
con un scatto repentino
e attraverso il finestrino semiaperto
cominciare a lanciare insulti
e verbosità querulomaniche
contro l’occupante della vettura
che è evidentemente un medico
Di quando in quando
ritorno al cimitero
Ho trascurato di andarci in visita
per i miei morti,
lo ammetto
Ma non ho mancato mai
di passare dalla sepoltura di famiglia
quando sono andato ad onorare
e a compiangere altre morti
Sono momenti questi
In cui ci si ritrova a pensare
ai propri morti
alla propria solitudine
al cospetto della morte
ma anche al senso di solidarietà
che ogni morte genera
Nessun uomo è un isola
Quando la campana suona a morto,
non chiedere mai
per chi stia suonando,
perché essa suona anche per te
I commiati
i transiti
i passaggi
sono sempre tristi
ma posso anche essere un momento
che accresce
attraverso la perdita
la nostra forza interiore
al pensiero che coloro che ci lasciano
stiano entrando in qualche modo
in una Luce trascendente e ineffabile,
in un Mistero
che travalica qualsiasi fede
qualsiasi convinzione religiosa
Il cimitero
I riti ultimi
Il fumo dell’incenso
L’aspersione dell’acqua benedetta
sono tutti passaggi necessari
perché scandiscono
il rituale della transizione
e lo rendono solenne
Noi viviamo quel transito
come se fossimo noi stessi
a dover transitare
da questo all’altro mondo
Siamo noi colui o colei
che non è più
Siamo noi dentro a quel feretro
Siamo noi i destinatari
del pianto e della commozione
La Morte in sè é impensabile,
indicibile,
incommensurabile,
indescrivibile
ed é solo specchiandoci in altre morti
che possiamo prefigurarci
il nostro trapasso
Il cimitero con i suoi viali
fiancheggiati di bosso e di alti cipressi,
con le sue sepolture di pietra
dalle cappelle gentilizie
alle sepolture verticali
chiuse da una lapide orizzontale
più o meno adorna di sculture
di scritture di immagini dei defunti
di scritte dolenti
e quell’odore dolciastro
che è a metà tra profumo
denso e sontuoso di fioriture
e vago sentore di putrefazione,
le sepolture spoglie e decadenti
da tempo abbandonate
e senza più nessuna cura
da parte di mani amorevoli,
tutto ciò ci rimanda
con prepotenza
alla consapevolezza dell’impermanenza
Per stare nella vita
occorre esser capaci
di stare nei pressi della morte,
di lasciarci toccare da essa
Per vivere
bisogna saper morire
Mi sono addormentato di botto
e ho dormito un sonno di piombo
Ho sognato
Per qualche motivo futile
andavo a casa di mio figlio grande
Non so, forse dovevo portare qualcosa,
o prender qualcosa, forse un libro,
o dei libri
Andavo prima da sua madre
E le dicevo che sarei entrato
nell’appartamento contiguo,
quello di mio figlio,
anche se lui non c’era
La chiave, pur nuova e lucente,
stentava a girare nella toppa
Ma poi la serratura cedeva
Ed ero dentro
Nel mentre sopraggiungeva
proprio lui, mio figlio
Era altero e di poche parole
Non sembrava interessato
a sapere di me e del motivo
che mi aveva spinto
ad andare a casa sua
Lui aveva fretta,
era solo di passaggio,
aspettava altri amici
con i quali doveva incontrarsi
di lì a poco
per andare ad una di quelle serate turbinose,
di musiche, strepiti e danze
Rimaneva tutto in sospeso
Le parole restavano non dette
Presto tutto crollerà
o comunque finirà
Case ed edifici che si erano pensati eterni
cederanno logorate dal peso degli anni
Le tubature cederanno
Le mura vetuste si sgretoleranno
E noi che abbiamo vissuto per anni
chiusi in una fortezza impenetrabile
vedremo crollare
una per una
le nostre difese,
bastioni, casematte,
camminamenti di controscarpa,
passaggi sotterranei e rifugi anti-atomici
e saremo vulnerabili ed esposti,
improvvisamente fragili,
come tartarughe private del loro scudo
Alla fine nulla rimarrà,
solo puzzo di bruciato,
una pioggia lenta di cenere grigia
e le pagine sparse e corrose
di chissà quali libri smembrati
si solleveranno in volo
sospinte dalle brezze letali,
come un turbinio di foglie accartocciate
danzanti una danza di morte
dopo l’olocausto nucleare e le piogge nere
Monte dell'alba (foto di Maurizio Crispi)
Risveglio
Sentore di legna bruciata
Aria fresca e frizzante
Luce dorata
Monti dorati
Alba dorata
Il mattino ha l’oro in bocca
Mi sono svegliato
di colpo,
occhi sbarrati nel buio,
la testa pesante
perché avevo sognato
sino al punto del risveglio,
ma non riuscivo a sbrogliare
la matassa informe
che occupava la mia testa,
ingombrante e immobile
come un grosso blocco di pietra
o forse anche di granito, inattaccabile
Sono stato un po’ a lambiccarmi il cervello
Ma niente da fare!
Quell’ammasso pietroso
rimaneva lì e non mi parlava
A volte la narrazione di un sogno
si realizza mettendo su di una tela
su cui appare abbozzata una forma
dettagli, linee, colori e sfumature
Altre volte, invece, si ottiene
con faticoso levare
come quando si ha davanti
un blocco di pietra o di legno
e con mazzuolo e scalpelli e sgorbie
con pazienza ma anche con forza
si deve togliere via
l’eccesso di materia
per fare emergere
la forma che sta sotto
[“per via di porre”
contrapposto al “per via di levare”
nell’analogia michelangiolesca
per dire la principale differenza
tra pittura e scultura,
applicata al sogno]
“Io intendo scultura, quella che si fa per forza di levare: quella che si fa per via di porre, è simile alla pittura: basta, che venendo l’una e l’altra da una medesima intelligenza, cioè scultura e pittura, si può far fare loro una buona pace insieme, e lasciar tante dispute; perché vi va più tempo, che a far le figure”
Poi rieccolo il sognare!
Sono in una grande città di mare,
con vocazione di resort vacanziero
Luogo di divertimento e svago:
la città è affollatissima,
gremita di gente vociante e festosa
Il brusio insistente di parole e risate
mi riempie la testa e me la fa scoppiare
È troppo! Il troppo stroppia!
Resisto e cammino tra la folla
alla ricerca di uno che si chiama
Paco Camino
(anche se non so di chi si tratti),
ma mai lo trovo costui
Vedo una spiaggia dorata
un tempo meravigliosa
oggi sfregiata da lavori
di addomesticamento
Leggiadre aiuole, palmizi e fioriere
e bancarelle di venditori
Dov’è la bellezza selvaggia d’un tempo?
Sono irritato, mentre cammino,
immerso nel bagno di folla,
sospinto quasi, sempre avanti
senza poter esprimere
un briciolo di volontà
Sono qui
Sono lá
Dove sono io?
Il cane fedele è con me,
anche lui spaesato, disorientato
Siamo due revenant
ritornati dopo lunga assenza
e nulla riconoscono dei luoghi
un tempo familiari
C’è una struttura di cemento
aggettante sul mare
e anche lì cammino e cammino,
stupito della quantità di negozi,
tutti eguali,
la cui vocazione è secernere paccottiglia
Ma tutti sembrano essere felici così,
vocianti, estasiati,
in fibrillazione
Poi camminiamo lungo un viale
nel quale si susseguono in fila
decine e decine di enormi SUV
di acciaio brunito,
minacciosi
- o forse sono veicoli da guerra -
pieni di dispositivi misteriosi
Mi ritrovo, infine, in una stanza
Dietro la porta chiusa
c’è il cane uggiolante
Quando la apro
ritrovo il cane festoso
e mio figlio Gabriel
che mi sorride
(Stacco)
Poi sono di nuovo in movimento
Mi fermo ad un bar
che ha dei tavoli rotondi
nel dehor che dà sulla strada
Armeggio con le mie cose
e consulto carte, giornali, libri
Tutto è in disordine caotico
Poi viene il momento di andare via
e ricaccio tutto nello zaino,
senza metodo,
cosicché mi avanza sempre qualcosa
Mi arrendo, alla fine,
e lascio sul tavolo un quotidiano
malamente ripiegato,
tutto stropicciato
Sbuffo di impazienza e risentimento
Mi ritrovo nella comunità
e qui l’amministrativo di turno
mi informa che,
essendo la porta della cucina
(quella che si apre direttamente
sulla strada)
rotta (si tratta della serratura difettosa)
verrà murata
in modo da risolvere ogni problema
alla radice
Io ribatto, controbatto, argomento
Vorrei sostenere il punto di vista
che è molto più economica e ragionevole
la soluzione conservativa,
quella cioè di sostituire o riparare
la serratura compromessa
Ma non la spunto
In alto dove si puote ciò che si vuole
è stata già presa la fatidica decisione
La porta dovrà essere rimossa
e il suo vano murato
Decido di non replicare più
e non dimandare più
C’è movimento di gente
che va e viene di continuo,
affaccendata
Io vorrei andare via
e devo prendere
un grande saccone
pieno di miei effetti personali
Controllo, inventario, catalogo
il suo contenuto
con attenzione ossessiva
per accorgermi
che manca all’appello
una costosa boccetta
di grani di sale rosa dell’Himalaya
E si tratta del mio bene più prezioso
Cerco per ogni dove,
ma invano!
Il mio bene più prezioso
non salta fuori
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.