E' passato anche per quest'anno "el dia de los muertos"...
Forse, proprio nella prossimità di questa ricorrenza, è opportuno lanciare il 5° capitolo di "Passaggi. In fuga verso la fine del Millennio".
In questa ripartizione di "Passaggi" ho voluto rievocare a ritroso (andando dall'evento più recente a quello cronologicamente più antico) tre momenti forti ed intensi della mia vita, connessi a delle morti e in particolare alle atmosfere cimiteriali che a tali eventi furono collegati.
Parto dalla rievocazione del giorno in cui con la mamma (e forse c'era anche mio fratello), assieme ad altri rappresentati della famiglia Crispi, andammo per presenziare (come è prescritto) alla cosiddetta "revisione", cioè a quell'operazione triste e dolente che si fa quando - trascorsi almeno 25 anni dall'ultima inumazione in quella particolare sepoltura - si procede ad un operazione in cui ciò che resta delle sepolture più antiche viene raccolto in piccole cassette, in modo tale da poter recuperare nuovi spazi nelle tombe di famiglia.
Segue il ricordo della inumazione di un grande uomo - per me di grande importanza - strappato prematuramente ai suoi affetti e ad una vita intellettuale molto ricca ed intensa.
Era stato il mio psicoanalista ed anche il mio maestro: e, a lui sono legato da un debito di gratitudine profonda, poiché l'analisi personale che avviai con lui (che poi si trasformò in un percorso didattico) mi aiutò ad uscire fuori da una perniciosa impasse nella mia vita. Nei miei pensieri lo considero tuttora una figura assimilabile a quella di un padre - e, forse, ancora di più. Per vicissitudini di vita e a causa dei miei turbolenti percorsi esistenziali, fatti di interruzioni repentne, di ripartenze, di cambi di rotta e di incostanze non ebbi più dei contatti significativi con lui. Morì prematuramente, in un momento della mia vita in cui avrei voluto riaprire un discorso proprio con lui che, anni prima, mi aveva aiutato e guidato. Le iniziali del suo nome e cognome, curiosamente, erano identiche a quelle di mio padre e di mio figlio, quasi a suggellare così un forte legame interiore.
L'essere presente al rituale dell'inumazione subito dopo la sua morte e il sentire dentro di me un grande vuoto, per parole che non avrebbero più potute essere dette, mi ricondussero naturalmente a rievocare il giorno dolente e triste in cui ci trovammo ad accompagnare mio padre al cimitero ed anche in questo caso si trattò di una morte prematura e traumatica per i modi in cui avvenne.
E questo è appunto il terzo mometo di questo capitolo di "Passaggi", essendo in fondo la matrice di tutte le morti che in seguito nella mia vita in maniera diversa e con differente impatto emozionale mi hanno toccato.
CIMITERI
I
La revisione
Ci ritroviamo assiepati in una folla piccola ed intima nel cimitero antico, per un operazione mesta ed inevitabile, che non può essere rimandata e che si è resa necessaria in occasione di una nuova morte, per far posto all’estinto che si aggiunge alla lunga teoria dei morti della famiglia.
E’ la triste operazione dello spurgo - così si dice, a quanto pare - quell'operazione che è necessario compiere dopo venticinque anni dalla sepoltura precedente per guadagnare nuovo spazio, quando non vi è più alcun posto libero, nella stessa sepoltura.
E sono sempre i vivi rimasti (tutti gli "aventi diritto") che devono officiare il triste rito e darne testimonianza.
Antico cimitero
scalinate sconnesse ad ampi gradoni
si inerpicano sul fianco della montagna
fiancheggiate dal bosso e dal cipresso
lapidi di pietra antica marezzate dal muschio e dal lichene
spezzate dai vandali di passagio
lastre tombali antiche
muri cadenti incrinati
invasi da fasci di erba selvaggia
sollevati dalle radici possenti dei cipressi
cresciuti a dismisura
sino ad apparire nobili e vetusti di vita plurisecolare
ai piedi della chiesa anch'essa antica
una sobria sepoltura
coperta da una lastra di semplice pietra
color grigio-ardesia
spezzata lungo una delle diagonali
poche parole sobrie incise sulla dura superficie
Una piccola folla si addensa su di uno dei terrazzamenti
abiti scuri
occhiali da sole a coprire volti pallidi e facce cupe
All’interno della fascia di folla assiepata
altri figure in tuta blu da operaio
si affannano nel loro tristo ufficio,
ma senza alcuno slancio empatico
solo con la fredda determinazione e il cinismo
di chi esegue un compito prezzolato
La lastra scheggiata
senza alcun contrassegno
spoglia
solo i nomi incisi tempo prima
e ora semicancellati dalle intemperie e dal muschio
viene scalzata dal suo alloggiamento
con leve d' acciaio brunito
e quindi messa da parte,
letteralmente buttata in un angolo
non c’ è pietà nei gesti dei lavoranti
di nuovo soltanto il cinico distacco
di chi si esercita in un compito dovuto
Con l'ausilio di corde spesse
tirano fuori uno dopo l'altra
le bare consunte custodite per decenni
nel buio della tomba
Il legno infradicito cade a pezzi
il rivestimento di zinco ridotto ad una sottile sfoglia
quasi trasparente
si polverizza al tocco della mano
Mucchietti di abiti scoloriti
ormai poco più che stracci informi
cadono fuori
da ciò che resta dei feretri
S'intravedono cose che l’occhio
non vorrebbe vedere
ossa
forse una testa scheletrita
i presenti guardano, ma sono concentrati
a mantenere sulla scena che scorre
inesorabile davanti a loro
un’attenzione periferica
per evitare di dovere
cogliere appieno
la violenza di questa riesumazione
e della seconda sepoltura che ad essa seguirà
Poi tutti i resti vengono raccolti
in piccole cassette metalliche
una per ciascuno dei corpi
che sino a venticinque anni prima
erano stati collocati nella sepoltura
piccole cassette che dopo essere state sigillate
vengono di nuovo calate nella parte più profonda della tomba
ed ecco che, alla fine, è stato fatto spazio
al nuovo morto di famiglia
in attesa di sepoltura in una stanza spoglia
Uno dei lavoranti si avvicina al gruppetto spaurito
che con la sua presenza ha reso testimonianza
della correttezza dell’operazione
e consegnano ad uno degli astanti una manciata di monetine
rinvenute all’interno di una delle casse da morto
Dopo pochi istanti di raccoglimento
alla piccola folla sperduta
sotto il cielo azzurro e lambita dalll’ombra lunga dei cipressi
non resta che disperdersi
ciascuno diretto verso una meta diversa
stranito
II
Muore un giusto
Qualche tempo prima, una morte improvvisa ci ha portato in folla ad assieparci attorno al luogo prescelto per la sepoltura nello stesso cimitero aggrappato a gradoni sul fianco scosceso di un monte e la città e il mare distesi ai suoi piedi.
Arrivando alla spicciolata nel freddo e umido giorno invernale gravato da una cortina di nere nubi basse nel cielo, ci siamo ritrovati prima all’interno della cappella spoglia seduti sparsi sui semplici banchi di legno per la celebrazione del rito funebre e poi, dopo ci siamo spostati all’aperto per la cerimonia della sepoltura.
Il luogo designato si trovava all’ombra del muro perimetrale della chiesa antica ( quella che prima ci aveva accolto al suo interno umido e ombroso) che - dall’alto della sua posizione - dominando per intero il piccolo cimitero - la parte antica e quella più moderna realizzata con criteri prosaici - spazia sulla città lontana immersa nella caligine.
Così ci siamo affollati in uno spazio la cui pavimentazione è interamente costituita da antiche lapidi e lastre tombali..
All’occhio di un osservatore esterno dovevamo apparire come una folla mesta e dolente raccolta per piangere la scomparsa prematura di un uomo giusto e forte, il padre di tanti di noi, ed onorarlo.
E mentre eravamo là in attesa apparentemente tutti raccolti, ma in realtà ciascuno isolato dagli altri, alcuni piangevano silenziosamente, altri sentivano il bisogno di esternare il proprio dolore, facendo con voce spezzata un ultimo tributo di parole e di affetto.
E’ così che le persone migliori, quelle più disinteressate ed oneste se ne vanno, lasciando alle proprie spalle figli che, di rado, riescono ad essere alla loro altezza dolore, prostrazione e che, quando l'eco del dolore si é ammorbidito e spento, andando in lenta dissolvenza, trovano spazio ed energie per il dispiegarsi di lotte intestine, di gelosie ed invidie meschine, spinti dalla salvaguardia di interessi individuali e dalla bramosia del potere.
Quest’uomo - pur morto - ingaggia la sua ultima battaglia contro la morte che lo ha ghermito, rifiutando di lasciarsi scivolare dentro la stretta imboccatura della sua sepoltura, scendendo così sotto terra e costrigendo il personale addetto a lunghi laboriosi tentativi prima di riuscire nell’arduo compito.
Qualcuno, in modo consolatorio, di fronte a questo indugiare, ricorda la storia del mitico guerriero cinese che risultò essere più forte perfino della morte.
Così ci raffiguriamo quest’uomo mentre se ne va, quest’uomo di grandissima levatura morale, quest’uomo che a molti di noi ha infuso forza vitale, determinazione, ma anche capacità di sopportazione di fronte alle difficoltà della vita e che ha ascoltato alcuni di noi nei momenti più bui delle nostre vite.
III
L'inumazione
Riandando indietro negli anni, ho ricordato del tempo in cui mio padre venne sepolto.
Questo ricordo prende l’avvio dall’immagine di una folla mesta che attornia lo stesso spiazzale all’interno del cimitero, antico teatro della triste riesumazione avvenuta quasi un quarto di secolo dopo.
L’immagine del cimitero come emerge nel ricordo di questo evento ormai antico è la pù vivida e dettagliata ed è adesso quasi liberatorio soffermarmi nella sua ripetizione e nella visualizzazione di elementi che, anzichè rimandare all’inquietudine della morte, sembra possano darmi soltanto sensazioni di pace e di tranquillità.
Un cimitero fatto di tombe scavate direttamente nel suolo roccioso e chiuse semplicemente da una lastra di pietra.
Tutt’attorno allo spiazzale, rivestito da una vetusta pavimentazione parzialmente sconnessa e quasi interamente costituita da vecchie lastre sepolcrali alcune delle quali non più riaperte da decenni con le incisioni e le scritture ultime in parte cancellate e rese del tutto illeggibili dalla crescita di chiazze di muschio e di licheni, si ergono prepotenti cappelle sepolcrali rivestite di marmi pregiati, ma tutte immerse come sono nella ricca vegetazione di cespugli di bosso e di alti cipressi vetusti instillano soltanto pensieri di solennità e di quiete.
Un giorno, da piccolo, durante una sosta in una delle nostre interminabili passeggiate in bici, fui condotto in questo luogo da mio padre.
Con lui alla guida, entrammo all’interno del recinto ombreggiato da piante già allora secolari e salimmo le scale sconnesse proprio sino a questo spiazzale e lui, dopo averla identificata con una certà difficoltà perchè da tempo non ci veniva in visita, mostrandomi la lastra tombale con inciso il nome di un antenato mi disse: “E’ qui che io verrò a riposare. E’ bello sapere che potrò stare in questo luogo”.
Sono passati gli anni e, appena un anno dopo la morte del nonno, forse troppo presto rispetto alle sue ottimistiche previsioni, adesso sta toccando proprio a lui, a mio padre, entrare qui nel suo riposo eterno, esattamente nel luogo che aveva espresso nei suoi desideri.
Mi diceva sempre che sarebbe morto in tarda età come il nonno Francesco prima di lui o come suo padre, perchè gli uomini della sua stirpe avevano sempre mostrato di essere longevi.
E noi che lo abbiamo accompagnato qui senza più averlo visto da vivo dopo la sua ultima partenza e senza più poterlo vedere da morto, perchè il suo corpo martoriato ci è stato consegnato già chiuso nella sua cassa, siamo tutti raccolti con il cuore dolente per darci conforto con la cerimonia che statuisce il suo ultimo viaggio.
Ma ecco che - per quanto ciò sia concepibile - la terra, la fossa spalancata, improvvisamente non vogliono accoglierlo.
Invano, i necrofori si affannano a cercare di far scivolare il feretro all’interno della stretta trincea scavata la prima volta nel secolo scorso, se non prima.
Siamo tutti in attesa trepida: con sofferenza osserviamo il susseguirsi delle diverse manovre che dovrebbero consentire lo svincolo delle parti più sporgenti della cassa da morto.
Ma non c’è niente da fare.
Gli sforzi esibiti dagli operai non portano proprio a nulla.
All’improvviso, senza alcun preannuncio, i tentativi vengono sospesi.
Rimaniamo tutti in attesa nei nostri abiti scuri o neri, con gli occhiali da sole a nascondere gli occhi prosciugati, sotto il sole cocente di una calda giornata di inizio Maggio, immersi in un mesto silenzio, interrotto soltanto dallo stormire delle foglie mosse dalla brezza sottile e da lievi frulli d’ali.
Vengono a dirci, dopo essersi consultati sul da farsi, che l’inumazione dovrà essere posticipata, per consentire l’esecuzione delle opere murarie necessarie per l’allargamento della parte interna della sepoltura.
E per far questo occorre tempo.
Con tristezza, alcuni di noi si caricano il feretro sulle spalle e percorrendo all’inverso le ripide scale dai gradini con alzate tutte diseguali, facciamo ritorno ad un’angusto locale in prossimità della chiesa - la camera mortuaria - e qui su una stretta tavola di marmo lo collochiamo, coprendolo poi con i cuscini e le corone di fiori che con il loro profuno greve e dolciastro sembrano anticipare in qualche modo il processo della morte e della decomposizione.
Con infinita tristezza ci dipartiamo.
In questa piccola stanza in cui mio padre dovrà rimanere per qualche giorno, non sarà possibile alcuna veglia e nemmeno una visita.
C’è una sensazione di incompiuto in questo, poiché il rito è rimasto come sospeso e monco.
Trascorsi alcuni giorni, siamo di nuovo tutti riuniti sullo stesso spiazzale, a riprendere il discorso sospeso e a portare a termine il rito incompiuto.
Il feretro viene prelevato dalla sua dimora temporanea dopo essere stato liberato dei fiori di cui è stato circondato che, adesso vizzi, emanano un dolore forte e pesante di di terra umida e di foglie morte.
Di nuovo, si provvede al trasporto del feretro con attenzione e riguardo quasi a compensare l’atteggiamento sbrigativo e prosaico - quasi irriverente - dei necrofori che, abbigliati nei loro rozzi abiti da lavoro, mostrano di essere lì per sbrigare un lavoro per loro soltanto ingrato e noioso, reso ancora più fastidioso dal sole caldo della giornata quasi estiva.
La divaricazione estrema tra la mestizia dei dolenti - il dolore è un greve fardello da assumere e da portare sulle proprie spalle soprattutto quando arriva così improvviso - e non aiuta certo il cinismo dei lavoratori della morte che non hanno mai avuto, dietro le callosità mentali acquisite nel corso degli anni, le compostezze, i pudori e le delicatezze dei gestori delle funeral home degli Americani.
Là, necrofori, imbalsamatori, addetti al maquillàge post-mortem, sepultori, esperti in cremazioni e quant’altro,sono un popolo di autentici professionisti, con tanto di licenza e di autorizzazioni, pieni di tatto e di premure (tutte, ovviamente, a pagamento), impegnati nella messa in scena del rituale della morte in modi che possano servire da consolazione ai vivi, ma anche da apparato potente di negazione del dolore, attraverso innumerevoli di infingimento e abbellimento, come ebbi modo di constatare, quando mi recai a New York in occasione della dipartita del marito di una mia zia.
Questa volta le operazioni procedono fluidamente e senza intoppi. Appare evidente che le opere murarie necessarie sono state fatte con perizia e non c’è - come la prima volta - alcun tentativo grottesco di inserire nella cavità predisposta il feretro, per poi constatare che qualche imprevista sporgenza ostacola la sua discesa e con il seguito di tutti i conseguenti sforzi di superare l’ostacolo, imprimendo a detto feretro varie inclinazioni, il tutto condito con i commenti prosaici e irriverenti degli operai o con le loro imprecazioni appena dissimulate.
Quindi, una per una, vengono compiute tutte le successive operazioni necessarie mentre la piccola folla in bianco-nero - noi - si dispone in cerchio compunto e muto.
Si levano i suoni materici del raschio della cazzuola sulla parete della caldarella per raccogliere l’ultima manciata di impasto di malta, il clingore più argenteo di una vanga che batte contro una lastra tombale, qualche singhiozzo, un naso soffiato ed improvvisamente liberato dall’intasamento di lacrime non piante e intanto - nello sfondo - la brezza imperturbabile fa stormire le fronde dei cipressi che da ogni parte circondano lo spiazzo in cui ha luogo l’ultimo atto di questa cerimonia funebre.
Infine, quando tutte le chiusure sono state sigillate con la malta e la lastra antica lineata da una lunga incrinatura e annerita dal tempo viene ricollocata al suo posto, alcuni vasi di piante appena verdeggianti vengono collocati ai piedi della sepoltura.
Non posso fare a meno di osservare - ancora adesso penso a questo dettaglio con conforto - che il feretro è stato collocato in modo che la testa sia orientata verso la chiesa posta un po’ più in alto quasi che in questo modo - come negli antichi cimiteri cresciuti attorno alle chiese - venisse assicurato alla parte più nobile del corpo un contatto ideale con il luogo sacro.
Qualcuno ha portato un mazzo di fiori freschi e li colloca sulla lastra sbrecciata alla fine della cerimonia, mentre altri fiori vengono posti in modesti vasi di alluminio dipinto.
Poi, a piccoli gruppi, la folla si disperde e ognuno se ne va smarrito per la propria strada, esili figurette che si stagliano scure nella luce abbacinante del sole di mezzogiorno.
Le foto sono di Maurizio Crispi e sono state fatte nel piccolo e raccolto cimitero adiacente alla antica Pieve della Marinasca (La Spezia)