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10 febbraio 2020 1 10 /02 /febbraio /2020 12:30

“Ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l’‘Ur-Fascismo’, o il ‘fascismo eterno’. L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’ Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo.”

Umberto Eco

Umberto Eco, Il Fascismo Eterno, La Nave di Teseo, 2017

"Il fascismo eterno", proposto nel 2017 da "La Nave di Teseo" che sta ripubblicando le opere di Umberto Eco (alcune delle quali ancora inedite), contiene il testo di un discorso pronunciato in versione inglese ad un simposio organizzato dai Dipartimenti di Italiano e Francese della Columbia University (USA), il 25 aprile 1995 per celebrare - in occasione del Cinquantenario - la liberazione d'Italia e d'Europa dal gioco del Nazifascismo.
Il testo comparve, poi, edito a stampa con il titolo di "Eternal Fascism", su "The New York Review of Books" (22 giugno 1995) ed è stato quindi tradotto in lingua italiana per la pubblicazione su "La Rivista dei Libri (Uscita luglio-agosto 1995), con il titolo di "Totalirismo fuzzy e Ur-Fascismo", con qualche aggiustamento formale reso necessario dalla differente platea cui questo testo era rivolto.
Come osservazione generale, tuttavia, nella nota introduttiva, l'autore tiene a precisare che, in ogni caso, tutto l'insieme della sua lectio era stata pensata per un pubblico di studenti universitari americani, in un momento critico quando la nazione era stata scossa dai fatti dell'attentato di Oklaoma City e dalla rivelazione traumatica - per alcuni - che esistevano negli USA organizzazioni militari di estrema destra. L'audience cui era rivolto il testo spiega perché vi siano a volte riferimenti quasi scolastici su eventi che il lettore italiano dovrebbe conoscere bene.
Ma, in ogni caso, la parte veramente clou di questo breve saggio è l'enumerazione delle caratteristiche basilari che definiscono l'Ur-Fascismo e che consentono di delineare una categoria più ampia nella quale possono confluire le più diverse forme di totalitarismo.
E' uno scritto da leggere e da meditare poiché . come avverte Eco in conclusione - ... Dobbiamo stare attenti che il senso di queste parole non si dimentichi ancora. L'Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. (...) L'Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarle e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme - ogni giorno, in ogni parte del mondo" (ib., p.50).
Occorre riflettere e meditare su questo testo ed esercitarsi a verificare costantemente quando le caratteristiche dell'Ur-Fascismo delineate da Eco si adattano ai personaggi emergenti della scena politica italiana, europea, internazionale. E mai abbassare la guardia. Edè anche una lettura che dovrebbe essere proposta nelle scuole, per l'approfondimento su queste tematiche da parte degli studenti più grandi, poichè l'Ur-fascismo, alimentato dalle tematiche sovraniste e dai venditori di paura, è sempre pronto a risorgere.

(Soglie del testo) “Ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l’‘Ur-Fascismo’, o il ‘fascismo eterno’. L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’ Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo.” (Umberto Eco).

 

Umberto Eco

L'Autore. Umberto Eco (Alessandria 1932 − Milano 2016), filosofo, medievista, semiologo, massmediologo, ha esordito nella narrativa nel 1980 con Il nome della rosa (Premio Strega 1981), seguito da Il pendolo di Foucault (1988), L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), Il cimitero di Praga (2010) e Numero zero (2015). Tra le sue numerose opere di saggistica (accademica e non) si ricordano: Trattato di semiotica generale (1975), I limiti dell’interpretazione (1990), Kant e l’ornitorinco (1997), Dall’albero al labirinto (2007), Pape Satàn aleppe (2016) e Il fascismo eterno (2018). Ha pubblicato i volumi illustrati Storia della Bellezza (2004), Storia della Bruttezza (2007), Vertigine della lista (2009), Storia delle terre e dei luoghi leggendari (2013) e Sulle spalle dei giganti (2017)

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18 ottobre 2019 5 18 /10 /ottobre /2019 09:45
Marco D'Eramo, Il selfie del mondo, Feltrinelli, 2017

Marco D’Eramo è un sociologo e giornalista che ha studiato il turismo nel libro “Il selfie del mondo” (Fetrinelli, 2017 ed ora anche in economica).
Non tutto il libro è di pari interesse, ma la prima parte per coloro che amano il camminare di lunga durata, il trekking ed anche il camminare profondo, anche in opposizione, può essere stimolo di riflessioni.

In particolare, all'interno del volume si ritrova un argomento d'un certo interesse ed è quello  in cui D’Eramo decreta la morte di città e territori: questo verdetto rilasciato dall’Unesco è il “Patrimonio dell’Umanità” o World Heritage.
Molti pensano sia un grande riconoscimento, che aiuta a salvare città, territori e beni materiali e immateriali. Ma in realtà, come spiega bene D’Eramo, ne certifica la morte, trasformando un luogo vivo, in evoluzione, una città abitata da gente vera, in una "disneyland" per turisti.
O meglio, quasi sempre il processo è già avvenuto e quando arriva il patrocinio l’Unesco, si tratta soltanto di una sorta di convalida ufficiale. Il bollino Unesco poi non fa che incrementare all'ennesima potenza il numero dei visitatori.
Le città, i paesi e i territori sotto l'implacabile pressione del turismo globale (pensiamo a Firenze, Venezia o a San Gimignano) si trasformano, gli abitanti storici se ne vanno, per lasciar posto a B&B, Case Vacanze, Affittacamere, Airbnb. I negozi “veri”, che vendono beni di prima necessità, si trasformano prima i negozi di prodotti tipici, e poi in negozi di souvenir standard, uguali in tutto il mondo: e si tratta di un processo che è difficilmente reversibile, una volta avviato.

Prendiamo - a titolo di esempio - il caso del bel paese medievale di San Gimignano. Chi ha camminato sulla Francigena lo conosce bene.
Ma gli abitanti autoctoni non possono più vivere nel suo centro storico: i prezzi sono alti, non c’è più un negozio vero (non si vive di soli pinocchietti di legno!), ma solo rivendite di souvenir standard, poste una accanto all’altro; le strade sono piene di gente all'inverosimile: insomma, tutto l'opposto di una cittadina a misura d'uomo e di conseguenza il nucleo storico della cittadina si è spopolato e se ne sono andati tutti a vivere in periferia. E, per quanto riguarda la Toscana, quando arrivano i famosi pinocchietti si può decretare senza ombra di dubbio che il processo di disneylandizzazione di un luogo è cosa compiuta: e il luogo con le sue radici storiche e con le vite narrate e da narrare che contiene si trasforma in un anonimo non luogo.

È paradossale che l’unintended consequence del voler mantenere l’unicità, l’irripetibilità di un sito, produca in realtà un 'non luogo' sempre uguale a se stesso in tutti i siti heritage della terra. Come per trovare i veri sangimignanesi devi uscire e allontanarti dalle mura medievali, così per trovare dove vivono davvero i laotiani di Luang Prabang bisogna pedalare in bicicletta per un paio di chilometri su Photisalath Road per raggiungere la città vivente”.
Il turismo è l’industria più pesante, più importante e più impattante del XXI secolo, tanto che ormai si parla dell’"Età del turismo" riferendosi alla nostra era.
Ovviamente l’etichetta Unesco non è causa del turismo, ma ne è in qualche modo certificato di garanzia, e copertura ideologica (istituzione “a fin di bene”).
L’etichetta Unesco ha aperto all’industria turistica una nuova, meravigliosa, sconfinata terra di conquista: perché costruire nuove Disneyland quando disponiamo di una caterva di città viventi e di territori che aspettano (anzi chiedono disperatamente) di diventare parchi a tema, col semplice mummificarsi, e quindi svuotarsi?”. E ovviamente poi si paga il biglietto, perché stupirsi se sui sentieri delle Cinque Terre o delle Gole di Samaria da anni, a Venezia da dopodomani o in altri luoghi a seguire pian piano, si pagherà il biglietto per entrare?".

Marco D'Eramo, Il selfie del mondo, Feltrinelli, Universale Economica, 2019

Marco D'Eramo, Il selfie del mondo. Indagine sull'età del turismo, Feltrinelli (Campi del sapere), 2017

(Dalla quarta di copertina) Un saggio che analizza il fenomeno sociale e globale del turismo: una ricerca attualissima, una critica sorprendente della contemporaneità, che è anche uno straordinario viaggio intorno al mondo.

Il turismo è l'industria più importante di questo nuovo secolo, perché muove persone e capitali, impone infrastrutture, sconvolge e ridisegna l'architettura e la topografia delle città. D'Eramo tratteggia i lineamenti di un'epoca in cui la distinzione tra viaggiatori e turisti non ha più senso e recupera le origini di questo fenomeno globale, osservandone l'evoluzione fino ai giorni nostri. La nascita dell'epoca del turismo rivive attraverso le voci dei primi grandi globetrotter, a partire da Francis Bacon, passando per Samuel Johnson, fino a Gobineau e Mark Twain, che restituiscono una concezione del viaggio ancora elitaria e che, tuttavia, porta con sé quella ricerca del diverso, del selvaggio e dell'autentico tipica di ogni esperienza turistica. Attraverso un percorso urbano che si sviluppa su tutto il mappamondo, d'Eramo smaschera la dialettica del fenomeno turistico e la affronta senza pregiudizi snobistici, collocandola nello spirito del suo tempo.

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16 ottobre 2019 3 16 /10 /ottobre /2019 10:20
Mio fratello rincorre i dinosauri (Italia, 2019)

Mio fratello rincorre i dinosauri (Italia, 2019) è un bel film, molto educativo e molto vero, che racconta di quanto possa essere arricchente in una famiglia la presenza di un bimbo down, ma anche quali e quante possano essere le difficoltà con le quali alcuni della famiglia debbano confrontarsi. E, naturalmente, le cose si complicano quando l'unità sociale elementare che è la famiglia deve istituire un confronto con il contesto societario più vasto oppure quando il portatore della disabilità - qualunque essa sia - deve fare il suo ingresso nel mondo.

In queste situazioni, l'affettività ha un potente ruolo cementante ed evolutivo. E sono sempre gli elementi più giovani dell'unità familiare che più facilmente possono subire le pressione del contesto allargato a potere subire delle conseguenze, come appunto dimostra la vicenda autobiografica raccontata da Giacomo Mazzariol (pubblicata da Einaudi Collana Stile Libero Extra nel 2016, con il titolo Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più) e trasposta in film da Cipani.

Il film - fatta salva qualche interpolazione necessaria per  rendere più fluida la sua sintassi - segue in modo piuttosto aderente il racconto scritto.
Alcuni hanno detto che il libro di Mazzariol (e il film) rappresenti la risposta italiana a Wonder (libro e film che ne è stato tratto): in effetti è così, anche se - ovviamente - vi sono delle differenze sia legate al contesto sia al tipo di "diversità" di cui viene raccontato. Anche se in Wonder vi è un fronte familiare compatta accanto al piccolo protagonista della vicenda, mentre nel racconto di Mazzariol è lo stesso Giacomo che, in un momento ben preciso della sua storia di evoluzione sociale e di costruzione del Sè, ripudia il fratello Gio affetto da Sindrome di Down salvo a ricredersi e a ritrovare il giusto e armonico equilibrio affettivo, con una riapertura e una dichiarazione in qualche modo "pubblica", attraverso un videoclip, divenuto rapidamente virale, "The simple interview".

Io stesso, nel vedere il film e nel leggere il libro, ho avuto una serie di flashback che mi hanno riportato indietro agli anni della mia pre-adolescenza e adolescenza e al difficile compito di mediare in quegli anni tra le istanze sociali nuove con cui iniziavo a confrontarmi e il fatto di avere un fratello disabile. Benchè in famiglia vi fosse la precisa consapevolezza di essere uniti affettivamente e motivati per costituire un team affiatato in cui il problema della disabilità di mio fratello doveva essere condiviso e gestito da tutti, senza distinzioni, l'avere un fratello disabile ha creato dentro di me - indubbiamente - delle risonanze e delle titubanze che, quando mi sono ritrovato davanti alle prime aperture nel sociale, hanno plasmato in qualche misura la costruzione del mio carattere, portandomi in taluni casi a scelte di isolamento piuttosto che di coraggiosa apertura.
Penso certamente che libri come questi (e i relativi film che a loro sono stati ispirati) dovrebbero essere fatti leggere nelle scuole o essere letti e illustrati ad alta voce dai docenti e poi discussi con gli allievi, poichè hanno da insegnare veramente tanto sui temi dell'accettazione e dell'integrazione, non in maniera teorica ma in modo semplice e diretto fondato su fatti realmente accaduti.

Chi ha tratto interesse a questi due racconti potrebbe trovare utile iun confronto con la priva prova letteraria di Mariapia Veladiano, La vita accanto (Einaudi, 2011), nella quale si racconta dell'infelice Rebecca, nata in una famiglia di rango sociale marchiata dalla sfortuna - sin dalla nascita - di essere palesemente brutta e, per questo, sin dalla nascita, rifiutata dalla madre e condannata ad una vita di semi-reclusione, dalla quale si salverà soltanto grazie al suo talento naturale e dal fatto che alcune delle persone che la circondano le vogliono bene, malgrado la sua bruttezza. Il racconto della Veladiano contraddice radicalmente il detto popolare "Ogni scarrafone è bello 'a mamma sua". In effetti si può essere condannati ad una forma di severo ostracismo per la propria malattia o bruttezza (e, in fondo, cos'è la malattia se non un'offesa alla purezza dei canoni estetici che si vorrebbero garantiti per sé e per i propri cari?). Ma anche il libro della Veladiano conferma l'assioma che sono gli affetti a salvare le persone e che anche nelle situazioni di più estreme di rifiuto affettivo possono aprirsi delle vie insperate per incanalare l'affettività e per ricevere l'affetto necessario ad un sano sviluppo psico-affettivo.

 

 

Mazzariol, Mio fratello rincorre i dinosauri, Einaudi Stile Libero Big, 2016

Giacomo Mazzariol, Mio fratello rincorre i dinosauri. Storia mia e di Giovanni che ha un cromosoma in più, Einaudi (Stile Libero Extra), 2016

(Risguardo di copertina) Ci sono voluti dodici anni perché Giacomo imparasse a vedere davvero suo fratello, a entrare nel suo mondo. E a lasciare che gli cambiasse la vita.
Hai cinque anni, due sorelle e desidereresti tanto un fratellino per fare con lui giochi da maschio. Una sera i tuoi genitori ti annunciano che lo avrai, questo fratello, e che sarà speciale. Tu sei felicissimo: speciale, per te, vuol dire «supereroe». Gli scegli pure il nome: Giovanni. Poi lui nasce, e a poco a poco capisci che sí, è diverso dagli altri, ma i superpoteri non li ha. Alla fine scopri la parola Down, e il tuo entusiasmo si trasforma in rifiuto, addirittura in vergogna. Dovrai attraversare l’adolescenza per accorgerti che la tua idea iniziale non era cosí sbagliata. Lasciarti travolgere dalla vitalità di Giovanni per concludere che forse, un supereroe, lui lo è davvero. E che in ogni caso è il tuo migliore amico. Con Mio fratello rincorre i dinosauri Giacomo Mazzariol ha scritto un romanzo di formazione in cui non ha avuto bisogno di inventare nulla. Un libro che stupisce, commuove, diverte e fa riflettere.
Insomma, è la storia di Giovanni, questa. Giovanni che ha tredici anni e un sorriso piú largo dei suoi occhiali. Che ruba il cappello a un barbone e scappa via; che ama i dinosauri e il rosso; che va al cinema con una compagna, torna a casa e annuncia: «Mi sono sposato». Giovanni che balla in mezzo alla piazza, da solo, al ritmo della musica di un artista di strada, e uno dopo l’altro i passanti si sciolgono e cominciano a imitarlo: Giovanni è uno che fa ballare le piazze. Giovanni che il tempo sono sempre venti minuti, mai piú di venti minuti: se uno va in vacanza per un mese, è stato via venti minuti. Giovanni che sa essere estenuante, logorante, che ogni giorno va in giardino e porta un fiore alle sorelle. E se è inverno e non lo trova, porta loro foglie secche. Giovanni è mio fratello. E questa è anche la mia storia. Io di anni ne ho diciannove, mi chiamo Giacomo.

L'Autore. Giacomo Mazzariol è nato nel 1997 a Castelfranco Veneto, dove vive con la sua famiglia. Nel marzo del 2015 ha caricato su YouTube un corto, The Simple Interview, girato assieme al fratello minore Giovanni, che ne è il protagonista. Giovanni ha la sindrome di Down. Il video ha avuto un'eco imprevedibile: i principali quotidiani gli hanno dedicato la prima pagina ed è stato commentato anche all'estero.
The Simple Interview è visibile su www.youtube.com/watch?v=0v8twxPsszY.html
Per Einaudi ha pubblicato Mio fratello rincorre i dinosauri (2016 e 2018) e Gli squali (2018).

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14 agosto 2019 3 14 /08 /agosto /2019 07:54

«Io ho un nome molto strano, mi chiamo Vercingetorige, perché a papà quando sono nato è saltato il ghiribizzo, come dice la mamma. Però tutti mi chiamano Torè. Dal giorno dello scompiglio, comunque, ho capito che non ci sono nomi strani, ci sono nomi e basta. Infatti, anche se qua a Linosa molti si chiamano Giuseppe, Franco, Salvatore, Maria e questi nomi qua, da altre parti non è così. Infatti è impossibile che anche al papà di Ahmed e Fatima e di tutti gli altri sia saltato il ghiribizzo. Il papà di Ahmed e Fatima lavora a Londra, e loro hanno fatto questo lungo viaggio per raggiungerlo. Meno male che mio padre fa solo piccoli viaggi in mare per pescare e non va mai via da Linosa! A scuola io non sono per niente un tipo tranquillo 8p. 13)

Dario Flaccoviosito web

Valentina Gebbia, Metà bianchi Metà neri, Dario Flaccovio Editore, 2019

Valentina Gebbia ci offre nelle pagine di Metà bianchi Metà neri, Dario Flaccovio Editore, 2019, attraverso le note diaristico di un bambino isolano, una storia di migrante. In quattrocento vengono salvati da un barcone che si è arenato sulla costa di Linosa e le genti dell'isola (i residenti sono meno di 400) sono mobilitati per occuparsi di loro, in attesa che l'isola sia di di nuovo raggiungibile, poiché nel frattempo le condizioni meteo sono peggiorate.
Con la popolazione locale, accogliente e provvida, si stringono subitolegami di amicizia e di solidarietà: Torè, il giovane protagonista, è portato a vedere più le somiglianze che le differenze.
E vorrebbe anche che questo gruppo di migranti rimanesse per sempre nell'isola assieme a loro.
La dura e crudele realtà si imporrà, con il ristabilirsi del bel tempo, e Torè vedrà partire i suoi nuovi amici con un peso nel cuore e un senso di incolmabile nostalgia, ma a causa di questa esperienza porterà con sé - per sempre - un'importante lezione di vita.

E' una lettura da consigliare a tutti coloro che si recano in vacanza a Linosa, poiché le pagine di questo libricino sono dense di impareggiabili descrizioni dell'isola e delle abitudini dei suoi abitanti.
Ma è anche da consigliare a tutti coloro che vogliano trasmettere ai più piccini una lezione di tolleranza, di accettazione dell'altro e di civile convivenza tra i popoli.
E' anche un libro che rappresenta una bella semplificazione della formula esortativa "Restiamo umani" che viene più volte ripetuta o addirittura esposta su lenzuola appese fuori dai balconi e alle finestre: un appello alle regole fondamentali dell'accoglienza e del vivere civile contro le esternazioni di Salvini "pifferaio della paura".

(Soglie del testo) Metà bianchi metà neri è il racconto delicato del fenomeno migratorio e del suo portato umano e sentimentale.
Attraverso gli occhi del piccolo Torè viene raccontato l’arrivo di quattrocento migranti sull’isola di Linosa.
Qui, nello spazio ristretto di una comunità accogliente e disponibile nei confronti del prossimo, nascono sentimenti e legami inaspettati.
La storia è scandita attraverso le pagine di un diario in cui il bambino registra quanto accade intorno a lui, a partire dall’amicizia con un coetaneo appena sbarcato.
Sviluppo del racconto ed epilogo convergono nel disegnare i tratti di un’umanità capace di superare ogni barriera etnica, linguistica e sociale.

L'Autore. Valentina Gebbia, scrittrice, regista, attrice e giornalista, è laureata in Giurisprudenza e abilitata alla professione di Awocato. Ha pubblicato parecchi romanzi premiati dal pubblico e dalla critica, come la serie di gialli della sgangherata famiglia "Mangiaracina Investigazioni", e vari racconti in antologie. Ha diretto corti e documentari, e il lungometraggio "Erba Celeste", tratto da uno dei suoi libri. Per queste Edizioni ha pubblicato il racconto "Rekhale" e il romanzo "Fuoco grande, il mistero degli incendi di Caronia", ospitato in vari convegni e trasmissioni televisive.

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21 febbraio 2019 4 21 /02 /febbraio /2019 08:13
Azzardo e Usura un convegno a Palermo

Ha avuto luogo a Palermo, mercoledì 20 Febbraio 2019, il convegno (primo di tre in tutto il territorio nazionale) sul tema Azzardo: per una svolta istituzionale a tutela della persona e del bene comune, promosso dalla Consulta Nazionale Antiusura "Giovanni Paolo II", in collaborazione con la Fondazione Antiusura “Santi Mamiliano e Rosalia” di Palermo .
Il convegno si è svolto presso il Seminario Arcivescovile Diocesano (Via Incoronazione n° 7), con la partecipazione di una fitta audience e di un folto gruppo di giornalisti, dal momento che il convegno per l'interesse dei suoi contenuti è stato proposto come corso per i giornalisti dell'Ordine nel quadro delle attività di formazione professionale continuativa (per la quale ha rilasciato 5 crediti formativi). Un programma denso, quello del convegno, che ha illustrato efficacemente la situazione del Gioco d'Azzardo oggi in Italia, nelle sue derive individuali, familiari, sociali ed economiche e delle attività di usura che ne rappresentano l'inevitabile contraltare; e che nello stesso tempo ha suscitato negli interlocutori riflessioni sulla necessità di attivare delle misure efficaci di contrasto che, ovviamente, non solo passano dalla attivazione di misure di prevenzione, ma anche dalla necessità di trovare di trovare delle soluzioni politiche e legislative che consentano di modificare la disastrosa linea di tendenza, iniziata negli anni Novanta del secolo scorso con la totale deregulation delle attività di azzardo (prima confinate soltanto ai quattro Casino istituiti per Legge e alle periodiche Lotterie). Nel segnalare i numeri sull'entità del fenomeno, delle perdite che esso implica, ma anche dei guadagni che vanno a finire nella malavita organizzata (è noto da tempe che molte delle sale giochi/scommesse, sono controllate dal malaffare, con un giro di di incassi stratoferici che fanno dell'azzardo, globalmente, la terza risorsa economica del Paese), è stato diverse in diversi modi e dalla molteplicità di voci dei relatori che occorrono soprattutto degli interventi concertati ed istituzionali che consentano in tempi brevi di arrivare ad un inversione di rotta, mentre allo stato attuale anche le Associazioni che si occupano di gestire degli interventi (come ad esempio aiutare le vittime dell'usura e le loro famiglie) possono intervenire soltanto quando i danni sono stati fatti, quando le famiglie sono state distrutte o sono già sull'orlo del collasso e le imprese falliscono o passano di mano.

I lavori sono stati aperti alle ore 9,00 con la celebrazione eucaristica nel Duomo di Palermo, presieduta da S.E. Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo, (Concelebranti i sacerdoti presenti) e una sosta significativa di preghiera sulla tomba del Beato Pino Puglisi.
Alle ore 10,00, presso la Sala Convegni del Seminario Arcivescovile, sono intervenuti in apertura per i saluti S.E. Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo, la Dott.ssa Antonella De Miro, Prefetto di Palermo, il Prof. Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo, la Dott.ssa Annapaola Porzio, Commissario straordinario del Governo per il coordinamento iniziative antiracket e antiusura, il Dott. Salvatore Di Vitale, Presidente del Tribunale di Palermo.
La prima parte della Tavola Rotonda ha proposto una rassegna sulla presenza dell’azzardo nelle Regioni dell’Italia Meridionale e sono intervenuti  il Dott. Vittorio Alfisi, Presidente Fondazione Ss. Mamiliano e Rosalia per la Sicilia; Padre Basilio Gavazzeni, Presidente Fondazione Lucana Mons. Cavalla per la Basilicata; il  Dott. Francesco Marzano, Presidente Fondazione San Matteo Apostolo (Calabria); l’Avv. Amedeo SCaramella, Presidente Fondazione San Giuseppe Moscati  (Campania); il Dott. Ruggero Ricco, Segretario Generale Consulta Nazionale Antiusura per la regione Puglia.
I dati forniti per le diverse regioni in esame sono stati tutti impressionanti per quanto riguarda sia il numero dei giocatori, sia l'entità delle somme investite e perse, sia infine sull'impegno medio procapite annuo del reddito nelle attività d'azzardo (dati tutti provenienti dalle statistiche fornite da fonti ufficiali e che coprono, ovviamente, le attività ufficiali e registrate.
Quella che si proseptta è un'autentica "epidemia" che incide fortemente sul reddito delle famiglie, sulle attività d'impresa sottraendo capitali a circuiti virtuosi e sul benessere psico-fisico dei cittadini, a fronte di attività di contrasto esigue anche sul piano legislativo e normativo regionale.
Si potrebbe fare molto di più e, invece, nella maggior parte delle Regioni prese in esame si assiste al proliferare delle sale scommesse per non parlare di quelle dove si può praticare il gioco on line e delle Tabaccherie e bar Tabacchi, abilitati alla vendita dei famigerati "gratta e vinci" e alla gestione delle slot machines.
Anche l'impegno di spesa, per quanto concerne le risorse messe a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale per il trattamento delle Ludopatie (collocabili nel quadro delle Dipendenze patologiche non farmacologiche, ma da comportamenti) è piccolo se messo al confronto con l'entità dei numeri, anche perchè quelle aziende sanitarie che hanno avviate delle attività specifiche nei confronti dei giocatori d'azzardo, possono intervenire soltanto nel caso in cui si sia instaurata una condizione di dipendenza patologica e che nei giocatori stessi abbia preso piede una percezione di malattia (cosa che in genere arriva tardimente, quando ormai grossi danni sono stati fatti). Viceversa, la perdita economica è secca se si considerano tutte le risorse che vengono inghiottite dalle attività di usura che proliferano attorno al gioco d'azzardo e che impoveriscono sino all'osso gli individui, le loro famiglie e lo stato.
Sono stati sollecitati da parte dei relatori di questa prima parte interventi significativi da parte dello Stato per ridurre la diffusione delle sale da gioco e per attivare significativiinterventi di prevenzione, considerando anche che negli ultimi anni è cresciuto il numero dei giovani che intraprendono il gambling.

Nella seconda parte del convegno hanno sviluppato le loro relazioni il  Prof. Maurizio Fiasco, Sociologo, e Consulente della Consulta Nazionale Antiusura su “Azzardo: analisi dei dati e linee di una riforma a garanzia della persona, della società e dell’interesse pubblico” che ha fatto sinteticamente un quadro della situazione del gioco d'azzardo a partire dalla deregulation avvenuto a seguito di alcune leggi dello Stato a partire dall'inizio degli anni Novanta; la Dott.ssa Valeria Carella, Ricercatrice, su “Regolamentare non è proibizionismo: disamina politiche territoriali” che ha ha sottolineato come il gioco d'azzardo non si aa "legale", ma soltanto "legalizzato"; la Dott.ssa Giovanna Nozzetti,  Giudice della Terza Sezione Civile Tribunale di Palermo, su “Azzardo e Costituzione. Discrimine tra compatibilità e antinomia”.

Le conclusioni sono state sviluppate dal Dott. Luigi Gaetti,  Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno e a Mons. Alberto D’Urso, Presidente della Consulta Nazionale Antiusura.

L’azzardo è una delle principali cause di indebitamento delle famiglie italiane anche a usura, ha dichiarato Mons. Alberto D’Urso, Il suo consumo è ormai fuori controllo per stessa ammissione di alcuni esponenti delle istituzioni. Siamo difronte ad una deriva non solo economica, ma anche esistenziale. Ci sono persone che a causa dei debiti o per coprire le insolvenze da azzardo fanno gesti inconsulti a danno di se stessi, dei famigliari e dell’intera collettività. E’ un fenomeno tanto complesso che va contrastato sul piano della prevenzione, della legalità, della giustizia, dell’economia politica, della politica economica e della salute pubblica. Per questa ragione abbiamo deciso di invitare intorno ad unico tavolo esperti che si interfacciano con i fenomeni dell’azzardo e dell’usura. Dopo Palermo, seguiranno una Tavola Rotonda a Torino, il 9 aprile, per le Fondazioni  dell’Italia settentrionale  e una a Roma, il 10 aprile, per centro Italia”.
L’incontro è stato moderato dal Diac. Pino Grasso, Direttore Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi Palermo.

 

 

 

 

 

 

 

Consulta Nazionale Antiusura
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Via dei Gesuiti, 20 - 70122 BARI
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Azzardo e usura. Un convegno a Palermo promosso dalla Consulta Nazionale Antiusura che illustra lo stato dell'Arte e le derive sociali, esistenziali ed economiche, prodotte dall'attuale assetto
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17 febbraio 2019 7 17 /02 /febbraio /2019 09:30

"...d'un tratto mi balenò, per così dire nella mente la rivelazione dell'unica cosa veramente comica al mondo. Questo non significa che ci siano molte cose non comiche. E che non lo sono sino in fondo, perchè tutte hanno un lato tragico. Questa invece lo è sempre, immancabilmente. E' la scorreggia. Ridi pure, se vuoi, ma così facendo mi darai solo ragione. Sì, la scorreggia é sempre buffa, non la si può mai prendere sul serio. La più dilettevole tra le umane debolezze.

Paul Auster, Notizie dall'interno, Einaudi, 2014, p. 158

Un esempio di scorreggia infuocata (dal web)

Riprendo qui una mia nota, originariamente pubblicata nel mio profilo Facebook, il 18 dicembre 2018: con qualche piccolo miglioramento rispetto all'originale.

Quella di Paul Auster, serissimo scrittore, ma con il senso dell'ironia, è un'affermazione decisamente vera, molto allineata a quella famosa frase di Montaigne che fa "Si haut que l'on soit placé on n'est jamais assis que sur son cul" che lo zio Luigi, fratello di mia madre, ai vertici della carriera militare, ma con uno spiccato senso dell'ironia, soleva spesso ripetere.

Insomma culo e scorregge sono eguali per tutti e, secondo Paul Auster, queste ultime sono, in assoluto, la cosa più buffa che è data all'uomo di produrre.

E sul fatto che, in generale, di fronte ad una scorreggia o - per meglio dire - investiti da essa acusticamente e/o olfattivamente, tenendo conto dell'esistenza dei peti silenziosi), non si può che ridere, nemmeno su questo ci piove. Ancora di più quando si è nei panni del "subdolo artigliere" (ovverossia colui che produce scorregge non rumorose, ma estremamente puzzolenti), al centro di un nobile - ed ignaro - consesso. E sull'intrinseca comicità delle scorregge e dei riti messi in atto dallo scorreggiatore esplicito, ognuno avrebbe molti divertenti episodi da citare. Come il caso di uno che, nel bel mezzo di riunioni salottiere in cui si bivaccava sino a tarda ora, ogni qualvolta avesse pronta una scorreggia da liberare si alzava in piedi (effetto amplificato dalla sua imponente statura) e puntando il dito al cielo emetteva un peto sonoro e prolungato e talvolta la sua performance era seguita da scroscianti risate, mentre in altri casi cadeva nell'indifferenza generale, quasi fosse un evento normale, come un brontolio di tuono fuori dalla finestra, che non è considerato tale da interferire con le umane attività: e queste sono state una mie osservazioni personali.

Ma che dire delle scorregge che "uccidono"?. Come nel caso della notizia (bufala o no che sia): "Credeva che fosse una scorreggia ed é morto asfissiato".

Oppure cosa dire delle scorreggie "infuocate" che sono una dimostrazione tangibile del loro mefitico potere? Per intendere quelle che incendiate dallo scorreggiatore medesimo mediante la fiamma di un accendino all'atto dell'emissione, si trasformano in palle e gettiti di fuoco, impressionanti effetti pirotecnici, per quanto effimeri?

Insomma ci sono scorregge e scorregge ed io, personalmente, non riderei mai della scorreggia sganciata da un aguzzino che si accinge a torturarmi con strumenti medievali. Non la prenderei mai come un qualcosa che allegerisce la tensione del momento con una risata liberatoria.

Ma, a parte questo caso drammatico (e, forse, non realizzabile, poichè di norma gli aguzzini hanno uno scarsissimo, se non assente, senso dell'ironia e si pigliano molto sul serio), Paul Auster ha ragione, penso...

"Ed ei avea del cul fatta trombetta": e tutta la cupa rappresentazione dell'Inferno dantesco non ci ha esentato dal ridere di grasse risate, quando ci siamo imbattuti in questo verso. Non soprenderà riconoscere che, al tempo in cui Paul Auster, scrisse la fraae citata, egli studiava Letteratura alla Columbia University di New York e che aveva da poco letto l'Inferno di Dante.

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28 gennaio 2019 1 28 /01 /gennaio /2019 06:57
Salta La Merda. Un nuovo gioco sociale, ovvero un passatempo ludico gratuito, offerto da padroni di cani maleducati

"Gioca anche tu a Salta la Merda": mentre leggevo il cartello, assieme avvisoe ingiunzione, disseminato in ogni angolo del piccolo giardinetto attraverso cui l'altro giorno mi sono ritrovato a passare - praticamente ogni albero ne aveva affisso uno, se non due - calpestavo voluttuosamente un ricciolo di merda canina o, forse, umana.
Ma nessuna sorpresa del resto...

 

Non calpestare! Salta!

Calpestare la merda è un fatto pressoché inevitabile: pensiamo ad esempio allo stuolo di senzatetto, oppure di runner presi alla sprovvista da un impellente bisogno, oppure dalle centinaia di uccelli commensali delle nostre città che mollano le loro deiezioni dall'alto dei cieli...
Oppure, potremmo pensare alle grosse "torte" (o "buse", come dicono su al Nord) lasciate dalle mucche al loro passaggio per i luoghi di pascolo, oppure alle più fini deiezioni delle colonie di conigli in cui ci imbattiamo durante le nostre passeggiate in natura.
La merda è così onnipresente da aver determinato - anche per via della ben nota equazione feci=denaro - alla ferma convinzione che calpestare una merda e imbrattare le proprie calzature di cacca di qualsivoglia origine sia sinonimo di una buona fortuna che verrà.
Le merde canine - a ben pensarci - rappresentano soltanto una piccola parte di un tutto ben più vasto. Ed anche quei beneducati padroni di cani che provvedono a rimuovere pazientemente le deiezioni dei propri beneamati (tra i quali io mi annovero) non possono certo fare ogni volta una pulizia perfetta, qualche traccia rimane sempre, a meno che (e questo sarebbe impensabile) non si uscisse di casa armati di secchio e spazzolone.
Bisogna guardare le cose con una certa dose di humour e di ironia, ricordandosi ad esempio, quando si è messo il piede su di una merda di chicchessia (animale o essere umano), della storia spassosa raccontata in una canzone da Elio e le Storie Tese, oppure immaginando di essere stati vittima di un Trattamento Ridarelli.
Il passatempo ludico gratuito, denominato "salta la merda" e proposto con tanta veemenza dall'anonimo estensore dell'avviso affisso pubblicamente nel giardinetto pubblico di Palermo, diventerebbe così un trattamento anti-fortuna: ma si può senz'altro essere empatici con il grave disagio da cui esso scaturisce.

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17 gennaio 2019 4 17 /01 /gennaio /2019 08:29

Nino Di Matteo è stato - ed è -  il magistrato più minacciato d'Italia. Perchè? Ma perchè ha portato avanti, assieme ad altri magistrati altrettanto valorosi, l'inchiesta giudiziaria sullo scellerato patto stato-mafia che, consumato negli anni 1992-1994, fu preceduto dall'uccisione di Falcone, della Morvillo, di Paolo Borsellino e delle relative scorte e fu punteggiato da altri eventi intimidatori e da attentati dinamitardi che hanno cercato di portare terrore e instabilità ai più alti vertici dello stato.
Nino Di Matteo è andato avanti, malgrado le minacce, l'indifferenza e la denigrazione, soltanto spinto dal desiderio di giungere ad una verità giudiziaria incontrovertibile.
Ha dovuto lottare anche contro la tiepidezza dei politici e dei governanti, se non contro una loro aperta ostilità, facendo i conti anche con organi di stampa "di regime", portati a minimizzare e a utilizzare principalmente la strategia del silenzio.
E intanto Di Matteo, superscortato e costretto ad una vita blindata assieme alla famiglia, ha portato avanti il suo compito di servitore di uno Stato che, per essere credibile, ha bisogno di verità incontrovertibili e di giustizia vera.
Chi vive a Palermo avrà spesso notato un corteo di grandi gipponi blindati con i vetri oscurati muoversi da un capo all'altro della città. Di Matteo viaggiava sempre all'interno di una di queste vetture, super scortato e superprotetto da minacce che sono state concrete e tangibili.
Ho avuto modo di vedere questo corteo con i miei occhi visto che abito a poca distanza dalla sua abitazione, oppure, qualche volta in autostrada.
Ma, a parte questa visibilità estemporanea, di ciò che egli faceva si sapeva ben poco. I giornali locali e nazionali hanno sempre dedicato ben poco spazio all'inchiesta giudiziaria sul patto stato-mafia e, poi, alle diverse fasi del processo in Corte d'Assise d'Appello, durato ben cinque anni.
Non avendo informazioni di prima mano sui quotidiani e non avendo io occasione di frequentare nel web siti di informazione alterrnativa, sapevo soltanto che Nino Di Matteo stava indagando su quello scellrato patto.
Ora, a sentenza emessa (il patto stato-mafia ci fu), esce un libro intervista in cui Nino Di Matteo sollecitato dalle domande del giornalista Saverio Lodato racconta di quel'inchiesta sino al suo esito giudiziario: un libro fondamentale per sapere tutto quello che i giornali stampati, con i loreo silenzi e con le loro omissioni non ci hanno mai detto.

“Chiediamoci perché politica, istituzioni, cultura, abbiano avuto bisogno delle parole dei giudici per cominciare finalmente a capire... Un manipolo di magistrati e di investigatori ha dimostrato di non aver paura a processare lo Stato. Ora anche altri devono fare la loro parte.”

Nino Di Matteo (quarta di copertina)

“Volevo che nelle pagine di questo libro parlasse il magistrato, parlasse l’uomo, protagonista e testimone di un processo destinato a lasciare il segno.”
Saverio Lodato

Saverio Lodato (quarta di copertina)

La testimonianza del pm più minacciato d'Italia. Le verità che molti volevano nascondere

Fascetta

Nino di Matteo e Saverio Lodato, Il patto sporco. Il processo Stato-Mafia nel racconto di un suo protagonista, Edizioni Chiare Lettere, Collana Principio Attivo Interviste e Réportage, 2018

In "Il patto sporco. Il processo Stato-Mafia nel racconto di un suo protagonista" (Edizioni Chiare Lettere, Collana Principio Attivo Interviste e Réportage, 2018), Nino Di Matteo, sollecitato dalle domande di Saverio Lodato, illustra tutto l'arco dell'iter giudiziario che ha condotto, alla fine, ad una sentenza di condanna in cui in maniera incontrovertibile si afferma la verità giudiziaria che il patto scellerato tra Stato e  Mafia ci fu, proprio al culmine degli anni delle stragi di mafia (1992-1994) e ci racconta una storia esemplare. Quella di un giudice caparbio che vuole andare sino in fondo alla ricerca della verità (anche al prezzo di dover vivere una vita blindata), malgrado le intimidazioni, i depistaggi, i tentativi di insabbiamento, le menzogne e le omissioni, il tiepido appoggio di politici altolocati di destra e di sinistra, se non la loro aperta opposizione, le campagne di denigramento in cui si è cercato di farlo apparire come uno che andava alla ricerca di verità risibili.
Gli anni dell'inchiesta, nella conversazione tra Nino Di Matteo e Saverio Lodato, ci sono tutti, dai primi passi sino a quando si è andati a processo, con un procedimento giudiziario in Corte d'Assise, lungo e accidentato, durato cinque anni e che ha, infine, portato il 19 luglio 2018, ad una sentenza liberatoria per coloro che avevano creduto a Di Matteo (e al gruppo di valorosi magistrati che si erano impegnati con lui per il trionfo della verità), una sentenza di condanna - storica ed epocale - per le parti implicate, supportata da un dispositivo articolato in migliaia di pagine (per l'esattezza, 5252).
Leggendo questo libro, ci si rende di quanto gli organi di stampa (soprattutto qelli cartacei, ma anche i conduttori di rubriche televisive di dibattiti a cui sono sempre invitati i soliti noti) abbiano attivamente disinformato su questi temi o non abbiano voluto informare correttamente: e, inoltre, si possono collocare tutti i passaggi del percorso dell'inchiesta giudiziaria e del processo nella giusta prospettiva.
Oltre alla parte dell'intervista in senso stretto, il volume è corredato da un commento di Nino di Matteo sui punti focali del dispositivo di sentenza (Questa storia la Corte d'assise di Palermo l'ha ricostruita così, pp.123-145) e da una serie di articoli, in appendice, di Saverio Lodato, pubblicati nel corso degli anni su fonti di stampa alternative (pp.147-207).
E' un libro che tutti dovrebbero leggere, poichè - come afferma Di Matteo - "...esso intende poter rappresentare un piccolo contributo alla realizzazione di un importante obiettivo: la conoscenza della verità presupposto e viatico irrinunciabile a libertà e domocrazia" (ib., p. 145).

Oggi questa sentenza rappresenta la piattaforma più solida sulla fondare un reale e storico cambiamento. Ma, come sempre, saranno in tanti a remare contro. E lo faranno, anzi lo stanno già facendo, ricorrendo alla sperimentata strategia di sempre: il silenzio, il nascondimento dei fatti, il tentativo di minimizzare il significato di ciò che è stato accertato. "Loro" continueranno ad agire così. Hanno iniziato a farlo ventiquattr'ore dopo una sentenza che li ha spiazzati e preoccupati, facendo subito scomparire quel processo dal riflettore dei "media". "Loro" sono tanti e sono forti perchè ancora in grado di manovrare importanti leve del potere; "Noi" abbiamo il dovere di raccontare, discutere, cercare di diffondere la conoscenza e la consapevolezza di ciò che è successo e che non deve più accadere.

Nino Di Matteo (ib. p.145)

(dal risguardo di copertina) Gli attentati a Lima, Falcone, Borsellino, le bombe a Milano, Firenze, Roma, gli omicidi di valorosi commissari di polizia e ufficiali dei carabinieri. Lo Stato in ginocchio, i suoi uomini migliori sacrificati. Ma mentre correva il sangue delle stragi c’era chi, proprio in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico.
La sentenza di condanna di Palermo, contro l’opinione di molti “negazionisti”, ha provato che la trattativa non solo ci fu ma non evitò altro sangue. Anzi, lo provocò. Come racconta il pm Di Matteo a Saverio Lodato in questa appassionata ricostruzione, per la prima volta una sentenza accosta il protagonismo della mafia a Berlusconi esponente politico, e per la prima volta carabinieri di alto rango, Subranni, Mori e De Donno, sono ritenuti colpevoli di aver tradito le loro divise. Troppi i non ricordo e gli errori di politici e forze dell’ordine dietro vicende altrimenti inspiegabili come l’interminabile latitanza (43 anni!) di Provenzano, la cattura di Riina e la mancata perquisizione del suo covo, il siluramento del capo delle carceri, Nicolò Amato, la sospensione del carcere duro per 334 boss mafiosi.
Anni di silenzi, depistaggi, pressioni ai massimi livelli (anche dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), qui documentati, finalizzati a intimidire e a bloccare le indagini. Ora, dopo questa prima sentenza che si può dire storica, le istituzioni appaiono più forti e possono spazzare via per sempre il tanfo maleodorante delle complicità e della convivenza segreta con la mafia.

Nino Di Matteo

Gli autori. Sostituto procuratore della Repubblica a Caltanissetta e poi a Palermo, Nino Di Matteo è ora sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Ha indagato sulle stragi dei magistrati Chinnici, Falcone, Borsellino e delle loro scorte, e sull’omicidio del giudice Saetta. Pm in processi a carico dell’ala militare di Cosa Nostra, si è occupato anche dei processi a Cuffaro, al deputato regionale Mercadante, al funzionario dei servizi segreti D’Antone, e alle “talpe” alla procura di Palermo. Diverse amministrazioni comunali (tra queste Roma, Milano, Torino, Bologna, Genova) gli hanno conferito la cittadinanza onoraria per il suo impegno nella ricerca della verità. È autore dei libri “Assedio alla toga” (con Loris Mazzetti, Aliberti) e “Collusi” (con Salvo Palazzolo, Rizzoli).

Saverio Lodato

Saverio Lodato è tra i più autorevoli giornalisti italiani in materia di mafia, antimafia e Sicilia. Per trent’anni è stato inviato de “l’Unità” in Sicilia e oggi scrive sul sito antimafiaduemila.com. Ha scritto: “Avanti mafia!” (Corsiero Editore); “Quarant’anni di mafia” (Rizzoli); “I miei giorni a Palermo” (con Antonino Caponnetto, Garzanti); “Dall’altare contro la mafia” (Rizzoli); “Ho ucciso Giovanni Falcone” (con Giovanni Brusca, Mondadori); “La linea della palma” (con Andrea Camilleri, Rizzoli); “Intoccabili” (con Marco Travaglio, Rizzoli); “Il ritorno del Principe” (con Roberto Scarpinato, Chiarelettere); “Un inverno italiano” (con Andrea Camilleri, Chiarelettere); “Di testa nostra” (con Andrea Camilleri, Chiarelettere).

L'intervista integrale di Paolo Borrometi per il Tg2000, al sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, storico magistrato del pool che ha istruito il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, e autore insieme al giornalista Saverio Lodato del libro "Il patto sporco".

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14 gennaio 2019 1 14 /01 /gennaio /2019 09:13

Accade a Palermo: una miriade di sacchetti di scorie di plastica abbandonati lungo il marciapiedi di una delle vie più importanti della città.
Una lunga teoria di sacchetti ed anche di oggetti singoli, ma più ingombranti, mescolati in un melange di colori con le foglie secche dei platani, inzuppate dalla pioggia.

Maurizio Crispi

Foto di Maurizio Crispi

Accade a Palermo: una miriade di sacchetti di scroie di plastica abbandonati lungo il marciapiedi di una delle vie più importanti della città di Palermo.
Una lunga teoria di sacchetti e di oggetti singoli, più ingombranti, mescolati in un melange di colori con le foglie secche dei platani, inzuppate dalla pioggia.
Ho osservato questo scemio lungo l'asse di via Libertà, nel giorno successivo a quello in cui - nottetempo - è prevista la raccolta differenziata dei rifiuti urbani solidi in plastica (in particolar modo il 4 gennaio mattina).
Sacchetti pieni di rifiuti di plastica, alcuni squarciati, singoli oggetti di plastica voluminosi sparsi lungo il marciapiedi dell'asse viario di via Libertà, quasi che - mentre veniva effettuata la raccolta - gli stessi sacchetti venissero buttati giù ad arte dal camioncino su cui erano stati caricati.
La loro disposizione, infatti, escludeva decisamente il fatto che essi fossero caduti durante la marcia da un camioncino stracarico. Per avallare questa ipotesi i sacchetti e gli oggetti di plastica avrebbero dovuto trovarsi sulla sede stradale, non sul marciapiedi.
Che sia stata una forma di boicottaggio da parte degli addetti dell'azienda preposta?
Insomma, una mano raccoglie, mentre l'altra insozza.
Una vera e propria forma di schizofrenia civica.

Altra causa possibile del malfatto (o misfatto che sia) discende dalla letale commistione di carenza di personale, da utilizzo di mezzi non adeguati e, least but not last, da strafottenza.
Dico questo sulla base di una mia recente osservazione.
Nottetempo, ho sentito dei rumori provenienti dalla mia via e ho guardato dalla finestra.
C'era ferma un camioncino del RAP davanti ad un cancello che dà accesso ad un condominio.
Era al lavoro un unico addetto (oggi, con termine politicamente corretto, dicesi "operatore ecologico", non più "spazzino" o "netturbino", termini entrati nel novero delle parole ingiuriose e per questo desueti) nella veste di factotum, quindi autista ed operatore al tempo stesso.
Con mia somma sorpresa procedeva in questo modo: ha rovesciato il contenuto di un grande contenitore condominiale (era la notte della raccolta organica, in questo caso) sull'asfalto e, quindi, con le mani ha sollevato i singoli sacchetti, lanciandoli nel cassone del camioncino. Tutto ciò che si è sparso per terra, le minuzzaglie, insomma, lo ha lasciato sull'asfalto.
Quindi, quasi allegramente, si è rimesso alla guida ed è ripartito per la prossima tappa.
Non c'è bisogno di altre parole per commentare: credo che ognuno possa trarre le debite conclusioni.

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3 gennaio 2019 4 03 /01 /gennaio /2019 10:12

Il povero gatto, morto sin dal 22 dicembre 2018, ancora giace senza pace e senza sepoltura: siamo al 6 gennaio 2019, e il servizio competente non si è ancora attivato per la sua rimozione, malgrado le numerose segnalazioni da parte dei cittadini residenti e persino da parte dei Vigili Urbani.
Forse quelli dell'azienda preposta aspettano che quel cadaverino sia totalmente mummificato o, meglio ancora, trasformato in polvere, così potranno recitare, quando interverranno troppo tardivamente, parole di requiem: "Polvere alla polvere...".

Aggiornamento sul mio profilo FB del 7 gennaio

Foto di Maurizio Crispi

Occhio che non vede, cuore che non duole.
In questo casa è l'occhio del Sindaco di Palermo, a non vedere il corpicino di un gatto ucciso per strada già da prima di Natale e lasciato lì, per strada, malgrado le numerose segnalazioni da parte dei cittadini residenti.
La RAP di Palermo (RAP S.p.A. – Risorse Ambiente Palermo) si disinteressa: il povero gatto è lì su quel marciapiede almeno dal 22 dicembre 2018. Anzi, prima era sotto il bordo di quel marciapiedi, parzialmente nascosto da un auto posteggiasta: qualche anima gentile si è premurata di issare il corpicino senza vita sul marciapiedi per evitare che venisse scempiato dalle ruote delle auto in manovra alla ricercha di parcheggio.
Siamo in via Lombardia, una delle vie di una delle residenziali della Palermo chic. A solo pochi metri di distanza c'è l'abitazione del Sindaco di Palermo che si vanta di essere alla guida di una città europea, capitale della cultura e dell'accoglienza, oltre che della solidarietà verso i migranti.
Eppure a meno di trenta metri, proprio al di là della strada e del numero civico in cui è domiciliato, c'è quel corpicino morto che ristagna, sempre più spelacchiato e grigio, mentre all'inizio aveva una folta pellicciotta bianconera.
Sono delle piccole note stonate, queste.
E i Vigili urbani che stazionano davanti alla casa del Primo cittadino non mi vengano a dire che loro hanno assolto il loro compito chiamando la linea telefonica dedicata della RAP, per segnalare il caso e chiedendo una pronta rimozione.
E che pertanto la responsabilità della non-rimozione è di quell'ufficio.
Il solito scaricabarile di competenze e di responsabilità, insomma.
Dicono che, a cavallo del passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, la RAP sia in agitazione e che non garantisce più i minimi servizi indispensabili: verissimo, a giudicare dei cumuli di monniezza che si stanno accumulando ogniddove, con buona pace della rsaccolta differenziata.
Il fatto è che, come ho già detto altrove, è che quando tutto è burocratizzato e le competenze sono distribuite in maniera rigida a singoli enti pubblici o privati, il cittadino qualunque viene privato della possibilità di attivarsi autonomamente per risolvere i piccoli problemi oltraggiosi della quotidianità.
In questo caso, si è privati dunque della possibilità di attivarsi personalmente, per rimuovere questo animale morto dal luogo in cui giace, armandosi di pala, sacco della spazzatura e - ovviamente - guanti protettivi. Se un cittadino facesse questa lodevole azione (io ci ho pensato, sì, di attivarmi in prima persona) dove dovrebbe poi portare il cadaverino? Non rischierebbe forse di essere ripreso per aver compiuto un'azione illecita e che non gli compete, poichè esiste un'Azienda addetta a tale bisogna? E se, ad esempio, lo portasse in campagna per seppellirlo nella terra o sotto le pietre non rischierebbe forse di essere sanzionato per inquinamento ambientale?
Ma per tornare al punto, S
ono appunto queste le cose, apparentemente piccole omissioni e negligenze, a non farci onore e e ad offuscare tutti gli sforzi di rendere Palermo una città migliore e i riconoscimenti che la nostra città riceve, come testimonia il bellissimo e documentato articolo uscito su L?Espresso, nell'ultimo numero dell'anno.

Oggi, 4 gennaio 2019, il gatto è ancora lì.

Foto di Maurizio Crispi

5 gennaio 2019

Il gatto continua a giacere sul marciapiedi sempre più spelacchiato e tristanzuolo

Foto di Maurizio Crispi. Il gatto morto di Via Lombardia (5 gennaio 2019)

Al 7 gennaio 2019, la situazione è scandolasamente immutata.
E, alla fine, ...tra il l'8 e il 9 gennaio il corpicino è stato finalmente rimosso e il marciapiedi è ritornato libero da quell'inquitante e triste presenza...

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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