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28 dicembre 2022 3 28 /12 /dicembre /2022 07:24
Davide Longo, L'Uomo verticale, Einaudi

L'uomo verticale di Davide Longo, già pubblicato da Fandango Libri (2010 e 2012), viene ora riproposto da Einaudi nella collana Stile Libero ed è, per me, sicuramente meritevole di attenzione.
E' un romanzo fortemente distopico perché si svolge in un tempo imprecisato del "nostro" tempo, quando per ragioni che rimangono oscure al lettore e forse agli stessi personaggi, la società organizzata per gradi successivi è giunta al collasso, fino all'abbattimento delle più elementari regole della convivenza civile.
In questo mondo che sta andando verso un degrado assoluto, si muovono i diversi personaggi: quelli che in qualche modo riescono a mantenere una propria rettitudine e quelli che soccombono al degrado, trasformandosi in mostri, aguzzini, persecutori. All'autore non interessa che il lettore conosca i percorsi attraversi cui si sia giunti a questo, i perché insomma: a lui interessa rappresentare l'evoluzione e la rovina, osservando ciò che accade ai suoi personaggi. 
Leonardo, scrittore e professore caduto in disgrazia per via di uno scandalo, che, da tempo, si è ritirato a vivere "via dalla pazza folla" nella tranquillità e nella pace sonnolenta del piccolo paesello natio in un luogo sperduto (anche questo non ben precisato). Leonardo presto - mentre tutto volge al degrado e alla disorganizzazione - si trova ad dovere assumere la responsabilità di una piccola "compagnia" itinerante, costituita dalla figlia Lucia, da Alberto figlio della ex-moglie, ed Emanuele, il figlio adulto di una vicina di casa, apparentemente portatore di una sindrome che lo rende apatico e poco comunicativo, ma in realtà  capace di esprimere un'antica saggezza che tornerà utile alla comitiva.
Iniziano un viaggio per raggiungere - seguendo voci ed informazioni raccolte qua e là lungo la strada - dei luoghi più sicuri e più vivibili: ma non tutto andrà liscio come dovrebbe, poiché il mondo è diventato un giungla dove vige la legge  barbarica del più forte e del più prepotente e del più predatore.
E' stupefacente vedere come tutto il tessuto sociale e le infrastrutture si disgreghino velocemente e come, altrettanto velocemente, tutti (la maggior parte) perdano la capacità di lasciarsi guidare nelle proprie azioni da un codice etico e che invece tutto prenda ad essere condizionato dalle esigenze della sopravvivenza. Ma non è solo questo, poiché alcuni (forse troppi) cominciano a manifestare comportamenti dettati dalla crudeltà gratuità più efferata o dalla voglia di sopraffazione. Quello che Leonardo e i suoi si trovano ad attraversare è un mondo alterato profondamente nel quale non è facile mantenere viva e vitale la voglia di sopravvivere.
Ci saranno molte prove da superare, lutti, perdite e mutilazioni (non solo psichiche) da subire e soltanto alla fine, forse, si aprirà un piccolo barlume di speranza per la nascita di un mondo nuovo.
Il tema e la prosa di Davide Longo mi hanno fatto molto pensare al magistrale romanzo di Cormac McCarthy, La strada (pubblicato in lingua originale nel 2006 e, successivamente trasposto in film), pur con le sue specificità e divergenze. In ambedue i romanzi, tuttavia, emerge il tema salvifico che sembra potersi concretizzare nell'arrivo di un nuovo messia (o in una natività foriera di speranza) o nel suo riconoscimento.
L'ho letto, anzi l'ho divorato febbrilmente, anche se c'è voluto molto stomaco per superare alcuni passaggi.
A causare sconforto (la sensazione fisica dello stomaco che si contrae a causa della nausea) non è stata tanto la descrizione cruda di alcune situazioni in sé, quanto piuttosto la vivida rappresentazione del deragliamento, della perdita delle regole e degli assetti morali degli individui, il ritorno delle attitudini predatorie e della prevaricazione anche quella più gratuita ed inutile, ma ciò nondimeno esercitata con spirito sadico.
Ed anche, ovviamente, come corollario, la riflessione su quanto la nostra società si regga su di un equilibrio sempre più precario e su come basterebbe un niente per fare precipitare la nostra società attuale nel baratro (e di ciò, di questo tipo di drammatico deterioramento, ve ne sono i segni ovunque. Basta guardare i fatti di cronaca minuta: uccisioni, risse con sparatorie, furti clamorosi, un livello crescente di violenza incontrollata, etc, etc).
Come accade in molti romanzi distopici post-apocalittici mentre si parla del futuro si sta in realtà puntando il dito sul presente che possiede i germi di una possibile evoluzione futura, letale o pericolosa.

 

 

Davide Longo, L'uomo verticale, Fandango Libri, 2012

(Quarta di copertina)  Misteriosi invasori alle porte, le smanie di potere dell'esercito, paura, odio e ferocia che si diffondono. E' il crollodel nostro mondo? Un grandissimo romanzo distopico in cui tutto ci sembra purtroppo sempre più familiare.
In Italia, in un futuro imprecisato, la civiltà è al collasso, la legge e la giustizia un ricordo del passato e per le strade regna la barbarie. Leonardo, scrittore e professore universitario, dopo lo scandalo che ha distrutto la sua vita familiare e la sua carriera letteraria, si è ritirato nel piccolo paese natale dove conduce un'esistenza ritirata e solitaria. I tempi in cui era un padre felice, le sue lezioni affollate e le sue letture che riempivano i teatri, sono lontani: Leonardo da sette anni non scrive e non ha notizie della moglie e della figlia. Fino a quando la moglie, che lo aveva lasciato dopo lo scandalo, non si presenta in fuga alla sua porta, per affidargli la loro figlia Lucia e Alberto, il figlio nato da un altro compagno. Fa la promessa di tornare a prenderli, ma la violenza avanza e raggiunge anche la provincia. Della moglie non c'è piú traccia. I tre, insieme al cane Bauhsan, devono mettersi in viaggio, verso Occidente dove pare ci sia salvezza. Li attende un mondo dove il progresso si è sgretolato e gli istinti sono padroni. Un mondo, in cui solo aggrappandosi alla propria bussola morale potranno non perdere la strada.
Ma non è solo la sua vita ad aver subito un tracollo. Nel paese dilaga la barbarie. Rapine, sopraffazioni, omicidi, bande. L'esercito che tutti pensavano impegnato a bloccare l'invasione degli "esterni" è allo sbando. La gente ha paura e si arma: nascono ronde e corpi armati per difendere le frontiere, le città, le case. I telefoni smettono di funzionare, la televisione di fornire notizie, le banche di erogare denaro. L'ondata di violenza giunge anche fra le colline dove Leonardo ha cercato rifugio, costringendolo a fare i conti con il nuovo mondo e la sua spietatezza. Unica via di scampo sembra essere la fuga a occidente. Inizia così un viaggio pieno di insidie, avventure, drammi che porterà il protagonista a sperimentare sulla sua pelle l'evoluzione dell'odio, del coraggio e del male. Davide Longo, tra le voci più importanti della nuova narrativa, scrive un romanzo sul nostro paese senza mai nominarlo, un luogo dove l'odio comanda, unisce e divide gli uomini ridotti a distruggersi e umiliarsi per sopravvivere.

 

Davide Longo

L'autore. Davide Longo, nato a Carmagnola nel 1971,  vive a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. Tiene corsi di formazione per gli insegnanti su come utilizzare le tecniche narrative nelle scuole di ogni grado. Tra i suoi romanzi ricordiamo, Un mattino a Irgalem (Marcos y Marcos, 2001), Il mangiatore di pietre (Marcos y Marcos 2004), L’uomo verticale (Fandango, 2010), Maestro Utrecht (NN 2016), Ballata di un amore italiano (Feltrinelli 2011). Nel 2014 ha scritto il primo romanzo della serie che ha come protagonisti il duo Arcadipane-Bramard Il caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), cui è seguito il secondo Le bestie giovani (Feltrinelli 2018, Einaudi 2021), il terzo episodio della serie Una rabbia semplice (Einaudi 2021), il quarto La vita paga il sabato (Einaudi 2022).
Nel 2017 ha scritto la sceneggiatura per il film Il Mangiatore di Pietre interpretato da Luigi Lo Cascio.

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24 dicembre 2022 6 24 /12 /dicembre /2022 11:25
Ray Bradbury, Addio all'estate, Mondadori

In tutti i romanzi e racconti di Ray Bradbury c'è sempre molta poesia. Ray Bradbury è stato etichettato come scrittore di "fantascienza" (o più appropriatamente di SF, ovvero science-fiction), ma spesso le etichette di genere penalizzano l'artista  (non parlo ovviamente solo di Bradbury) che semplicemente sceglie una forma o genere letterario perchè gli/le risulta più congeniale per esprimersi. 
Ray Bradbury - sin da quando mi sono accostato alla sua scrittura, appena adolescente - mi ha colpito per la capacità di dar vita ad immagini fortemente poetiche e a creare atmosfere emozionali - talvolta intense, altre volte rarefatte -, soprattutto nel rappresentare le transizioni, gli inevitabili ed ineluttabili passaggi nella vita di ciascun individuo e nella collettività. Un esempio sublime di questo approccio fu, ad esempio, "Cronache marziane", per nulla influenzato dai fasti della fantascienza tecnologica oppure dalle trame avventurose e fantastiche della space opera.
In "Addio all'estate" (Farewell Summer, nella traduzione di Giuseppe Lippi), pubblicato da Mondadori nel 2010, Bradbury riprende un'opera scritta almeno 50 anni prima che è "L'Estate incantata" (Dandelion Wight: e si noti che ambedue le storie portano dei nomi di specie floreali) e ritorna nei luoghi di quel romanzo (che come avvertirà nella sua postilla ad "Addio all'estate", sono ispirati ai luoghi della sua infanzia). Anche qui è in pieno rigoglio la sua verve poetica nel ridare linfa e vigore ai personaggi di quel romanzo.
Ciò che salta all'occhio in questa trama tenue e leggera, senza grandi, eclatanti, eventi è una cornice poetica in cui si inquadra la contrapposizione/battaglia tra un gruppo di ragazzini alle soglie dell'adolescenza (intesa come periodo cruciale di transizione all'età adulta) e il mondo dei grandi, degli adulti, che rappresentano ciò che essi - i giovani - diventeranno un giorno, ma in cui - nello stesso tempo - non vogliono trasformarsi, poiché pensano che il mondo degli adulti sia incomprensibile ed ostile.
In realtà, poi, nel corso della narrazione (suddivisa in tre parti, ciascuna titolata con il nome di una famosa battaglia della Guerra Civile americana) avviene la magia del travaso e della compenetrazione inter-generazionale, proprio attraverso le storie che gli adulti possono raccontare ai più giovani.
Le storie rappresentano un ponte tra le generazioni, percorribile sempre in due sensi: l'importante è che vi sia la volontà di farlo, senza erigere, a scopo protettivo dei muri fuorvianti o delle barriere impenetrabili.
Integra la lettura di questo testo la postilla dello stesso autore con il titolo "L'importanza di stupirsi", in cui, innanzitutto Bradbury svela quanto il luogo in cui si svolge la vicenda sia ispirato a quello in cui visse gli anni della sua infanzia e dove fa appunto delle considerazioni su ciò che è scarto o "gap" generazionale e che poi diventa "ponte" o strumento di comunicazione:
Scrive Bradbury:
"Sono sempre stato affascinato dai vecchi. Entravano e uscivano dalla mia vita e io li seguivo., li interrogavo, imparavo da loro, cosa che risulta particolarmente vera in questo romanzo che parla di ragazzi e di vecchi, le nostre speciali Macchine del Tempo.
(...)
In un certo senso, 'Addio all'estate' è un romanzo sulle cose che si possono imparare ascoltando i vecchi. Bisogna avere il coraggio di fare certe domande e mettersi seduti ad ascoltare le risposte: quelle fatte da Doug [rappresentante dei "giovani"], insieme alle risposte di Quartermain [paradigma degli anziani], permettono all'azione di organizzarsi nei vari capitoli e l'accompagnano verso il finale del libro." (p. 170)
Non proseguo oltre nella citazione, ma in verità la postilla è tutta da leggere, perché poi vi si troverà un lungo passaggio in cui Bradbury ci spiega i motivi per cui questo testo è rimasto in gestazione, nella sua fucina creativa, per più di cinquant'anni e ci indica quali siano stati gli anziani che lo hanno ispirato, raccontando a lui, piccolo, delle storie che poi sono state incanalate nella sua specifica attitudine a raccontare storie.

 


(Risguardo di copertina) 1929: l'estate si rifiuta di finire e l'inizio dell'ottobre si rivela inaspettatamente caldo. Ma nel villaggio di Green Town, Illinois, è scoppiata la guerra civile. Si tratta del conflitto vecchio come il mondo che oppone i giovani agli anziani e che ha come posta il controllo sull'orologio che spinge inesorabilmente avanti le vite di tutti. Il tredicenne Douglas Spoulding e la sua schiera di amici e coetanei decidono che non vogliono invecchiare. Per loro gli anziani sono un'altra razza, sono degli alieni, sono il Male e i giovani rischiano di essere soltanto degli schiavi ai loro ordini. I ragazzi e gli abitanti anziani della cittadina si dichiarano guerra ed uno degli anziani resta ucciso in uno dei primi scontri. L'ottantunenne Calvin Quatermain organizza il contrattacco e comincia un lungo e duro confronto che oppone le declinanti forze della vecchiaia all'entusiasmo e alla scanzonata determinazione della gioventù. "Addio all'estate" è l'ideale seguito di "L'estate incantata" scritto esattamente 50 anni fa, ed è il fastoso coronamento della carriera di scrittore di Bradbury: un romanzo al centro del quale c'è il più dolce e impossibile dei sogni umani, ossia la ribellione davanti all'invecchiamento e alla morte.

 

 

Ray Bradbury

L'autore. Ray Douglas Bradbury è stato narratore e sceneggiatore televisivo e cinematografico.
Nato nel 1920 in Illinois, si è diplomato a Los Angeles.
Ha fatto il venditore di giornali agli angoli delle strade di Los Angeles dal 1938 al 1942, trascorrendo le notti alla biblioteca pubblica e le giornate alla macchina da scrivere.
È diventato uno scrittore a tempo pieno nel 1943.
Molti suoi racconti sono apparsi in periodici prima di essere raccolti in Dark Carnival nel 1947.
La sua fama nasce con la pubblicazione di The Martian Chronicles nel 1950 (pubblicato in Italia da Mondadori con il titolo Cronache marziane nel 1954 tradotto da Giorgio Monicelli, omonimo del regista e lontano parente di Arnoldo Mondadori).
Dal romanzo Fahrenheit 451, del 1953 (in Italia tradotto sempre da Giorgio Monicelli e pubblicato dall'editore Martello nel 1956 col titolo Gli anni della fenice) considerato il suo capolavoro, François Truffaut ha tratto un film che è diventato un culto.
In realtà l'opera era nata come racconto sul numero di febbraio del 1951 di Galaxy dal titolo The Fireman ("Il pompiere"). Un paio d'anni più tardi, Bradbury lo allungò trasformandola nel romanzo Fahrenheit 451.
Fra le altre sue opere: Il gioco dei pianeti (The illustrated Man, 1951), Paese d'ottobre (The October Country, 1955), La fine del principio (A Medicine For Melancholy, 1959), Le macchine della felicità (The Machineries Of Joy, 1964), Io canto il corpo elettrico! (I sing the body electric!, 1969), Ritornati dalla polvere (From The Dust Returned, 2001), Il popolo dell'autunno (Something wicked this way comes, 1962), Constance contro tutti (Let's All Kill Constance, 2002), Il cimitero dei folli, Tangerine, Troppo lontani dalle stelle e Viaggiatore nel tempo (The Toynbee Convector, 1988), tutte edite da Mondadori. Di recente pubblicazione Ricordare Parigi (mondadori, 2020).
Bradbury è considerato uno dei maggiori innovatori del genere fantascientifico. I suoi romanzi hanno rinnovato il genere introducendovi elementi insieme lirici e di denuncia. Nei suoi pianeti e nelle sue galassie si riflettono, deformati da un occhio visionario, le memorie infantili di un’America perduta e gli incubi della civiltà tecnologica.
Dopo aver ricevuto una menzione d'onore dal Premio Pulitzer, Bradbury ha deciso di rendere noto, in un'intervista al Los Angeles Times, che il suo scopo nello scrivere Fahrenheit 451 non era affatto quello di condannare la censura governativa, né tantomeno il senatore McCarthy. Il libro rappresentava invece una critica della televisione, colpevole di distruggere l'interesse nella lettura.
Bradbury negli ultimi anni aveva rallentato la sua attività, per motivi di salute, ma era comunque rimasto attivo, scrivendo nuovi racconti, commedie e un libro di poesie.

Fonti di queste noti biobibliografiche: Enciclopedia della Letteratura Garzanti; Catalogo storico Arnoldo Mondadori Editore; Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori; Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale; fantascienza.com

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22 dicembre 2022 4 22 /12 /dicembre /2022 07:09

Ecco una mia informale recensione (pubblicata solo sul mio profilo facebook nel 2011) ad un piccolo saggio "emozionale" che si può considerare un vero e proprio "metalibro" sui libri e sulla lettura, pubblicato nel 2011. E' un godibile testo, quanto mai attuale, mentre - in questi ultimi anni - è in crescente espansione la lettura su supporti digitali, per ricordarci che il rapporto con i libri di carta è impareggiabile ed inestimabile.
Per questo motivo lo rilancio qui.

Toccare i libri, Ponte alle Grazie

Toccare i libri. Una passeggiata romantica e sensuale tra le pagine, scritto da Jesùs Marchamalo, (traduzione di C. Marseguerra) e meritevolmente pubblicato in traduzione da Ponte alle Grazie nel 2011) é veramente un saggio per tutti quelli che amano i libri e che comprano libri, non soltanto per leggerli, ma "in quanto" libri.
Si tratta di un piccolo libro cult che venne pubblicato per la prima volta presso una piccola casa editrice spagnola, mettendo assieme i testi di due o tre conferenze sull'avere libri tenute dall'autore e diverse volte ristampato, dietro grande richiesta da parte di un pubblico di lettori sempre più folto.
E' un volumetto davvero smilzo che si legge velocemente (io l'ho letto in un pomeriggio di pioggia), che raccoglie pensieri sparsi dell'autore ed aneddoti attribuiti a grandi lettori (talvolta anche scrittori) in merito alle loro abitudini, stranezze, idiosincrasie attorno ai libri e tanti altri pensieri folgoranti e sintetici.
Come è mia abitudine, appena ho letto le prime righe, ho cominciato ad annotarlo e a segnare i passaggi che mi sembravano più significativi e memorabili. 
Ma poi ho dovuto smettere, perché - mi sono reso conto - avrei finito per segnarlo tutto dall'inizio alla fine...
Chi legge e chi possiede tanti libri, accumulati sia per la voglia sfrenata di leggere sia anche - nello stesso tempo - per puro piacere bibliofilico, potrà riconoscersi agevolmente - e con molte emozioni - in molti dei passaggi di questo saggio, avendo la sensazione di immergercisi dentro come se si stesse parlando di se stesso e delle proprie abitudini e non di altri.
Il bello è che in queste pagine l'Autore riesce ad illustrare in pieno la complessa sensorialità che si attiva nel rapporto con i libri in cui noi siamo non solo lettori, ma anche in qualche modo gestori, catalogatori, manipolatori dei nostri libri, continuamente alle prese con problemi di manutenzione, allocazione, sistemazione etc.


(Risguardo di copertina ) Se vi piace toccare i libri, e lo state facendo anche ora, sapete di cosa parliamo. Libri. Da leggere, da sfogliare, da desiderare e da possedere, da perdere, prestare e regalare. Libri da contare, da sistemare, da classificare. Amici per una vita o incontri di un solo giorno, ricordati per sempre o subito dimenticati; libri illeggibili, letti e riletti…
Nella passeggiata lungo queste pagine incontriamo tanti lettori illustri, curiosiamo nelle loro biblioteche e veniamo a sapere delle loro buone e cattive abitudini di lettura, talvolta così simili alle nostre. Quanti libri è possibile leggere in una vita? In che modo disporli? Come fare quando sono troppi? Ci piacciono di più tenuti come nuovi o un po’ maltrattati? Bisogna davvero leggerli tutti, o certi sono fatti apposta per non esserlo? Jesús Marchamalo racconta gli intrecci e i personaggi della grande storia d’amore fra libri e lettori con la divertita partecipazione di un innamorato che la sa lunga, e argutamente ci ricorda che come tutte le passioni, anche questa dev’essere assaporata con un po’ di sana ironia.
(Quarta di copertina) In tempi come i nostri di vertigine digitale, in cui la tecnologia mette a repentaglio il futuro del libro quale noi lo conosciamo, Toccare i libri propone una difesa appassionata, complice e ironica, a volte umoristica, del libro e della lettura: parla del suono della carta, delle orecchie sugli angoli, degli appunti sui margini, delle dediche... Una rivendicazione con un pizzico di nostalgia anticipata – e ci auguriamo gratuita – di quello che significa vivere con i libri: gli scaffali strapieni, le pile negli angoli, i libri prestati, il disordine funesto, incorreggibile.

 

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21 dicembre 2022 3 21 /12 /dicembre /2022 08:43
Joyce Carol Oates, Mistery, Inc., Timecrime, 2022

Mistery, Inc. di Joyce Carol Oates (nella traduzione di Sarà Bilotti), pubblicato da Timecrime (Fanucci - Collana Crimini di carta) nel  2022, è un racconto fulminante che ha come oggetto i libri e la voglia smodata di possedere non solo singoli libri, ma anche intere biblioteche e librerie:
Questa piccola perla si inscrive nella collana Crimini di Carta, varata da Timecrime nel 2022, sviluppando due temi che sono quello dell’ossessione di possedere libri (in questo caso l’oggetto della predazione sono negozi di libri nella loro interezza) e quello delle biblioteche stregate. I due temi si intersecano tra loro. Molto rimane nel non detto e il lettore - secondo una regola che vale per tutti i racconti scritti ad arte - può e deve immaginare il resto, sviluppando a suo piacere - con la sua fantasie - alcuni tratteggi narrativi.
Si fronteggiano due personaggi, uno - il narratore che - con lo pseudonimo di Charles Brockden e indossando baffi posticci - si presenta alla libreria Mistery, Inc. per perpetrare un suo progetto scellerato e tale Aaron Neuhaus, proprietario della libreria stessa. 
Abbiamo quindi due diversi campi di forze, nel cui confronto tutto si sbilancia per via dell’intervento di imprevedibili fattori. Aaron Neuhaus scalza il "ladro di librerie" dal suo ruolo di narratore e diviene lui il narratore di una storia che si spinge indietro nel tempo per ben tre generazioni di librai
Quello che avrebbe dovuto essere il piano perfetto ideato dal sedicente Charles Brockden (tra l'altro autore di un classico della narrativa mistery) fallisce (apparentemente).
Il lettore viene condotto per gradi ad un finale perturbante, in cui tuttavia tutto rimane indecidibile e come sospeso. Sarà il lettore stesso a dover colmare le lacune, a suo piacimento, a partire dalle suggestioni che fornisce la traccia narrativa.
La maestria del racconto consiste, appunto, nel non dire tutto esplicitamente e nel lasciare alcune cose nel reame del non detto, lasciando al lettore il compito di completare il quadro con le proprie speculazioni.
Letto ad alta voce, con sommo piacere (e il testo per questo di lettura si presta in modo eccellente).
Detto per inciso, il racconto mi ha fatto venir voglia di mangiare i tartufi al cioccolato che vi giocano un ruolo importante.
Ma fa anche venire voglia di leggere molti classici della narrativa fantastica e mistery. E' un po' come un romanzo che ho letto di recente e che "Otto delitti perfetti" di Peter Swanson.
Come gli altri volumi di questa collana, tutti preceduti da una “nota dei librai”, qui la prefazione è stata scritta da Alessandro ed Elisa, librai indipendenti e conduttori della Libreria Florida di Firenze che, piccola (28 metri quadri di superfici, ma aggurrita, si definisce "Libreria di consiglio".


(Risguardo di copertina) Identificato solo dallo pseudonimo scelto in modo azzardato, Charles Brockden, il narratore di questa storia, ha trovato una libreria che stuzzica il suo desiderio di possederla. Deve averla il prima possibile, deve aggiungerla alla sua già vasta collezione di librerie. Tuttavia, sa che il proprietario di un negozio così raffinato non se ne separerebbe tanto facilmente. Brockden ha in mente un piano per acquisire il negozio in maniera tale che nessuno possa sospettare un atto scorretto: un omicidio perfetto. E sa che avrà successo, perché questa procedura non gli è affatto sconosciuta...

 

 

Joyce Carol Oates

Joyce Carol Oates, nata nel 1938, a Lockport (New York), è tra le figure più rilevanti della narrativa americana contemporanea - è stata indicata, tra l'altro, come una dei favoriti per l'assegnazione al Premio Nobel della Letteratura - ed è anche una delle più prolifiche.
Nata nello stato di New York nel 1938, è da anni residente a Princeton, presso la cui università ha insegnato scrittura creativa dal 1977 al 2014. Fa parte della prestigiosa American Academy of Arts and Letters.
Nella sua opera narrativa esplora le residue potenzialità del realismo sociale e del genere «neogotico». Dal Giardino delle delizie (A garden of earthly delights, 1966), nel quale mappa di un eden sfigurato dalla violenza, a Quelli (1969), che proietta vite ed esperienze femminili sul fondale apocalittico della Detroit dei conflitti razziali, a Bellefleur (1980), saga di una famiglia potente e maledetta, la Oates ha delineato i temi di una produzione vasta ed eclettica, che sperimenta generi e stili e mette impietosamente in luce, tra l'altro, l'ipocrisia e la violenza della vita borghese, l'oppressione delle famiglie, la grettezza delle piccole comunità, l'oppressione e la mercificazione delle donne.
Tra le sue opere, i romanzi Marya (Marya: a life, 1986), Acqua nera (Black water, 1992), Zombie (1995), Una famiglia americana (We were the Mulwaneys, 1996), racconti (Storie americane, Where are you going, where have you been? Selected stories, 1993, dal quale è stato tratto il film, La prima volta, nel 1985) e saggi (Sulla boxe, On boxing, 1987).
Con lo pseudonimo di Rosamond Smith si è dedicata alla suspense pubblicando Nemesi ("Nemesis", 1990) e Occhi di serpente ("Snake eyes", 1992). Non ha tralasciato nemmeno gli eventi biografici: La figlia dello straniero, suo romanzo del 2007, prende spunto dalle vicende del nonno, mentre dopo la morte del marito ha scritto il memoir Storia di una vedova (Bompiani 2013).
Nei romanzi più recenti ha soprattutto indagato l’evoluzione delle dinamiche familiari che portano a inattese esplosioni di violenza (La ballata di John Reddy Heart, "Broke heart blues", 1999; Blonde, 2000, su Marilyn Monroe; Un giorno ti porterò laggiù, "I’ll take you there", 2002; La madre che mi manca, "Missing mom", 2005; La figlia dello straniero, "The gravedigger’s daughter", 2007).
Per gli adolescenti ha scritto Bruttona & la lingua lunga (Big mouth and ugly girl, 2002) e Occhi di tempesta (Freaky green eyes, 2003), spietati e taglienti.
In Italia i suoi libri sono pubblicati da Bompiani, Mondadori e il Saggiatore, alcuni dei quali sono: Sorella, mio unico amore (Mondadori 2009), Una brava ragazza (Bompiani, 2010), Uccellino del paradiso (Mondadori, 2011), Doppio nodo (Bompiani, 2011), La ragazza tatuata (Mondadori, 2012), Storia di una vedova (Bompiani, 2012), Acqua nera (Il Saggiatore, 2012), Mudwoman (Mondadori, 2013), Scomparsa (2016) e la quadrilogia dell'Epopea americana. Pubblicata da Il Saggiatore nel 2017 si compone di: Il giardino delle delizie, I ricchi, Loro, Il paese delle meraviglie; in essa la scrittrice ripercorre la storia recente degli USA e opera una definitiva trasfigurazione del sogno americano in un'incubo senza fine.
Nel 2021 escono per il Saggiatore Nuovo cielo, nuova terra e per La Nave di Teso La notte, il sonno, la morte e le stelle.
Ha vinto, tra gli altri, il National Book Award, il Pen Faulkner Award e il Prix Femina Étranger. 

 

"La collana Crimini di carta racconta di libri e/o di chi li scrive, li compra, li legge, li colleziona, li vende o ne è in qualche modo coinvolto. Tutte le novelle presentano come sfondo librerie, biblioteche, libri rari, manoscritti, volumi inestimabili o eccentrici collezionisti di libri. Insomma, tutto ciò che appartiene al mondo dei bibliofili. Arricchisce ogni volume un intervento esclusivo di un libraio italiano, una testimonianza del suo amore per il mondo dei libri e della passione per il crime".

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17 dicembre 2022 6 17 /12 /dicembre /2022 18:58
Daniele Del Giudice, Orizzonte mobile, Einaudi

Con Orizzonte mobile, pubblicato da Einaudi (Supercoralli) nel 2009, Daniele Del Giudice (oggi purtroppo compianto) ci ha regalato un diario di viaggio, anzi un diario di più viaggi, poiché le annotazioni scritte dall'autore in occasione di uno straordinario viaggio che si trovò a compiere tra Cile, Patagonia, Terra del Fuoco e Antartide, nel 1990, si intersecano con brani tratti dai diari di due spedizioni, una nella Terra del Fuoco (spedizione Bove, alla fine del XIX secolo) e l'altra nell'Antartide (Spedizione De Gerlache, nel 1892) - con il breve resoconto di un suo secondo viaggio antartico, in verità mai compiuto, collocato nel 2007.
A mio parere (anche se il mio parere conta poco perché è viziato dalla mia passione per i libri di viaggio) è uno straordinario testo che, sì, ci fa vivere i luoghi di cui Del Giudice o i cronisti delle antiche spedizioni parlano, ma soprattutto ci trasmette le emozioni che può procurare un viaggio in luoghi così estremi e così ostili all'Uomo.
La bellezza di questo testo va ricercata nelle note a margine pagina che scavano nell'intensità del rapporto che si viene a creare tra il visitatore e questi luoghi.
Ora, avendone completato la lettura, mi sorge il dilemma: collocherò questo libro tra quelli di Daniele Del Giudice oppure tra quelli di viaggio, accanto - ad esempio - al libro cult di Bruce Chatwin, In Patagonia, oppure a quelli che raccontano della sfortunata spedizione di Shackleton e di quella di Scott e di quella vincente di Amundsen, oppure al diario di quel tipo straordinario che ha compiuto l'impresa di attraversare l'Antartide a piedi in solitaria, senza alcuno aiuto esterno?
Propenderei per questa seconda possibile collocazione. 
L'orizzonte mobile del titolo è l'evanescenza del concetto stesso di orizzonte quando si raggiungono i luoghi più estremi ed interni dell'Antartide, poiché in prossimità del Polo Sud geografico basta spostarsi di pochi chilometri in direzione est o ovest per cambiare fuso orario, sicché percorrendo una distanza lineare di poche decine di chilometri si può andare avanti di un intero giorno o all'indietro di altrettanto.

 

(dal risguardo di copertina) Un uomo in viaggio verso il "più profondo e radicale dei Sud", L'Antartide. Da Santiago del Cile a Punta Arenas e poi sempre più giù, sopra "un altro pianeta, un corpo celeste abitato da milioni di pinguini, impacciati ed impeccabili marziani". Esplorando un gelido Meridione che conserva nei suoi ghiacci le storie di chi l'ha abitato, di chi ha cercato di raggiungerlo: uomini avventurosi dal destino spesso tragico ed emblematico che si sono spinti  fin dentro quel cuore di tenebra abbacinante.
Mentre narra la propria spedizione antartica, Daniele Del Giudice ripercorre i taccuini di quelle coraggiose spedizioni altrimenti sconosciute ai più, con naufragi, navi imprigionate mesi e mesi tra i ghiacci, equipaggi indomiti, marinai sull'orlo della disperazione o annientati dalla follia: sono gli ultimi veri racconti d'avventura, che hanno fissato il mito e la memoria di questa Terra Incognita. 
Con un lavoro di intarsio, al confine tra vita e letteratura, l'autore ricostruisce una "iper-spedizione" che collega fra loro episodi di viaggi storicamente realizzati, ripercorrendoli sui sentieri del mondo e su quelli della scrittura. Giocando sulla diversità delle prospettive e delle voci, ci offre un "orizzonte mobile" nello spazio e nel tempo ma stabile e duraturo nei sentimenti che suscita. 
Un viaggio fuori dal tempo, dentro un paesaggio ipnotico e indifferente all'uomo, di sublime bellezza: dal giallo ocra delle pampas ai ghiacciai che colano in acqua, tra cime rocciose, nevi eterne e precipizi. Davanti agli occhi, un orizzonte di ghiaccio e luce, sempre sfuggevole. Sono luoghi, storie, giorni, anni, ere geologiche che resistono alla prospettiva lineare del semplice raccontare. Una millenaria geometria naturale che ogni cosa stratifica, ogni memoria cristallizza. Un mondo simultaneo di cui questo libro è il canto.

 

Daniele Del Giudice

L'autore. Daniele Del Giudice (Roma, 11 luglio 1949 - Venezia, 2 settembre 2021) è stato uno scrittore italiano. Ha esordito con Lo stadio di Wimbledon (1983), che narra l’inquieta ricerca di un giovane intorno alla vita − e al silenzio − dello scrittore triestino Bobi Balzen. L’avventura della percezione, nell’impegno di «vedere oltre la forma» e tracciare una mappa del mistero della creazione, è il tema dominante dei romanzi successivi (Atlante occidentale, 1985; Staccando l’ombra da terra, 1994), dei racconti (Mania, 1997, premio Grinzane) e della raccolta di scritti In questa luce (2013), sorta di autobiografia intellettuale.
Da ricordare anche il saggio Nel segno della parola, scritto con Umberto Eco e Gianfranco Ravasi (BUR 2005) e questo Orizzonte mobile (2009)

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16 dicembre 2022 5 16 /12 /dicembre /2022 10:29
Michael Connelly, La stella del deserto, Piemme, 2022

Harry Bosch, l'investigatore del LAPD creato da Michael Connelly, è da sempre ossessionato dai casi freddi (cioè dai casi irrisolti, quelli che reclamano giustizia). E questo gli appassionati lettori delle sue avventure lo sanno bene.
Bosch è in pensione da molti anni, come sappiamo dalle precedenti indagini,. E' stato per qualche tempo a riposo dopo un ultimo caso risolto assieme a Renée Ballard, in cui lui aveva agito da outsider, in un certo senso.
In questo ultimo romanzo -  La stella del deserto (Desert Star, nella traduzione di A. Colitto), Piemme, 2022 - proprio da Ballard viene chiamato a far parte, da volontario (ma assolutamente competente per via del suo bagaglio di esperienze pregresse, di tutta una vita) di una neo-costituita Unità per la risoluzione dei casi freddi del LAPD.
Niente di meglio per Harry Bosch.
La sensazione è che in queste circostanze Harry, mentre segue con rinnovato vigore le sue piste, si prepari al suo canto del cigno e al definitivo commiato dalle persone che ha care nel suo universo letterario, ma anche dai suoi lettori.
D'altra parte, tutti i suoi appassionati che lo hanno visto invecchiare nel corso del tempo sanno che Bosch non è eterno e che prima o poi dovrà uscire di scena. Ancora non sappiamo dove e quando, ma - almeno io - nelle ultime pagine di questo romanzo ho sentito il sapore di una fine imminente.
Comunque, proprio grazie all'apporto di Bosch (talvolta - come spesso gli capita - anticonvenzionale) la neo-nata unità per i casi irrisolti farà letteralmente faville.
Chi sa se rivedremo Bosch in un prossimo romanzo o se la sua eredità non sarà raccolta per intero da Renée Ballard e dalla figlia di Bosch, Maddie, che ha deciso di seguire le orme del padre?
In ogni caso, anche se Bosch dovesse lasciarci (e prima o poi ciò dovrà accadere, inevitabilmente), Ballard e Maddie - in quanto personaggi emergenti - saranno espressione di quanto egli abbia seminato bene, trasmettendo loro la sua esperienza, ma anche i semi della sua ossessione per il trionfo della giustizia e nel non lasciare dimenticate le vittime degli omicidi irrisolti.

(Risguardo di copertina) Un'intera famiglia sterminata. Un assassino a piede libero. Un vecchio caso che ossessiona Harry Bosch. E che potrà risolvere solo grazie a una persona: Renée Ballard. Non si può dire che il rapporto di Renée Ballard con il Los Angeles Police Department, meglio noto come LAPD, sia sempre stato rose e fiori. Tutt'altro. Troppa misoginia a rovinare le sue possibilità di carriera, troppe lungaggini burocratiche a rallentare i casi: e infatti, impaziente e determinata com'è, da un anno ormai Renée ha lasciato la polizia. Ma certi amori non finiscono: e quindi ecco che, di fronte alla possibilità di diventare capo di una nuova unità all'interno del LAPD, Ballard non può che riprendere in mano badge e pistola, chiamata a ricostruire dalle fondamenta la vecchia squadra che si occupava di casi freddi, ribattezzata Unità Crimini Irrisolti e rimessa a nuovo. E quando si tratta di crimini irrisolti, con chi lavorare se non con il migliore? Harry Bosch , ormai detective freelance, è già alle prese con uno di questi omicidi: quello di un'intera famiglia, perpetrato da uno psicopatico che da anni ha fatto perdere le sue tracce.
 

Hanno detto
«Ballard & Bosch - due poliziotti, due outsider con un passato difficile - formano una coppia perfetta.» - Publishers Weekly

 

Michael Connelly

L'autore. Michael Connelly, nato nel 1956, a Filadelfia (Pennsylvania), è uno scrittore statunitense di thriller. Laureatosi in ingegneria nel 1980 comincia a lavorare presso la redazione di alcuni giornali. Nel 1986 produce un reportage insieme ad altri due giornalisti, intervistando i sopravvissuti di un disastro aereo. Il loro lavoro viene candidato per il Premio Pulitzer. In seguito a questa esperienza Connelly trova impiego come giornalista criminologo al «Los Angeles Times». Aveva deciso di diventare scrittore di thriller già ai tempi dell'università dopo avere scoperto i romanzi di Raymond Chandler e ha sfruttato gli anni passati da giornalista per studiare da vicino il lavoro della polizia e lo svilupparsi delle indagini che seguivano i delitti di cui si occupava. Vincitore del Premio Bancarella nel 2000 con Il ragno, la maggior parte dei suoi libri riguarda le indagini di un detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, Hieronymus "Harry" Bosch: il suo nome è lo stesso del famoso pittore olandese, di cui la madre del detective era affascinata. Connelly è particolarmente attento a far emergere l'evoluzione psicologica del suo protagonista, al di là degli stereotipi narrativi del genere "hard boiled". Molti dei libri di Connelly sono ambientati a Los Angeles.
Dal libro Debito di sangue è stato tratto l'omonimo film diretto da Clint Eastwood. Con molta ironia lo scrittore, in un romanzo successivo Il buio oltre la notte, ha fatto commentare causticamente il film ai suoi stessi personaggi, in un piacevole intreccio tra realtà e finzione.
Del 2011 è L'uomo di paglia, mentre la saga relativa a Harry Bosch è giunta al diciannovesimo capitolo con Il lato oscuro dell'addio del 2018.
I suoi libri sono stati tradotti in 31 lingue diverse; in Italia sono stati pubblicati inizialmente da Hobby & Work, e ora sono editi da Piemme.
L'autore è stato insignito nel 2010 del prestigioso Raymond Chandler Award, il premio letterario istituito da Irene Bignardi nel 1996 in collaborazione con il Raymond Chandler Estate dedicato alla scrittura noir. Tra i suoi libri più recenti: Il dio della colpa (2015), La strategia di Bosch (2016), Il passaggio (2017), Il lato oscuro dell'addio (2018), L'ultimo giro della notte (2018), Doppia Verità (Piemme 2019), La notte più lunga (Piemme 2019), La fiamma nel buio (Piemme 2020), La morte è il mio mestiere (Piemme 2020), La legge dell'innocenza (Piemme 2021) e Le ore più buie (Piemme 2022).

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15 dicembre 2022 4 15 /12 /dicembre /2022 13:43
James Flint, Habitus, Tropea

Habitus (nella traduzione di G. Zurlino), opera narrativa prima di James Flint, pubblicata da Tropea Editore (Collana I Marlin) nel 1999, è stato per me una lettura laboriosa e complessa, ma alla fine ce l’ho fatta sa nuotare sino all'ultima riga. A questa lettura sono giunto dopo avere letto il secondo romanzo pubblicato dall'autore che è "52 magie per l'America", sempre proposto da Tropea nel 2004. Quest'ultimo mi piacque e, incuriosito dall'autore, sono andato a cercarmi le altre opere disponibili, imbattendomi appunto in "Habitus".
Direi che si tratti di un romanzo alquanto metafisico (e se vogliamo filosofico), anche se nei cataloghi di libri in vendita online viene rubricato tout court come opera di “fantascienza”, ma in realtà non lo è. L'impostazione filosofica è chiaramente definita dall'epigrafe in capo al testo che è una lunga citazione di Gilles Deleuze, dallo scritto "Differenza e ripetizione", proprio su una possibile definizione filosofica di "abitudine".
Scritto alla fine degli anni Novanta racconta di tre vite (quelle di Jennifer, di Judd e di Joel) che si intrecciano tra di loro generandone una quarta, una bambina dotata di due diversi cuori, come due sono i suoi padri, Emma, che sin da subito appare dotata di poteri psichici straordinari tanto da dover crescere da reclusa nello stesso ospedale in cui è stata partorita. 
Emma con queste doti straordinarie porta Jennifer, Judd e Joel a convergere verso di lei per l’attuazione di un evento straordinario.
Altro personaggio chiave della narrazione è la cagnetta Lajka, che ha il primato triste di essere stata il primo mammifero ad orbitare attorno alla Terra (in realtà, mori quasi subito, il 3 novembre 1957, e - a casa di ciò l'esperimento venne trasformato in una grottesca messinscena per far credere al mondo che la cagnetta avesse effettivamente orbitato attorno alla Terra) e che l’autore immagina perennemente in orbita attorno alla Terra sino ai fatti da lui narrati e poi per sempre in connessione con la Rete, grazie agli straordinari eventi in cui convergono le vite dei tre personaggi principali.
La narrazione che si snoda su questi diversi piani é fantasmagorica: Judd e Joel, ciascuno per motivi diversi coltivano la possibilità di tradurre tutto in dati allo scopo, il primo, di potere azzeccare le giuste combinazioni nel lancio dei dadi e in altri giochi d’azzardo e il secondo, attraverso una follia combinatoria sempre più incalzante, di immettere nella rete tutto l’universo (attraverso la registrazione di ogni tipo di misurazione) e di potere creare così facendo un golem cibernetico, mescolando assieme i dati della scienza, delle sue capacità di calcolo e di speculazione con la Cabala e altre culture esoteriche ebraiche.
Alla fine, tutti quanti si dissolveranno per trasformarsi attraverso la rete è le sue iperconnessioni in un sovraorgamismo che finirà con il pervadere di Sè tutto il mondo sensibile e che, attraverso il contatto con la cagnetta Lajka (che funge da super-modem e da connettore) si estenderà anche allo Spazio intero.
Il finale mi ha molto fatto pensare a quello di Lucy, uno degli ultimi film di Luc Besson (2014) e all’architettura narrativa del coevo Transcendence (Wally Pfister, 2014, USA).
Per questi aspetti lo si potrebbe anche considerare un romanzo "cibernetico", certamente accostabile al filone "cyberpunk", inaugurato da William Gibson e da Bruce Sterling, anche se qui siamo di fornte ad un'elaborazione che è fondamentalmente filosofica con qualche derivazione misticheggiante.

(Sinossi) Nel 1957 i russi lanciano nello spazio la cagnetta Laika. Nel 1960, Jennifer Several  nasce nell’ospedale psichiatrico di Stratford-upon-Avon, dove è stata internata la madre. Tredici anni dopo, la vivace ragazzina sedurrà prima Judd Axelrod, figlio di un nero arrivato ai vertici dell'IBM e di una starlet di Hollywood, e, poco tempo dopo, Joel Kuge, ebreo osservante e genio matematico.
Nessuno dei tre può nemmeno lontanamente immaginare le conseguenze di quegli attimi di passione. Judd verrà consegnato alla mercé di un inquietante psicoanalista, il dottor Schemata, al quale riuscirà a sfuggire solo grazie al suo speciale talento per il gioco d'azzardo. Joel, d'altra parte, comincerà a coltivare ossessivamente l'idea di creare un supercomputer capace di spiegare le cause dell'Olocausto ed escogiterà teorie sempre più bislacche. Intanto Jennifer darà alla luce una bambina che ha due padri (di fatto, un super-bambino con doppio corredo genetico). Sopra tutti loro la cagnetta Lajka continua ad orbitare intorno alla terra, nutrendosi del flusso di informazioni mediatiche che il pianeta produce ininterrottamente. 
Le vicende di questi tre personaggi si intrecciano con un'indagine irriverente della rivoluzione digitale e dei legami tra la conquista dello spazio, la matematica, la genetica e il gioco d'azzardo in un romanzo che trabocca d'erudizione e di humour.
Attraverso una straordinaria capacità inventiva che incuriosisce e coinvolge, Habitus racconta le nostre relazioni con le macchine che creiamo e con la storia che ha creato noi. 
Da Stratford-on-Avon a Cambridge, da Las Vegas alla Svizzera, attraverso la storia e le ossessioni dei suoi personaggi, Flint ci porta in un romanzo-affresco traboccante di umorismo ed erudizione, e insieme satira della rivoluzione tecnologica, affascinante esplorazione della corsa allo spazio, matematica, giochi e visione filosofica delle macchine che abbiamo creato come della storia che ci ha portato ad essere quello che siamo noi. Una lettura-avventura mozzafiato del mondo contemporaneo!


 

James Flint

"Un genio matematico, esperto di cabala, un ragazzo con il gioco d'azzardo nel sangue, una ragazzina che li seduce entrambi sotto lo sguardo vigile di Lajka, la cagnetta spaziale. Una storia d'amore, all'epoca delle tecnologie avanzate."

L'autore. Nato nel 1968, James Flint è cresciuto nella campagna inglese immerso nel mondo dei fumetti, della fantascienza e dei computer. Piccoli lavori, tour mondiale e studi a Oxford ma il giovane James preferisce le ragazze, l'hashish e il sassofono. Dopo un soggiorno negli Stati Uniti e un dottorato all'Università di Warwick, ora lavora per The Independent e la rivista Mute. Habitus è stato il suo primo romanzo.

(wikipedia) Abito, dal latino habitus, che traduce il termine greco aristotelico héxis, può significare un modo di essere, comportamento, disposizione. Il termine abito implica quello derivato e connesso di abitudine a sua volta collegato a carattere.

La derivazione primitiva del termine è échein che vuol dire possedere: in relazione a questo significato si ha

  • in senso transitivo come il possedere qualcosa coincide con la categoria dell'avere aristotelica. Inteso come avere una forma è il contrario di stéresis, privazione
  • in senso intransitivo, riflessivo, l'abito è un modo di essere (in greco antico houtòs échein, possedersi, stare, comportarsi in un certo modo).

In questo secondo senso assume il significato di comportamento che dura nel tempo, una reazione costante di fronte a qualcosa: per esempio reagire bene o male di fronte all'insorgere di passioni. 
In questo secondo caso il termine più specifico è quello di disposizione (diàthesis), intendendo l'abito come una caratteristica costante che resiste ai cambiamenti come ad esempio il sapere o la virtù al contrario ad esempio della malattia o del piacere che invece sono comportamenti discontinui e passeggeri. 

Mentre gli abiti che riguardano la ragione, ad esempio le scienze, si acquisiscono con il tempo tramite l'insegnamento e l'esperienza, gli abiti che si riferiscono alla pratica, alle azioni concrete, si determinano tramite l'abitudine.

L'abitudine (ἔθος, èthos) è dunque l'attività pratica di un individuo con un determinato abito. Vale a dire il modo di comportarsi di un individuo a seconda del suo carattere (ἔθος, èthos)
In questo senso l'individuo agisce secondo un'abitudine, sostiene Aristotele, che non vuol dire conformarsi alla natura, come accade con la sensazione, né contro la natura, come avviene con la violenza ma il carattere «è cosa simile alla natura», poiché tramite la ripetizione continua di comportamenti porta in noi alla luce delle caratteristiche naturali che possediamo in potenza, trasformandole in attuali abiti costanti, quasi in una «seconda natura», una natura acquisita.

Abitudine è anche sinonimo di consuetudine (ἔθος, èthos) o familiarità (synetheia) intesa come dimestichezza formatasi dopo ripetute abituali esperienze.

La condotta consuetudinaria e abituale di un individuo, secondo il suo carattere, genera quindi l'etica, un comportamento morale individuale ripetuto e costante.

In sociologia l'habitus è la condivisione di uno spazio sociale che permette di avere una medesima percezione delle pratiche sociali tra i componenti di una società. Aristotele lo chiamava hexis tradotto poi nel latino habitus. L'Habitus costituisce un "Sistema di disposizioni durabili e trasferibili, Strutture Strutturate, predisposte a funzionare come Strutture Strutturanti" per la maggior parte di natura inconscia. Pierre Bourdieu, per habitus, intende la chiave della riproduzione culturale, essendo strettamente collegato alla struttura di gruppo sociale (classe, fede religiosa, etnia, livello di istruzione, professione, e via dicendo), è in grado di generare comportamenti regolari che condizionano la vita sociale. Per lui, l'Habitus è il principio generatore e unificatore che ritraduce le caratteristiche intrinseche e relazionali di una posizione, in uno stile di vita unitario, ossia un insieme unitario di persone, beni e pratiche. Gli Habitus sono differenziati ma anche differenzianti. Sono, dunque, anche operatori di distinzione: mettono in atto principi di differenziazione differenti o utilizzano diversamente i principi di differenziazione comuni. Egli lo paragona a un programma auto-correggibile.

Lo stile personale, quel particolare stampo che marchia tutti i prodotti dello stesso habitus, sia nel comportamento sia nel lavoro, non è nulla di più di una deviazione rispetto allo stile di un determinato periodo o di una classe.

 

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14 dicembre 2022 3 14 /12 /dicembre /2022 07:55
Guillaume Musso, La ragazza di carta, Sperling&Kupfer

I romanzi di Guillaume Musso si presentano sempre come un miscuglio inestricabile di realtà e finzione, parte di essi sono costruiti usando materiali miscellanei come ad esempio false notizie di giornale attraverso le quali vengono presentati i suoi personaggi, come se fossero veri e vivessero nella realtà, salvo poi a scoprire che si tratta di artefatti letterari e viceversa.
Da questo punto di vista i suoi romanzi (io delle sue numerose opere già presenti in lingua italiana ne ho già lette quattro con questo), si presentano come dei veri e propri rompicapo oppure come un cubo di Rubik: soltanto alla fine il lettore assiduo potrà il vero bandolo della matassa, quello che consentirà di trovare una spiegazione logica all'artefatto che il lettore e i personaggi si sono trovati a sperimentare.
Allora tutto, per magia, si ricompone con una rivelazione finale: ad alcuni queste elaborate costruzioni potranno anche non piacere. Posso comprenderlo, perché quello che a me appare evidente è che, nell'autore, vi sia un deciso amore per la costruzione, più che per il contenuto.
Per questo stesso motivo, di rado vi è un unico personaggio principale, solitamente ve n'è più di uno e la narrazione si sposta continuamente dall'uno all'altro, talvolta per mostrare al lettore la stessa azione già narrata vista attraverso punti punti di osservazione differenti.
Ne "La ragazza di Carta" (nella traduzione di Laura Serra), edita nel 2013 da Sperling&Kupfer, addirittura, ci confrontiamo con uno scrittore di successo in crisi creativa a causa di problemi esistenziali che, improvvisamente si trova a doversi confrontare - prima con incredulità, poi con un coinvolgimento emozionale via via crescente - con uno dei suoi personaggi che sembra essere letteralmente scivolato fuori dalla pagina scritta, la "ragazza di carta" del titolo, appunto.
A me è piaciuto. C'è da dire che i romanzi di Musso sembrano far parte tutti di un'unica grande tessitura narrativa, che dà al lettore che vi si accosta la stessa impressione di un'enorme arazzo, affollato di personaggi e di storie. Quando si legge uno dei romanzi, ci si ritrova a guardare soltanto una parte dell'arazzo, ma tutto il resto rimane sulla sfondo e supporta con il suo ordito, la parte che stiamo esaminando. Poi, quando si passa ad un romanzo differente dello stesso Musso, l'impressione è che si rimane sempre dentro quell'arazzo, anche se in una sua porzione diversa.

 


(Quarta di copertina) In piena crisi di ispirazione, solo e senza un soldo, lo scrittore Tom Boyde non riesce a terminare il suo ultimo romanzo. Proprio quando tutto sembra perduto, nella sua vita entra Billie. Misteriosa e bellissima, compare all'improvviso in una notte di pioggia, con una storia incredibile da raccontare. Gli dice infatti di essere la protagonista del suo romanzo, caduta nel mondo reale da una frase che lui ha lasciato in sospeso. Se ora Tom non riprenderà a scrivere, lei morirà. Sembra assurdo, eppure... Eppure, Tom le crede. Perché è già follemente innamorato. Insieme Billie e Tom affronteranno un'avventura straordinaria, in cui nulla è ciò che sembra. E scopriranno che la vita, a volte, può essere un gioco pericoloso...

 

Guillaume Musso

L'autore. Guillaume Musso, romanziere francese. Figlio di una bibliotecaria da cui ha ereditato l’amore per i libri, scrive di notte, nei fine settimana oppure in treno, mentre si reca a Parigi dalla compagna.
Il suo romanzo d’esordio L’uomo che credeva di non avere più tempo (Sonzogno, 2005) è un bestseller internazionale, e altrettanto successo ha avuto La donna che non poteva essere qui (Sonzogno, 2006).
Ha pubblicato diversi altri romanzi, dei quali si citano: Chi ama torna sempre indietro (Sonzogno, 2007), Quando si ama non scende mai la notte (Rizzoli, 2008), La ragazza di carta (Sperling & Kupfer, 2011), Il richiamo dell'angelo (Sperling & Kupfer, 2012), Sette anni senza di te (Sperling & Kupfer, 2013), Aspettando domani (Sperling & Kupfer, 2014), Central Park (Bompiani, 2015), La ragazza di Brooklyn (La nave di Teseo, 2016), Un appartamento a Parigi (La nave di Teseo, 2017), L'istante presente (La nave di Teseo, 2019).

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11 dicembre 2022 7 11 /12 /dicembre /2022 11:40
AA, Decameron Project, NNE, 2021

A quanto pare, all'esordio della pandemia, una scrittrice, Rivka Galchen, (già pubblicata in traduzione italiana con due opere da Piemme e da Einaudi) si è rivolta al New York Times Magazine, con l'intenzione di consigliare ai lettori il Decameron di Boccaccio, per fornire loro uno strumento narrativo che fosse utile a superare le ristrettezze e le ansietà del primo lockdown. L'idea ha entusiasmato la redazione del New York Times Magazine, i cui redattori si sono chiesti: perché non creare un Decameron del XXI secolo con racconti originali, scritti durante la quarantena?
Ed è stato così che si è creato un movimento di richieste ad autori di tutto il mondo perché producessero, ciascuno, un racconto assolutamente inedito. Ed è così che è nata questa antologia contenente 29 racconti, provenienti un po' da tutti gli angoli del pianeta in una sorta di ecumene narrativa. Anche l'Italia vi è rappresentata con un racconto del nostro Paolo Giordano: si tratta di Decameron Project. Ventinove nuovi racconti della pandemia selezionati dagli editor del New York Times Magazine, pubblicato nel 2021 da NNE Editore.
É un'opera che non sfiora, ovviamente, la complessità e l'imponenza di quella di Boccaccio, ma che contiene voci e testimonianze corali relativamente all'impegno mentale ed emozionale indotto dalla pandemia e dalle sue sfide. Non c’è dubbio che i racconti più belli siano quelli in cui non si parla esplicitamente della pandemia, ma dove la si indovina soltanto nella filigrana nella trama narrativa.
Ognuno leggendo questa antologia troverà i suoi racconti preferiti, ma avrà anche modo - come succede con tutte le opere collettive - di conoscere autori di cui mai prima aveva sentito parlare, benché magari fossero già tradotti nella propria lingua.
La mia lettura si è sviluppata nell'arco di tre mesi (dal giugno al settembre 2022), quindi con un ritmo di circa due-tre racconti a settimana.
Comunque lo si voglia giudicare, questo libro rimarrà come un documento vivo e palpitante sui tempi della pandemia. E di ciò si parla ampiamente in un capitolo finale che fa da epilogo al testo.

 

(Risguardo di copertina) Questo libro è per il tempo, che non si è fermato nel 2020: è stato raccontato, si è fatto memoria e sogno, e ha ripreso a scorrere.
Quando la pandemia di Covid-19 è scoppiata, sembrava impossibile da raccontare. Come tradurre, in parole che non fossero pura cronaca, l'angoscia e il senso di impotenza, la paura e il dolore del mondo intero? Eppure, era già accaduto in passato: lo aveva fatto Giovanni Boccaccio nel Decameron, una raccolta di novelle scritte durante l'epidemia di peste che nel Trecento aveva colpito tutta l'Europa. Quasi settecento anni dopo, nel marzo 2020 gli editor del New York Times Magazine hanno raccolto quell'eredità e lanciato il Decameron Project, e grandi autori come Margaret Atwood, Edwidge Danticat, Charles Yu, Paolo Giordano, Liz Moore e Yiyun Li hanno deciso di mandare le loro parole oltre i confini delle proprie case, oltre lo specchio del proprio mondo. Le loro storie non parlano della pandemia, ma ne sono intrise; non spiegano, ma evocano con accenti, stili, lingue diverse le convivenze forzate e le solitudini, le piccole allegrie e le grandi nostalgie, le città improvvisamente spente e le strade che diventano miraggi di libertà. Sono testimonianze di un tempo straordinario, lo sguardo di un'umanità unita dagli stessi pensieri e sentimenti, in grado di costruire una memoria comune e una comune visione del domani.
"Questo libro è per il tempo, che non si è fermato nel 2020: è stato raccontato, si è fatto memoria e sogno, e ha ripreso a scorrere".

 

Hanno detto:
«In queste ventinove scene c'è tutto ciò che proviamo. Ci sono lo sconcerto, l'incredulità, la solitudine, il timore che chi ci circonda e persino i nostri cari si facciano veicolo del contagio, lo sguardo da nostalgici voyeur alle nostre vite "di prima" e alle vie degli altri che ci paiono, persino ora, più desiderabili e perfette grazie al filtro Gingham di Instagram. Ma c'è pure qualcos'altro, che solo l'arte ci regala. Il distacco dalla cronaca minuta, unico orizzonte rimasto alle nostre giornate, e il vero esercizio di guardarsi dentro» - Lara Crinò, Robinson
«I racconti, presi nel loro insieme, trasmettono una strana sensazione rassicurante, che si potrebbe sintetizzare così: qualunque cosa io stia passando in questa pandemia, mi trovo nella stessa situazione di tutti gli altri abitanti della Terra. Forse perché si fonda su una sorta di salto empatico la narrativa può ottenere questo effetto in un modo che è precluso al giornalismo» - Kevin Power, Irish Independent

 


Racconti di: Margaret Atwood, Mona Awad, Matthew Baker, Mia Couto, Edwidge Danticat, Esi Edugyan, Julián Fuks, Paolo Giordano, Uzodinma Iweala, Etgar Keret, Rachel Kushner, Laila Lalami, Victor LaValle, Yiyun Li, Dinaw Mengestu, David Mitchell, Liz Moore, Dina Nayeri, Téa Obreht, Andrew O'Hagan, Tommy Orange, Karen Russell, Kamila Shamsie, Leïla Slimani, Rivers Solomon, Colm Tóibín, John Wray, Charles Yu, Alejandro Zambra
Traduzioni di: Ada Arduino, Chiara Baffa, Katia Bagnoli, Stefano Bortolussi, Guido Calza, Giuseppina Cavallo, Gaja Cenciarelli, Fabio Cremonesi, Serena Daniele, Velia February, Giovanna Granato, Gioia Guerzoni, Maria Nicola, Laura Noulian, Silvia Rota Sperti, Alessandra Scomponi, Sara Sullam.

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8 dicembre 2022 4 08 /12 /dicembre /2022 09:07
L'inizio della lettura di Pelle di Foca (selfie di Maurizio Crispi)

Pelle di foca (titolo originale: Sealskin, nella traduzione di S. Castoldi) di Su Bristow e pubblicato Edizioni e/o, nel 2019, è un romanzo fondato su un'antica e radicata leggenda scozzese e ne possiede intatta l'ossatura (si veda in calce al post). 
Secondo la versione più comune di tale leggenda, le selkie una volta all'anno, in occasione della luna piena, questi esseri fantastici possono dismettere la loro pelle di foca per danzare nude nella luce della luna. Ed è in questa condizione che possono essere catturate da un uomo, poiché private della pelle di foca non possono mettersi in salvo in mare. 
Se una selkie in forma umana si attarda rispetto alle altre può essere sedotta da un umano e a quel punto rimarrà con lui e gli darà dei figli, rimanendo tuttavia con la segreta nostalgia per il mare perduto sepolta in fondo al suo cuore.
Le selkie in forma umana acquisiscono rapidamente tutte le competenze per vivere tra gli umani, ma nello stesso tempo conservano delle qualità che attengono alla loro vera natura, come ad esempio una speciale capacità empatica o quella anche di produrre delle guarigioni con il tocco della propria mano.
Se dovessero ritrovare la pelle perduta e tornare in mare, però sarebbe a loro preclusa di tornare a terra, dismettendo di nuovo la propria pelle.
Questa è, in sostanza, la storia che la brava scrittrice sviluppa nel proprio romanzo. Donald, pescatore di un piccolo villaggio della Scozia, irretisce una selkie e la porta con sé, dopo aver nascosto la sua pelle di foca. 
Mairhi (assumerà questo nome) viene accolta dalla comunità che rimane ignara della sua natura, impara tutte le consuetudini umane, apprende il linguaggio, acquisisce delle competenze, genera due figli. 
C'è tutta la storia di una piccola comunità chiusa e della rete di relazioni che si intersecano, mentre un individuo "altro" viene progressivamente accolto, con il superamento di sospetti e di pregiudizi.
Sarà una vita felice quella di Mairhi e di Donald, anche se lui e la madre saranno sempre oberati dal senso di colpa per non aver dato a Mairhi alcuna possibilità di scelta tra il rimanere umana e il tornare ad essere foca. E tutto questo sino ad un inaspettato finale che è in fondo una forma di emendamento rispetto alla colpa originaria.
E' stata decisamente una bella lettura e mi sento di consigliarla.
Una lettura lenta che ho assaporato nel corso dei mesi.

 

Questo romanzo è il centesimo libro letto per intero nel corso del 2022



(Risguardo di copertina) Questa commovente storia d’amore è ispirata a una tradizionale leggenda scozzese. Donald, un giovane pescatore, si ritrova una notte di colpo sconvolto quando si imbatte in un gruppo di donne dall’aspetto esotico che danzano sulla spiaggia illuminate dalla luce della luna. Si tratta delle selkies, delle foche che una volta l’anno abbandonano la loro pelle animale e diventano umane per poche ore. Sopraffatto dalla loro bellezza e dall’incantesimo, Donald ne rapisce una di nome Mairhi: sarà una decisione che determinerà il suo futuro. Dopo essere tornato a casa nel suo piccolo villaggio scozzese, dovrà assumersi la responsabilità di ciò che ha fatto. Naturalmente l’accoglienza da parte del villaggio di pescatori non sarà semplice e i due innamorati dovranno affrontare molti ostacoli e insidie, mentre lei, pur innamorata di Donald, continuerà a sentire fortissimo il richiamo del mare. Un romanzo che cattura dall’inizio alla fine, una favola senza tempo che ci parla della responsabilità dell’amore e della forza interiore necessaria per redimersi dagli errori.
 

 

Hanno detto
«Il talento dell'autrice sta nella delicatezza di fare della leggenda un canto universale» - Tuttolibri
«Questo romanzo mostra che il cambiamento e la crescita sono possibili, anche ai margini della società
» - Internazionale
«Il romanzo dell’autrice – basato su un amatissimo rito scozzese – va oltre la semplice narrazione fantastica, supera i potenti messaggi della favolistica: l’accettazione del diverso, la forza dei legami familiari, della comunità, della redenzione» - La Lettura

 

Su Bristow

L'autrice. Su Bristow ha vinto l’Exeter Novel Prize per Pelle di foca nel 2013, poi pubblicato in Italia da E/O nel 2019. È un’esperta di medicina erboristica e autrice anche di libri di saggistica e racconti.

 

selkie

(da wikipedia) In Celtic and Norse mythology, selkies (also spelled silkies, sylkies, selchies) or selkie folk (Scots: selkie fowk) meaning 'seal folk'[a] are mythological beings capable of therianthropy, changing from seal to human form by shedding their skin. They are found in folktales and mythology originating from the Northern Isles of Scotland.
The folktales frequently revolve around female selkies being coerced into relationships with humans by someone stealing and hiding their sealskin, thus exhibiting the tale motif of the swan maiden type.
There are counterparts in Faroese and Icelandic folklore that speak of seal-women and seal-skin.
The Scots language word selkie is diminutive for selch which strictly speaking means 'grey seal' (Halichoerus grypus). Alternate spellings for the diminutive include: selky, seilkie, sejlki, silkie, silkey, saelkie, sylkie.
A typical folk-tale is that of a man who steals a female selkie's skin, finds her naked on the sea shore, and compels her to become his wife. But the wife will spend her time in captivity longing for the sea, her true home, and will often be seen gazing longingly at the ocean. She may bear several children by her human husband, but once she discovers her skin, she will immediately return to the sea and abandon the children she loved. Sometimes, one of her children discovers or knows the whereabouts of the skin. Sometimes it is revealed she already had a first husband of her own kind. Although in some children's story versions, the selkie revisits her family on land once a year, in the typical folktale she is never seen again by them. In one version, the selkie wife was never seen again (at least in human form) by the family, but the children would witness a large seal approach them and "greet" them plaintively.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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