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22 aprile 2016 5 22 /04 /aprile /2016 00:22
Dio benedica il Capitano Vere! Un film e un romanzo che sono rimasti vividamente impressi nella mia memoria

"La Storia di Billy Budd, gabbiere di parrocchetto" (romanzo postumo di Herman Melville), nell'edizione italiana per i tipi di Bompiani, con prefazione pregevole di Eugenio Montale, autore altresì della traduzione), è per me un libro importante per me, quasi cult.
Quando ero appena decenne mio padre mi portò a vedere il film in bianco nero che ne era stato tratto (1962), con Terence Stamp nella parte di Billy Budd e Peter Ustinov (peraltro anche regista del film) nei panni del Capitano Vere.
Il poster del film (1962), Billy Budd, diretto da Peter UstinovIo, pur piccolo, rimasi molto colpito dalla scena finale con l'impiccagione di Billy Budd che a me parve vittima di un'ingiustizia e assurto al ruolo di santo..
Quando tornammo a casa, papà prese dalla libreria la copia del romanzo e mi lesse ad alta voce la parte di uno dei capitoli finali in cui si raccontava lo stesso fatto, con il suo climax emozionale quando Billy Budd, prima dell'esecuzione comminata per il suo delitto (ma impropriamente nel flusso narrativo melvilliano, poichè il capitano vere prima di decidere ciò, avrebbe dovuto consultarsi con un Ammiraglio in rispetto delle regole vigenti) grida davanti a tutto all'equipaggio e agli ufficiali e sottufficiali schierati: "Dio benedica il capitano Vere".
Billy Budd é una sorta di presenza angelicata (che secondo alcuni interpreti del testo melvilliano rappresenta la forza della natura che, in quanto tale, non può integrarsi nel mondo degli uomini), piombato nel rude mondo della marineria militare britannica, gentile e affabile con tutti, benvoluto e capace, pronto ad accollarsi qualsiasi compito gli fosse richiesto tanto che il capitano Vere pensava di promuoverlo presto ad un rango superiore per sfruttare al meglio le sue capacità.
Benvoluto da tutti, fuorché dal cupo e luttuoso Maestro d'armi di fortuna John Claggart che prende ad angariarlo e a stargli addosso (si direbbe oggi a mobbizzarlo), fintantoché all'ennesima provocazione Billy Budd reagisce e lo colpisce, uccidendolo (un omicidio preterintenzionale, si direbbe oggi secondo il linguaggio giuridico), ma siccome tra l'equipaggio della nave da guerra serpeggiavano malumori che erano giunti all'orecchio degli ufficiali, Billy Budd per via di quel gesto, psicologicamente motivato, viene accusato non solo di insubordinazione e di omicidio, ma anche di tentativo di ammutinamento, come se il suo gesto fosse stato espressione di una rivolta che covava ancora senza aver avuto ancora palesi manifestazioni.
Una storia che Melville trasse da un libello che circolava ancora ai suoi tempi e che raccontava questo episodio "vero", in cui Billy Budd diveniva una sorta di Cristo redivivo che veniva impiccato per via dei peccati commessi da altri e che, tuttavia, perdonava il suo giustiziere e lo assolveva chiedendo per lui la benedizione di Dio.
Il film e quel libro da cui papà mi lesse il punto più alto, mi rimasero impresse ed ebbero per me un potente influsso formativo.
Questo volume di cui vedete la copertina è uno dei libri che mi sono più cari e di dà i brividi pensare che papà e mamma, pur con le loro magre risorse, in tempo di guerra continuavano a comprare e a leggere romanzi che poi costituirono il nucleo iniziale della loro biblioteca di narrativa.
E, attraverso questo piccolo episodio, non possa fare altro che ribadire quanto sia stata importante l'azione continua di mio padre nell'mpliare i miei orizzonti, nelforgiarmi lasciandomi però libero di seguire i miei percorsi e di ammpliare i miei orizzonti, facendomi sempre vedere qualcosa "al di là", con la grande lezione di vita che la curiosità e la voglia di sapere devono essere alla base di tutto il nostro operare.
Ed ecco di seguito il brano topico, quello che mio padre mi lesse al nostro ritorno a casa. E ricordo quella lettura vividamente, come fosse ieri, con le inflessioni di voce opportunamente modulate da papà per rendere bene tutto il pathos della scena.

 

Una volta, in alto mare, l'impiccagione di un marinaio era fatta generalmente sul pennone di trinchetto. Nel caso presente, per particolari motivi, era stato prescelto l'albero maestro. Assistito dal cappellano il prigioniero fu condotto sotto un pennone di quest'albero. Fu osservato allora, e commentato più tardi, che l'ottimo uomo in questa scena finale non perdette tempo nelle formalità di rito. Scambiò alcune parole col condannato, ma l'autentico Vangelo era piuttosto nell'aspetto e nelle maniere che nella sua lingua. Gli ultimi preparativi furono condotti innanzi rapidamente da due nostromi e l'esecuzione stava per compiersi. Billy era in piedi col viso rivolto a poppavia. Al momento estremo le sue sole parole, pronunciate senza alcun impedimento, furono queste: "Dio benedica il capitano Vere". Tali sillabe, così inattese da parte di un uomo che aveva il vergognoso laccio attorno al collo; questa benedizione di un convinto di fellonia mandata verso i posti d’onore e detta con l’accento melodiosodi un uccello che sta per spiccarsi dal ramo, ebbe un effetto formidabile, accresciuto anche dalla rara bellezza del giovane marinaio, fatta più spirituale dalle ultime e sì cocenti esperienze.
enza volere, come se la gente della nave fosse il veicolo di una corrente elettrica, con un sola vocedall’aalto e dal basso, un grido si levò: “Dio benedica il capitano Vere”. E in quell’istante Billy dovette essere in tutti i cuori come già era in tutti gli occhi. (p.182-183)

Herman Melville, La storia di Billy Budd, Bompiani, 1942

Il testomelvilliano è stato oggetto di una trasposizione in opera lirica (arrangiamento musicale su libretto di Edward Morgan Forster e Eric Crozier) da parte di Benjamin Britten.

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20 aprile 2016 3 20 /04 /aprile /2016 16:54
Fratelli al cinema 3D

Fratelli al cinema 3D

A volte, mio fratello era davvero burbero e intrattabile.
Su alcune questioni si irrigidiva e non c'era verso di discutere e di ragionare.
Dopo la morte della mamma, abbiamo avuto un grande riavvicinamento e vissuto degli splendidi momenti assieme, anche se - a volte -  per le ragioni enunciate si determinanavano delle incomprensioni.
Salvatore, in maniera ancora più marcata dopo la morte della mamma, avrebbe voluto vivere una vita da anacoreta spartano, soprattutto per quanto riguardava òl'alimentazione.
Si creavano dei conflitti. Io mi sentivo responsabilizzato sorvegliare che si alimentasse in maniera adeguata, mentre lui cercava di tenere fede con caparbietà alla sua decisione.
Spesso discutevamo su questa faccenda e litigavamo anche.
Non so perchè fosse così rigido... O meglio lo so. Questa ed altre cose (come l'aderire a decisioni apparentemente irragionevoli) investivano dei campi in cui poteva esercitare la sua volontà di autodeterminazione che, tuttavia, a volte collideva con il principio dell'autoconservazione.
Io mi sentivo in dovere di spingerlo a mangiare, rispettando tuttavia la sua volontà di mangiare poco.
Facevo cucinare giornalmente, ma ero io a dovermene occupare (e tutto ciò che vi era connesso, come fare la spesa, decidere le pietanze etc), perchè a sentir lui era sufficiente mangiare "una patata bollita" a pranzo e a cena.
Condizione fondamentale era che io fossi presente al momento dei pasti, in modo da poter utilizzare dei piccoli trucchi (che poi erano gli stessi che usava la mamma per farlo mangiare un po' di più),

Salvatore CrispiE così andavamo avanti: la mia vita in quel periodo è cambiata molto proprio perchè io subordinavo l'architettura della mia giornata all'esigenza di essere presente ai pasti, mattina e sera.
E così andavamo avanti.
Il prezzo? Qualche lamentela da parte sua, qualche presa di posizione clamorosa, ma poi trovavamo sempre una via di mezzo che fungesse da crinale tra la sua volontà e la mia.
Ma, naturalmente, perchè tutto funzionasse bene era necessario che io fossi presente.
Quando ero in viaggio?
Inevitabilmente le cose cambiavano.
Lo scettro del comando passava pienamente a lui e si doveva fare come diceva a lui, anche se il suo carer aveva in parte appreso i miei metodi e anche lì si trovavano delle soluzioni di compromesso, ma pur sempre in minus rispetto a quando c'ero io.
Nel corso del tempo, Salvatore era forte dimagrito e, da che era robusto e pienotto, pesava quanto un fuscello.
Un'altra cosa su cui si manifestava il suo forte temperamento era quando, avvicinandosi delle ricorrenze che lo riguardavano, come il compleanno e l'onomastico o cert efestività in cui io cercavo di mantenere le consuetudini a cui la mamma teneva, mi proibiva con veemenza di fare qualsiasi cosa per lui e, soprattutto, di convocare amici e parenti per una cena assieme.
Presi ad organizzare degli "eventi" familiari di nascosto: di modo tale che poi la riunione familiare predisposta dovesse risultare una "sorpresa" per lui, davanti alla quale non c'era altre da fare che opporre un buon viso.
Prima di arrivare a questo stratagemma che, poi, a tutti gli effetti era un vero e proprio segreto di Pulcinella, perchè lui capiva tutto, ma - sornione - faceva finta di non sapere e di cascare dalle nuvole, avemmo su questo tema un clamoroso litigio che finì in una manifestazione irata da parte sua e nella mia ritirata, come spesso accadeva in simili circostanze.
Ma fu solo una ritirata strategica, poichè nelle ore successive - dopo una ponderata riflessione - gli scrissi una lettera e gliela feci trovare sul tavolo della sua stanza.
La lesse sicuramente, ma non mi disse mai niente: non parlammo di come accomodare le cose
Ma da allora, dopo la lettera, non ci furono più eclatanti discussioni.
Trovammo un punto di equilibrio e mi lasciò fare.
Eccola di seguito: la propongo adesso, perchè me n'ero dimenticato e mettendo ordine tra le sue cose, l'ho trovata in uno dei cassetti della sua scrivania.
Mi ha commosso il fatto che l'avesse conservata: evidentemente l'aveva letta, ci aveva riflettuto e l'aveva considerata una cosa da conservare, un'importante documento visto che di queste cose non parlavamo mai direttamente (ma più che altro per una lunga consuetudine familiare).

Tutti assieme riuniti in occasione del 90° compleanno della mamma.

Tutti assieme riuniti in occasione del 90° compleanno della mamma.

Caro Tatà,
Con tutto l'affetto che ci lega, non posso assolutamente essere d'accordo con quello che mi hai appena detto, proprio per niente.
Le ricorrenze hanno un senso, proprio perchè in quelle occasioni ci si manifesta reciprocamente l'affetto che si prova e le piccole cose celebrative che si fanno hanno un piccolo costo materiale ed un elevato valore simbolico.
E, proprio per questo, non sono inezie che si possano liquidare per l'esigenza di mantenere (motivati dalle circostanze) uno stile di vita sempre più quaresimale e penitenziale.
Viviamo assieme, consumiamo assieme i nostri pasti e condividiamo molte altre cose.
Io ritengo che le piccole ricorrenze vadano comunque celebrate: altrimenti c'è il rischio che, levando questo e quello, ci si ritrovi a vivere come in una tomba.
In più, ti diro una cosa: queste piccole celebrazioni sono un modo per ricordare nostra madre e farla vivere con noi.
FratelliNegli ultimi tempi, quando non aveva più le forze, mi diceva sempre: "Ricordati che domani è l'onomastico di Salvatore" oppure "Domani è il suo compleanno", "Comprami un regalino per l'onomastico di tuo fratello"!
E proseguiva, esortandomi: "Mi raccomando, pensaci tu che io non posso fare più niente".
Quindi, ricordarci delle ricorrenze e fare non quello che tutti fanno, ma il minimo che si possa fare, come spegnere una candelina oppure mangiare dei dolci e rendere così il giorno un po' più speciale è un modo di ricordare nostra madre e perpetuare la sollecitudine che, in tutti i modi, metteva in atto nei nostri confronti.
Altrimenti, non ha più senso nemmeno ricordarla con una messa mensile.
Quindi, non ti seccherai né ti arrabbierai, se procederemo nel consueto modo. Non fare niente del tutto, come tu chiedi, per me sarebbe tradire la memoria di mamma.
Con un abbraccio
maurizio

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29 marzo 2016 2 29 /03 /marzo /2016 22:37
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina
Quello storico viaggio in Cina

Tra la fine di Marzo e l'inizio di Aprile 1979, quando da pochissimo erano state aperte le frontiere della Cina al turismo internazionale, una comitiva (una delle prime ad essere organizzata partì da Palermo alla volta della Cina. Della comitiva facevano parte la mamma, zio Aldo (il fratello della mamma) e zia Bice (la moglie di quest'ultimo), una loro amica che poi divenne anche amica di mamma, Mariuccia Sirchia e Gianliborio Mazzola (figlio di una collega di scuola della mamma). Forse faceva parte del gruppo anche il mio vecchio professore d'Italiano del Liceo, Sebastiano Bavetta, che a quel tempo doveva essere ormai anzianissimo.
Io e mio fratello convicemmo la mamma a partire: in fondo dalla morte di papà non era ancora mai partita e ci sembrava che l'occasione sarebbe stata davvero unica.
Ci riuscimmo alla fine, smontando molti dei suoi sensi di colpa a lasciarci soli e a fare una deroga a quelli che riteneva fossero dei doveri imprescindibili, specie dopo la morte di nostro padre.
Le dicemmo che ce la saremmo cavata: e lei, ovviamente, predispose tutto con molta puntualità, organizzando perfino - di concerto con la collaboratirce domestica di allora - il menu giornaliero, sicchè ci fosse la certezza inoppugnabile che non saremmo morti di fame.
Io, a quel tempo, avevo da poco concluso il mio servizio militare e vivevo ancora in una condizione di scarso impegno lavorativo e di attesa, con tantissimo tempo libero da occupare nei modi più diversi.
Fu una bella esperienza per la mamma (e per noi che la sera ci davamo ai bagordi organizzando cenettine con Gianfranco e gli altri cugini e loro amici.
Quel viaggio fu un viaggio da veri pioneri nella misteriosa Cina di Mao che, ancora non post-maoista, aveva aperto le porte all'Occidente ma soltanto a comitive guidate e controllabili, grazie all'impiego di guide ufficiali cinesi, affiancate sempre da un occhiuto uomo del regime che controllava strettamente la guida e ciò che diceva ai visitatori e quello che veniva detto loro nel corso di occasionale conversazioni (controllore di regime che aveva anche il compito di limitare il più possibile i contatti tra i viaggiatori e la popolazione locale)..
Visitarono Pechino, Shangai, Nanchino, forse andarono anche sulla Grande Muraglia.
Si fotografarono ripetutamente in classiche foto di gruppo nelle diverse Piazze del Popolo.
Andarono a visitare anche un ospedale di Shangai dove si operano pazienti con malattie tumorali utilizzando come metodo di anestesia l'agopuntura, e di questo furono meravigliati.
Ritornaro raccontando alla fine meraviglie di ciò che avevano visto.
E, per la mamma, questo viaggio rimase impresso come evento memorabile.
E furono davvero tra i primi ad essere in Cina: vero e proprio manipolo di precursori.
Ho trovato di recente un blocchetto di foto a colori (ma un po' sbiadite, quasi ad accrescere l'effetto nostalgia) relative a quel viaggio, mentre mettevo ordine in un cassetto, assieme ad altri ricordi di famiglia, non solo fotografici.

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6 febbraio 2016 6 06 /02 /febbraio /2016 15:46
Tatà mio compagno di transferte sportive

Dopo la morte della mamma, Tatà era sovente mio (o nostro) compagno di spostamenti a seguire le diverse gare in giro per la Sicilia.
Levatacce la mattina, partenza di buon ora.
Poi, lui con molta pazienza e tutto osservando con uno sguardo benevolo e non privo di un pizzico di ironia, aspettava che le sequenze sportive fossero finite.
A volte si intratteneva leggiucchiando il giornale, sistemato alla meno pegggio ad un tavolo traballante di bar.
E, finalmente, si arrivava al momento delle premiazioni: che di solito fotografavo più che altro per dovere, mai per piacere, e che spesso e volentieri diserto.
Era a questo punto che, il più delle volte, andavamo a mangiare un boccone.
Lui non era molto felice di questo, perché - spartano com'era - avrebbe preferito non mangiare del tutto.
Ma, pur brontolando, accettava la mia iniziativa per non scontentarmi.
E, d'altra parte, non mancava mai un bel bicchierozzo di vino che lo faceva stare contento e al quale non diceva mai di no.
E, a punteggiare la giornata, c'era di quando in quando, l'immancabile fumatina.
Quando tornavamo a casa, a fine giornata, non mancava mai di dirmi:"Grazie!".

E queste immagini vengono dalla partecipazione, in qualità di fotografo, al Cofano Trail 2015 (8 febbraio). Guardano ora queste immagini, chi l'avrebbe detto che di lì a poco più di quattro mesi, Tatà ci avrebbe lasciato?

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2 gennaio 2016 6 02 /01 /gennaio /2016 00:25
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà
Capodanno con la neve Palermo, un anno fa: l'ultimo con Tatà

Esattamente un anno fa, alla vigilia di Capodanno, a Palermo, ha nevicato e faceva un freddo intenso (ma non troppo, se no non ci sarebbe stata la neve).
La città e i monti circostanti si sono ricoperti di una coltre bianca e il traffico è andato in tilt.
Molti che avevano prenotato, alla vigilia, veglioni in luogni attorno alla città, hanno dovuto rinunciare o sono rimasti bloccati in itinere perchè la maggior partede delle strade erano rimaste bloccate dalla neve.
Noi siamo andati tutti ad Altavilla dove la neve caduta di fresco ci ha regalato un'insolita cartolina.

Ce ne siamo stati chiusi in casa, godendo del tepore benefico che si sprigionava dal camino e dalla stufa a legna.

Andando via, abbiamo comprato dal pastore che alloggia in un casolare vicino, tuma e ricotta fresche, appena fatte (e c'eranoanche gli agnellini appena nati, ancora malfermi sulle gambe: una tenerezza!)

Tornati in città, la sera, siamo stati a casa, la sera, avvolti da coltri di indumenti per contrastare il freddo intenso e pervasivo.

Abbiamo cenato assieme e abbiamo brindato molto prima di mezzanotte.

E poi ci siamo tutti ritirati a letto al calduccio delle coperte.

Un freddo e bianco Capodanno, quasi da manuale.

E' stato l'ultimo Capodanno che ho passato assieme a Tatà.

Andato via lui, è come se non fosse rimasto nulla.

Soltanto dei bei ricordi

Per quest'anno lo spirito del Natale e del Capodanno non è arrivato...

O, almeno, non è arrivato nello stesso modo.

Speriamo bene nel prossimo anno.

Di seguito, ciò che scrissi, a commento delle foto pubblicate sul mio profilo FB.

L'ultimo giorno dell'anno è stato di tregenda dal punto di vista delle condizioni meteo.
Vento furioso, freddo, poco sopra lo zero, nevischio, grandine, e neve bella e buona.
Insolite condizioni per i Palermitani che di rado vedono nevicare sopra la propria città, più di sovente solo sui monti circostanti (ma anche in questo caso, non più di una volta all'anno).
Ma questa volta la situazione è stata seria e ha trovato tutti impreparati: incollonamenti di auto ed ingorghi a tutto spiano
Non parliamo poi del ghiaccio insidioso che si è formato a notte, quando la temperatura è scesa sotto lo zero e tanti sono rimasti bloccati in auto, senza poter raggiungere la meta destinata di veglie e cenoni.
AA Piano Aci c'è stata per noi l'occasiobe di vedere uno spettacoo insolito, con tutte le montagne alle spalle imbiancate alle nostre spalle.
Tuttavia nel cielo basso e grigio ogni tanto si apriva uno squarcio e si faceva largo sia pure per pochi attimi soltanto un raggio di sole.
Asserragliati in casa abbiamo goduto come non mai del calorino sprigionato dalle fiamme del camino e della stufa a legna.
Siamo però tornati presto, perchè temevamo di trovare ghiaccio se la temperaura si fosse improvvisamente abbassata ulteriormente, ma fortunatamente così non è stato.
Sulla strada del ritorno ci siamo fermati a guardare da vicino le pecorelle al pascolo e il pastore, vedendo che c'era Gabriel, ci ha invitato ad andare verso il piccolo casale da loro occuoato per vedere gli agnellini.
E in effetti ce n'erano tanti tra cui due piccoli piccoli, ancora malfermi sulle gambe e tutti tremanti, dei quali uno aveva pendente dalla pancia uno spezzone di cordone ombelicale insaguinato. Il pastore ci ha detto che i due piccoletti erano venuti al mondo non più di mezzora prima.
Con l'occasione, abbiamo comprato una forma da un chilo di tuma, fatta la mattina.
E' stata una bella ed insolita sorpresa. degna della giornata e dello scenario natalizio tutto imbiancato.
La sera abbiamo cenato assieme io, Maureen, Raul e Salvatore, molto semplicemente e rabbrividendo un po' dal freddo (la casa di Palermo è senza riscaldamento).
Invece, del consueto cotechino con lenticche, abbiamo mangiato una zuppa di legumi "alla ligure" e, assieme, un po' di cotechino.
Non è mancato un po' dell'immancabile sfincione festivo e naturalmente un assaggio dell'ottimo formaggio che avevamo acquistato prima direttamente dai pastori.
Non parliamo del fatto che abbiamo "goduto" del discorso inaugurale del Presidente della Repubblica: le solite parole vuote e scarsamente comprensibili ad una persona di cultura medio bassa, ma per pochi attimi è stata l'occasione per stare "a tu per tu" con il presidente e per offrirgli anche (perché no?) un boccone.

Poi a nanna presto, al calduccio.

Il giorno dopo, capo dell'anno nuovo, non c'era più così freddo, ma - in compenso - soffiava a raffiche poderose il vento, che già di notte aveva fatto numerosi danni danni. Molte le piante abbattute e strappate.
Il vento era stato talmente furioso da spostare qua e là, erraticamente, interi sacchi della spazzatura, con tutto il loro contenuto.
Invece, proprio a causa del maltempo che aveva imperversato nella notte, impedendo ai festanti di riversarsi nelle strade, scarsissimi i segni dei giochi di fuoco di cui solitamente si vedono in strada involucri e macerie residuali.

E poi si va oltre, con una documentazione per immagini che riguarda i primi giorni del nostro nuovo anno, con la documentazione della nostra permanenza a Palermo nei primi giorni del nuovo anno (inizio e fine della galleria fotografica con le immagini delle nostre due gite familiari ad Altavilla (Piano Aci), in condizioni climatiche totalmente differenti.

Ultimo giorno dell'anno: Piano Aci Experience with the snow

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30 ottobre 2015 5 30 /10 /ottobre /2015 00:30
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)
(da noi a me)

(da noi a me)

Niente, solo la pioggia che cade triste

Ed è solo uno sgocciolìo quieto.

L’ora è tarda, la casa vuota

Armadi traboccanti di vecchi indumenti, carte e carpette, libri polverosi vecchi di tre generazioni

Tutto da rivedere e da soppesare

In un cassetto, una lettera che mi scrisse mia madre, molti anni fa, quando ancora non esistevano i cellulari, lettera a cui forse non risposi mai

Un piccolo folder con foto in formato piccolo e piccolissimo che formano una piccola carrellata sulla storia familiare, raccolte da mia madre e poi dimenticate in un fondo di cassetto

Mio fratello che, dalle foto, mi guarda con il suo sguardo fiero, a volte spaventato, di quando era piccolo e poi adolescente.
Nelle sue foto di adolescente, c’è spesso tristezza nel suo volto allungato A volte, però, fierezza e fiducia Ricordo che, a volte, da adolescente, mi chiudevo in bagno e lì, in solitudine, piangevo e singhiozzavo per mio fratello, pregando silenziosamente perché un miracolo gli rendesse la salute e la capacità di camminare

Foto di famiglia, come si usava un tempo, tutti in tiro, nel giorno della prima comunione e della cresima, Salvatore nel punto focale del gruppo, un po’ emozionato

Mio fratello, attorniato dal suo gruppo di amici ridenti che lo omaggiavano spesso di foto spassose per strappargli un sorriso

Mio padre in uniforme da ufficiale e in divisa da campo, con la bustina che si usava allora

Ancora mio padre, magrissimo (perchè aveva patito la fame), appena tornato dal campo di prigionia, ma già attivo e laborioso, che cammina a passo svelto lungo via Ruggero Settimo, dando l’impressione di uno che ha molto da fare e molti sogni che gli frullano per la testa

Io, in foto tessera, vestito da da ufficiale e con la barba

Le mie continue trasformazioni camaleontiche Barba sì, barba no Baffi sì, baffi no, Capello lungo hippieggiante, nel tempo giusto per farlo, oppure capello corto stile nazi o ancora rapato a zero Io, con aria meditativa Io, con atteggiamento da guerrigliero Io, palestrato

Noi, da piccoli, sulla spiaggia, per me mio fratello era un eguale, anche se non poteva fare le stesse cose che facevo io, e quei giorni sulla spiaggia di Mondello, giorni assolati con le merende di pane e uva erano splendidi

Ogni cassetto che si apre è una capsula del tempo che riserva inattese sorprese e riporta indietro con whoosh che a volte mi lascia stordito

Continuo a sentirmi un sopravvissuto in quelle stanze che sembrano popolate di fantasmi e non ancora risorte a nuova vita

Once upon a time... Nel passato ci sono le favole e i drammi Il futuro ci attende con il ripetersi di vecchi copioni, anche se a volte ce ne sono di nuovi ed inaspettati. Ed qui che sta tutta la meraviglia

E’ strano che io parli del futuro, quando il mio tempo si fa stretto, quando c’è sempre margine e meno strada da percorrere, meno storie da scrivere, e quando l’apertura di sempre nuove e sorprendenti capsule del tempo mi risucchia indietro con prepotenza

In definitiva, chi sono io? Dove vado? Cosa faccio? Cosa ci faccio qui?

 

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29 ottobre 2015 4 29 /10 /ottobre /2015 07:08
La famiglia dei Gattoni
(da un mio post precedente - 2013) [...] Prima che arrivassero i miei cugini dalla Sardegna (e da allora avemmo la capanna assieme a loro) era consuetudine cercare dei co-locatari, per dividere la spesa. Fu così che la mamma, un anno, fece ritorno dagli uffici della Società (era sua l'incombenza di occuparsi di queste faccende), annunciando che nella prossima stagione avremmo diviso la capanna con la famiglia Gattoni.
Quando sentii questa notizia, fui eccitatissimo dalla novità, ma non dissi nulla a nessuno, pur iniziando a fantasticare attorno a questi misteriosi "gattoni".
Poi, nel corso del tempo, ci furono sicuramente durante le conversazioni tra gli adulti numerosi accenni alla famiglia dei "gattoni". E, di quando in quando, capitava anche che la mamma e mio padre si interrogassero su come sarebbero stati questi "gattoni" come compagni di capanna. 
Io orecchiavo le loro conversazioni e questi accenni facevano vieppiù galoppare la mia fantasia. Sia come sia, arrivò il tempo dell'inaugurazione della stagione balneare e, con armi e bagagli, andammo al mare per la prima volta. 
A quel tempo dovevo avere quattro o cinque anni. La mamma mi raccontava spesso che appena arrivato, anziché cominciare a fare i miei giochi preferiti, io cominciai a cercare e a guardare in giro, instancabilmente. Entravo ed usciva dalla capanna, guardavo nei piccoli spazi dietro la cabina, sbirciavo da ogni parte, spostavo le sdraio addossate alle pareti e rimestavo in giro, mostrando una delusione via via crescente. 
Ad un certo la mamma mi chiese: "Ma cosa stai cercando, Maurizietto?" 
Ed io le risposi: "Ma..., mamma, mi avevi detto che quest'anno ci sarebbero stati i gattoni. Ed io non vedo nessun gattone!". 
E, naturalmente, a questa mia risposta fece segue l'immancabile coro di risate da parte degli adulti presenti.

 

Le cose che capitano da piccoli si ammantano di una patina che li rende “mitici”, a volte prima ancora che accadano (nelle attese e nelle aspettative); ma può anche succedere che anche gli eventi attesi vengano caricati e, per così dire, trasfigurati dall’apporto di elementi fantastici (o fantasticati).
Inoltre, può anche entrare in gioco la ripetuta narrazione ad agire come potente volano propulsore per far sì che un evento in sé piccolo possa entrare a far parte della propria mitologia di ricordi.
Raccontando a posteriori di questa circostanza, potrei anche aggiungere che, se a quel tempo mi fosse stata letta (o avessi letto) la storia di Alice nel Paese delle Meraviglie, avrei magari potuto immaginare di ritrovarmi davanti ad un’intera progenie di gatti del Cheshire. .. pronti a far parte delle celebrazione del mio non-compleanno (che cade appunto nei mesi estivi) e che però non avrei mai potuto vedere, poiché - a parte un ghigno incorporeo - in linea di massima il loro corpo rimane sempre invisibile.
Proprio di recente, mi sono imbattuto in una vera famiglia di “gattoni” pluri-generazionale, mentre correvo per i viali di Villa Trabia.
Non ho potuto fare a meno di far loro (ai “gattoni”) un piccolo servizio fotografico che mi ha rimandato con il pensiero e con le emozioni alla mitica famiglia “Gattoni” della mia infanzia.

 

 

 

 

La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni
La famiglia dei Gattoni

I Gattoni di Villa Trabia

More Gattoni di Villa Trabia

Il loro luogo sicuro è il recinto di una vecchia serra di cui sopravvive soltanto il basamento in arenaria

E i più timidi (nonché i più piccini) se ne stanno all'interno per uscire a sbirciare ciò che accade fuori solo di tanto in tanto. Ma la curiosità è - come sempre - più forte della paura

Il buco nel muro che per i più giovani dei Gattoni rappresenta l'interfaccia tra il claustrum del loro nido e il vasto mondo al di fuori

Gattone acrobatico che non ha nulla da invidiare a Philippe Petit...

Gattone terragnolo

Le didascalie alle foto

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10 ottobre 2015 6 10 /10 /ottobre /2015 07:07
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)
Le sedute odontoiatriche non sono mai rose e fiori ( specie se l'inconscio ci mette lo zampino...)

Il mio rapporto con il Dentista, inteso come figura archetipica, è stato sempre problematico.

In passato, specialmente.

Più volte ho abbandonato il campo, perché ne ero spaventato e, per lungo tempo, evitavo successivamente di frequentare gli Studi dentistici.

Ma, per necessità di cose, ho sempre dovuto riprendere, sempre alla ricerca del mio Dentista ideale. Detto tra parentesi; nella mia prossima vita voglio nascere con un corredo già precostituito di denti denervati al titanio.

Anni addietro, quando ero proprio all’inizio del mio percorso di psicoanalisi, andai dal Dentista di allora. E questo andare era sempre accompagnato da una notevole ambivalenza e da una grande sofferenza interiore: mai che fosse una passeggiata. In quella seduta, ci fu qualcosa che mi turbò. Forse fu la procedura dell’anestesia, forse fu un odore di disinfettante più forte del solito: fatto sta che cominciai a sudare freddo, ad avvertire una sensazione di nausea, e ad avere il polso piccolo e frequente.

Io dal dentista, in sala d'attesa. La mia espressione non è una delle più feliciSi dovettero temporaneamente fermare le successive fasi estrattive: ed io - per evitare il collasso - dovetti stare a lungo con la testa tra le gambe.

Per quella volta me ne andai con un nulla di fatto (o forse l’operazione si fece egualmente, adesso non ricordo): ma, in ogni caso, quell'esperienza mi lasciò con un forte senso di disfatta e di incapacità. La sensazione di non “essere forte” in circostanze che richiedevano una dose in più di coraggio e di capacità di sopportazione del dolore.

L’indomani affrontai la mia seduta di psicoanalisi con il rimpianto ed insuperabile Francesco Corrao, nel corso della quale vennero fuori degli aspetti interessanti.

Il giorno che precedeva la seduta estrattiva mi ero trovato a guardare alcune sequenze del film di Joseph Losey (1972) che racconta L’assassinio di Trotsky, (avvenuto come è noto nel 1940, in Messico, dove il rivoluzionario russo si era ritirato in esilio)

Rimasi particolarmente sconvolto dall’immagine cruenta dell’attentato che portò Trotsky alla morte: come è noto, il suo sicario (presentatosi inizialmente come amico e rivoluzionario espatriato), dopo aver ottenuto la sua fiducia, lo colpì in piena testa con una piccozza. E il film nella sua sequenza clou presentava proprio questo evento, in tutto il suo realismo (piccozza piantata al centro della fronte, sangue rutilante che sgorgava dalla ferita profonda etc).

Io, turbato da una simile visione, avevo immediatamente cambiato canale, non intenzionato in alcun modo ad espormi ad ulteriori sofferenze.

Le immagini perturbanti - con tutto il loro potere intatto - furono immediatamente rimosse, ma riemersero il giorno dopo nel corso della seduta odontoiatrica, senza che me ne rendessi conto: vennero recuperate soltanto nel corso della seduta di psicoanalisi.

In sostanza, mi ritrovai a sperimentare un vero e proprio attacco di panico, in cui la figura del dentista e quella del sicario di Trotsky si congiungevano e in cui gli attrezzi da lavoro odontoiatrico e la piccozza dell’assassino si equivalevano. Il Dentista si trasforma da figura benevola in personaggio sadico, violento e crudele, come un padre divoratore dei suoi figli: e, alle spalle del sicario inviato ad uccidere in modo barbaro Trotsky, come punto di congiunzione, si staglia - altrettanto inquietante il sadico dentista, impersonato da Laurence Olivier che, nei panni del criminale nazista Szell dagli azzurri occhi di ghiaccio (conosciuto - tra le sue vittime dei lager - come l'"Angelo bianco") tortura con i suoi ferri del mestiere di odontoiatra Babe, il “maratoneta” (interpretato da un giovanissimo Dustin Hoffmann), ponendogli insistentemente ed ossessivamente la domanda “E’ sicuro?” (vedi la sequenza clou del film e leggi un mio precedente post, del 2009, dal titolo, “Il Maratoneta": un vero film cult da rivisitare, di tanto in tanto”).

Recentemente, proprio pochi giorni fa, lo stesso fenomeno si stava verificando nuovamente, mentre ero sotto le mani benevole e sapienti del mio amico Pippo. Questa volta il trigger è stato un odore di sostanze chimiche più intenso del solito: e subito dopo si è presentata quell’immagine (Trostsky con la piccozza piantata nella testa). E mentre ciò avveniva, ho avvertito i primi sintomi d’un incombente attacco di panico.

Questa volta, tuttavia, approfittando della pausa necessaria perché l’anestetico locale facesse effetto, ho detto a Pippo ciò che stava succedendo, riconnettendolo a quanto era già accaduto in passato. E ci siamo, ovviamente, fatti quattro risate: ma ciò è stato sufficiente per depotenziare i sintomi e per levare alla rappresentazione la sua forza maligna.

In fondo, la resistenza mentale alle situazioni di stress dipende dalla capacità di tenere sotto controllo il ritorno perturbante del rimosso oppure, semplicemente, dalla piena consapevolezza di ciò che sta accadendo dentro di noi. Ovviamente, se io non fossi passato attraverso l’esperienza della psicoanalisi non avrei raggiunto mai questa capacità di prendere le distanze dagli eventi perturbanti, per poterli esaminare e dire: “Ecco, questo è quello che sta succedendo”.

Immagini archetitpiche perturbanti riemergono spesso nei momenti di maggiore stress e, bisogna averne contezza, per poterle dominare.

E questo è uno dei pilastri su cui si fonda, sicuramente, un buon livello di resilienza.

La sequenza cluo nel film "Il Maratoneta": "E' sicuro?"

The Aaasination of Trotskij (1972, Joseph Losey), the full film

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9 ottobre 2015 5 09 /10 /ottobre /2015 01:28
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi
Essere - da sopravvissuto - il custode dei ricordi

Il 4 ottobre è appena trascorso con tutto il suo carico di ricordi.
E' un giorno che rappresenta da sempre per la mia famiglia una ricorrenza molto speciale.
Infatti, assieme festeggiavamo il Compleanno di Salvatore (nato il 4 ottobre del 1947), l'Onomastico di nostro padre (San Francesco d'Assisi) e l'Anniversario di matrimonio dei nostri genitori.

Si è aggiunto nel tempo anche l'onomastico di mio figlio Francesco e, adesso, 1/3 della festa di onomastico di Gabriel (che, nominato al completo, è Gabriel Francis Luca).
La mamma voleva che sempre ci ricordassimo delle ricorrenze (a me ricordava sempre, per fare un esempio, quando cadevano l'onomastico o il compleanno di Tatà. Me lo preannunciava con qualche giorno di anticipo, dicendomi: "Ricordati di tuo fratello") e che a loro dessimo il giusto valore.
Da un certo momento, quando ha cominciato ad essere stanca delle complicazioni e desiderosa di non essere al centro dell'attenzione (ma anche "di non voler arrecare disturbo a chicchessia"), lei era solita preannunciare, quando si avvicinava una data che la riguardasse: "Quest'anno non voglio che facciate niente per me!".
Ma, noi, avendo bene interiorizzato la sua lezione, procedevamo egualmente, malgrado il suo avvertimento dissuasivo.
E così è stato, in occasione del suo 90° compleanno, quando - er iniziativa delle mie cugine più grande - abbiamo organizzato a sua insaputa una piccola festa familiare, in cui ci siamo ritrovati tutti assieme, con la presenza speciale anche della cugina Giorgia che vive a Roma.

Le foto che aprono questo piccolo post "di famiglia" sono appunto un ricordo di quella circostanza. Tra l'altro, in quella circostanza, la mamma che solitamente cercava di evitare in ogni modo di essere fotografato, comprendosi il volto con le mani o con una rivista (o un libro) appena vedeva il mio obiettivo puntato su di lei, mi lascio fare.
E fu così che ebbi modo di raccolgiere alcune bele immagini di lei nei suoi ultimi splendidi anni, assieme a Salvatore anche.
Guardando queste foto - e le altre che scattai in quell'occasione, qui non pubblicate -, mi sento solo: certo, oggi ci sono i miei due figli, c'è Maureen. 
Ma loro - la famiglia in cui sono cresciuto - non ci sono più.
Sono andati via e con loro é finito un intero mondo di abitudini e di piccoli riti quotidiani, di voci e di conversazioni, di presenze e di assenze: in un attimo, specie dopo la scomparsa di Tatà, quasi tutto ciò che si svolgeva nel quotidiano in routine e pratiche che avevano i loro perché ha cessato di essere.
E, senza i riti quotidiani, ci si sente come una nave che ha perso i suoi ancoraggi, ma anche i suoi strumenti di rotta e di navigazione.
Fa parte delle vicissitudini umane che solo uno tra molti sia destinato a vivere nella parte del sopravvissuto
Io sono un sopravvissuto.
Chi rimane, deve ricordare costantemente chi non c'è più.
Occorre lasciare sempre aperta una porta al flusso dei ricordi, mantenendo in vita in questo modo le persone care che sono venute a mancare e che ci mancano.
E' nostro compito tenere la stanza dei ricordi costantemente aperta, arieggiata, festosa, piena di colori e di suoni.

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25 settembre 2015 5 25 /09 /settembre /2015 06:19
L'ultimo miglio dello spingitore
L'ultimo miglio dello spingitore

(Maurizio Crispi) Una volta, un maratoneta, si afflosciò a terra, morto sul colpo, davanti al traguardo di una 42,195 km. Cadde di botto, come un uccello in volo che avesse esaurito tutta la sua energia vitale. Io ero lì, arrivai poco dopo il fatto, ma il personale del Pronto intervento era già arrivato, e il corpo ancora caldo era stato rimoso, ma un'atmosfera di mestizia pervadeva la zona degli arrivi, cosa quanto mai insolita e, ovviamente, la cerimonia delle premiazioni e il pasta party finale erano stati minimizzati e fatti in punta di piedi. Tutti erano rimasti storditi da quell'evento inaspettato.

In fondo, la maratona e le altre corse sulle lunghissime distanze si possono considerare un po' come metafora della vita: e in ciascuna vita c'è quell'ultimo traguardo da raggiungere, quella soglia da varcare. E una di queste soglie sarà anche l'ultima, quella definitiva.

Quindi, ciascuno di noi deve confrontarsi con quelle centinaia di metri che ci saranno da percorrere prima di arrivare al fatidico appuntamento: a volte si percorrono in movimento, altre volte da fermi, perchè si è bloccati a letto da una malattia debilitante.

Ma si tratta pur sempre d'un ultimo tratto di strada.

Il "miglio", quello che nel romanzo di Stephen King, è il "Miglio Verde", cioè la distanza di poche centinaia di metri che separano il braccio della Morte di un penitenziario americano dalla camera dell'esecuzione con la sedia elettrica.

Ciascuno di noi - nell'accostarsi al trapasso - deve percorrere quell'ultimo miglio: più volte, qualche volta da accompagnatore, talaltra da spingitore, altre volte da condannato.

Sono graziati soltanto coloro che muoiono d'una morte istantanea - o semi-istantanea - come è accaduto a mio padre, deceduto in un disastro aereo.

Un botto e una fiammata, forse un'esplosione, non so: e ho sempre voluto pensare che la sua fine sia stata questione di un attimo, senza che gli fosse nemmeno dato il tempo di capire ciò che stesse accadendo.

Ma anche in questo caso, è ben difficile dire se non ci sia stato quell'ultimo percorso prima di giungere a varcare la soglia dell'ineffabile e dell'indicibile.

Ma lasciamo la questione in sospeso.

Con Tatà, quell'ultimo miglio lo abbiamo vissuto in pieno: camminavamo, come sempre nella nostra vita abbiamo fatto, io nel ruolo di spingitore e lui da spinto, poiché - anche se Tatà era attivissimo, forse ben più di me, perchè divorato da una forte passione interiore che gli dava l'energia necessaria per portare avanti le sue cause per la difesa dei diritti dei diversabili - oggettivamente nelle nostre uscite era questo il nostro ruolo reciproco.

E nel brevissimo percorso dalla pizzeria vicino casa al cancello del giardinetto d'ingresso del condominio di Via Lombardia si è consumato il nostro ultimo miglio.

Dico il "nostro", perchè eravamo assieme.

Io, spingendo, ho vissuto la tragedia di quegli ultimi momenti, ho visto la sua lotta per ghermire un ultimo fiato per alleggerire il peso che gli opprimeva cuore e polmoni che, d'improvviso, si erano fatti stretti.

Ho visto il suo boccheggiare alla ricerca d'un ultimo anelito di vita; la sua lotta nel tentativo di articolare parole che non sono mai potute uscire.

E, alla fine, la testa e il busto reclinati in avanti, senza più alcuna reattività.

E io, dietro di lui, ho cercato di soccorrere, di alleviare, di capire, di cogliere quelle ultime parole, di somministrare il farmaco che in ospedale ci avevano dato per portarlo sempre con noi e per somministrarlo in simili frangenti.

La Spada di Damocle che incombeva si è liberata dal suo fragile supporto ed è precipitata crudele, falciando una vita.

E consegnato la sua immobilità che però era attività ed energia nella mollezza della Morte da cui non c'è ritorno.

Ecco, quell'ultimo miglio è (e rimarrà) per me indelebile.

Ogni volta che percorro quella strada, ogni volta che da via Principe di Paternò svolto a destra per imboccare via Lombardia, ogni volta che mi avvicino all'ingresso del nostro condominio, non posso fare a meno di rivivere istante per istante, metro per metro quell'ultimo nostro miglio.

Io spingitore, Tatà spinto.
Come tante volte siamo stati nella nostra vita: ogni tanto parlavamo, io mi fermavo e mi accostavo a lui per sentire meglio ciò che mi diceva e poi riprendevo a camminare, replicando con altre parole e continuando nei nostri ragionamenti.
Qualche volta lui che sempre sorvegliava le asperità del terreno davanti mi diceva di stare attento, "Accura!" era la sua esortazione, perchè temeva la ruota si potesse bloccare e la carrozzina ribaltarsi in avanti, come talvolta in passato ci era capitato (una volta anche con corsa immediata al Pronto soccorso, per far dare dei punti)

Quest'ultima volta ho accostato il mio orecchio alla sua bocca, ma mi sono giunti suoni inarticolati: un addio forse, o una richiesta di aiuto, o una parola d'affetto.

Mentre il suo Pneuma volava via nel Cielo.

Ancora una volta, ciao Tatà! Spero di essere stato per te un buon fratello, anche se non sempre ci siamo capiti a fondo, ma è stata la mamma a tenerci sempre uniti, anche nei momenti di incomprensione.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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