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21 aprile 2023 5 21 /04 /aprile /2023 18:22
Palermo, Foro Italico Umberto I - I contrappesi-bilancieri del Nautoscopio. In fondo, Capo Zafferano che, nella distanza, appare come un'isola

Palermo, Foro Italico Umberto I - I contrappesi-bilancieri del Nautoscopio. In fondo, Capo Zafferano che, nella distanza, appare come un'isola

(Agosto 2010) Quand'ero piccolo pensavo che Monte Catalfano fosse un enorme capodoglio che riposava in emersione, al largo (come ero convinto, incrollabilmente, che Monte Cuccio, fosse un antico vulcano estinto) 

 

E, del resto, gli antichi naviganti narravano storie di isole galleggianti, gigantesche, vicino alle quali si mettevano alla fonda, per poi scoprire che si trattava di pesci di immani proporzioni, al momento dormienti I guai avrebbero potuto arrivare, quando si fossero svegliati e avessero deciso di immergersi nel blu, in acque profonde, trascinando con sé nave e marinai…

 

Uno dei viaggi meravigliosi di Sindbad il marinaio che mio padre mi leggeva quando, piccino, a letto aspettavo che giungesse il sonno, narrava proprio di questa leggenda. In particolare la prima delle esotiche ed affascinanti avventure di Sindbad.

 

Dopo aver dissipate le ricchezze lasciategli dal padre, Sindbad inizia ad andar per mare per recuperare la propria fortuna. Scende a terra su quella che egli ritiene essere un’isola, ma questa si rivela un pesce gigante (o balena-isola) su cui degli alberi hanno addirittura messo radici. Il pesce si immerge negli abissi e la nave riparte senza Sinbad, che si salva la vita solo grazie ad un barile che passa per caso nelle sue vicinanze, inviato per grazia di Allah. Sospinto a terra su un’isola, il re di questa lo prende sotto la sua protezione e lo nomina capitano del porto. Un bel giorno la nave di Sinbad arriva proprio in quel porto ed egli reclama i suoi beni, ancora nella stiva della nave. 
Il re dell’isola gli conferisce preziosi regali e Sinbad fa ritorno a Baghdad, dove riprende una vita di lussi e piaceri. 

Ed ecco che mi sovviene una frase di Hugo Pratt, grande cultura dell'avventura e dello scorribande in terre meravigliose e lontane con le sue tavole disegnate:

"...all'orizzonte di quell'oceano ci sarebbe stata sempre un'altra isola per ripararsi durante un tifone, o per riposarsi e amare. Quell'orizzonte aperto sarebbe stato sempre lì, un invito ad andare." (Hugo Pratt)

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17 febbraio 2023 5 17 /02 /febbraio /2023 10:09
Autosberleffo (foto polaroid di Maurizio Crispi)

Negli anni Ottanta acquistai una macchina Polaroid. 
La usai solo per un periodo di tempo limitato: mi piaceva sperimentare e, soprattutto, mi piaceva poter vedere subito la foto già pronta.
Era l'unica tecnologia visuale, al tempo, che consentiva ciò. 
Oggi al tempo della fotografia digitale, uno può vedere subito l'immagine che ha catturato e di foto ne può fare quante ne vuole, non essendoci il limite posto dal costo delle pellicole, e del loro sviluppo e stampa. Tutto oggi è immediato, senza la necessità di "mediatori".
Allora, benché con quella macchina polaroid la tentazione di fare tanti scatti polaroid fosse enorme, occorreva limitarsi, poiché quelle pellicole - se ben ricordo - avevano un costo abbastanza elevato elevato.
E quindi ogni scatto andava ponderato attentamente.
Queste foto che ho trovato dentro una busta sono gli unici scatti polaroid che mi rimangono di quel periodo. Per la loro stessa natura che consentiva una fruizione immediata (ma nello stesso tempo una non "riproducibilità"), spesso e volentieri gli scatti polaroid venivano regalati ad altri soggetti che vi comparissero.
Di quel periodo ce n'erano, in effetti (le ricordo), ma si sono disperse. 
Molti degli autoritratti (oggi si direbbe selfie) li ho fatti nel corso di una mia permanenza solitaria a Levanzo nell'Aprile del 1988, o giù di lì.
Fu una settimana di solitudine totale e benefica.
L'isola - che era ed è la mia preferita delle Egadi - in quel periodo era poco frequentata. 
Passavo le giornate correndo, andando in canoa, passeggiando e leggendo. 
Ricordo che ebbi il dono di giornate con un meteo eccezionalmente bello e temperature miti. Nessun contatto esterno.  Allora la telefonia mobile era ai suoi primordi e quindi non c'era nessuna possibilità di essere "connesso" o "wired", come si direbbe oggi.

Se uno si metteva fuori tiro, lontano da tutto e da tutti lo era per davvero.
 

Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
Le foto raccontate. Quelle foto polaroid
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31 gennaio 2023 2 31 /01 /gennaio /2023 12:15
A Trieste - estate 1962 - Abbazia (dal mio archivio di immagini)

Nell'Agosto del 1962, io e la mamma andammo a fare un viaggio estivo e fu la prima volta che partimmo assieme durante le vacanze.

 

La nostra metà fu Trieste, dove era allora di stanza mio zio Luigi che era ufficiale dell'Esercito, assieme alla sua famiglia. 
Fummo loro ospiti in una vecchia casa che era il loro alloggio d'ordinanza. 

 

Quasi ogni giorno facevamo delle escursioni con la zia Adele alla guida di una vecchia  e gloriosa Dauphine. 

 

Andammo un po' dappertutto nei posti più facilmente raggiungibili: ad Abbazia, a Zagabria, alle grotte di Postumia e persino al maestoso Sacrario di Redipuglia (a questa visita partecipò anche lo zio, in divisa). 

 

Nella visita al Castello di Miramare, si unirono a noi anche la zia Jole e la cugina Adamaria che proprio in quell'estate aveva conseguito il diploma di maturità classica.

 

Le foto sono davvero ruspanti, scattate con una macchinetta fotografica 6X6 che mi era stata regalata come mia prima camera. Niente più che una scatoletta e un pulsante per azionare l'otturatore. La pellicola doveva essere estratta e sigillata al buio per evitare che si alluciasse. 

 

Le foto quindi sono assolutamente ruspanti e naif.

 

Ogni tanto si insinua davanti all'obiettivo un dito (in genere è quello della mamma). 
Queste foto hanno un gusto davvero antico, ma fanno riemergere spensierati ricordi di un tempo che fu

Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
Le foto raccontate. Il viaggio a Trieste nell'estate del 1962
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4 gennaio 2023 3 04 /01 /gennaio /2023 12:46
Irene Salatiello Crispi, mia madre, nel giorno del suo novantesimo compleanno (foto di Maurizio Crispi)

Il 4 gennaio 2010, nelle prime ore del nuovo giorno, quando ancora faceva buio, la mamma se n’è andata via lievemente, in punta di piedi, quasi senza disturbare nessuno, come aveva sempre detto nei suoi desiderata.
Per andarsene, ha colto il momento in cui io, seduto accanto a lei in poltrona per vegliarla, mi ero addormentato.
Quella sera mi aveva detto con fermezza che non si sarebbe messa a letto, ma che avrebbe passato la notte in poltrona. Forse perché aveva deciso di andarsene o forse perché sapeva che qualcosa sarebbe accaduto. Non so.
Quando mi sono risvegliato, forse sopraffatto dall’improvviso tacere del suo respiro appesantito, la sua anima bella era volata via.
Dopo poche ore, alle 5.00, è suonata la sveglia che la mamma la sera prima, mi aveva chiesto di puntare alla solita ora, quando lei si alzava per supervedere i preparativi di mio fratello e di metterla accanto a lei.
Quella sveglia con il suo trillo imperioso ci ha ricordato che la vita, anche senza di lei, continuava e che, pur assente da quel momento in avanti, avrebbe continuato a vegliare su di noi.

 

Mamma, dovunque tu sia, riposa in pace.

 

Continui a vivere nel mio cuore.

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3 gennaio 2023 2 03 /01 /gennaio /2023 12:01
La scala della morte - Mathausen (foto d'archivio, dal web)

Oggi ho trasportato un Pietrone

 

Come mai?

Dirò qui che lo faccio spesso

 

Quando cammino li adocchio
me li coccolo con lo sguardo,
passando e ripassando
Poi arriva il giorno in cui passo
munito di un sacco robusto
Me lo carico e lo trasporto sino a casa

 

Perché lo faccio?
Cerco pietre per i miei muri a secco
in campagna 
Li le pietre adesso scarseggiano,
almeno quelle grosse - manische - 
utili per la parte frontale
dei muri di contenimento
Tuttora alcune volte riesco 
a cavarle dal terreno
oppure le ottengo a colpi di mazza e di mazzuolo
da alcuni enormi massi 
sparsi qua e lá
(il mio è un terreno con numerosi affioramenti
di calcare dolomitico)
Altre invece le raccatto in giro
Ed è così che, inglobate nella tessitura 
dei miei muri a secco,
si possono anche vedere
delle pietre laviche che ho portato con me dall'Etna

 

Di molte delle pietre incluse nei muri
conservo memoria della provenienza
soprattutto quando me le sono faticate

 

Na tornando all'oggi,
mi sono sobbarcato ad una fatica
non da poco
Il Pietrone era dalle parti di via Notarbartolo
e me lo sono trasportato sino a casa,
con molto sudore


Durante il tragitto mi sono ricordato
d'una mia visita al campo di Mathausen
Qui c’era un enorme cava di pietra
Gli internati dovevano quotidianamente,
con qualsiasi meteo,
al freddo e al gelo oppure con il caldo torrido dell'estate,
cavare le pietre
e poi trasportarle,
incastrate in ruvidi basti di legno
sulle loro spalle,
pietre che arrivavano a pesare 
anche 50 kili,
sino al sito dove, con quelle pietre,
sarebbero stati edificati gli edifici
del comando e dell’amministrazione 
degli aguzzini delle Esse Esse
Dal fondo della cava, con il loro carico,
dovevano inerpicarsi su
per una rudimentale scala di irregolari gradini
scavati nella roccia
Se uno, stremato, cadeva, 
trascinava molti altri nella sua caduta,
perché su quei gradini intrisi di sudore e sangue
erano sempre stipati a centinaia,
ognuno gravato del suo carico mortale


Molti morirono di fatica
proprio li,
tanto che quella gradinata,
ancora visibile al tempo della mia visita,
veniva chiamata la “scala della morte”

Oggi, è stata edulcorata e trasformata
in una gentile scala ad ampi gradoni
(un modo per cancellare una memoria dolorosa)
Da alcuni giorni cercavo di ricordare
il nome di quel campo di concentramento,
ma invano.
Niente da fare,
per quanto mi sforzassi, non mi veniva
Ed invece oggi,
durante il trasporto del Pietrone
ecco che quel nome è affiorato
alla superficie della mia mente,
forte e chiaro,
anche se la mia fatica e la mia sofferenza
erano soltanto un’infima parte
del tormento inflitto a quegli uomini
da feroci aguzzini


 

“Già dal 1939 iniziò lo sfruttamento della cava di pietra alla quale si accedeva attraverso la famigerata scala della morte, composta da 186 gradini irregolari e scivolosi”.
«La cava era là, con i suoi 186 gradini irregolari, sassosi, scivolosi. Gli attuali visitatori della cava di Mauthausen non possono rendersi conto, poiché in seguito i gradini sono stati rifatti - veri scalini cementati, piatti e regolari - mentre allora erano semplicemente tagliati col piccone nell'argilla e nella roccia, tenuti da tondelli di legno, ineguali in altezza e larghezza.»

da I 186 gradini di Christian Bernadac, pagg. 169-170

Il pietrone (foto di Maurizio Crispi)

(22 marzo 2023) Anche oggi è capitato che io mi sia sobbarcato al trasporto di un pietrone

o per dirla in altre parole di un balatone

Questa volta si è trattato di un grosso concio di tufo,
avvistato mentre camminavo in prossimità

della stazione Notarbartolo

L'ho infilato nel sacco della spesa che porto con me

per qualsiasi emergenza

un sacco di medie dimensioni

color verde pastello

con le iniziali e il logo Prezzemolo/Vitale,

molto resistente e robusto

E ho iniziato la marcia verso casa

Un due

Un due

Un passo alla volta

Come era pesante!

Per facilitarmi il compito

e spezzare la fatica

ho preso a contare i passi

A cinquanta cambiavo braccio

Come era pesante

Puff puff 

pant pant

Respira,

respira,

respira e conta

Un due

tre quattro

cinque e sei

Cinquanta!
E cambio braccio

E poi di nuovo

Ad un certo punto, ma ero ad appena duecento metri da casa,

ho deciso di fare una sosta prolungata per ritemprarmi

Ho posato l'involto pietroso per terra

e mi sono seduto su di un basso muretto

Sono stato per un po' 

a guardarmi attorno

E' passato un pacchione strascinando i piedi

e poi un altro tipo -

forse andava a scuola -

a passo lento e strascinato, le spalle cadenti

lo sguardo tuffato nello schermo dello smartphone,

già annoiato prima ancora di iniziare la sua giornata

Che strazio

Poi ho ripreso sino a destinazione

Rush finale, sprizzante di energia

Nell'ultima tirata,

preso dall'entusiasmo,

ho contato di seguito ben cento passi

sino alla macchina parcheggiata per strada

e il pietrone ce l'ho messo dentro,

in attesa del trasporto in campagna

Grande soddisfazione!
 

E già pronto per la prossima fatica!

 

Il pietrone
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21 dicembre 2022 3 21 /12 /dicembre /2022 08:22

Sono al lavoro
Il Servizio di un tempo,
c’è una questione noiosa
che viene dibattuta tra me
e il mio collega e amico di un tempo
a proposito della distinzione
tra orario di lavoro
e orario di apertura al pubblico
Una conversazione sinceramente noiosa
Io sono fautore della tesi corretta
Il mio collega sembra invece spaventato
e mi raccomanda di “non fare nulla
per evitare di irritare
quelli che stanno più in alto
(si intende, nella gerarchia)

 

Tutto qui

 

Ricordi di un tempo arcaico
in cui, mentre facevo il mio dovere
e svolgevo il mio lavoro
con passione e dedizione
tutto aveva un sapore costrittivo,
poiché veniva formattato
in funzioni delle esigenze tiranniche
di una manciata di amministratori
che, con i loro editti,
dovevano giustificare la propria esistenza

 

Sono stato davvero contento
quando me ne sono andato
Non sarei rimasto nemmeno 
un giorno di più,
neanche mi avessero pagato
a peso d’oro

 

Amareggiato me ne sono andato,
ma con un senso di liberazione

Ho sognato che camminavo per le vie della città
e mi imbattevo in uno strano edificio
situato in una via laterale,
poco conosciuta e poco frequentata

Incombente su di un maestoso portale
campeggiava una grande insegna
su cui era scritto a caratteri cubitali e tronfi
"Istituto Pinnazzuoli"
e sotto in caratteri più piccoli,
leggevasi:
"Scuola emerita per la formazione professionale di quadri dirigenti,
amministratori e decisori sul campo
"
"Si accettano soltanto pinnazzuoli e furbetti certificati,
ma anche aspiranti lecchini e cortigiani, 
dopo specifico test di ammissione"

"Riuscita sicura!"
"Le rette e gli oneri vengono concordati a parte, in camera caritatis"

 

Managgia! ho pensato
A suo tempo, avrei dovuto fingermi un pinnazzuolo
e frequentare questa scuola
Oppure avrei potuto fare il furbetto?
No! Quella parte non sarei mai riuscito ad impersonarla!

E nemmeno quella del lecchino o del cortigiano!
In fondo, a pensarci bene, nemmeno la parte del pinnazzuolo 
mi si sarebbe attagliata

Che nostalgia però!
Magari in un altra vita!

E ho tirato innanzi

(Dissolvenza)

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20 dicembre 2022 2 20 /12 /dicembre /2022 12:40
Monte Pellgrino (Palermo), visto da Cardillo - foto di Maurizio Crispi

Viaggio con poca roba,
l’essenziale, come un antico globe-trotter 

 

Dopo un’intera giornata
arrivo in vista d'una vetusta cittadina di mare,
turrita e circondata da possenti bastioni,
Inespugnabile
Scendo dall’auto e mi dirigo 
verso la spiaggia, 
portando con me solo lo zaino
con il necessario e i libri
e una copertina di pile rossa 
La spiaggia è cosparsa di sdraio,
a disposizione di chiunque,
nessun obolo è richiesto
Mi accomodo su una di esse 
e riposo,
godendomi l’anaclitico momento,
il sole sulla pelle,
il suono della risacca e di voci smorzate,
il sentore di salsedine e di alghe
lasciate scoperte dal ritrarsi della marea
Me ne sto seduto a lungo
inseguendo con gli occhi
le nuvole che galoppano nel cielo,
i cercatori di molluschi che vagano
qua e là sulla battigia,
e i costruttori di castelli di sabbia
Ma guardo anche la cittadina imponente 
con i suoi edifici secolari di pietra scura
Penso che dopo aver riposato,
prima di prepararmi al bivacco notturno,
la visiterò e scatterò anche qualche foto 


Mi incammino dunque,
zaino in spalle e copertina arrotolata sotto il braccio,
addentrandomi nel cuore della cittadina,
dopo aver superato le sue difese,
bastioni di scarpa e controscarpa, 
torrioni e fossati 
Poi riesco dall’altra parte
e mi ritrovo a camminare
attraverso una vasta distesa sabbiosa
resa ondulata da piccole dune steppose,
quando all’improvviso 
uno stormo di cavalieri su cavalli e cammelli
quasi sorgendo dal nulla
viene verso di me al galoppo
Per buona sorte,
nessuno di loro mi travolge
É una meraviglia essere circondato
da questo turbine di movimento e colore
e grida e incitamenti
e la polvere che si leva 
creando una nube cotonosa


Ma si fa il tempo di far ritorno
alla mia casa ambulante 
per dormire


Chi sa se riuscirò a ritrovare la via!
Lancio un ultimo sguardo immalinconito
alla città fortificata,
prima di andare

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23 settembre 2022 5 23 /09 /settembre /2022 10:27

Questo è uno scritto che risale al 2006, anche questo sepolto dentro i meandri del mio profilo Facebook. Lo ripropongo qui perché lo trovo carino ed è un bel ricordo, sia della cagnetta che, dopo una lunga vita, se ne è andata, sia perchè vi si racconta di un'interazione con mio Francesco di allora (allora appena tredicenne).

(Palermo, il 3.3.2006) Un giorno come tanti il cibo di Frida era già bell’e pronto nella sua ciotola, fumante.

Ho chiamato Francesco e gli ho detto: "Dai facciamo uno scherzetto a Frida".

Ho cominciato a fingere di mangiare dalla sua ciotola. Ci ho affondato la testa dentro, iniziando ad emettere una sinfonia di goduriosi rumori di masticazione ed ingurgitamento, con un intercalare di ostentati mugolli di piacere.

Poi, ho passato la ciotola a Francesco perché facesse lo stesso.

Frida se ne stava seduta ai nostri piedi e ci divorava con lo sguardo, attentissima.

Più volte ha deglutito: si vedeva chiaramente che aveva l'acquolina in bocca, ma che, nello stesso tempo, si sentiva terribilmente frustrata.

Ad un certo punto, persistendo lo scherzo, si è fatta lamentosa e ha preso ad emettere qualche guaito.

Abbiamo ripetuto la stessa sceneggiata più volte, scambiandoci la ciotola.

E Frida se ne stava sempre lì, seduta, seguendo con lo sguardo attento ora me, ora Francesco, senza perdersi nulla della scena.

Dopo un po' di quest'andazzo ho detto a Francesco, con un conclusivo mugolio di piacere e con una certa ostentazione; "Che ne dici, ne lasciamo un pochino di questo ottimo desinare a Frida"?

"Va bene", mi ha immediatamente fatto eco lui.

Ho posato la ciotola per terra, nel solito posto.

Frida ci si è avventata con furia e ha cominciato a mangiare ingordamente.

Mai l'avevo vista prima ingurgitare il suo cibo così celermente e con tanta foga.

Magari, mentre trangugiava, pensava: "E' meglio che mi sbrighi: se no questi due disgraziati ci ripensano e vogliono di nuovo mangiare dalla mia ciotola...".

Insomma, in quattro e quattrotto, Frida si è spazzolata tutto il cibo e per concludere ha sberleccato con meticolosità ogni centimetro quadro della sua ciotola, sino a renderla lucente e pulita.

Alla fine del fiero pasto ha emesso un rumoroso rutto e, dopo essere stata a ciondolare per un po' vicino a noi, nell'eventualità che ci fosse dell'altro cibo, è andata ad acciambellarsi nel suo solito angolo.

Con un sospiro di soddisfazione, s'è appisolata, sicuramente pensando: "Ma vedi cosa mi tocca subire..."

 

Frida (2003-2018) - Foto di Maurizio Crispi

Ecco la Frida! Osservate come mi guarda, mentre mangio la sua carne… La sua carne? E cos'è successo?

Questa è la piccola storia che posso raccontarvi, a partire da questo sguardo.
Sono andato a fare i soliti lavoretti settimanali in campagna.
Avevo comprato dei petti di pollo da cucinare ai ferri.
Ma invece, per distrazione, ho preso dal surgelatore il pacchetto di tritato della canuzza (tipico!).
Quando mi sono accorto dell'errore, ho detto: "Pazienza! Farò a meno della carne!", avendo anche delle verdure da mangiare.
Ma poi ci ho ripensato: ho condito il tritato con olio, sale, origano, abbondante pepe e peperoncino, pan grattato. E l'impasto ho lasciato a riposare.
Ho preso dei pomodorini, li ho sminuzzati e li ho passati in olio caldo, aggiungendo poi tutto il tritato condito per far soffriggere il tutto.
E, quindi ho preso a degustare la carne trita: "Mmmmmmm! Com'è buona"!
La canuzza che, prima mi ha visto maneggiare il suo pacchetto di carne (ormai lo riconosce benissimo: mica stupida!), si è sentita vittima d'una palese ingiustizia.
Mi guarda vogliosa, comunicandomi, con il suo sguardo languido ed intenso insieme, di sentirsi vittima di un'ingiustizia.
Via! Gliene lascerò un poco!
Anche se la mia pietanza improvvisata é venuta su buonissima e sarà veramente duro metterne via una parte.
Ma le fedeli bestioline non bisogna mai tradirle!

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30 agosto 2022 2 30 /08 /agosto /2022 17:02

Questo scritto è stato lanciato come nota su Facebook il 29 agosto 2010. Anche questo è sfuggito alla pubblicazione alla pubblicazione nei iei due blog di allora. Lo rilancio qui, perchè il suo contenuto mantiene una sua attualità. E' un dolente amarcord tra i ricordi della mia infanzia sulle cose che avevamo e che non ci sono più.

Venditore di ghiaccio

Ecco quello che c'era un tempo d'estate e adesso non c'è più:  un mio piccolo tentativo di amarcord di molte delle cose che abbiamo perso per strada.

Per le nostre strade passavano più volte delle speciali autopompe attrezzate con appositii spruzzatori che irroravano la sede stradale con getti d'acqua, in modo da mantenerne la superficie sempre fresca...

I grandi teloni che venivano stesi da un muro all'altro delle strade più strette e affollate, in modo tale da mantenere sempre l'ombra e la frescura. Questi teli venivano occasionalmente bagnati con acqua nelle giornate di maggiore caldo. Una simile usanza la si può riconoscere ancora negli antichi mercati di Palermo e, soprattutto in quello di Ballarò.

Il furgone del ghiaccio che, nelle prime ore del giorno, faceva un porta a porta presso tutte le case attrezzate con ghiacciaia per la consegna della/e barra/e di ghiaccio: e per effettuare la consegna, uno degli addetti saliva le scale portando la barra di ghiaccio a spalla, riparandosi la schiena e la testa con sacco di tela aperto su di lato e indossato a mo' di mantello con cappuccio. I piccini erano un po' intimoriti da questo "uomo del ghiaccio".

Le pale di ventilazione al soffitto in tutti i locali pubblici che erano regolate su di una rotazione lenta, in modo tale da realizzare con costanza la minima movimentazione di aria, eppure efficace. Una variante: il ventilatore casalingo a piantana (anni '50) con un pezzetto di barra di ghiaccio messo davanti alle pale, in modo da rinfrescare il flusso d'aria.

Il venditore di gelsi che quand'ero piccino passava per le vie della città il più delle volte su di una bici carica di piccoli cesti, ripetendo di continuo il suo richiamo "Asstura v'arrifriscano!"

L'ascaretto: nei giorni di gran caldo era il più bel premio che potesse spettare a noi piccini. Nel tempo che lo consumavi si formava sul rivestimento di cioccolatto fondente una sottile patina di condensa... Ma ancora più in antico, scivolando all'indietro negli anni in cui i nostri genitori erano giovani, un'autentica leccornia servita all'Extrabar (oggi scomparso e sostituito da un anonimo negozio di abbigliamento alla moda) la banana sbucciata, rivestita di cioccolatto fondente e conservata al freddo, da consumarsi come un gelato.

Le stanze dello scirocco in cui rifiugiarsi nei giorni di maggiore calura - e soprattutto di scirocco - e i teli di canapa alle finestre da tenere bagnati per rendere fresca l'aria proveniente dall'esterno.

Le lunghe passeggiate sul lungomare del Foro Italico sull'imbrunire, con la classica sosta da Ilardo per degustare un "pezzo duro" oppure lo spongato, rigorosamente servito in coppette metalliche (bene o male, per fortuna queste usanze si mantengono ancora abbastanza bene).

L'acqua ghiacciata servita con un'abbondante spruzzata di zammù.

Il venditore di anguria ghiacciata e il ficodindiaio: oggi, i loro baracchini vivacemente colorati tendono a scomparire e sono sostituiti da anonimi venditori ambulanti di paccottiglia globalizzata.

Il venditore di granita alle essenze più diverse (la più ambita: quella alla "granatina"), realizzata con il ghiaccio grattato o tritato sempre da un pezzo di quella barra di ghiaccio distribuito per l'uso delle ghiacciaie casalinghe

Se si pensa a tutto ciò, si prova un'acuta nostalgia per tante di questi oggetti e uanze scomparsi o divenute desuete che non torneranno più indietro! Cosa accadrà quando le generazioni che conservano ancora questi ricordi saranno scomparse?Per molti rimane soltanto il ricordo nostalgico di come le cose erano un tempo: e, forse, si era più contenti, quando non c'erano tutti gli ausili tecnologici di adesso.

Tutto oggi tende all'omologazione, alla globalizzazione, alla creazione e alla moltiplicazione di neo-bisogni e, soprattutto, si avverte la sistematica scomparsa delle cose che ho elencato e di tante altre che, in gran parte, erano accomunate dal fatto di possedere una forte "cifra sociale" e aggregante...

Oggi, al contrario, per combattere il caldo si sta al chiuso della propria stanza con aria condizionata oppure nel claustrum refrigerato dell'abitacolo della propria auto.

Ogni azione oggi è pervicacemente all'insegna del consumismo individualizzato (sempre più spinto), mentre gli spazi pubblici si desertificano e vengono sottoposti al massiccio inquinamento termico dei condizionatori d'aria che vanno a tutto volume per mantenere freschi gli spazi privati.

 

 

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25 agosto 2022 4 25 /08 /agosto /2022 10:54
La mia casa natale (foto da me scattata in tempi recenti)

La mia casa natale (foto da me scattata in tempi recenti)

Io e la mamma (foto di mio padre Francesco)

É al primo piano di questa palazzina a tre elevazioni sita in Viale Regina Margherita (se non ricordo male al numero civico 11) che son nato il 9 agosto 1949, a Palermo.
E' una casa che rimane piena di ricordi anche se, ormai, da lungo tempo venduta
Il balcone sul prospetto (a sinistra nella foto) e quello sul retro del appartamento erano teatro dei miei lanci di monello, frutti, oggetti di casa, indumenti, giocattoli, talvolta perfino una sediolina abbinata al mio piccolo desco.
Lanci che, a volte, erano preceduti da una rincorsa vorticosa e, in questi casi, c’era spesso qualcuno dei grandi che mi inseguiva forsennato nel tentativo di trattenermi.

Io ero un fulmine di guerra e quindi non sempre i placcaggi avevano buon esito…

Il nostro appartamento confinava con quello delle prozie: al momento dell'acquisto, nell'anteguerra ci abitavano le due sorelle di mia nonna materna, la prozia Irene che era rimasta vedova precocemente e la prozia Natalia che morì presto (molto prima della mia nascita) poiché non stava bene in salute ed era sofferente e cagionevole.
Sin dall'inizio le prozie decisero che dovevano poter comunicare velocemente con la nonna Maria e, a questo scopo diedero disposizione al loro muratore di fiducia di creare una finestrella di comunicazione tra i due appartamenti in corrispondenza di un muro maestro dove si trovavano le camerette con soppalco che erano pensate come stanzetta per far dormire la domestica.
Questa finestrella quadrata (e profonda almeno cinquanta centimetri per via dello spessore del muro maestro) veniva tenuta chiusa da entrambi i lati con una tendina in modo da evitare fastidiose correnti d'aria e la propagazione non desiderata di voci e conversazioni.
Al centro del ripiano della finestrella stava una campanella d'argento (era proprio d'argento!), di modo che chiunque - da un lato o dall'altro - sentisse la necessità di dire qualcosa potesse mettervi mano e il chiaro suono argentino potesse richiamare l'attenzione dall'altro lato della finestrella.
Scoperta questa cosa, io da piccolo mi divertivo moltissimo: spesso, non visto, facevo risuonare la campanella e poi andavo a nascondermi nel soppalco per vedere l'effetto che l'impropria e burlonesca chiamata faceva.

Si sentiva presto uno strascichio di piedi e arrivavano - a velocità diverse - la Marietta (la  nostra domestica) e la Vincenzina (quella della prozia) e ogni volta iniziava un dibattito tra le due su chi avesse chiamato e perché. Il mistero rimaneva ovviamente irrisolto (poiché ciascuna delle due negava di essere stata lei ad azionare la campanella) e entrambe tornavano brontolando alle loro faccende. A questo punto io scendevo dal soppalco cautamente per non far rumore  e tornavo a far risuonare la campanella per poi nascondermi nuovamente come un fulmine. E di nuovo me ne stavo nascosto ad osservare l'effetto che lo scampanellio avrebbe provocato. E così via, per tante volte di seguito. In silenzio, mi facevo delle grasse risate. La Marietta e la Vincenzina arrivavano puntualmente, brontolando e questionando tra loro.

Questo soppalco eletto a nascondiglio era pieno di bauli e di cose vecchie: ed era per me un luogo affascinante, al quale si accedeva per una ripida scaletta simile a quella delle navi. E qui, tante volte, mi mettevo a scartabellare e ad esplorare (c'era ad esempio un baule con molte delle cose che papà aveva portato con sé dal servizio militare in tempo di guerra).
Per questo motivo la stanzetta mi faceva pensare ad un covo di pirati.
Quando già la Marietta non c'era più, qui a volte dormivamo con i miei cuginetti, quando rimanevano a pernottare da noi. Ed era proprio come dormire in un posto di avventura ed esotico.

E sulla casa originaria di Viale regina Margherita ci sarebbero davvero tante storie da raccontare, molte delle quali le ho pubblicate nei miei blog, nel corso degli anni man man mano che i ricordi affioravano e richiedevano di essere in qualche modo fissati.

Ma tornando alla foto che mi ha dato lo spunto per scrivere queste cose, voglio aggiungere che la conifera svettante davanti all’edificio, quando ero piccolo non c’era.
Invece, c’era un vigoroso rampicante - una varietà di gelsomino dai fiori profumatissimi - che, prendendo origine dal giardinetto sottostante si arrampicava, attorcendosi, sino alla colonnina angolare del nostro balcone.
Molte delle palme che fiancheggiavano su ambo i lati Viale Regina Margherita sono state sterminate dal punteruolo rosso, ma molte di loro miracoosamente sopravvivvono.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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