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30 ottobre 2019 3 30 /10 /ottobre /2019 09:51
Chris Kraus, I Love Dick, Neri Pozza, 2017

Afferma René Girard, nel suo testo Geometrie del desiderio (Raffaello Cortina, 2012) che in tutte le relazioni amorose, incluse quelle "letterarie", vige il principio secondo cui,in maniera occulta o esplicita, debba esserci la presenza di un terzo, il cui esserci serve ad alimentare la passione amorosa e tutti i movimenti interiori su cui si fonda la relazione.

Il testo di Chris Kraus, I Love Dick (traduzione dall'inglese americano di Maria Nadotti), pubblicato da Neri Pozza (Collana Bloom), nel 2017, è una valida semplificazione di questo assunto ed  è anche - per molte ragioni - come scrive Joan Hawkins nella postfazione si presenta - se lo si volesse etichettare in qualche modo - come una fiction "teoretica", nel senso che in contesto epistolare-diaristico una triangolazione amorosa evolve rapidamente - senza aver visto prima qualsivoglia "consumazione" - verso una dimensione cerebrale ed una condivisione intellettuale, piuttosto che fisica.

Chris Kraus, filmmaker sperimentale e sposata da anni con l’intellettuale Silvère Lotringer, nel corso di una serata assieme Dick, critico culturale inglese, crede di innamorarsi di lui, sulla base di poche parole e sguardi scambiati (e la prepotente sensazione di una nascente complicità). Nasce quindi nei giorni seguenti, senza che ci sia stato alcun approccio fisico, un fitto scambio epistolare, quasi febbrile, con Dick: molte delle lettere non saranno mai spedite.

Lo scambio epistolare è pienamente condiviso con Silvère che è anche autore di alcune delle lettere indirizzate a Dick.

Si crea dunque un triangolo amoroso, in larga parte del tutto mentale (da qui la definizione di "fiction teoretica"), mentre Chris continua a cercare di suscitare una qualche attenzione da parte di Dick. Questo coinvolgimento emozionale, ma anche intellettuale, nei confronti di un terzo, conduce Chris e Silvère a riprendere dei contatti sessuali, ormai interrotti da anni, ma in un successivo momento alla loro separazione definitiva, per quanto poi il loro rapporto continui in modi diversi.

Nella realtà vissuta, ci saranno soltanto due o tre incontri tra Chris e Dick, tutti caratterizzati da una fondamentale ritrosia da parte di Dick che non apprezza l'irruenza di Chris e cerca di prenderne le distanze.

La dimensione epistolare si trasforma dunque in una dimensione diaristica, in cui Chris si rivolge continuamente a Dick, assunto a suo interlocutore ideale, per raccontargli dei suoi viaggi, del suo lavoro, dei suoi ricordi intellettuali, dei suoi pensieri e riflessioni sul mondo artistico che frequenta, sulla sua arte.

Il rapporto tra Dick e Silvère prosegue e si rafforza, prendendo le forme di una collaborazione culturale, da cui Chris invece è esclusa. Per Chris, dunque, Dick è un catalizzatore di emozioni, di riflessioni e di idee. Dick, in realtà, non è interessato per nulla a le, anzi al contrario trova l'esuberanza di Chris eccessiva e fuor di luogo. Tra le righe - ecome sembra suggerire il finale - si è portati a pensare che l'invaghimento di Chris abbia funzionato piuttosto per l'attivazione e il consolidarsi di una relazione tra Dick e Silvére, su di un piano intellettuale e collaborativo, dunque di stampo omosociale, benché non direttamente agita sul piano omosessuale.

Si può sicuramente affermare che il modello di relazione a tre offerto da Chris Kraus nella sua opera si ponga ad un estremo di un ampio spettro di relazioni amorose traingolari, al cui estremo opposto si collocano quelle in cui due partner di un stesso sesso dividono una relazione amorosa con un terzo partner di sesso opposto, con diverse possibili configurazioni. dalla condivisione di uno stesso spazio di vita e momenti di relazioni sessuali duali differenziate alla non condivisione di spazi di vita comuni e relazioni sessuali a tre, prevalenti ma non esclusive (con una coppia che nella sua costituzione è dominante rispetto all'altra), per arrivare infine a situazioni in cui la scelta di un parner terzo solo esclusivamente nell'ambito della sessualità avviene solo occasionalmente e in contesti specifici (quelle che vengono definite situazioni "trasgressive", idioma più recente rispetto all’espressione di sapore ottocentesco quale era la cosiddetta “licenziosità libertina”) e in cui la presenza di un partner terzo ed intercambiabile sovente in situazioni promiscue ha la funzione di rinsaldare la relazione e la complicità all'interno di una coppia, attivando il desiderio.

Parlando di queste diverse configurazioni gli esempi nella letteratura e nella cinematografia sono molteplici, a partire da quello che si può considerare un classico del genere e che è il romanzo Jules e Jim di Pierre Roché (e il film che ne è stato tratto, considerato uno dei capolavori di Jean-Luc Godard), ma possiamo anche fare riferimento al bel film basato sulla vita reale, Il Professore Marston e Wonder Woman (che offre un esempio di convivenza a tre tra il professore Stanton, il creatore del personaggio femminile dei fumetti Wonder Woman due donne, in sfida alle convenzioni dell'epoca). E la lista degli esempi letterari e cinematografici potrebbe allungarsi notevolemente, sino al recentissimo film dello spagnolo Gaspar Noé, Love.

In queste relazioni a tre, ovviamente, esiste anche una forte componente omofila che lega tra loro intensamente i due partner dello stesso sesso, più facilmente esplicitata tra donne  (nella combinazione 2W+1M) che non tra gli uomini nel caso della configurazione 2M+1W.

Si tratta di situazioni che spesso dai benpensanti re dal perbenismo ottuso sono state bollate come licenziose, peccaminose, frutto del vizio, perverse, ma che in realtà rappresentano una sfida ad un modo di essere e di amare totalmente diverso da ciò che recitano le convenienze e le ristrettezze morali. E, in parte, ancora oggi, questi comportamenti sono oggetto di riprovazione sociale.

Il quesito che viene lanciato sul tappeto è infatti questo: "Perchè mai un uomo non dovrebbe poter amare contemporaneamente due donne? O una donna due uomini?”.

Una situazione a tre che, se agita concretamente con tutti i necessari adattamenti, è sicuramente ben più coraggiosa di squallide situazioni in cui un terzo partner esiste, ma sta nell'ombra di una relazione extraconiugale che deve rimanere segreta alla consapevolezza sociale.
La liberazione sessuale vera passa attraverso l'abolizione di tutte le segretezze, dalla libera esplicitazione delle proprie attrazioni e desideri e dalla condivisione inclusiva con il proprio partner.

Gay Talese, La donna d'altri, Rizzoli

Si veda a questo riguardo il magnifico racconto  sulla nascita negli Stati Uniti di questo tipo di movimento di liberazione sessuale che uno dei massimi rappresentanti del new journalism Gay Talese ha fatto nel suo La donna d’altri (The Neighbor’s Wfe),partendo in larga parte da materiale osservativo da lui personalmente raccolto, originariamente pubblicato nel 1980  e riedito nel 2012 (BUR Rizzoli) con una nota di aggiornamento su persone e luoghi da parte dello stesso talese che per scrivere questo libro si "infiltrò" negli ambienti scambisti del tempo e che per qualche tempo si prestò anche - per raccogliere materiale osservativo di prima mano - ad esercitare le funzioni di direttore di un salone per massaggi. Ecco cosa scrive Talese, in particolar modo, nel descrivere l'atmosfera della Associazione scambista e di libero amore, chiamata Sandstone Retreat che lui si trovò personalmente a frequentare e a osservare "in modo partecipato", come si ritrava a dichiarare nella sua postfazione al volume:

A volte il salotto di Sandstone poteva sembrare un circolo letterario, ma il piano inferiore restava un luogo destinato ai piaceri, con spettacoli e musiche che molti visitatori non si sarebbero mai immaginati di sperimentare sotto un unico tetto, nel corso di un'unica serata.
Dopo aver sceso la scala coperta da un tappeto rosso, gli ospiti entravano in un ampio localein penombra: il caminetto illuminava i cuscini sparsi sul pavimento, dove stavano sdraiaiti uomini e donne di cui si scorgevano silo i volti in ombra, le membra intrecciate,i seni prosperosi, le dita che afferravano, le natichein movimento, le schiene sudate, le spalle, i capezzoli, gli ombelichi, i lunghi capelli biondi sui cuscini, le grosse braccia che stringevanofianchi morbidi e candidi, la testa di una donna che andava su e giùsopra un pene in erezione.Sospiri, lamenti estatici, i risucchi delle carni che si accoppiavano, risa, mormorii, la musica trasmessa dall'impianto stereo, lo scricchiolio della legna nel camino.
(ib., p. 408).
E più avanti, Talese continua enunciando l'assalto senso-percettivo a cui veniva sottopostoun'ospite di Sandstone apppena giunto e ancora alle prime armi:
...donne a cavalcioni di uomini, coppie sdraiate fianco a fianco, donne con le gambe sopra le spalle del partner, un uomo nella posizione del missionario con i gomiti affondati nei cuscini rivestiti di madras e il sudore che gli colava dal membro barbuto. Accanto una donna tratteneva il fiato e ansimava, mentre l'uomo dentro di lei godeva
; un'altra rispondeva a quei suoni arcuando la schienae aumentando il ritmo per lasciarsi andare all'orgasmo (...)
In  un angolo della sala illuminata da luci cangianti proiettate sulle pareti, si scorgevano le sagome di alcune persone nude che stavano ballando. In un altro angolo una donna unta di oli stava supina su di un tavolo, mentre cinque persone la accarezzavano e massaggiavano ogni parte del suo corpo. Un uomo muscoloso stava in punta dei piedi davanti al tavolo e si sporgeva verso le sue cosce divaricate per leccarle i genitali.
(ib., p.409)

Insomma, quella che viene descritta da Talese è una situazione di sesso orgiastico, in cui il piacere è accresciuto da stimolazioni sensoriali multiple, quasi sinestesiche, e per usare le parole di Talese, "...un potente afrodisiaco audiovisivo, un 'tableau vivant' degno di Hieronymus Bosch": il naturale punto di arrivo e inizio nello stesso tempo di enormi sviluppi "libertini", a partire dalla liberazione della relazione di coppia dai vincoli rigidi postoi dalla morale borghese. Tutto ha inizio - se si legge la storia dei diversi personaggi che convergono verso la creazione di un luogo come il Sandstone Retreat - dall'introduzione nel rapporto di coppia codificato di un terzo, non più soltanto nell'immaginazione ma nella realtà.
Il finale di Love Dick che, appunto, si innesta in questo filone che attiene ad una triangolazione amorosa per così dire "sincronica" e non più suggellata dalla segretezza in cui viene mantenuto il "terzo", escluso dal rapporto formale di una coppia qualsivoglia, è suggellato da una delle pochissime azioni esplicite di Dick, che invia due lettere una a Silvère e l'altra a Chris: ma quella destinata a Chris è soltanto una miserevole fotocopia della lettera scritta per Silvère. Questo fatto, assieme alla constatazione che la prima lettera d'amore per Dick è stata scritta da Silvère e non da Chris fa dire alla postfatrice che "...nel classico triangolo girardiano, le donne funzionino funzionano come tramite per una relazione omosociale tra uomini..." e dunque sembrerebbe proprio che, alla fine di tutto, in tutta questa storia venga celebrato il trionfo di una relazione amicale tra Dick e Silvère, da cui alla fine Chris viene ad essere totalmente emarginata (p. 290).

 

(Risguardo di copertina) Filmmaker sperimentale di trentanove anni, Chris è sposata con Sylvère, docente universitario di cinquantasei anni. Appassionata d’arte di cattiva qualità, che secondo lei rende molto piú attivo chi la osserva, Chris, diversamente da Sylvère, non si esprime in un linguaggio teorico. È abituata perciò ad attenersi a un perfetto silenzio quando Sylvère si avventura nei suoi discorsi sulla teoria critica postmoderna.

Non facendo piú sesso, i due però non evitano affatto di parlare. Praticano anzi una rigorosa «decostruzione» a modo loro. In altre parole, si raccontano tutto.

Dopo aver trascorso l’intero anno sabbatico di Sylvère in un cottage sperduto tra le montagne a un’ora e mezza da Los Angeles, una sera i due cenano in un sushi bar di Pasadena con Dick, critico culturale inglese e buon conoscente di Sylvère. Durante la cena, mentre i due uomini discettano sulle ultime tendenze del postmoderno, Chris si accorge che Dick cerca di continuo il suo sguardo, e non può fare a meno di sentirsi eccitata da quell’inaspettata attenzione. Eccitazione che si accresce quando, dopo aver raggiunto casa di Dick nel deserto di Antelope Valley, per trascorrervi la notte ed evitare così di avventurarsi sulle strade innevate, Chris si rende conto che l’inglese flirta apertamente con lei. Lo sogna perciò tutta la notte. Ma la mattina dopo, quando si sveglia sul divano letto offerto dal loro generoso ospite, Dick non c’è piú.

Quella scomparsa le sembra il perfetto compimento di un’intensa storia non vissuta, anzi, come confessa a Sylvère, di una «Scopata Concettuale». Una volta tornati nel cottage, Sylvère – per un gioco perverso o forse perché per la prima volta dall’estate scorsa Chris gli appare animata e viva – le suggerisce di scrivere a Dick e di esprimergli i suoi sentimenti.

Pubblicato per la prima volta nel 1997 e tornato prepotentemente a far parlare di sé, I love Dick è un romanzo di culto considerato «uno dei piú importanti libri femministi degli ultimi due decenni» (Observer) oltre che «un formidabile romanzo di idee» (New Statesman).

 

Hanno detto di I Love Dick

«Questo è il libro piú importante sugli uomini e sulle donne che l’ultimo secolo ci ha lasciato» (Guardian)

«I Love Dick è uno dei più importanti libri mai scritti sull’essere donna» (Observer Magazine)

«Uno dei piú esplosivi, rivelatori, laceranti e insoliti memoir mai portati sulla pagina» (Rick Moody)

«Per anni, prima di leggerlo, ho continuato a sentir parlare di I love Dick. Sono in ritardo di due decenni, ma ho capito subito di avere tra le mani un testo incandescente» (Leslie Jamison, New Yorker)

 

Chris Kraus

L'autrice. Chris Kraus, di origini neozelandesi, è nata a New York nel 1955 e ha trascorso la sua giovinezza tra il Connecticut e la Nuova Zelanda.

Si laurea alla Victoria University of Wellington in Nuova Zelanda e, tornata a New York, completa i suoi studi di recitazione con Ruth Maleczech e di teoria economica con Arthur Felderbaum.

Kraus ha realizzato film e video arte e messo in scena spettacoli e rappresentazioni in diversi città. Alla fine degli anni ’70 era membro di The Artist Project, un’impresa di servizio pubblico finanziata dalla città e compresa da pittori, poeti, scrittori, cineasti e ballerini. Il suo lavoro come artista di performance e video ha satireggiato la politica di genere della scena Downtown e ha favorito i tropo letterari, fondendo tecniche teatrali con Dada, critica letteraria, attivismo sociale e performance. Kraus è ebrea e affronta molti aspetti spirituali e sociali dell’ebraismo nelle sue opere. Dice che i suoi genitori hanno frequentato la chiesa cristiana e non le hanno detto che la sua famiglia fosse ebrea fino a quando non si è trasferita a Manhattan, forse per proteggerla dall’antisemitismo.

Esordisce nella narrativa nel 1997 con il romanzo I love Dick che diviene vent'anni dopo una Serie TV con protagonista Kevin Bacon[4]. Ha continuato a girare film fino alla metà degli anni ’90. A partire dal 2006 era sposata con Sylvère Lotringer, un ebreo che é soppravvisuto all’Olocausto da bambino; hanno divorziato nel 2016. Alcune delle sue opere sono basate sul suo matrimonio e sul suo ex marito.

Insegna cinema alla European Graduate School a Saas-Fee[5].

A I Love Dick si èispirata una serie televisiva.
 

Quello che segue è un racconto di fantasia liberamente ispirato a I Love Dick e alle tematiche che vi sono connesse e che sono state toccate nelle mie riflessioni.

Senza perdere la tenerezza


Mi trovavo in un resort vacanziero naturista un'estate di un paio d'anni addietro ed ero andato, come facevo solitamente da una certa ora del pomeriggio, a passareun po' di tempo in la grande piscina naturista con annesso hammam dove praticare lo scambismo che, a differenza di altri luoghi similari, è misto, cioè aperto alle coppie e ai singoli.
Mentre ero a bordo piscina, separata da me solo da una sdraio vuota, c'era una tipa affascinante dalla pelle bianco-lattea e capelli corvini, seno piccolo, ma sodo, intenta a leggere con interesse un libro, che era "I Love Dick": proprio, prendendo spunto da questa sua lettura abbiamo avviato una conversazione, io ne ho riconosciuto la copertina e, in effetti, ricordavo di averlo a casa, senza tuttavia averlo già letto.
Abbiamo parlato del più e del meno e lei con la sua pelle eburnea e un grande cappellaccio di paglia a tesa larga che continua a tenere su, benché fosse all’ombra, era realmente fantastica, anche per la sua variegata cultura. Veniva voglia, lì su die piedi, di toccarla e di stringerla.

Non ho avuto la presenza di spirito di domandarle se fosse qui solo per il naturismo oppure anche per le gioie dello scambismo, se fosse in altri termini – per usare il termine inglese – una swinger. La domanda rimase inespressa.

Poco dopo è arrivato il suo compagno e hanno consumato assieme un gelato; quindi, indolentemente se ne sono andati, per imbucarsi nell’hammam. Guardandoli in piedi, ho notato quanto entrambi fossero alti e longilineii, lei sinuosa e morbida nei movimenti, dotata di una grazia quasi felina. Una coppia davvero bene assortita, ho pensato.

Li ho seguiti, quasi immediatamente, spinto da un’irressistibile puslsione e da un forte rimescolio nei lombi.

E li ho trovati lì, in uno degli anfratti dell'hammam dove era messo a disposizione un grande sommier che può accogliere diversi scopatori contemporaneamente oppure situazioni tipo gang bang (per coloro che non conoscono il gergo, si intenda “ammucchiata”): si sviluppava un happening a tre, con la donna di prima messa carponi che veniva scopata da dietro da uno in piedi, mentre davanti a lei stava il suo partner che godeva delle sue effusioni orali.

A prenderla da dietro, sempre con l'autorizzazione partner, si susseguivano diversi uomini. Avrei voluto scoparla anche io: era ancora presto e non c'era ancora molta ressa.

Avrei potuto (e avrei voluto), ma non ero ancora pronto poiché subito prima una tipa mi aveva afferrato il pene, in ginocchio davanti a me, mi aveva donato un pompino, il primo della giornata, ed ero appena venuto. Un minimo di tempo per ricaricarsi ci vuole, per quanto veloci si possa essere nel recupero...

Per quanto desiderassi quella scopata non riuscivo a farlo venire duro e quindi giocoforza mi sono tenuto in disparte, fuori da quel gioco in cui avrei voluto buttarmi a capofitto.

Sono rimasto a guardare, tuttavia, perchè la situazione mi pareva assolutamente intrigante e, come ho già detto, lei mi piaceva da morire.

Più tardi, nell'arco della giornata ho visto quella coppia diverse volte aggirarsi nei diversi spazi dell'hammam. I due erano entrambi alti e longilinei: a causa di ciò non li si poteva non notare.

Lei mi pareva nella sua nudità un'elegante gazzella, ma insieme dotata di una grazia felina: insomma, al tempo stesso, preda e predatore.

Più tardi, mentre mi ero adagiato su uno dei grandi cuscini a tirare il fiato, dopo una travolgente scopata, ecco arrivare i due che si mettono comodi proprio accanto a me: elettrizzato ho allungato la mano e ho preso ad accarezzare la pelle serica della donna e le sue lunghe cosce di gazzella.

E' bastato un attimo e ci siamo avvinghiati: ho cominciato a baciarla nella bocca, mentre il compagno di lei in ginocchio sul divano ci guardava.

Baci e carezze e lei con grande tenerezza, a tratti oscillante verso la passione, mi accarezzava la schiena o me la strisciava con la punta delle unghie, provocandomi brividi di intenso piacere..

Poi, gliel'ho infilato dentro, dopo aver indossato il preservativo di rito, e ha avuto inizio una lunga e impareggiabile scopata, non violenta ed energica, ma dolce e lenta. E lei intanto tenendo le cosce ben divaricate continuava a cingermi e a carezzarmi con le sue lunghe mani la schiena, mandandomi in visibilio.

E intanto ci baciavano con passione.

E lei gemeva di piacere.

Il compagno, accanto a lei, all'altezza delle nostre teste, intanto si masturbava e se lo faceva venire duro.

Poi, in una pausa del lungo bacio per prendere fiato, lui le ha infilato il cazzo in bocca e se lo è fatto succhiare, mentre io continuavo a scoparla con tutta la dolcezza possibile. Anche il pompino che lei somministrava al suo partner era dolce ed appassionato allo stesso tempo, senza strattoni, fatto in modo da protrarre il piacere il più a lungo possibile, come piace a me. Quindi il guardarla mentre succhiava il cazzo del suo compagno era fonte per me di ulteriore piacere.

Poi, alla fine, con un lungo gemito sono venuto e ho sfilato il cazzo dalla sua vagina.

Ma sono rimasto disteso accanto a lei a carezzarla e a baciarla nella bocca, mentre il compagno prendeva a scoparla, tenendola sempre distesa di schiena.

E anche questa seconda scopata è durata a lungo. Lei  è venuta più volte, con lunghi gemiti, non rumorosi e plateali. Anche il compagno è venuto.

Dopo, appagati, siamo rimasti distesi a lungo con lei al centro, dispensandole carezze e baci, sino a che eccitati di nuovo ed entrambi con il cazzo duro abbiamo ricominciato ma questa volta a posizioni invertite.

E' stata la migliore scopata scambista a tre della mia vita.

Non ci siamo presentati, come si usa fare in questi luoghi della trasgressione, nemmeno tanto per sapere il nome di ciascuno.

Eppure, anche se nel più totale anonimato, si è trattato di una lunga parentesi di sesso, decisamente memorabile, eccitante, ma anche piena di tenerezza.

Quando è finita e ci siamo lasciati, sapendo che questa cosa sarebbe rimasta confinata all'hic et nunc, c'era dentro di me un pizzico di nostalgia.

E raccontandola - così come sto facendo adesso - mi viene voglia di ripetere  quell'esperienza, intensa e forte come un'ubriacatura. Anzi di più. E il cazzo mi viene duro e lubrificato, pronto di nuovo.

Ho più volte pensato e ripensato a questa avventura, ripercorrendola avanti e indietro nei suoi dettagli, e devo dire che la mia riflessione di fondo è che con questo tipo di esperienza - se solo si ha il coraggio di abbandonare le convenzioni -ci si si immerge in un vero giardino delle delizie e dopo non è tanto facile ritornare ad un registro "normale" di relazioni sessuali. E rimane nello sfondo una forte nostalgia anche se non tutti gli incontri con swinger e scambisti vari possono fregiarsi di questa sublime combinazione di carnalità ee tenerezza.

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18 ottobre 2019 5 18 /10 /ottobre /2019 09:45
Marco D'Eramo, Il selfie del mondo, Feltrinelli, 2017

Marco D’Eramo è un sociologo e giornalista che ha studiato il turismo nel libro “Il selfie del mondo” (Fetrinelli, 2017 ed ora anche in economica).
Non tutto il libro è di pari interesse, ma la prima parte per coloro che amano il camminare di lunga durata, il trekking ed anche il camminare profondo, anche in opposizione, può essere stimolo di riflessioni.

In particolare, all'interno del volume si ritrova un argomento d'un certo interesse ed è quello  in cui D’Eramo decreta la morte di città e territori: questo verdetto rilasciato dall’Unesco è il “Patrimonio dell’Umanità” o World Heritage.
Molti pensano sia un grande riconoscimento, che aiuta a salvare città, territori e beni materiali e immateriali. Ma in realtà, come spiega bene D’Eramo, ne certifica la morte, trasformando un luogo vivo, in evoluzione, una città abitata da gente vera, in una "disneyland" per turisti.
O meglio, quasi sempre il processo è già avvenuto e quando arriva il patrocinio l’Unesco, si tratta soltanto di una sorta di convalida ufficiale. Il bollino Unesco poi non fa che incrementare all'ennesima potenza il numero dei visitatori.
Le città, i paesi e i territori sotto l'implacabile pressione del turismo globale (pensiamo a Firenze, Venezia o a San Gimignano) si trasformano, gli abitanti storici se ne vanno, per lasciar posto a B&B, Case Vacanze, Affittacamere, Airbnb. I negozi “veri”, che vendono beni di prima necessità, si trasformano prima i negozi di prodotti tipici, e poi in negozi di souvenir standard, uguali in tutto il mondo: e si tratta di un processo che è difficilmente reversibile, una volta avviato.

Prendiamo - a titolo di esempio - il caso del bel paese medievale di San Gimignano. Chi ha camminato sulla Francigena lo conosce bene.
Ma gli abitanti autoctoni non possono più vivere nel suo centro storico: i prezzi sono alti, non c’è più un negozio vero (non si vive di soli pinocchietti di legno!), ma solo rivendite di souvenir standard, poste una accanto all’altro; le strade sono piene di gente all'inverosimile: insomma, tutto l'opposto di una cittadina a misura d'uomo e di conseguenza il nucleo storico della cittadina si è spopolato e se ne sono andati tutti a vivere in periferia. E, per quanto riguarda la Toscana, quando arrivano i famosi pinocchietti si può decretare senza ombra di dubbio che il processo di disneylandizzazione di un luogo è cosa compiuta: e il luogo con le sue radici storiche e con le vite narrate e da narrare che contiene si trasforma in un anonimo non luogo.

È paradossale che l’unintended consequence del voler mantenere l’unicità, l’irripetibilità di un sito, produca in realtà un 'non luogo' sempre uguale a se stesso in tutti i siti heritage della terra. Come per trovare i veri sangimignanesi devi uscire e allontanarti dalle mura medievali, così per trovare dove vivono davvero i laotiani di Luang Prabang bisogna pedalare in bicicletta per un paio di chilometri su Photisalath Road per raggiungere la città vivente”.
Il turismo è l’industria più pesante, più importante e più impattante del XXI secolo, tanto che ormai si parla dell’"Età del turismo" riferendosi alla nostra era.
Ovviamente l’etichetta Unesco non è causa del turismo, ma ne è in qualche modo certificato di garanzia, e copertura ideologica (istituzione “a fin di bene”).
L’etichetta Unesco ha aperto all’industria turistica una nuova, meravigliosa, sconfinata terra di conquista: perché costruire nuove Disneyland quando disponiamo di una caterva di città viventi e di territori che aspettano (anzi chiedono disperatamente) di diventare parchi a tema, col semplice mummificarsi, e quindi svuotarsi?”. E ovviamente poi si paga il biglietto, perché stupirsi se sui sentieri delle Cinque Terre o delle Gole di Samaria da anni, a Venezia da dopodomani o in altri luoghi a seguire pian piano, si pagherà il biglietto per entrare?".

Marco D'Eramo, Il selfie del mondo, Feltrinelli, Universale Economica, 2019

Marco D'Eramo, Il selfie del mondo. Indagine sull'età del turismo, Feltrinelli (Campi del sapere), 2017

(Dalla quarta di copertina) Un saggio che analizza il fenomeno sociale e globale del turismo: una ricerca attualissima, una critica sorprendente della contemporaneità, che è anche uno straordinario viaggio intorno al mondo.

Il turismo è l'industria più importante di questo nuovo secolo, perché muove persone e capitali, impone infrastrutture, sconvolge e ridisegna l'architettura e la topografia delle città. D'Eramo tratteggia i lineamenti di un'epoca in cui la distinzione tra viaggiatori e turisti non ha più senso e recupera le origini di questo fenomeno globale, osservandone l'evoluzione fino ai giorni nostri. La nascita dell'epoca del turismo rivive attraverso le voci dei primi grandi globetrotter, a partire da Francis Bacon, passando per Samuel Johnson, fino a Gobineau e Mark Twain, che restituiscono una concezione del viaggio ancora elitaria e che, tuttavia, porta con sé quella ricerca del diverso, del selvaggio e dell'autentico tipica di ogni esperienza turistica. Attraverso un percorso urbano che si sviluppa su tutto il mappamondo, d'Eramo smaschera la dialettica del fenomeno turistico e la affronta senza pregiudizi snobistici, collocandola nello spirito del suo tempo.

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12 ottobre 2019 6 12 /10 /ottobre /2019 08:39
La Corsa de L'Ora (a cura di Franco Nicastro), Navaraa Editore, Palermo, 2019

"La Corsa de L'Ora" (2016) è un un bel film documentario di Antonio Bellia, premiato nel 2018, con Pippo Delbono, nella veste di narratore.

Il periodo compreso tra il 1954 e il 1975 fu quello in cui Vittorio Nisticò fu il direttore del quotidiano palermitano del pomeriggio L’Ora, originariamente avviato dalla famiglia Florio.

Il documentario ne ricostruisce le vicissitudini: da un lato, le battaglie contro l’intreccio di poteri e interessi tra la mafia e la politica in un momento storico di grande trasformazione per la Sicilia, dall’altro l’impegno di una generazione di intellettuali e artisti che vedono protagonisti personaggi come Sciascia, Consolo, Dolci, Guttuso, Caruso, che si fanno carico della necessità di essere interpreti di un cambiamento sociale e civile e che scelgono il piccolo quotidiano palermitano come luogo e strumento di questa grande scommessa.

Il film è stato vincitore nell 2018 Nastri d'Argento, sezione Docufilm.

Di recente con Navarra Editore (Palermo) è stato pubblicato un volume di contributi e di amarcord sul giornale L'Ora di Palermo che contiene abbinato il DVD con il film documentario incentrato su quegli anni ruggenti de L'Ora, ma anche con riferimenti al periodo successivo sino alla sua chiusura.
I diversi contributi, tutti scritti da giornalisti che lavorarono nella redazione dell'Ora e che successivamente seguirono altre strade sempre nel campo del giornalismo, avendo acquisito in quegli anni una solida statura formativa nel campo del giornalismo militante e coraggioso raccontano con diversi vertici d'osservazione, l'avventura del quotidiano palermitano non dalle sue più lontane origini, ma a partire dall'anno in cui Vittorio Nisticò ne assunse la guida, sino alla sua chiusura negli anni '80.
Ma gli anni ruggenti, quelli dell'esposizione del quotidiano che intraprese coraggiosamente grandi inchieste sulle condizioni della città furono appunto quelli della direzione di Nisticò e cioè quelli situabili nell'arco di tempo che va dal 1954 al 1975 e sono esattamente quelli su cui si é concentrato il documentario di Bellia.

Il volume è stato curato da Franco Nicastro.

(Dal risguardo di copertina) Nato all'inizio del Novecento come progetto della famiglia Florio, il quotidiano L'Ora fu diretto tra il 1954 e il 1975 da Vittorio Nisticò. Alla sua figura è dedicato La corsa de L'Ora, docufilm di Antonio Bellia (2017) allegato a questa pubblicazione, curata dal giornalista Franco Nicastro, alla quale dà anche il titolo.
L'Ora ha sempre conservato, lungo tutta la sua vita, le caratteristiche di un quotidiano sensibile ai fermenti di novità e ai tentativi di trasformazione dei vecchi equilibri.
Forte di una identità di sinistra, criticamente aggiornata. Difensore dell'autonomia siciliana come strumento di libertà e di progresso, ma mai "sicilianista".
Strettamente legato alle questioni della crescita sociale e civile di Palermo e dell'Isola, ma non provinciale, sempre attento, semmai, a quanto di nuovo maturava in Italia e nel resto del mondo. Un giornale di respiro nazionale impegnato a dare ai fatti locali il rilievo delle grandi battaglie di rinnovamento e a iscrivere le cronache e i commenti politici degli avvenimenti siciliani nella cornice ampia del riformismo e della democrazia.

L'attenzione sia del film che delle pagine dellibro è rivolta all'intera realtà de L'Ora quel "quotidiano che non fu solo una testata giornalistica ma un laboratorio di idee, un luogo di confronto vivace e irriverente, un presidio e uno strumento di battaglia civile..." (A. Bellia).
Gli articoli- firmati da A. Calabrò, M. Genco, F. La Licata,, S. Nicosia, M. Sorgi, V. Vasile,, P. Violante - sono ripresidal volume "Era l'Ora. Ilgiornale che fece storia e scuola" (a cura di M. Figurelli e di F. Nicastro, XL Edizioni, 2012).

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8 settembre 2019 7 08 /09 /settembre /2019 07:15

«Chiamatemi Tiresia. Per dirla alla maniera dello scrittore Melville, quello di Moby Dick. Oppure Tiresia sono, per dirla alla maniera di qualcun altro.
«Zeus mi diede la possibilità di vivere sette esistenze e questa è una delle sette. Non posso dirvi quale.
«Qualcuno di voi di certo avrà visto il mio personaggio su questo stesso palco negli anni passati, ma si trattava di attori che mi interpretavano.
«Oggi sono venuto di persona perché voglio raccontarvi tutto quello che mi è accaduto nel corso dei secoli e per cercare di mettere un punto fermo nella mia trasposizione da persona a personaggio».

«Ho trascorso questa mia vita ad inventarmi storie e personaggi, sono stato regista teatrale, televisivo, radiofonico, ho scritto più di cento libri, tradotti in tante lingue e di discreto successo. L’invenzione più felice è stata quella di un commissario.
«Da quando Zeus, o chi ne fa le veci, ha deciso di togliermi di nuovo la vista, questa volta a novant’anni, ho sentito l’urgenza di riuscire a capire cosa sia l’eternità e solo venendo qui posso intuirla. Solo su queste pietre eterne».

Incipit di "Conversazione con Tiresia"

Andrea Camilleri, Conversazioni con Tiresia, Sellerio, 2018

Andrea Camilleri ci ha lasciato il 17 luglio 2019, quando era oormai vicino al traguardo centenario. Poco più di un anno prima, quando era già stato colpito dalla cecità, era andato in scena al teatro greco di Siracusa il suo monologo - durante il ciclo delle rappresentazioni classiche - il suo monologo su Tiresia, da lui stesso interpretato.
In quell'occasione, Sellerio ha pubblicato il testo del monologo nella collana il Divano, con il titolo "Conversazioni con Tiresia".
Leggendolo oggi dopo la morte di Camilleri, lo si può sicuramente considerare una sorta di testamento spirituale dell'autore, poichè mentre Tiresia parla di se stesso e delle controverse rappresentazioni che di lui sono state date nel corso dei secoli, e si trasforma man mano da personaggio a persona, i piani si confondono e si crea una sovrapposizione tra Tiresia e Camilleri stesso che si trasforma in un vate letterario  che si è incontrato e ha parlato con i grandi della letteratura e dello spettacolo, vivendo molte vite sino alla condizione della cecità che gli ha donato uno sguardo ancora più acuto.

Semplicemente geniale. Anche a Camilleri, come a Tiresia, sono state assegnate dagli dei sette vite; e, sicuramente, egli attraverso i personaggi che ha creato e attraverso coloro che leggono i suoi romanzi e le sue invenzioni e visioni vivrà molto a lungo ancora.

La RAI ha trasmesso la registrazione integrale del monologo recitato al Teatro greco di Siracusa, nel giorno della sua morte, suggellando così il valore di questa pièce e il suo significato di testamento spirituale di un autore letterario che è stato geniale e prolifico.

 

 

L'anima di Tiresia appare a Odisseo, opera del pittore svizzero Johann Heinrich Füssli

L'anima di Tiresia appare a Odisseo, opera del pittore svizzero Johann Heinrich Füssli

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7 settembre 2019 6 07 /09 /settembre /2019 09:24
Julie Otsuka, Venivamo tutte per mare (Buddha in the Attic), Bollati Boringhieri, 2011

Venivamo tutte per mare di Julie Otsuka  (The Buddha in the Attic, nella traduzione di Silvia Pareschi), pubblicato da Bollati Boringheri (Collana Varianti), nel 2011, si presenta come un'opera al crocevia: infatti, è nello stesso tempo, racconto di un'epopea per bocca degli stessi protagonisti e documento storico ineguagliabile.
Il titolo italiano, a differenza di quello in lingua originale - sicuramente più enigmatico -, statuisce tre elementi fondanti: il primo che si tratta di una storia corale, raccontata da più voci, il secondo che le voci narranti sono femminili e il terzo che, come momento fondante del racconto, vi è una traversata del mare (o dell'oceano) e dei suoi effetti.
A quale racconto ha messo mano dunque Julie Otsuka, cittadina statunitense, ma di origini nipponiche?
Oggetto del suo interesse è stata la grande epopea dell'emigrazione giapponese negli Stati Uniti, costituita da due tipologie diverse di migranti. Un gruppo più cospicuo di uomini che desideravano trovare dei lavori che consentissero (e alle proprie famiglie) di uscire da una condizione economica di pura sussistenza, dato che alla svolta del XIX secolo tutto in Giappone era bloccato ad uno stato a dir poco medievale (in virtù della radicale opposizione dell'Imperatore giapponese ad una qualsivoglia apertura alle innovazioni tecnologiche e alla liberalizzazione del commercio). L'altro gruppo, invece, era costituito da giovani uomini istruiti che desideravano avere l'opportunità di studiare ulteriormente e di apprendere il know-how delle innovazioni tecnologiche, base della crescita di uno stato moderno.
I Giapponesi che arrivavano dal Paese del Sol Levante presero ad insediarsi nella California, prevalentemente e negli Stati più a Nord, alcuni (molti) divennero braccianti agricoli, altri trovarono impiego nelle attività peschiere, altri ancora furono impiegati in attività di bassa manovalanza.
Erano operosi ed industriosi e, come i frugali Cinesi che avevano contribuito alcuni decenni prima alla costruzione della linea ferrata che collegava la costa ovest con gli Stati dell'Est, si accontentavano di paghe modeste.
Quando questo primo nucleo di migranti si fu stabilizzato sufficientemente, ci fu un'intensa ondata migratoria di donne giapponesi che vennero sposate in molti casi per procura, per facilitarne l'ingresso negli Stati Uniti.
E fu così che i migranti single si accasarono e costituirono delle famiglie. Costoro si autodenominarono Issei, cioè Giapponesi della prima generazione, mentre i nati sul suolo straniero vennero denominati Nisei (l'immigrazione giapponese vide anche negli stessi anni altre destinazioni, come il Canada nel Nord America, il Perù, l'Argentina e il Brasile ed ebbe analoghi sviluppi socio-culturali, con delle peculiarità uniche ed originali rispetto a movimenti migratori di altra origine).
La comunità giapponese negli Stati Uniti crebbe e prosperò: dai primi migranti presto raggiunte dalle mogli per procura nacquero e crebbero i figli e cominciò un lento processo d'integrazione che negli USA, tuttavia, venne bruscamente interrotto dal proditorio attacco giapponese contro Pearl Harbour. Di colpo i Giapponesi Issei  - a differenza dei rappresentanti delle comunità italiane e tedesche - vennero considerati potenziali nemici, cittadini inaffidabili, autori di trame segrete, agenti sotto copertura pronti a favorire sbarchi giapponesi sulle coste americane: insomma, furono oggetto di un rigurgito fortemente razzista e violentemente discriminatorio.
Rapidamente, in un crescendo, si passò da attività poliziesche mirate a singoli individui a restrizioni di massa che sfociarono nella deportazione collettiva di tutti gli Issei e dei Nisei, uomini, donne, vecchi e bambini, in campi di concentramento appositamente allestiti, ben lontani dalle originarie zone di residenza, e ciò a scapito del fatto che i Giapponesi si dichiarassero fedeli alla costituzione americana e che alcuni dei più giovani avessero chiesto di prestare servizio nelle forze armate di cielo, di terra e di mare.
Fu questo un capitolo oscuro nella storia degli Stati Uniti su cui gli Americani, dopo la fine del conflitto mondiale stesero un velo di silenzio, prima che si iniziassero delle attività di chiarificazione.
Gli stessi concittadini statunitensi non seppero granchè di quanto era successo: furono solo testimoni dell'improvvisa scomparsa quasi dall'oggi al domani di tutte le comunità giapponesi dal tessuto sociale, con l'abbandono di case, terre coltivati ed altri bene che in taluni casi vennero razziate dai soliti profittatori.
Alla fine della guerra i giapponesi vennero liberati e poterono ritornare alle loro attività, ma senza alcun risarcimento per ciò che avevano perso:  rimase per molto tempo un'insanabile ferita che creò un arresto significativo nel processo di crescita della comunità nippo-americana.
Il libro della Otsuka narra tutto questo, visto dagli occhi delle donne: e si tratta di un coro di voci collettive che finiscono con il diventare una voce sola, potente ed epica.
Capitolo per capitolo i momenti di un'epopea ci sono tutti: dal trepidante viaggio per mare, all'incontro - a volte deludente - con i mariti promessi, al confronto con una vita faticosa, a volte fatta di stenti e di umiliazioni, alla sessualità, all'arrivo dei figli e alla loro crescita con l'avvio di un'importante fase di integrazione, all'accendersi di relazione miste - spesso segrete - con i "bianchi", alle difficoltà di integrazione linguistica, all'accettazione di usi e costumi tanto differenti rispetto all'arcaica società che avevano lasciato alle spalle. Sino allo scoppio della guerra e all'avanzarsi imperioso di un periodo di incertezze tra voci mormorate, dicerie, in attesa del peggio. E, alla fine, la loro scomparsa sociale (quasi una cancellazione della loro presenza sino al giorno prima), con il loro "grande" internamento nei campi di concentramento.
Qui, non c'è più racconto, nel senso che il lettore non viene accompagnato sino ai campi di concentramente per Issei e Nissei: le voci delle donne si eclissano e rimane soltanto quella - malinconica e accorata - dell'assenza e dell'improvviso mancare al contesto sociale dell'intera comunità giapponese. La voce corale è soppiantata da quella degli "altri", ciascuno dei quali con motivazioni diverse constata l'assenza dei giapponesi, e si tratta di un amico, di un compagno di scuola, del vicino di casa, di un cliente del negozio di ortofrutta e così via.
Quella di Julie Otsaka è una narrazione potente e memorabile che, tra le altre cose, attraverso l'espediente narrativo di dar voce alle donne, getta una documentata luce di conoscenza - in maniera più efficace di qualsiasi saggio - di un fenomento migratorio e di un capitolo ancora poco conosciuto della storia USA contemporanea.
Ed è anche un tributo importante su di una questione ancora controversa e sulla quale solo dopo cinquant'anni dopo hanno lavorato delle commissioni d'inchiesta, espressamente costituite, le quali tutte arrivarono alla conclusione che da parte dei rappresentanti delle comunità NIssei vi erano state allo scoppio della guerra ben poche prove di slealtà nei confronti del governo americano, se non addirittura nessuna.
Giusto per completezza, ai tempi della Presidenza Ford, ai sopravissuti dall'internamento e ai loro discendenti venne riconosciuto un risarcimento nominale di $20.000 per il danno morale subito .
Un unico film ebbe il coraggio di esplorare questo tema spinoso e fu Benvenuti in Paradiso di Alan Parker (1990).

(dal risguardo di copertina)  Una voce forte, corale e ipnotica racconta dunque la vita straordinaria di queste donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America, a cominciare da quel primo, arduo viaggio collettivo attraverso l'oceano. È su quella nave affollata che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l'arrivo a San Francisco, la prima notte di nozze, il lavoro sfibrante, la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l'esperienza del parto e della maternità, il devastante arrivo della guerra, con l'attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici.
Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall'autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua. Un altro scrittore avrebbe impiegato centinaia di pagine per raccontare le peripezie di un intero popolo di immigrati, avrebbe sprecato torrenti di parole per dire cos'è il razzismo. Julie Otsuka ci riesce con queste essenziali, preziose pagine.

Julie Otsuka

 

Sull'Autrice. Julie Otsuka, nata a Palo Alto, in California nel 1962, vive e lavora tra New York e San Francisco.
Dopo la laurea con Bachelor of Arts all'Università Yale si è specializzata alla Columbia University, ottenendo un Master of Fine Arts.
Pittrice, esordisce nella narrativa nel 2002 con il romanzo storico Quando l'imperatore era un dio rigurdante l'internamento dei giapponesi negli Stati Uniti.
Con il secondo romanzo, Venivamo tutte per mare, sul tema delle donne giapponesi mandate in spose in America a connazionali sconosciuti, ottieneha ottenuto numerosi riconoscimenti quali il PEN/Faulkner per la narrativa e il Prix Femina Étranger.

 

Julie Otsuka, Quando l'imperatore era un dio, Bollati Boringhieri

Il seguito ideale di "Venivamo tutte per mare" è "Quando l'imperatore era un dio" che invece racconta neldettaglio, in forma semi-romanzata gli anni della detenzione dei giapponesi americani nei campi di concentramento durante gli anni del conflitto, vista attraverso le voci narranti di un unico gruppo familiare, ma sempre presente nello sfondo una grande coralità..
E' una storia dolorosa che ha lasciato segni che solo il tempo e l'aggiungersi di nuove generazioni a quelle che patirono la vergogna di essere rinchiusi nei campi  di concentramento hanno potuto lenire.
Le scuse ufficiali dell'Amministrazione USA alle comunità giapponesi sono arrivate soltanto con il Presidente Barak Obama.
Per quanto tardivamente sono arrivate.
E' una storia esemplare che, malgrado la distanza nel tempo e nello spazio ci riguarda e sulla quale tutti dovrebbero riflettere.



(Risguardo) "Quando l'imperatore era un dio" racconta un'altra pagina poco conosciuta della storia americana: l'internamento dei cittadini di origine giapponese nei campi di lavoro dello Utah, in seguito all'attacco di Pearl Harbour. Un tranquillo padre di famiglia arrestato nel cuore della notte; sua moglie, i suoi bambini costretti a un viaggio verso l'ignoto. Una storia emblematica del destino di chi divenne invisibile per tutta la durata della guerra.

Julie Otsuka, Quando l'imperatore era un dio (nella traduzione di ), Bollati Boringhieri, Collana Piccole Varianti, 2014

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6 settembre 2019 5 06 /09 /settembre /2019 09:20
Sebastiano Vassalli, Il Cigno, Einaudi (Supercoralli), 1993

Ho letto per la prima volta Il Cigno  di Sebastiano Vassalli  (Einaudi) nel 1993, alla sua prima uscita nella collana Supercoralli.
Di recente ho ripreso il volume dagli scaffali scritto da una rinnovata curiosità. E l'ho riletto con molto piacere.
Il volume di Vassalli offre uno spaccato dell'Italia unificata a cavallo tra la fine del secolo XIX e e i primi del Novecento.
E racconta di un delitto eccellente, che fu quello di Emanuele Notarbartolo, rimasto formalmente irrisolto, dopo ben tre processi celebrati tra Milano, Bologna e Firenze.
La vicenda giudiziaria durante quasi un decennio si risolse con il proscioglimento da tutte le accuse dell'allora onoverole Raffaele Palizzolo, deputato del Regno (in qualità di presunto mandante) e di Piddu Fontana,presunto esecutore dell'omicidio.
Lo sfondo dell'omicidio fu quello dello scandalo della Banca Romana e del Banco di Napoli, oltre che del Banco di Sicilia, di cui Notarbartolo era funzionario.
Questi istituti di credito erano autorizzati, al tempo, a emettere moneta carta, in assenza di una Banca Centrale, con la conseguenza che venivano portate avanti ogni sorta di malversazioni, in cui Francesco Crispi, per due volte Primo Ministro, fu implicato.
L'importanza della vicenda giudiziaria fu grande e rilevante, dal momento che per la prima volta si parlò di Mafia e della collusione tra questa organizzazione criminale e il potere politico.
Il Cigno (era questo il modo in cui confidenzialmente veniva chiamato il vanaglorioso Palizzolo) racconta di una vicenda ancora attuale, in cui l'ieri sembra oggi e dalla quale appare che, indubitabilente, nulla è è cambiato dai primi anni dell'Italia unificata: è una parabola efficace che mostra come le radici dei malaffare di oggi si ritrovano nella storia passata. E quindi questa storia di Vassalli, a metà tra il romanzo e il saggio di ricostruzione micro-storica e di affresco di un'epoca, non ha perso il suo smalto.
Rimane pienamente valida la riflessione contenuta ne "Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi".
Purtroppo Il Cigno, sia nell'edizione nei Supercoralli sia in quella successiva nella collana dei tascabili non è più disponibile in catalogo, Ma è possibile ancora trovarlo nel mercato online dei libri di seconda mano e vintage.

Sebastiano Vassalli

L'autore. Sebastiano Vassalli, nato a Genova, sin dalla prima infanzia vive in provincia di Novara.
Laureato in Lettere a Milano, ha discusso con Cesare Musatti una tesi su "La psicanalisi e l'arte contemporanea".
Dagli anni sessanta si è dedicato all'insegnamento e alla ricerca artistica della Neoavanguardia, partecipando anche al Gruppo 63.
Solo in seguito si è dedicato anche alla scrittura, incontrando successo soprattutto grazie al suo romanzo storico La chimera, ambientato a Novara negli anni a cavallo fra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo.
Fra i suoi titoli ricordiamo - oltre alla già citata Chimera - La notte della cometa, Sangue e suolo, L'alcova elettrica, L'oro del mondo, Marco e Mattio, Il Cigno, 3012, Cuore di pietra, Un infinito numero, Archeologia del presente, Dux, Stella avvelenata, Amore lontano, La morte di Marx e altri racconti, L'Italiano e Dio il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni.

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31 agosto 2019 6 31 /08 /agosto /2019 08:06

il_passaggio.jpgIl passaggio, opera prima di Justin Cronin, giovane professore universitario USA, si può definire come una storia vampirica post-apocalittica.

Le apocalissi ci ossessionano, oggi ancora di più che ieri, visto che sempre di più aumentano e proliferano le cose che ignoriamo e che sfuggono al nostro controllo, malgrado i progressi della scienza (o forse proprio a causa dei progressi della scienza e delle applicazioni indiscriminate dei suoi ritrovati): e sono tanti gli esempi in letteratura e cinematografia, tra i quali possiamo citare L'ombra dello Scorpione di Stephen King oppure il mitico I'm legend di Richard Matheson (e le relative trasposizioni filmiche da Occhi bianchi sul pianeta terra al recente I'm legend con l'interpretazione di Will Smith e un finale buonistico e rassicurante, a differenza del romanzo originario).

Queste opere danno supporto alle nostre fantasticherie (e ai nostri timori) relativi alla fine del mondo, ma in fondo la loro consuetudinaria rivisitazione ci serve a rassicurarci, anche perchè a volte (non sempre) cipropongono scenari sui possibili esiti e ipotesi di ricostruzione. In ogni caso, gli scenari rappresentati nella fiction sono tali da farci vedere comparativamente la realtà in cui viviamo e le sue derive in modo rassicurante.

Un prodotto collaterale delle fantasticherie relative alla fine del mondo sono le cosiddette "figure delll'apocalisse", cioè delle figure iconiche che, senza necessariamente mettere in mezzo le rappresentazioni della fine, compendiano in sé le angoscie relative all'apocalisse, come i quattro cavalieri dell'apocalisse, appunto. E in questa categoria rientrano tutti i personaggi classici dell'Horror, il Vampiro in testa a tutti.

Il passaggio compendia felicemente la rappresentazione di una possibile apocalisse con una delle figure iconiche più sfruttate per raccontare la fine del mondo che è appunto il Vampiro (e in questo caso si tratta di un genere di vampiro che si origina tuttavia da una contaminazione virale, mossa da un'ossessione demiurgica).

L'incipit è davvero un omaggio allo Stephen King de "L'ombra dello Scorpione" con il racconto di un cinico esperimento che, sfuggito al controllo, porta rapidamente alla distruzione di gran parte degli uomini (i "mingherli") e al contagio di quelli che, sopravvivendo, si trasformano in "virali" - detti anche "fumidi" - che oltre a nutrirsi di carne e sangue (non necessariamente umani) sono praticamente immortali, immuni dalle malattie e dall'invecchiamento. Lo scopo dell'esperimento era appunto quello di selezionare attraverso le inoculazione di un ceppo virale isolato da una varietà di pipistrelli identificata da una spedizione scientifica e di esplorazione in un luogo remoto dell'Amazzonia.

Gli esperimenti condotti senza tener conto del principio di precauzione e senza conoscere tutte le variabili implicate possono portare a esiti davvero disastrosi, ma possono portare anche a creare - senza consapevolezza - le premesse d'una possibile salvezza che, in questo caso, è rappresentata da una bambina di appena 11 anni, Amy, selezionata come 13^ cavia, mentre le prime 12 erano tutti soggetti condannati a morte che "volontariamente" s'erano offerti per la sperimentazione, in cambio del condono della loro pena.

In soli 32 minuti il mondo va a rotoli.

La vicenda riprende un centinaio di anni dopo e ci porta nel pieno di una Colonia di sopravvissuti che si mantiene grazie ad una rigida organizzazione, ma soprattutto con l'abolizione della notte: per mezzo di generatori il terreno della colonia e i suoi dintorni sono illuminati a giorno per tenere lontani i fumidi, giacchè la luce è l'unica cosa che essi temono.

L'organizzazione della Colonia tuttavia, forse perchè troppo rigida ed incapace di esprimere un elastico rinnovamento, è scricchiolante: ci sono tutti i segni delle premesse della fine, ma anche i generatori di corrente sono a due passi dall'esaurimento per mancanza di manutenzione e di pezzi di ricambio.

Tutto cambia con l'arrivo di Amy, nei panni di "pellegrina" che mantiene tuttora l'aspetto d'una sempreverde ragazzina ed è capace di parlare con la mente. Amy porta con sé un messaggio. Un manipolo di intraprendenti "dissidenti" decide di partire alla ricerca del luogo di origine di tale messaggio e da qui, attraverso varie avventure, forse il mondo potrà ricominciare grazie ad Amy, l'"Arca" dei ricordi individuali di tutti coloro che sono stati trasformati.

Sintetizzando ne Il passaggio si possono identificare diverse fasi che sono

  • Un preambolo (l'identificazione dello speciale ceppo virale e l'avvio dell'esperimento "malsano");
  • La catastrofe (quando nel "compound gestito dai militari l'esperimento va a rotoli e sfugge al controllo, anche se nello stesso tempo Amy, 13^ cavia, viene messa in salvo)
  • La creazione di sacche di salvezza (che viene data dalla prospettiva della Colonia 100 anni dopo circa, con delle incursioni nel passato più remoto che danno al lettore, a frammenti, la visione di tutto il periodo intercorso).
  • La nuova fase che è l'inizio della vera ricostruzione su basi davvero nuove che coincide con l'arrivo nella colonia di Amy la pellegrina.

Malgrado la mole (più di 800 pagine), il romanzo di Cronin si legge davvero bene, forse con qualche momento di stanca nella parte molto lunga che serve all'autore per rappresentare la vita nella Colonia e la sua organizzazione. Tra l'altro in questa parte, visto che è necessario ricucire narrativamente un periodo di un centinaio di anni vengono messi in campo dall'autore diversi strumenti della fcition, dalla riesumazione di antichi documenti, alle note diaristiche, ad alcune lettere, resoconti.

Il viaggio della piccola compagnia di eroi che si stringe attorno ad Amy che è, sostanzialmente la quarta parte del romanzo fa rinverdire la vicenda ad una maggiore movimentazione, offrendo per altro al lettore una serie di rimandi letterari (alla Compagnia dell'Anello oppure al manipolo di compagni della serie La torre nera di Stephen King).

Avverrà veramente la ricostruzione? L'autore lascia abilmente tutto in sospeso.

Ma Amy, che è l'Arca della memoria di tutti coloro che, trasformati dai virali hanno perso la propria identità e i ricordi della vita precedente, indica un percorso nuovo che i sopravvissuti potranno percorrere, senza ricadere negli errori del passato e soprattutto nella pratica scellerata di una scienza i cui risultati vengono usati in modo sbagliato.

Sì, parrebbe di sì, l'Umanità sopravvive perchè alcuni fatti storici vengono messi in risalto tramite documenti resi pubblici in una conferenza di storici, molti secoli dopo, ma l'autore non ci dice come.

Il racconto di fatto rimane come sospeso tra un esito felice e consolatorio (che vorrebbe che si partisse subito con il Mondo Nuovo) ed uno meno favorevole e più cupo, fatto di una serie di passi avanti, ma anche di false partenze, nuove morti, sciagure e apparenti fallimenti.

Ma, in ogni caso, la vita continua e la vita vince. E' questo il messaggio.

I diritti per la riduzione cinematografica sono stati acquistati da Stephen Spielberg che presto dal romanzo realizzerà un film.

Il volume fa parte di una trilogia dicui il secondo volume con il titolo "I Dodici", è stato pubblicato nel 2013. Il terzo volume, già disponibile in lingua originalecon il titolo "The City of Mirrors" dal 2016, non ha ancora visto la luce in traduzione italiana. Anche nel secondo capitolo della saga, la narrazione è complessa esi svolge su diversi piani temporali, con un'attenzione che via viasi focalizza su personaggi diversi. E vengono messe inluce le diverse declinazioni del mondo post-apocalittico che si è sviluppato a partire dalla perdita di controllo sull'esperiemto originario. Anche qui Amy svolgerà un ruolo cruciale.

Nel 2019 è stata realizzata per Fox una serie TV dal primo volume della saga, diffusa con il titolo di "The Passage", con riscontri della critica non proprio confortanti.

justin-cronin.jpgJustin Cronin è professore di letteratura inglese alla Rice University e vive a Huston, in Texas, con la famiglia. Il suo primo libro, Mary and O'Neil, ha vinto il prestigioso premio Pen/Hemingway.

 

(Sintesi del romanzo nel risguardo di copertina) Nel cuore della foresta boliviana il professor Jonas Lear fa una scoperta destinata a cambiare per sempre il destino dell'umanità: un virus, trasmesso dai pipistrelli che, modificato, è in grado di rendere più forti gli esseri umani, preservandoli da malattie e invecchiamento. In una remota base militare in Colorado, il governo degli Stati Uniti inizia quindi degli esperimenti genetici top secret per studiare i prodigiosi effetti di questa scoperta. È il Progetto Noah, che utilizza come cavie umane dodici condannati a morte e una bambina. L'esperimento però non procede secondo le previsioni e accade ciò che non era neanche lontanamente immaginabile: i detenuti sottoposti alla sperimentazione - i virali - trasformatisi in creature mostruose e assetate di sangue, fuggono dalla base, seminando morte e distruzione. Da quel momento gli eventi precipitano e nessuno è più in grado di controllarli, nessun luogo è più sicuro e tutto ciò che rimane agli increduli sopravvissuti è la prospettiva di una lotta interminabile e di un futuro governato dalla paura del contagio, della morte e di un destino ancora peggiore. L'unica speranza è rappresentata da Amy, piccola superstite dell'esperimento che ha scatenato l'apocalisse: su di lei il virus ha avuto effetti particolari, trasformandola in una pedina fondamentale nella lotta contro i virali. Sarà l'agente dell'FBI Brad Wolgast a salvarla da una fine terribile e a iniziare con lei un'incredibile odissea per liberare il mondo dall'incubo in cui è precipitato.

 

Il book trailer

 


 
Justin Cronin, I Dodici, Mondadori, 2013

Justin Cronin, I Dodici (nella traduzione di Gaetano Maria Staffilano), Mondadori (Collana Omnibus), 2013

(dal risguardo di copertina) L'esito catastrofico di un esperimento top secret del governo americano in una remota base militare in Colorado ha trasformato il mondo in uno scenario apocalittico. Il Progetto Noah era finalizzato a creare un virus trasmesso dai pipistrelli che, una volta modificato, sarebbe stato in grado di preservare la razza umana da malattie e invecchiamento. Ma qualcosa è andato storto e le persone utilizzate come cavie per l'esperimento si sono trasformate in creature infette scatenando una terribile epidemia. I Dodici "virali" originari dominano con violenza sanguinaria, mentre gli umani sopravvissuti sono ridotti a bande di disperati che lottano per il cibo e la benzina, alla ricerca di luoghi sicuri dove rifugiarsi. In questo scenario di brutalità e desolazione, tre personaggi combattono la loro personale battaglia. Lila, una donna incinta che sembra non rendersi conto della realtà terrificante che la circonda, Kittridge, un ex marine scampato alla morte a Denver in fuga solitaria e disperata, e April, un'adolescente che cerca a tutti i costi di proteggere il fratellino. Nelle loro diverse ma ugualmente tragiche esistenze è racchiuso il terribile destino che attende il mondo. Molti anni dopo lo scatenarsi della catastrofe, i Dodici, agli ordini di Zero, la loro invisibile ma onnipresente guida, cercano nuove strade per affermare definitivamente il proprio dominio; gli ultimi uomini devono unire le esigue forze per sventare un disegno di distruzione di cui faticano a comprendere i contorni...

The city of Mirrors, by Justin Cronin (2016)

Il terzo volume della saga è "City of Mirrors"

"In life I was a scientist called Fanning. Then, in a jungle in Bolivia, I died. I died, and then I was brought back to life... Prompted by a voice that lives in her blood, the fearsome warrior known as Alicia of Blades is drawn towards to one of the great cities of The Time Before. The ruined city of New York. Ruined but not empty. For this is the final refuge of Zero, the first and last of The Twelve. The one who must be destroyed if mankind is to have a future. What she finds is not what she's expecting. A journey into the past. To find out how it all began. And an opponent at once deadlier and more human than she could ever have imagined".

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29 agosto 2019 4 29 /08 /agosto /2019 06:51

Nei racconti che seguono, incontrerete di tutto: da un mostriciattolo appollaiato sull'ala di un Boeing 727 a esseri trasparenti che vivono al di sopra delle nubi. Vi imbatterete in viaggi nel tempo e in aerei fantasma. Soprattutto sperimenterete quei dodici secondi di pericolo estremo nei quali tutte le cose che possono andare storte durante un volo vanno 'effettivamente' storte. Incontrerete claustrofobie, viltà e atti di coraggio. Se avete in programma un viaggio con la Delta, l'American, la Southwest o un'altra linea aerea, vi consiglio di portarvi dietro un libro di John Grisham o di Nora Roberts. Ma anche se siete a terra e al sicuro, vi conviene allacciarvi comunque le cinture di sicurezza e stringerle bene.

Stephen KIng, Introduzione a Flight or Fright, p. 7

Stephen King, Bev Vincent (a cura di), Odio volare. 17 storie turbolente, Sperling&Kupfer (Collana Pandora), 2019

Dopo circa un anno dalla pubblicazione in lingua originale ha visto la luce in traduzione italiana una raccolta di racconti "aerei" (di autori vari) che sono un vero e proprio inno alla fobia del volo.
Il titolo dell'edizione italiana è Odio Volare. 17 storie turbolente (Sperling&Kupfer, 2019, con il contributo di diversi traduttori), ma il titolo originale è fondato sull'alternativa tra il volare e la paura per il volo (Flight or Fright. 17 Turbulence Tales)
Come è noto il volare in aereo è statisticamente sicuro, per quanto succedano di tanto in tanto dei disastri aerei, ma ciò nonostante vi possono essere dei motivi i più disparati per aver paura del volare in alta quota, specie se, alle considerazioni più comuni, si aggiungono dei terrori senza nome e la timorosa attesa di terrificanti eventi sovrannaturali come, ad esempio, quello rappresentato nel magistrale racconto di Matheson  (Nightmare at 20.000 feet), ovviamente incluso nell'antologia.
Due sono stati i curatori della raccolta, Stephen King, primo ideatore di essa, e Bev Vincent che, avendo raccolto entusiasticamente il primo input di Stephen King in un occasionale e fortuito incontro - ovviamente in un aeroporto nordamaericano - è stato il principale "spigolatore" dei 17 racconti presentati nel volume.
E, naturalmente, non mancano un ottimo e inedito racconto dello stesso King (The Turbulence Expert) e uno di Bev Vincent (Zombies on a Plane).
Il pregio della raccolta è stato  quello di andare a scovare alcuni racconti (perfino uno in forma di frammento, a firma di Ambrose Bierce) che
altrimenti, volendo seguire personalmente un simile filone tematico, il lettore comune avrebbe fatto fatica a reperire.

L'operazione è perfettamente riuscita: Stephen King mettendo su questa preziosa antologia è riuscito a dare corpo alla sua paura di volare (di cui non ha mai fatto un mistero): paura e inquietudine che a suo tempo avevano generato il magistrale romanzo breve "I Langolieri".
Ovviamente per chi ha paura di volare sono possibili due alternative, rispetto a questo libro: non portarlo con sè durante un volo aereo, oppure - al contrario - acquisirlo e portarselo in viaggio come un potente talismano. A questo riguardo ci sarebbe da fare una dissertazione ermeneutica sul fatto che esattamente 17 siano le storie raccolte nell'antologia stessa (manca negli aerei solitamente la fila di poltrone contrassegnata con il 13).

Flight or Fright, 17 Turbulent Tales (edited by Stephen King and Bev Vincent)

Flight or Fright: 17 Turbulent Tales Edited by Stephen King and Bev Vincent

Fasten your seatbelts for an anthology of turbulent tales curated by Stephen King and Bev Vincent. This exciting new collection, perfect for airport or aeroplane reading, includes an original introduction and story notes for each story by Stephen King, and brand new stories from Stephen King and Joe Hill. Stephen King hates to fly. Now he and co-editor Bev Vincent would like to share this fear of flying with you.
Welcome to Flight or Fright, an anthology about all the things that can go horribly wrong when you're suspended six miles in the air, hurtling through space at more than 500 mph and sealed up in a metal tube (like - gulp! - a coffin) with hundreds of strangers. All the ways your trip into the friendly skies can turn into a nightmare, including some we'll bet you've never thought of before... but now you will the next time you walk down the jetway and place your fate in the hands of a total stranger.
Featuring brand new stories by Joe Hill and Stephen King, as well as fourteen classic tales and one poem from the likes of Richard Matheson, Ray Bradbury, Roald Dahl, Dan Simmons, and many others, Flight or Fright is, as King says, "ideal airplane reading, especially on stormy descents... Even if you are safe on the ground, you might want to buckle up nice and tight."
Book a flight for this terrifying new anthology that will have you thinking twice about how you want to reach your final destination.

Table of Contents:
Introduction by Stephen King
Cargo by E. Michael Lewis
The Horror of the Heights by Sir Arthur Conan Doyle
Nightmare at 20,000 Feet by Richard Matheson
The Flying Machine by Ambrose Bierce
Lucifer! by E.C. Tubb
The Fifth Category by Tom Bissell
Two Minutes Forty-Five Seconds by Dan Simmons
Diablitos by Cody Goodfellow
Air Raid by John Varley
You Are Released by Joe Hill
Warbirds by David J. Schow
The Flying Machine by Ray Bradbury
Zombies on a Plane by Bev Vincent
They Shall Not Grow Old by Roald Dahl
Murder in the Air by Peter Tremayne
The Turbulence Expert by Stephen King
Falling by James L. Dickey
Afterword by Bev Vincent

La copertina riprodotta è quella dell'edizione inglese, pubblicata da Hodder&Stoughton.

 

Odio volare. 17 storie turbolente

Stephen King e Bev Vincent (a cura), Odio volare. 17 storie turbolente, Sperling&Kupfer (collana Pandora), 2019

(Risguardo di copertina) Curata da Stephen King insieme a Bev Vincent, suo amico e collaboratore da sempre, Odio volare è una raccolta di racconti horror che hanno un particolare filo conduttore: sono tutti ambientati ad alta quota, a bordo di un aereo.

Ed essendo horror, naturalmente raccontano tutto quello che di orribile può succedere quando sei sospeso in aria a diecimila metri di altezza, chiuso in una scatola di metallo (e il riferimento non è per niente casuale) che sfreccia a più di 800 chilometri l'ora, insieme a decine di sconosciuti che potrebbero fare qualunque cosa. King, che sicuramente non ama viaggiare in aereo, ha fornito il suo personale contributo al volume aggiungendovi un'introduzione, le note a ogni storia e soprattutto un racconto originale L'esperto di turbolenze. Inoltre ha reclutato Joe Hill che ha scritto Siete liberi, altra storia ad hoc completamente inedita. Il resto del libro contiene un mix di storie nuove e già pubblicate di autori famosi e meno noti, tra cui Sir Arthur Conan Doyle, Richard Matheson, Ambrose Bierce, Dan Simmons, Ray Bradbury, e altri ancora. King ha raccontato così le origini del libro: Allora, eravamo seduti a cena prima della proiezione de La Torre Nera a Bangor, e sapevamo che molte persone sarebbero arrivate in aereo per partecipare all'evento. Io ho confessato che odio volare e la conversazione si è concentrata su storie di aerei, alcune spaventose, altre divertenti. Ho notato che non era mai stata pubblicata una raccolta di racconti horror sul volo, anche se me ne erano venuti in mente diversi sul tema. Qualcuno avrebbe dovuto farla. Bev Vincent, che è un incredibile pozzo di scienza, ha accettato di curarla con me e ora eccola qui. Bev e io pensiamo che sia una lettura ideale da aereo, specialmente durante gli atterraggi turbolenti.

 

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21 giugno 2019 5 21 /06 /giugno /2019 07:17
Siegmund Ginzberg, Sindrome 1933, Feltrinelli, Collana Varia, 2019

Il volume di Siegmund Ginzberg, Sindrome 1933 (Feltrinelli, Collana Varia, 2019) si propone come una disamina documentatissima di ciò che accadde nella Germania del 1933, a partire da un'alleanza di governo assolutamente improbabile, scaturita dall'ultima di un'incalzante serie di votazioni politiche che avevano visto l'ascesa lenta, ma continua del partito nazionalsocialista guidato da Hitler.
L'autore discute con lucidità dei successivi passaggi che consentirono ad Hitlerdi diventare Cancelliere del III Reich e di assumerne la guida in modi totalitari, senza praticamente più avversari e con un enorme consenso popolare. E nel fare ciò prende in esame diverse aree tematiche, come ad esempio le strategie economiche, il populismo sempre più sfrenato, il controllo assoluto della stampa sino al più totale imbavagliamento di qualsiasi forma di diffidenza, l'atteggiamento nei confronti dei debiti di guerra, l'individuazione dell'altro da perseguitare e di escludere, di tutte le forme di finanza "creativa" messe in atto per evitare che le strategie populistiche potessero determinare il tracollo della nazione, le battaglie contro gli abissi di disoccupazione che si erano verificati nel dopoguerra e negli anni della Repubblica di Weimar.
Tutto accadde nel corso di quell'anno fatidico: il 1933. E tutti questi temi sono intersecati gli uni con gli altri e l'autore ne dipana i fili, facendo emergere a volte un aspetto. Ogni capitolo ha il supporto di una serie di testi che vengono menzionati in una postilla finale che, più che essere una bibliografia in senso stretto, rappresenta una guida efficace all'approfondimento per i lettori più esigenti.
L'autore non menziona quasi mai il presente e la situazione dell'Italia contemporanea, ma è immediato fare alcune analogie. Egli stesso introduce ad arte dei lapsus, per fare immediatamente marcia indietro, ma lasciando al lettore la possibilità di soppesare i fatti e di farsi una propria idea.
Certo, avverte Ginzberg, è fallace voler leggere il presente con le analogie tratte da un lontano passato che alcuni pensano essere morto e sepolto.
E purtuttavia le analogie possono rappresentare uno stimolo alla riflessione e all'approfondimento di alcune questioni e forniscono degli strumenti per assumere nei confronti di certi accadimenti del presente un atteggiamento critico.
Indubbiamente, la lezione della storia è di fondamentale importanza e sarebbe da stolti pensare che alcuni tristi e sciagurati eventi del passato lontano non possano riproporsi, mutatis mutandis, nel presente. Occorre sempre vigilare ed esercitare il proprio spirito critico: un solo uomo che, improvvisamente per un concorso fortuito di circostanze, si trovi in una compagine di governo, può in effetti - in un tempo brevissimo - provocare dei danni gravissimi alle condizioni di un paese e modificarne l'assetto, influenzando al tempo stesso con un perverso effetto domino la configurazione di altri stati. Nell'evolversi delle democrazie - come è ad esempio il caso di quella americana (si veda per un approfondimento l'ottimo saggio "Ossessioni americane" di Massimo Teodori) - vi è indubbiamente un effetto "pendolo", ci sono corsi e ricorsi, alternarsi di trend che quando si avviano possono avere delle notevoli qualità inerziali e si evolvono in Moloch distruttori che insidiano ogni forma di libertà, dando l'illusione della libertà e della potenza. Ma nello stesso tempo possono verificarsi improvvisi capovolgimenti che portano al recupero di forme di libertà di pensiero divenute apparentemente obsolete. Occorre vigilare ed essere pensanti: il grande rischio delle spinte sovraniste be populiste è infatti quello che riducono, se non aboliscono addirittura in alcuni casi, la capacità di pensiero autonoma in larghi strati della popolazione.
Alla lettura di questo saggio di Ginzberg potrebbe essere utile affiancare il volume di Sergio Rizzo, "02.02.2020. La notte che uscimmo dall'euro" (Feltrinelli, 2018) che si potrebbe definire come uno story telling di fantapolitica capace di illustrare con efficacia come una decisione presa in via unilaterale da politicanti arroganti ed impreparati, possa portare a catastrofiche conseguenze e ad un effetto domino senza precedenti.
Una lettura da brivido per le devastanti conseguenze che ipotizza, altamente consigliata a tutti gli euroscettici e a tutti coloro che - anche solo per scherzo, dicono loro - blaterano di voler uscire dall'euro.
Guardando alle più recenti evoluzioni sino alle soglie della procedura di infrazione da cui è minacciata l'Italia proprio in questi giorni, si possono vedere in filigrana nel modo di reagire di alcuni dei nostri governati (e in particolare di colui che sembra avere assunto il ruolo di leader sempre più incontrastato dell'opinione populista) alcuni degli eventi della reazione a catena descritta da Sergio Rizzo nel suo volume. Da parte loro ci sono parle d'ordine ripetute alla nausea, formule trite e ritrite, dichiarazioni che sembrano essere sempre più pressanti dichiarazioni di intenti. E come, al tempo di Hitler basta un niente perché alcune decisioni vengano prese al di fuori della legge e della costituzione con la sicumera di chi onda il suo dire e il suo fare sulla ferma convinzione di essere supportato dal popolo e dalla nazione. Mentre Ginzberg si ferma all'analogia e si rifiuta di fare previsione allarmistiche, Il volume di Sergio Rizzo. offre una straziante carrellata su ciò che potrebbe accadere se il delirio sovranista e populista dovesse prevalere nei confronti dell'Europa e di un sano spirito europeistico. Ovviamente, come avverte Ginzberg, "Nemo Profeta in Patria", ma comunque sia vale il monito "Attenti a quei due!. E non ultimo, consiglio di leggere il volume double face, a metà tra graphic novel ed excursus storico-biografico dedicato ai nostri due vice-premier (Salvini-Di Maio Una biographic novel, con testi di Giuseppe Angelo Fiori e disegni di Dario Campagna, BeccoGiallo, 2019). E ancora questo volume, per fortuna, non è stato rimosso dalla circolazione dai Vigili del Fuoco (con una non voluta, ma naturale, citazione di Fahreheit 451 di Ray Bradbury che ci riporta in conclusione all'ombra sempre minacciosa di ogni dittatura del pensiero e politica).

(quarta di copertina di Sindrome 1933) Il passato risuona nel presente. Che cosa c'entra la Germania del 1933 con l'Italia del 2019?
Un minaccioso déjà vu può aiutarci a capire dove stiamo andando e, forse, a non commettere gli stessi errori.
Un instant book storico sulle analogie che uniscono minacciosamente il presente al passato.
(Risguardo di copertina. Una campagna elettorale permanente, un partito che non è di destra né di sinistra ma "del popolo", un improbabile contratto di governo, la voce grossa che mette a tacere i giornali, l'odio che penetra nel discorso pubblico, le accuse ai tecnici infidi, il debito, la gestione demagogica e irresponsabile delle finanze. Sono le analogie che minacciano il presente e rischiano di farlo somigliare pericolosamente a un passato che credevamo di esserci lasciati alle spalle. Quando Hitler nel 1933 divenne cancelliere del Reich, i cittadini tedeschi cominciarono a seguire incantati il pifferaio che li portava nel burrone. La cosa più strana, ma niente affatto inspiegabile, è che avrebbero continuato a credere religiosamente in lui anche dopo che erano già precipitati. "I nazisti," scrive Ginzberg, "non erano bravi solo in fatto di propaganda. Toccavano tasti cui la gente era sensibile, blandivano interessi reali e diffusi (non solo gli interessi del grande capitale, come voleva la vulgata). A elargizioni concrete corrispondeva un consenso reale, crescente e formidabile. La cosa che più impressiona è come siano riusciti a trovare consenso anche sui comportamenti più atroci e disumani del regime." Le analogie superficiali possono portare fuori strada. Eppure non possiamo farne a meno. La mente umana funziona per analogie. Le analogie si sono sempre rivelate uno strumento potentissimo per capire e distinguere, cioè l'esatto contrario del fare di ogni erba un fascio.
L'Autore. Siegmund Ginzberg è nato a Instanbul nel 1948 da una famiglia ebrea, che, poco dopo la sua nascita, si è trasferita a Milano. Cresciuto a Milano, dopo gli studi in filosofia ha intrapreso l'attività giornalistica ed è stato una delle storiche firme dell'Unità, quotidiano per cui ha lavorato a lungo come inviato in Cina, India, Giappone, Corea del Nord e del Sud, oltre che a New York e Washington e Parigi. Oltre alla selezione di scritti Sfogliature (2006), ha pubblicato Risse da stadio nella Bisanzio di Giustiniano (2008), il romanzo familiare Spie e zie (Bompiani, 2015) e il recentissimo Sindrome 1933 (Feltrinelli, 2019).

 

 

Sergio Rizzo, 02.02.1920. La notte che uscimmo dall'euro, Feltrinelli, 2019

Sergio Rizzo, 02.02.2020. La notte che uscimmo dall'euro, Feltrinelli, 2018

Un testo di fantapolitica, a tutti gli effetti, che illustra come una decisione presa in via unilaterale da politicanti arroganti ed impreparati, possa portare a catastrofiche conseguenze e ad un effetto domino senza precedenti.
E' sicuramente una lettura da brivido per il devastante scenario ipotizzato, altamente consigliata a tutti gli euroscettici e a tutti coloro che anche solo per scherzo blaterano di voler uscire dall'euro.
E' un libro che tutti dovrebbero leggere, anche chi ci governa (o pretende di farlo), facendo sovente dichiarazioni di intenti vuote ed arroganti.
Peccato che coloro che, allo stato attuale, ci governano e quelli che a loro, eventualmente, seguiranno siano così totalmente ignoranti e che non leggano se non sunti e minestrine predisposte per loro dai rispettivi uffici stampa.

(Dal risguardo di copertina) 2 febbraio 2020. È tutto pronto, il grafico incisore che ha avuto dal ministro dell’Economia l’incarico di disegnare la Lira Nuova ha finito, il punto di verde è perfetto. Banconote e monete verranno messe in circolazione a partire dalla mezzanotte. In ossequio al credo nazionale sono stati abbandonati i poeti, gli artisti e gli scienziati: al loro posto le immagini degli eroi popolari e i martiri del governo sovranista. Il governo è in carica da un anno e mezzo, e ormai la maggioranza è costituita da un partito unico, il Psi – Partito sovranista italiano. Per tener fede alle promesse elettorali il Psi ha fatto saltare i conti pubblici. Così non c’è altro da fare che andare fino in fondo: mettere in atto il piano B, uscire dall’euro. Intanto la speculazione internazionale è già preparata e le corazzate finanziarie sono pronte ad affossare l’Italia. E fra chi scommette contro il paese c’è anche un politico importante, che ha un ruolo di rilievo nell’operazione Morris, com’è stata battezzata in codice. La mattina del 3 febbraio, la nuova valuta crolla in poche ore mentre le Borse vanno a picco. Le banche hanno bloccato i bancomat, la fuga di capitali è immediata e imponente. L’inflazione comincia a galoppare. I tassi d’interesse esplodono, le imprese indebitate dichiarano bancarotta, i mutui vanno alle stelle. Il potere d’acquisto dei salari è divorato dall’impennata dei prezzi, la disoccupazione tocca livelli astronomici, la povertà dilaga. Il paese è in ginocchio. L’Italia sembra uscita da un’altra guerra mondiale. L’unica soluzione è emanare un decreto per vendere i monumenti agli stranieri. I cinesi offrono 100 miliardi di euro per il Colosseo e i russi si prendono Pompei in cambio merce: le forniture di gas naturale all’Italia per 25 anni. Non basterà. Ma neppure si potrà tornare indietro. Il racconto di un’Europa in cui non esistono più scenari impossibili.

L'Autore. Sergio Rizzo è vicedirettore di "Repubblica, editorialista versatile e prolifico autore di saggi sulla contemporaneità.
È coautore con Gian Antonio Stella del libro-inchiesta sul mondo politico italiano La casta che, con oltre 1.200.000 copie e ben 22 edizioni, è stato uno dei volumi di maggior successo del 2007 e ha aperto un vasto dibattito sulla qualità della classe dirigente nazionale e sul suo rapporto con i cittadini-elettori.

 

Giuseppe Angelo Fiori (testi) Dario Campagna (disegni), Salvini-Di Maio. Una biographical novel, Beccogiallo, 2019

Giuseppe Angelo Fiori (testi) Dario Campagna (disegni), Salvini-Di Maio. Una biographical novel, Beccogiallo, 2019
(Soglie) Un flipbook: da una parte la storia di Matteo Salvini e della Lega, dall’altra quella di Luigi Di Maio e del Movimento 5 Stelle. La biografia scritta e disegnata dei due politici più influenti del momento.

«Diversi, talora opposti, ma rinchiusi in questo libro come nel loro contratto di governo» (La Stampa)

Matteo Salvini è uno che ha fatto la gavetta. In sezione, al consiglio comunale, in radio. Ha capito come diventare il centro del dibattito. Ha imparato a muoversi al momento giusto. È così che ha conquistato la Lega Nord, trasformandola in un partito fatto a sua immagine e somiglianza. Luigi Di Maio è un politico nato. In pochi anni, da semplice studente universitario è passato al ruolo di Vice presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana. E il Movimento 5 Stelle è l’unico partito attraverso il quale avrebbe potuto realizzare questa incredibile scalata.

Massimo Teodori, Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti, Marsilio Editore (Collana Nodi), 2017

Massimo Teodori, Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti, Marsilio Editore (Collana Nodi), 2017

(il mio commento) Questo saggio è stato scritto a distanza di poco dall'insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump ed è utile per comprendere l'attuale presidente degli Stati Uniti che, pur non avendo un background politico, si è ri connesso (anche grazie agli oculati indirizzi dei suoi consiglieri durante la campagna presidenziale) a movimenti di idee che a ondate sono stati molti fiorenti nel cuore profondo degli Stati Uniti.
Trump sembrerebbe essere un po' una somma ibrida di diverse correnti che si sono succedute negli oltre due secoli di storia americana e lì ci sono le radici più profonde di alcuni degli apparenti colpi di testa di Trump.
Il sistema politico americano non ha mai consentito l'accesso alla Presidenza di alcuni dei pensatori politici più radicali che, pur non entrando mai nella Casa Bianca, tuttavia hanno influenzato variamente gli umori popolari e hanno condizionato in qualche misura i presidenti in carica. 
Trump invece nella sua maniera rozza, prepotente (ma anche abile e moderna se consideriamo i suoi costanti "cinguettii" che rappresentano a tutti gli effetti degli atti politici) è andato dritto allo scopo rispolverando e attivando antiche ossessioni americane come, ad esempio, quella di "America First "(che prima di essere nella parola di Trump è stato un movimento che percorse gli USA negli anni antecedenti la II guerra mondiale e che generò addirittura un movimento di simpatia nei confronti del Nazismo).
Teodori dopo aver passato in rassegna seguendo un criterio cronologico le diverse tipologie di "ossessioni" americane, argomenta che il sistema di "pesi e contrappesi" che regolamenta la democrazia americana è tale da escludere che si possano imporre idee e pratiche liberticide e antidemocratiche. E, quindi, lui stesso suggerisce che il mandato conferito a Trump, al momento di dare alle stampe il volume, non sarebbe dovuto durare durare più di tanto, poiché all'interno della democrazia americana stessa si sarebbero formati gli anticorpi necessari a fermarlo.
Ma, malgrado la previsione di uno storico e politologo esperto di cose americane quale è Teodori, Trump continua a spadroneggiare e ad imperversare con i suoi tweet, malgrado le numerose partite a braccio di ferro con rappresentanti politici e istituzioni USA.
Staremo a vedere. 
In ogni caso il saggio di Teodori è davvero utile per comprendere dove va l'America oggi e per capire anche alcune delle derive europee attuali.

(Risguardo di copertina) La storia degli Stati Uniti non è solo la brillante vicenda di una democrazia aperta, di una società ricca e all’avanguardia del mondo contemporaneo. Accanto all’America come luogo della libertà che amiamo, c’è un lato oscuro, dove le paure e le ossessioni hanno dato corpo negli ultimi due secoli a movimenti politici e sociali capaci di segnare un risvolto dell’identità nazionale. La storia degli Stati Uniti, allora, è anche quella dei nativisti – ossessionati dalla «supremazia bianca» –, dei populisti – cantori dell’America profonda custode delle virtù tradizionali in declino –, degli isolazionisti – che tra le guerre mondiali si rinchiusero nel nazionalismo dell’«America First» contro la guerra a Hitler –, e degli autoritari – che fiorirono in tutte le stagioni fino al Red Scare degli anni venti e al maccartismo degli anni cinquanta. Massimo Teodori descrive come nel tempo gli americani tradizionalisti con le loro ossessioni abbiano trasformato il patriottismo in nazionalismo e l’amore per la propria comunità in razzismo, senza riuscire mai a portare un loro uomo alla Casa Bianca fino alla vittoria di Trump nel 2016.
Il libro conclude che, quali che siano i tentativi autoritari, l’America resta una società aperta che rispetta la democrazia e i diritti civili perché il suo sistema politico e costituzionale possiede gli antidoti per reagire ad ogni abuso di potere presidenziale.
(Quarta di copertina) Nativisti, populisti, isolazionisti e autoritari: la storia degli Stati Uniti attraverso i personaggi più controversi cresciuti all'ombra della democrazia americana.

"Se è vero che la storia politica di Trump viene dal nulla, i suoi istinti affondano le radicinel sottofondo dell'America e fanno emergere l'altra faccia della nazione, carica di paure e di ossessioni. Quel lato oscuro ha espresso protagonisti politici che fin qui non avevano mai conquistato la Casa Bianca, ma che hanno avuto un ruolo importante nella scena nazionale".

L'autore. Massimo Teodori , professore di Storia e istituzioni degli Stati Uniti, è autore di Storia degli Stati Uniti e sistema politico americano, il manuale in materia più diffuso in Italia. È stato parlamentare radicale per tre legislature. Da opinionista collabora con radio, tv e giornali italiani ed esteri. È autore di numerosi libri di americanistica, tra cui The New Left: A Documentary History (1969), i bestseller Maledetti americani (2002) e Benedetti americani (2003), Raccontare l'America (2005). Con Marsilio ha pubblicato Laici. L'imbroglio italiano (2006), Storia dei laici nell'Italia clericale e comunista (2008), Vaticano rapace (2013, 4 edizioni), Complotto! (2014, con M. Bordin), Il vizietto cattocomunista (2015), Obama il grande (2016). Ha vinto numerosi premi tra cui, primo in Italia, la «Menorah d'oro».

www.massimoteodori.it/

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2 giugno 2019 7 02 /06 /giugno /2019 08:22
Cristina Cattaneo, Naufraghi senza volto. Dare un volto alle vittime del Mediterrraneo, Raffaello cortina Editore, 2018

I morti nel Mediterraneo sono tantissimi, migliaia. E sono stati i più delle volte dei morti rimasti senza nome, anche perché di loro non ne è rimasta più traccia alcuna: sono rimasti nel fondo del mare e le loro spoglie si sono disperse. Come accadde nel caso del naufragio, a lungo ignorato, in cui perirono quasi in trecento al largo delle acque di Porto Palo alla fine degli anni Novanta, un carico di migranti in massima parte provenienti dallo Sri Lanka, quando ancora la maggior parte del viaggio era compiuto in mare su navi relativamente grandi e solo la parte finale con il trasbordo a terra su carrette del mare piccole e strapiene. In quel caso, quella tragedia del mare venne a lungo taciuta benché molti sapessero (i pescatori della zona in primis) e soltanto quando ad un giornalista di Repubblica fu inviato un documento di identità srilankese e qualche altro reperto recuperato con le reti da pesca dal fondo del mare, venne avviata un inchiesta giornalistica che permise di evidenziare con un piccolo sommergibile teleguidata l'effettiva presenza di quel relitto. Si trattò dell'affondamento della F174 (divenuto in seguito noto anche come Tragedia di Portopalo o Strage del Natale 1996): un sinistro marittimo avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 1996 nelle acque internazionali a 19 miglia nautiche (35 km) al largo di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa. Il coraggioso ed intraprendente giornalista a condurre un'inchiesta  in gran parte a sue spese fu Giovanni Maria Bellu: sino al punto che La Repubblica noleggiò una sonda sottomarina telecomandata per esplorare il fondale dove si riteneva avesse avuto l'uogo il naufragio. E gli sforzi di Bellu furono alla fine ricompensati con la divulgazione della drammatica verità: va assolutamente letto il libro che fu la risultante finale dell'inchiesta, I Fantasmi di Porto Palo (che venne poi trasformato in una fiction TV negli anni successivi). Ma quei morti della Strage di Natale rimasero per sempre anonimi e sepolti in mare, dispersi a tutti gli effetti.
A partire dal 2015 Cristina Cattaneo, medico legale presso l'Università di Milano, con il suo sparuto team ha cominciato a porsi un problema innanzitutto etico. Che è quello di ridare identità certa e appartenenza familiare ai corpi recuperati dal mare dei sempre più numerosi naufragi nel corso dei viaggi della speranza attraverso il Mediterraneo, affrontando un tema considerato di nell'opinione investigativa e giuridica non rilevante, dal momento che l'identificazione di una vittima deve essere compiuta mettendo assieme i riscontri post mortem con quelli ante mortem laddove si ipotizzi un delitto, oppure nel caso di cittadini di un qualsiasi paese europeo vittime di catastrofi naturali, di incidenti di vaste proporzioni o di attentati terroristici (si pensi, ad esempio, al caso del maremoto in Estremo Oriente, esperienza che vide sul campo la stessa Cristina Cattaneo per avviare le procedure di identificazione delle vittime italiane: fu proprio questa esperienza come riferimento interiore, a spingere Cristina Cattaneo a porsi seriamente il problema di agire in modo altrettanto rispettoso nei confronti delle vittime del Mediterraneo e dei loro familiari.
I corpi degli extracomunitari recuperati dal mare, sino al 2015 non venivano trattati con pari dignità e il più delle volte venivano seppelliti in luoghi messi a disposizione dalle istituzioni locali e assolutamente anonimi. Le famiglie di origine, quindi, non potevano piangere i propri morti e, nello stesso tempo, rimanevano prive di quei documenti che, attestando in modo certo la morte del proprio congiunto, potevano essere indispensabili per adempimenti giuridici, per la successione e quant'altro.
Cristina Cattaneo si è impegnata in una vera e propria battaglia per potere restituire dignità e volto alle vittime del mare, quelle di cui fossero stati recuperati i corpi, superando disinteresse, diffidenza, ma nello stesso suscitando condivisione e consenso per quella che ad alcuni - i più illuminati - apparve da subito una causa giusta per la quale valeva la pena spendere energia e risorse, ingaggiando al tempo stesso una battaglia per ottenere riconoscimenti e supporto da parte del Governo e da parte delle organizzazioni internazionali..
La grande occasione venne con l'affondamento di un barcone con oltre mille a bordo, in prevalenza Eritrei , il 15 aprile 2015. Il team di Cristina Cattaneo, che già aveva messo a punto un modello operativo, venne chiamato per attivare tutte le procedure necessarie sui corpi recuperati dal mare (quasi cinquecento su mille naufraghi): dall'esame dei corpi e dei loro effetti personali, all'esame ispettivo dei resti alla ricerca di elementi importanti al riconosicmento, all'esame autoptico vero e proprio, all'esame dentario, alo scopo di raccogliere per ciascuna vittima un quadro post mortem il più possibile completo (compresa un'esaustiva documentazione fotografica) e per raccogliere tramite incontri con i familiari di vittime ancora soltanto presunte di evidenze ante mortem con la creazione di una banca dati che poi alla fine del processo avrebbe consentito di trovare dei match certi o attendibili. Un compito immane che ha richiesto fondi e supporto logistico non indifferente ma che ha visto il convergere di entusiastico consenso da parte di molti, ponendosi nella coscienza collettiva come pietra miliare di in intervento che ha rotto una volta per tutte il muro dell'indifferenza nei confronti di questi morti.
Cristina Cattaneo che pure avava già pubblicato altri volumi sulle vittime del Mediterraneo (uno per Mondadori e l'altro per Franco Angeli) ha pensato di consegnare questo lavoro con tutti i suoi antefatti compreso il percorso di pensiero e di emozioni che lo ha accompagnato ad un libro che, uscito nel 2018 per i tipi di Raffaello Cortina Editore, si intitola, Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo.
Vi si racconta appunto di questa esperienza e si legge con partecipazione ed entusiasmo. il lavoro della Cristina Cattaneo pur essendo fondato su parametri scientifici, medico-legali e antropologico-forensico presenta al lettore inarrivabili squarci di umanità, sia nella descrizione di alcuni reperti rinvenuti sui cadaveri, sia per quanto concerne gli incontri con i familiari delle vittime per accogliere le evidenze ante mortem e per tentare dei possibili riconoscimenti a partire dall'imponente archivio fotografico raccolto. Squarci di umanità che trasfigurano il racconto della Cattaneo che non appare più semplicemente come la cronaca di un'impresa scientifica e che diventa uno story telling vibrante di pathos.

(quarta di copertina) Il corpo di un ragazzo con in tasca un sacchetto di terra del suo paese, l’Eritrea; quello di un altro, proveniente dal Ghana, con addosso una tessera della biblioteca; i resti di un bambino che veste ancora un giubbotto la cui cucitura interna cela la pagella scolastica scritta in arabo e in francese. Sono i corpi delle vittime del Mediterraneo, morti nel tentativo di arrivare nel nostro paese su barconi fatiscenti, che raccontano di come si può “morire di speranza”. A molte di queste vittime è stata negata anche l’identità. L’emergenza umanitaria di migranti che attraversano il Mediterraneo ha restituito alle spiagge europee decine di migliaia di cadaveri, oltre la metà dei quali non sono mai stati identificati. Il libro racconta, attraverso il vissuto di un medico legale, il tentativo di un paese di dare un nome a queste vittime dimenticate da tutti, e come questi corpi, più eloquenti dei vivi, testimonino la violenza e la disperazione del nostro tempo.
L'autore. Cristina Cattaneo è professore ordinario di Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Milano e direttore del LABANOF
(Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense). È attualmente coinvolta nell’identificazione dei migranti morti in mare, in particolare nei naufragi di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e del 18 aprile 2015. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Crimini e farfalle. Misteri svelati dalle scienze naturali (con M. Maldarella, 2006).

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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