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20 gennaio 2024 6 20 /01 /gennaio /2024 08:48
Mafalda con mortadella

La mafalda farcita di mortadella (che sia abbondante) è davvero un classico che rallegra il cuore e il palato
Io che sono un impenitente caciaro aggiungerei però alla farcitura anche delle sottili fettine di primosale  oppure - per chi ha appetiti più robusti - di canestrato non troppo avanzato nella stagionatura (non oltre i dieci mesi, quando la sua grana è ancora molto pastosa)
E allora questo tipo di cibo da strada sarebbe il massimo, per me!
L’apice della goduria lo si ottiene, quando si entra in salumeria e la mafalda ce la facciamo farcire direttamente sul posto, dal salumaio; in questo modo potremo godere degli aromi della mortadella e del cacio appena affettati, senza il passaggio da una permanenza più o meno lunga nel frigorifero di casa che ammazza i sapori.
In questo senso, ricordo le gite con mio padre che culminavano proprio in questo rito, oppure non posso non pensare - da grande - all’interruzione della mia routine quotidiana proprio per fare questo tipo di robusta merenda.
Ricordo ancora che, quando la mamma tornava a casa con la spesa appena fatta ed io ero piedi piedi in casa (ai tempi dell’università, quindi), cominciavo a spacchettare e, dei diversi articoli di salumeria (affettati e formaggi) appena acquistati, facevo degli abbondanti assaggi in anteprima, quando ancora i loro aromi non erano stati smorzati dalla permanenza in frigo.
Dicevo alla mamma che protestava per questi miei assalti golosi che dovevo fare il “controllo qualità”.
Ed ero un assaggiatore tremendo! 
Peggio delle cavallette e delle locuste!

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18 maggio 2019 6 18 /05 /maggio /2019 07:53
Frittata con la pasta frittta

Cosa c'è di più familiare di una frittata home made?
Ovviamente, la frittata (o per usare la più raffinata parola "omelette") si può preparare in tanti modi diversi.
Io, da piccolo, adoravo le frittate e, quando i miei mi portavano al ristorante, con loro disappunto (avrebbero voluto che, approfittando dell'occasione, sperimentassi qualcosa di di diverso) sceglievo sempre (rigorosamente fuori menù) frittata con contorno di patatine fritte.
Ma quelle familiari (che sono tutt'altra cosa di quelle preparate al ristorante) per essere gustose, devono essere molto rustiche, fatte in modo diretto e aggiungendoci una farcitura o mettendoci dentro quello che c'è a disposizione. Da questo punto di vista, la frittata familiare si presta anche per attuare quella che si può chiamare la "cucina dei resti (o degli avanzi)", che consente l'utilizzo in modo creativo di tutto ciò che è avanzato dal giorno prima (e, sotto questo profilo, ogni famiglia ha delle sue tradizioni specifiche).

Nel campo delle frittate, per me due must assoluti sono la "Frittata con la pasta fritta" we la "frittata con i piselli"
La prima è uno spuntino memorabile per gite e picnic, oltrechè impareggiabile cibo da viaggio, da mangiare a solo oppure dentro il panino (possibilmente un semprefresco)... yummy food!
La si prepara friggendo in padella la pasta avanzata, meglio se spaghetti con la salsa, fino a che i singoli fili di pasta non assumono una coonsistenza semi-croccante. A questo punto, sulla pasta si riversano le uova sbattute a cui si è aggiunto formaggio grattuggiato e pepe macinato.

La seconda, la "frittata con i piselli" è legata  a ricordi altrettanto intensi dell'infanzia (con l'interessante variante fatte con le fave più tenere).

Sono due pietanze che hanno il sapore, il colore, l'odore e il gusto della famiglia e dell'infanzia.

Mio figlio francesco, da piccolo, ne era ghiotto.

Gabriel le mangia, ma con minore (e soprattutto volubile) entusiasmo.

Frittata casalinga con i piselli (foto Maurizio Crispi)

 

 

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30 dicembre 2015 3 30 /12 /dicembre /2015 01:03
Le Ricette dal Mondo di Nicole. Quando cucinare diventa amore che si può assaggiare

E' uscito il tanto atteso secondo libro scritto da Nicole Scevaroli, distribuito dalla Casa editrice della Rivista Pantheon, con il titolo Le Ricette dal Mondo di Nicole. Cooking is Love You Can Taste (Cucinare è amore che si può assaggiare)".

Nicole Scevaroli ha scritto questo libro per condividere con voi la sua passione per la cucina, suggerendovi piatti regionali rivisitati in chiave moderna e salutare, ricette di altre culture come i burritos messicani, le ampanadas argentine, i cupcakes inglesi, il riso al vapore giapponese, gli smoothies americani e molte altre tra cui il pandolce di natale, le calde vellutate autunnali, la pizza in teglia e la farinata genovese.
Ha voluto che fosse suddiviso per stagione in modo di essere ispirati solo dagli ingredienti più maturi. Ha preferito l’olio extra vergine al burro, le farine integrali a quelle raffinate, tanto pesce e molti legumi; con un occhio di riguardo agli intolleranti, vegani e vegetariani, affinché questo sia un libro utile davvero a tutti.

Eh sì, c’è un significato diverso nel cucinare per qualcuno che si ama.
Anche se lo diamo per scontato, preparare la cena è un modo per stare bene e nutrirci, perché il cibo è energia, energia per la vita.

Autrice: Nicole Scevaroli

Ricette e fotografie: Nicole Scevaroli

Progetto grafico e impaginazione: Flavio Brutti

Foto di copertina: Michela Perlati

In collaborazione con Pantheon – Magazine di Verona

©INFOVAL SRL, Viale del Lavoro 2 – 37023 Grezzana VR

Chi fosse interessato, l’acquisto del libro è disponibile online:

www.verona-expo.com/prodotto/le-ricette-dal-mondo-di-nicole/

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10 luglio 2015 5 10 /07 /luglio /2015 06:31
La bella storia di Cecio Felicio e di Agata Patata

In un campo sterminato e assolato
viveva un cecio da tutti rispettato
era bello sfrontato e pure macho
tutti lo chiamavano Felicio...

Nto campo sterminatu e assolato
viveva un cecio 'i tutti rispittato,
era beddu, sfruntatu e puru macho
e tutti 'u chiamavano Felicio...

(Dalla traduzione di Pietro Attinasi)

Il libricino "Cecio Felicio e Agata Patata", scritto da Ernesto Maria Ponte e Salvo Rinaudo con le deliziose illustrazioni del fumettista Sergio Algozzino, edito dalla casa editrice Arianna di Geraci Siculo nel 2012, è scritto in rima in dialetto siciliano e tradotto da Pietro Attinasi.

Il libro altro non è che una favola per grandi e piccini che mette in risalto le radici popolari di una tipica ricetta tradizionale ovvero della combinazione di panelle e di crocchè (cazzille), facendolo attraverso il dialetto siciliano, in tutte le sue variegate sfaccettature fonetiche.
I due protagonisti sono Cecio Felicio ed Agata Patata: i due si incontrano in un orto dove iniziano a frequentarsi e amoreggiare fino a quando il contadino li raccoglie e li vende al mercato.
Felicio diventa così farina per panelle , mentre Agata viene trasformata in purè per crocchette: i due innamorati, quindi, dopo che ormai avevano perso ogni speranza di riincontrarsi dopo la brutale separazione, si ritrovano nella panelleria cittadina da Za Gaetana, coronando così il loro sogno d'amore abbracciati in un panino con cazzille e panelle.
E' una bella favola - divertente ed amena - che contiene in sé una celebrazione di uno dei più celebrati street food palermitani.

Tempo di lettura globale, per apprezzare le rime in siciliano e le belle illustrazioni: non più di 15 minuti.

Per chi non conosce il dialetto siciliano (in verità lievemente edulcorato ed italianizzato) è disponibile, a fine volume, la traduzione in lingua italiana.

Si impiega più tempo a leggere le doviziose note sugli autori.

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4 aprile 2015 6 04 /04 /aprile /2015 19:36
Lo sfincione di Bagheria: ma com'è buono! (Gerlando Lo Cicero)
Lo sfincione di Bagheria: ma com'è buono! (Gerlando Lo Cicero)
Lo sfincione di Bagheria: ma com'è buono! (Gerlando Lo Cicero)
Lo sfincione di Bagheria: ma com'è buono! (Gerlando Lo Cicero)

Sfincione di Bagheria! Quello di Bagheria è uno Sfincione da premio Nobel!
Caspita, se è buono!
Esiste in due diverse versioni: con formaggio di tuma, acciughe, cipolla e pangrattato in una, mentre l'altra é con ricotta, cipolla e pangrattato!
Assolutamente niente a che vedere con lo sfincione di Palermo!
Il vero sfincione solo a Bagheria lo fanno.
Ne ho comprato 1,5 kg e l'ho portato a Caltanissetta dai suoceri!
Via, per oggi la dieta è saltata! Ne valeva la pena!

Gerlando Lo Cicero (profilo Facebook)

Lo conosco, lo conosco bene! Diverse volte l'ho comprato presso il Forno di Bagheria che si trova subito fuori dal centro abitato, nel grande curvone della Statale, prima di arrivare davanti a Villa Cattolica. E l'ho mangiato con grande gusto. Ma diciamo pure che Gerlando Lo Cicero è alquanto campanilistico (abita a Bagheria, appnto) e che, in realtà, ogni tipo di sfincione è buono: è un cibo povero che si può preparare con infinite variazioni.

Tra l'altro, al Supermercato Prezzemolo e Vitale, vicino casa mia, dove prima si trovava lo Sfincione di Piana degli Albanesi (simile, peraltro, a quello palermitano), ora si trova uno sfincione simil-bagherese, bianco, con la cipolla, e sopra uno strato di ricotta (o di tuma).

Mi hanno detto: "Quello di Piana non lo teniamo più". Ma assaggi questo e di quello non sentirà la mancanza".
Ho seguito il consiglio: buono, è un'altra cosa, un altro sapore, un altro stile.
Ma quello di Piana (come tutte le infinite varianti dello sfincione palermitano) è più "vastaso" e dal carattere più maschio e, indubbiamente, aggredisce con vigore il tuo palato.

Io direi che i due diversi tipi (che comunque con le varianti sulle due ricette-base diventano un'infinità) sono a pari merito, senza che si possa propendere con decisione verso l'uno o verso l'altro: sono semplicemente diversi.

Nella guerra tra  sfincioni, nessuno vince, nessuno perde.

In Sicilia si può dire, senz'altro: Paese che vai Sfincione che trovi!

Lo sfincione di Bagheria: ma com'è buono! (Gerlando Lo Cicero)
Lo sfincione di Bagheria: ma com'è buono! (Gerlando Lo Cicero)
Lo sfincione di Bagheria: ma com'è buono! (Gerlando Lo Cicero)

Per i non Siciliani (si potrebbe dire per i non Palermitani, visto che lo Sfincione si prepara soltanto a Palermo e Comuni della sua Provincia), si tratta di un cibo povero, prodotto da forno, ma essenzialmentenella sua distribuzione anche un cibo da strada, in cui in pratica si mangia del pane pizza, cotto al forno con un condimento, appositamente preparato.
Il segreto (e la varietà) dipendono appunto dal condimento che può avere un'infinita gamma di piccole variazioni locali, piccole sfumature che fanno la differenza: ma dirò di più, lo sfincione che esce da uno stesso forno e dalle stesse mani, pur essendo figlio di una stessa ricetta, può avere ogni volta un gusto lievemente diverso, in funzione della maniera in cui è stato preparato il condimento, del grado lievitazione della pasta, della varaibilità nella dosatura dei singoli ingredienti e dei tempi di cottura.

Ed è questa la maggiore sorpresa: che, appunto, losfincione non finisce mai di sorprenderti...

(da Wikipedia) Lo sfincione (sfinciuni o spinciuni in siciliano) è un prodotto tipico della gastronomia palermitana, inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T.) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MiPAAF).

Al pari della sfincia di San Giuseppe, il nome si fa derivare dal latino spongia e dal greco spòngos, σπόγγος, ossia "spugna", oppure dall'arabo ﺍﺴﻔﻨﺞ isfanǧ col quale si indica una frittella di pasta addolcita con il miele. Si tratta di una antica ricetta che vede come ingrediente cardine il pane pizza (morbido e lievitato, simile appunto ad una spugna) con sopra una salsa a base di pomodoro, cipolla, acciughe, origano e pezzetti di formaggio tipico siciliano (chiamato caciocavallo ragusano). Lo sfincione si può gustare solo a Palermo e dintorni presso alcune pizzerie, gastronomie e panifici.

Il prodotto più originale viene però prodotto artigianalmente nei pressi di porta Sant'Agata, e commercializzato come cibo da strada da ambulanti che si muovono per le vie della città a bordo di motoveicoli a tre ruote (meglio conosciuto come "lapini", storpiatura del nome del veicolo, un'Ape Piaggio) e invitano ad assaporare il loro prodotto gridando a voce alta, o attraverso un amplificatore, in dialetto palermitano: "Scairsu r'uagghiu e chin'i pruvulazzu" che, tradotto, vuol dire "scarso di olio e pieno di polvere".

Il grido icastico del banditore fa riferimento alla qualità del cibo: se lo sfincione fosse condito con una quantità d'olio superiore al necessario risulterebbe poco soffice e lo stesso sapore ne sarebbe condizionato; la "polvere" fa invece riferimento alla consistenza compatta del suo condimento.

Lo sfincione è simbolo della cultura del "cibo da strada" di Palermo.
Una sua variante è, appunto, quella preparata a Bagheria, secondo una ricetta alternativa che non prevede l'uso della salsa di pomodoro, sostituita da tuma (o ricotta), cipolle e acciughe (il cosiddetto "sfincione bianco").

 

Si trovano con facilità nella rete una serie di siti gastronomici, dove vengono date delle ricette per la preparazione casalinga dello "sfincione bagherese".
Come, ad esempio, questa.

 

La ricetta del mese. Dicembre 2012 - "U sfinciuni", Sfincione palermitano e bagherese (December 4, 2012 at 10:48 am)
"U sfinciuni" - Sfincione palermitano e bagherese. il nome sfincione deriverebbe dal latino spongia ossia "spugna" anche se c'è chi sostiene che esso derivi dal termine arabo "sfang" con cui si indica una frittella di pasta addolcita con il miele.
Lo sfincione è correlato ad un'antica ricetta costituito da pane pizza (lievitato, morbido rassomigliante ad una spugna) con sopra una salsa a base di pomodoro, cipolla, e pezzetti di caciocavallo.

Ingredienti per l'impasto: 400 g di farina di rimacinato - 100 g. di farina 00 - lievito di birra disidratato 1 bustina - 300 ml ca. di acqua tiepida - 1 cucchiaino di zucchero - 10 g ca di sale

Per il condimento: per lo sfincione bagherese: 200 g. di primosale - 200 g. di ricotta - 4 grosse cipolle - sarde salate - mollica di pane del giorno stesso ridotto in briciole - olio di oliva - sale e pepe q.b. - origano - caciocavallo grattuggiatoper lo sfincione palermitano: salsa o polpa di pomodoro - 4 grosse cipolle - sarde salate - caciocavallo a dadini - pan grattato - olio di oliva - sale e pepe q.b. - origano

Preparazione: Mettere in una terrina le farine, lo zucchero ed il lievito, impastare aggiungendo l'acqua poco a poco. I 300 ml sono puramente indicativi poiché in funzione del grado di umidità della farina, potrebbero esserne necessari anche di più.
Bisogna tener presente che l'impasto deve risultare molle quasi da doverlo sbattere con la mano piuttosto che impastarlo come si farebbe con il pane. Soltanto alla fine aggiungere il sale poiché non deve mai venire a contatto direttamente con il lievito.
Mettere l'impasto a lievitare coprendo la terrina con uno strofinaccio e avvolgendola con una coperta.
Mentre l'impasto lievita - dovrà raddoppiare il suo volume - affettare le cipolle e farle appassire con un dito d'acqua.
Quando l'acqua si sarà asciugata del tutto aggiungere una generosa quantità di olio e un paio di sarde e far stufare ancora: dovrà risultare una salsa asciutta. Adesso, nel caso della versione bagherese, aggiustare di sale e pepe, aggiungere l'origano e, quando la salsa è ormai fredda anche una manciata di caciocavallo grattugiato.
Togliere le cipolle dal tegame/padella e nell'olio rimasto far tostare le briciole di mollica di pane.
Nel caso, invece, della versione palermitana occorrerà aggiungere la salsa o la polpa di pomodoro, aggiustare di sale e pepe e far cuocere.
Quando l'impasto sarà raddoppiato, con le mani unte abbondantemente di olio disporlo nella teglia già cosparsa di olio facendo uno strato di uno spessore di circa 1,5 cm , disporre le sarde a pezzetti facendoli penetrare leggermente nell'impasto.
Adesso, nel caso dello sfincione bagherese, ricoprire tutta la pasta con fette di primosale, poi ancora con fette di ricotta, ricoprire con il composto di cipolle ormai a temperatura ambiente; infine ricoprire con le briciole leggermente tostate e far lievitare ancora fino a che non avrà raggiunto il bordo della teglia.
Nel caso dello sfincione palermitano disporre sulla pasta i dadini di caciocavallo generosamente, ricoprire la con il composto di salsa di pomodoro e cipolle ormai a temperatura ambiente e porre a lievitare.
Quando la pasta avrà raggiunto quasi il bordo della teglia, infornare in forno già caldo alla temperatura di 200° C per 30'-40' ca.
Nel caso dello sfincione palermitano a metà cottura cospargere lo sfincione di pangrattato lievemente tostato con un goccio di olio.

Visit Sicily Tourist Information · Government Organization (Pagina Facebook)

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26 febbraio 2015 4 26 /02 /febbraio /2015 05:48

DSC04497.JPG

 

Noi Italiani siamo rinomati per i nostri "maccheroni", ma gli  Inglesi non sono da meno con i loro "macaroon".
Ma, badiamo bene, non dobbiamo fare confusione tra le due cose.
I nostri maccheroni sono un tipo di pasta, mentre i macaroon sono delle paste. E mi rendo conto che, così dicendo, non ho detto niente, perché rimaniamo impigliati nella confusione linguistica ingenerata da un'unico termine che, anche in italiano, possiede significati diversi.
Allora, per essere più precisi, i maccheroni sono un tipo di pasta di grano duro, mentre i "macaroon" sono delle "paste" dolciarie.
Esistono - per i macaroon - diverse variazioni regionali.

Quelli che ho assaggiato io e che mi sembrano deliziosi sono i "coconut macaroon", con l'interno di una pasta morbide e soffice al gusto di cocco (che per la conssitenza ricorda il marzapane morbide),mentre l'esterno, soprattutto su di un lato è rivestito interamente o decorato di cioccolato fondente.

Letteralmente, si mangiano mugolando dal piacere e possono essere degustati con piacere al termine di un pasto assieme ad una tazza di the.
Da quando ho scoperto i macaroon ne sono ossessionato e sono anche ossessionato dalla parola che pronuncio spesso tra me e me, perchè me ne piace il suono, assieme solido, morbido e sontuoso, come sono questi biscotti al palato.

Non so se in Italia si trovi l'equivalente dei macaroon.

Un vero peccato se non ci fossero poi i coconut macaroon come quelli che ho gustato qui: se li assaggi, sviluppi rapidamente una dipendenza nei loro confronti!

 

Chocolate-Macaroons.jpg 

 

(da Wikipedia) A macaroon (/mækəˈruːn/ mak-ə-roon) is a type of small circular cake, typically made from ground almonds (the original main ingredient[1]) or coconut (and/or other nuts or even potato), with sugar and egg white. Macaroons are often baked on edible rice paper placed on a baking tray.

The name of the cake comes from the Italian maccarone or maccherone meaning "paste", and referring to the original almond paste ingredient. This word itself derives from ammaccare, meaning "to crush".

(...) A coconut macaroon is a type of macaroon most commonly found in Australia, the United States, Mauritius, The Netherlands (Kokosmakronen), Germany and Uruguay, and is directly related to the Scottish macaroon. Its principal ingredients are egg whites, sugar and shredded dried coconut. It is closer to a soft cookie than its meringue cousin, and is equally sweet. Many varieties of coconut macaroons are dipped in chocolate, typically milk chocolate.

Versions dipped in dark chocolate or white chocolate are also becoming more commonly available. Nuts are often added to coconut macaroons, typically almond slivers, but occasionally pecans, cashews or other nuts. In Australia, a blob of raspberry jam or glacé cherries are often concealed in the centre of the macaroon prior to cooking.

 

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26 gennaio 2015 1 26 /01 /gennaio /2015 06:27

Una pasta al forno estemporanea, piegando la ricetta a

Sabato (il 24 gennaio) per pranzo ho cucinato una specie di pasta al forno di mia libera interpretazione, traendo ispirazione da un fascicolo di ricette "biologiche" (organic), distribuito alla Nursery che frequenta il nostro Gabriel, per insegnare ai genitori come cucinare del "buon" ("healthy") cibo ai propri pargoli (titolo dell'opuscolo: "Taster Recipes. Easy ideas for tasty, healthier meals").
Il nome della ricetta che ho deciso di sperimentare è "Pasta Ratatouille Bake".

Prima ho preparato una ratatouille con quello che avevamo in casa (cipolle, un po' d'aglio, patate, carote, pomodori, broccoli - non molti -, un abbondate manciata di piselli e, per aggiungere una punta di sapore in più, qualche foglia di basilico), senza potere eseguire alla lettera le istruzioni per mancanza di alcuni ingredienti.

Poi, ho mescolato le verdure assieme alla pasta che avevo cotto prima, speziando.

Ho messo il tutto in casseruola, rivestendo di formaggio a scaglie e ho cotto in fornoper circa 30 minuti.

Ottimo risultato, senz'ombra di modestia.
Piacevole al palato, ma anche -per i suoi colori - una gioia per gli occhi.

Ma - a parte l'autoglorificazione sempre sospetta - Maureen ha "confermato", non solo a parole (anche le parole non sempre corrispondono all'effettivo giudizio su ciò che si propina da mangiare al nostro prossimo), ma servendosi con decisione un'altra porzione.

Ho notato con sempre maggiore frequenza che in molti film - come anche in molti romanzi - i personaggi non mangiano mai. Gli atti correlati all'ingestione del cibo, come anche della sua preparazione sono quasi sempre trascurati dall'autore, perché ritenuti irrilevanti, salvo - ovviamente - le debite eccezioni, come è nel caso di Pepe Carvalho, l'abile - ed esistenziale - detective invetanto da Manuel Vàzquez Montalban che è anche un raffinato e sperimentale cuoco.

Con questo piccolo contributo voglio ribadire che la mia pagina web vuole assegnare al cibo e al rito del mangiare (meglio se in compagnia) il giusto ruolo e non vuole considerare entrambi gli argomenti soltanto una volgare e prosaica necessità.

Una pasta al forno estemporanea, piegando la ricetta a

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7 gennaio 2015 3 07 /01 /gennaio /2015 06:28
Pata-Go, ovvero la Patata da Passeggio: una proposta originale del ristorantino E' CottaHo trovato una Palermo, tra fine dicembre 2014 e l'inizio del nuovo anno, invasa da cartelli pubblicitari che pubblicizzano la "Pata-Gò", ovvero la "Patata da Passeggio".
Nell'affiche si vede uno stecco attorno al quale sono avvolti dei filamenti dorati.
"Andiamo a curiosare!" - mi sono detto.
Niente di più facile, visto che il locale dove la patata da passeggio viene elaborata si trova a due passi da casa mia!
Si tratta del ristorantino (e "Take Away") E' Cotta che propone una serie di pietanze vegetariane e vegane, alla cui guida è la signora Rossella Levantino.
Il locale, a cui auguro ogni ogni fortuna, si trova in una location che non ha mai riscosso grande successo. E' indubitabile che sia così: alcuni luoghi, anche se - ad un'analisi razionale - non vi è nulla di sbagliato di loro, sono infelici e poco "fortunati" e ciò si nota nel fatto che gli esercizi commerciali vi si succeddono, cambiando tipologia e gestione di frequente, inesorabilmente ogni pochi anni. E, probabilmente, direbbe Foucault ciò dipende dalla loro natura di "non luoghi" che, malgrado gli sforzi profusi, non arrvano mai a diventare "luoghi" vissuti e vivibili appieno.
Questa location, situata all'angolo tra Via Principe di Paternò e il tratto della via di scorrimento e di traffico intenso che si chiamava via Piemonte e che oggi ha cambiato denominazione (ma per me indigeno del uogo rimane sempre "Via Piemonte"), ha visto succedersi bar, gelaterie, rivendite di moto e di mobili e penultimo arrivato, sino a due anni fa il locale "Cosmopolitan" frequentamente per un breve periodo intensamente e poi andato incontro ad un veloce declino.
Ora, abbiamo "E' Cotta" a cui auguriamo lunga vita.
E forse proprio per vivacizzare una clientela che tende ad essere un po' torpida è arrivata l'invenzione della "Pata-Gò", originale e - a quanto sembra - anche "brevettata".
Pata-Go, ovvero la Patata da Passeggio: una proposta originale del ristorantino E' CottaMa vediamo cos'è la "Patata da Passeggio".
Si tratta di uno stecco che regge ad una estremità un cuore di patata cotta a vapore che è è avvolto da una "chioma di tagliatelle di patate, la cui cottura viene realizzata mediante l'immersione dello stecco già predispost in olio bollente.
E, in effetti, la Pata-Gò la si può mangiare passeggiando, arricchendone il gusto particolare, dato dalla combinazione tra la parte morbida all'interno e il croccante delle tagliatelle di patate con salsa barbecue, ketchup, oppure maionese.
Il risultato al palato è gradevole, indubbiamente. Qualche problema deriva dalla compatezza del tutto, perchè dopo i primi morsi, il tutto tende a sfaldarsi e occorre utilizzare le mani per evitare di perdere pezzi preziosi.
Il costo è di €2.50 a pezzo, secondo alcuni che hanno già fatto delle loro recensioni eccessivo - ed anche secondo me.
Tra le molte recensioni, questa riguarda la "Pata Go": ma si tratta - a mio avviso - di una recensione eccessivamente severa.
Eccola, comunque.

Pata-Go, ovvero la Patata da Passeggio: una proposta originale del ristorantino E' CottaNon conosco il locale sotto la forma della cucina che presentano, mi limiterò solo a delle semplici considerazioni in relazione al nuovo prodotto che stanno pubblicizzando per le vie di Palermo. Mi riferisco alla pubblicità della patata da passeggio, credi si chiami patagò,dico credo perché nemmeno sul loro sito ne fanno mansione. Mi attrae la pubblicità e visto che era ora dello spuntino, mi reco nella via menzionata per gustare questa novità,prima di tutto la via su Google map non esiste perché recentemente cambiata dal comune, mi aspettavo la gente dietro la porta a fare la fila ma evidentemente il locale è troppo anonimo per attrarre quelle poche persone che hanno la fortuna di trovare il locale, nemmeno un cartello esterno che possa identificare il prodotto pubblicizzato. Per quanto riguarda la parata non è altro che una semplice patata con avvolto dei filamenti di patata stessa messa in uno stecchino e fritta. La "patagò" si presenta croccante all'esterno ma fredda all'interno.... Insomma niente di eccezionale, se consideriamo pure che 2,5 euro per una patata fritta mi sembrano eccessive, adesso capisco perché il locale era vuoto e desolato....
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22 ottobre 2014 3 22 /10 /ottobre /2014 11:43

El Cucuruchu. A Puerto de la Cruz di Tenerife, un piccolo ristorante gestito da tre Italiani, si proprone con un offerta insolita: i cucurucho de pescado

(Maurizio Crispi) Nei pressi dell'albergo di Puerto de la Cruz, dove alloggiavamo a Tenerife (nel cuore delle Canarie), in una giornata di tempo insolitamente piovoso (che ha visto una vera e propria alluvione a Santa Cruz, la maggiore città del Cabildo de Tenerife), abbiamo fatto sosta per ingannare il tempo in un piccolo locale  (in Avenida Marqués Villanueva del Prado, 8).
Gli spagnoli avviano solitamente le loro attività molto tardi (tutti i loro orari - anche quelli commerciali - sono spostati di almeno due-tre ore in avanti, rispetto ai nostri) e la domenica e nei festivi anche nei posti turistici si prendono senza sconti il meritato riposo.

Il piccolo locale dove ci siamo fermati é proprio di fronta al nostro hotel (Puerto de la Cruz), lungo la strada che scende verso il centro della cittadina dov'è ubicata la stazione degli autobus che percorrono l'isola in lungo e in largo, assicurado dei comodi e veloci colelgamente tra punti anche molto distanti uno dall'altro.
Inizialmente, per ingannare il tempo, abbiamo ordinato un caffé espresso e un cappuccino e siamo stati al lungo ad indugiare, in attesa della schiarita che non arrivava mai: l'acqua cadeva e cadeva, senza requie, ispirando sentimenti di malinconia autunnale.
Poi, in un momento di schiarita ci siamo alzati e siamo andati via per tentare una passeggiata: ma, tempo di percorrere poche centinaia di metri, ha ripreso a piovere, senza scampo.
Pazienza! Tenteremo al prossimo round!
Cosa fare nell'immediato?
Pensiamo che è quasi ora di mangiare un boccone per pranzo e così, invertendo la rotta ritorniamo, al posto di prima che si chiama "El Cucurucho".
El Cucuruchu. A Puerto de la Cruz di Tenerife, un piccolo ristorante gestito da tre Italiani, si proprone con un offerta insolita: i cucurucho de pescadoC'era qualcosa nel menu in offerta che mi aveva attratto e ho pensato che potesse trattarsi di una buona occasione per sperimentare e provare qualcosa di nuovo.

Il motivo dell'attrazione era legato all'offerta di alcuni piatti di frittura di pesce, molto selezionati, che un un po' rievocavano in me

la dimensione delle friggitorie siciliane e di alcune in particolare che ben conosco di Palermo.
In effetti, si trovava di un'offerta pressocché unica, rispetto a quello che avevo visto in altri lupghi di ristorazione di Puerto de la Cruz.
Le offerte variavano dal chopito (che sarebbero dei pesciolini che si mangiano fritti con una leggera impanatura, interi, come i nostri "cicirilli" al "Guelde" (i nostri calameretti), al "anillo" (anelli di calamaro fritti), ai "langostinos" (gamberoni) e le immancabile sardine "allinguate" fritte.

Queste specialità in diverse combinazioni (solo una, alcune o tutte quante) sono servite in un "cucurucho" che altro non è - in Spagnolo - che il cono gelato, senonchè questo è un cucurucho de pescado in tre diverse misure (piccolo, medio e grande): cucucurcho che, suggestivamente, ricorda il "cartoccio" di carta spesso in cui il caldarrostaio o il friggitore, mettono i propri manufatti.

In più, a scelta dell'avventore, vengono servite patate fritte.

Il piccolo punto di ristorazione è gestito da tre italiani, originari di Vicenza, Paola, Lisa e Giordano, (ai quali si aggiunge un simpatico cagnolino, anche lui proveniente dall'Italia) che poco meno di un anno fa hanno deciso di mollare tutto e di trasferirsi nelle Canarie, proprio, qui, a Tenerife.
Dopo aver trascorso alcuni mesi di ambientamento nella parte sud dell'isola si sono trasferiti a Nord, a Puerto de la Cruz, appunto e da poco più di 15 giorni hanno avviato la loro attività, rilevbando un vecchio locale di ristorazione che però aveva chiuso i battenti.
E' superfluo dire che il percorso di attiviazione del loro nuovo esercizio commerciale è stato molto snello e privo dei consueti intralci burocratici ed amministtrativi in cui ci si imbatte in Italia.

Raccontando di sé, dicono: "Abbiamo deciso di andarcene perchè in Italia non si può più vivere. Abbiamo mollato tutto e siamo portati all'avventura. Quà é tutto più semplice, anche se dobbiamo confrontarci con il fatto che siamo stranieri e che dobbiamo imparare a destreggiarci con lo Spagnolo, ma anche con il Tedesco (visto che la maggior parte dei turisti di Tenerife sono di questa naziolità).
Abbiamo tentato di differenziarci da altri locali di ristorazione, mettendo a punto un'offerta diversa ed originale e, soprattutto, concentrandoci su poche cose soltanto. Speriamo di poter riuscire a costruirci un posto al sole. Ci stiamo tentando, insomma".

E non possiamo che augurare ai tre amici Italiani, la migliore sorte, cosa della quale non dubitiamo visto che il cibo é buono ed è servito con delle presentazioni accattivanti.
E, mi raccomando, se vi trovate a visitare Tenerife, andate a visitarli!

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30 settembre 2014 2 30 /09 /settembre /2014 08:22

 

Oro Saiwa. I miei biscotti della colazione preferiti di sempre

 

(Maurizio Crispi) I biscotti  Oro Saiwa: i miei preferiti quando ero piccolo e i miei preferiti tuttora.
Ottimi da intingere nel latte o nel The o nel caffè, quando la mattina si fa la colazione.
ottimi da sgranocchiare durante il giorno.
Formula semplicissima, crocchianti quando è giusto, non troppo burrosi, porosi quanto basta, ma tuttavia in grado di mantenere sino ad un certo punto (ma occorre fare attenzione!) la loro compatezza, quando "pociati" in una bevanda calda.
Negli anni successivi sono state tentate delle variazioni a partire dalla formula base, come gli Oro Saiwa rivestiti su di un lato soltanto da uno strato di cioccolatto fondente oppure quelli con la superficie cosparsa di piccoli cristalli zuccherini: ma - malgrado queste varianti - si finisce sempre con il ritornare al primo amore che è quello della formula più semplice in assoluto, cioè ad un biscotto semplice semplice, con una imperiosa e spartana forma rettagolare e un bordo con dolci dentellature che, con la loro curva, introducono in essi un elemento di lenta morbidezza collinare.
Tra l'altro, proprio per via di questa loro proprietà di imbibirsi, gli Oro Saiwa venivano utilizzati dalle nostre mamme come ingredienti indispensabili alla realizzazione di dolci casalinghi e, per questo, non c'erano delle ricette codificate, ma solo la loro inventiva.

Da piccolo avevo scoperto che era molto più piacevole intingerli a due a due e che il doppio biscotto aveva una "resilienza" ben maggiore quando si imbeveva al punto giusto.
E dovevano essere imbevuti al punto giusto: non troppo poco, perché altrimenti mancava la piacevole sensazione della materia del biscotto che si scioglieva in bocca, ma nemmeno troppo perchè altrimenti nel tragitto dalla tazza alla bocca la parte di biscotto imbevuta si sarebbe disgregata e sarebbe caduta in una pappa molliccia ed informe o sul tavolo o, peggio, sul tuo pigiama o sui vestiti (a seconda dell'orario in cui si faceva la deliziosa merendina).
Anche oggi, malgrado numerose esplorazioni, finisco sempre con il tornare alla delizia degli Oro Saiwa, pur incorrendo sempre nell'incidente legato all'eccesso di imbimbimento: giusto oggi facendo colazione mi si è spappolato uno di loro sui pantaloni del pigiama.
Questo evento lo vivi come una sorta di smacco, poichè è la dimostrazione di una tua imperizia o di una tua distrazione. E l'Oro saiwa non consente invece distrazioni di sorta: richiede che nel mangiarlo gli si dedichi un'attenzione esclusiva!
Benedetti gli Oro Saiwa, poiché rimarrano sempre uno dei sapori preferiti della mia infanzia!
Oggetti gastronomici del nostro immaginario collettivo, a somiglianza degli statunitensi  Oreo (della Nabisco e precursori dei nostri "Ringo"), commercializzati successivamente in Italia sempre dalla Saiwa.

 

A completamento della mia nota, ecco alcune interessanti notizie "storiche" sugli Oro Saiwa.

 

Oro Saiwa. I miei biscotti della colazione preferiti di sempre(Da retrovisore.net) L’Oro raccomandato da Vittorio Emanuele.
È il compagno fedele di colazione di almeno tre generazioni: l’Oro Saiwa, prodotto con la stessa ricetta dagli anni Cinquanta, è stato il primo biscotto confezionato prodotto nel nostro Paese.
Se per un lungo periodo i biscotti sono stati un bene di consumo “di lusso” negli anni Cinquanta i prodotti da forno incominciano a imporsi come alternativa al pane per la prima colazione anche perché, grazie alla massiccia e automatizzata produzione industriale, il prezzo è finalmente sceso alla portata di tutti. È in questo periodo che la Saiwa lancia il biscotto Oro Saiwa, che si rivela subito un prodotto gradito ed è a tutt’oggi il biscotto più venduto in Italia.
A inventarlo è il genovese Pietro Marchese che ai primi anni del Novecento, al ritorno da un soggiorno in Inghilterra dove ha avuto modo di assaggiare i wafer, decide di aprire in città una pasticceria per confezionare i dolci scoperti durante il viaggio. Nonostante gli anni difficili della Grande Guerra, la pasticceria di Marchese va a gonfie vele, diventa una piccola industria e, assieme ai wafer, comincia a produrre anche biscotti.
Nel 1920, la piccola impresa si registra come S.A.I.W.A., acronimo di Società Accomandita Industria Wafer e Affini: nome coniato da Gabriele D’Annunzio, uno tra i più assidui consumatori di biscotti. Da subito la società presta attenzione al packaging: per prima consegna ai rivenditori dei cilindri di latta per la vendita dei biscotti sfusi (detti comunemente “bidoni” per le loro dimensioni), poi, nel 1934, la stessa Saiwa produce da sé gli imballi in latta che comincia a decorare con disegni a tema.
Oltre a D’Annunzio, testimonial di prestigio sono i membri di Casa Savoia, che concedono a Marchese l’onore di innalzare lo Stemma Reale sull’insegna della fabbrica. Da allora lo stemma è comparso ovunque, dalla carta intestata alle cartoline, alle campagne stampa, fino alle scatole di latta.
La società genovese è la prima industria dolciaria in Italia e dopo una parentesi come Saiva, dovuta all’imposizione del regime fascista di italianizzare il nome, finita la guerra nel logo torna la W e vengono rinnovati gli impianti.
E qui nasce Oro Saiwa, primo biscotto che abbandona la scatola di latta, e ancora oggi tra i più venduti in Italia.

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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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