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5 giugno 2012 2 05 /06 /giugno /2012 17:52

DSC01431.JPGTutti mi chiedono perchè io indulga a fotografare animali morti in cui mi imbatto sul ciglio della strada, oppure scene di degrado metropolitano, come ad esempio un mucchio di cantalupi prossimi alla putrefazione.
Ci sono alcuni che si sentono disturbati dalla crudezza di queste immagini, forse.
Altri le considerano antiestetiche.
Altri ancora si sentono offesi ed oltraggiati.
Ma perchè?

Si tratta di scene che fanno parte del nostro panorama quotidiano, in realtà.
Molti distolgono lo sguardo e fanno finta di non vedere.
Molti desiderano vivere in una condizione di tranquillità dello spirito, in cui la quiete e la normalità quotidiane non siano per nulla disturbate.
Sembrerebbe che la volontà di molti sia orientata a mantenere a tutti i costi un equilibrio perfetto, in cui le immagini della fine siano bandite, per evitare il loro impatto destabilizzante sulle certezze della vita che si vorrebbe fossero per sempre.

I nostri antenati erano abituati alla morte e al morire che facevano parte integrante del vivere.
Per loro la morte era strettamente intersecata con il vivere: e, oltre alle certezze del vivere, c'era costantemente la certezza della morte.
La religiosità e il bisogno di trascendenza sono nate in realtà proprio da questa stretta coabitazione di vita e di morte.
La morte era ominosa ed incombente, ma era - in realtà - un fatto della vita.
Non poteva esserci la vita senza la morte.
In un recente romanzo (opera prima di Giacomo Papi, I primi tornarono a nuoto, pubblicato da Einaudi, 2012) si ipotizza che, per motivi misteriosi (che la Scienza non è capace di spiegare), i morti - tutti i morti - ritornano ad ondate in una progressione geometrica.
DSC01440I morti risorti sono fisicamente perfetti (anche se hanno l'età cronologica che avevano al momento del decesso), ma i loro tessuti (persino i loro denti) sono giovani e vigorosi. L'unica differenza è che i risorti non possono procreare.
Al crescere del numero dei redivivi, si crea immediatamente una competizione tra i vivi e i risorti: si attiva una vera e propria lotta per uno spazio vitale che si fa sempre più ristretto, visto che i risorti sono centinaia di milioni se non miliardi (considerando i morti di tutte le epoche storiche sin dagli albori dell'Umanità): e, in questa lotta, da parte dei risorti si attiva una feroce persecuzione contro le donne (non solo simbolo della fertilità, ma anche concreta estrinsecazione della capacità di procreare) e dei pargoli da poco nati. Le donne, siano esse incinte o in età fertile, vengono sterminate.

Questo l'incipit del romanzo: «I primi tornarono a nuoto la notte del secondo giorno. A sciami, nelle ore disabitate, entrarono in acqua dai porti addormentati, dai moli senza nome, dalle anonime rive di melma ed erba dimenticate sulla terraferma, e nuotarono lenti in mezzo alla laguna illuminata e oscurata a intermittenza dalla luna e dalle nuvole, uscirono dal mare come granchi o come rane, arrampicandosi sui pali, sulle barche ormeggiate, sulle scale intagliate nella pietra e invasero le isole. Per molte ore nessuno li vide». (Giacomo Papi, I primi tornarono a nuoto, Einaudi, 2012)
DSC01428Akunin in un suo libro (Le città senza tempo. Storie di cimiteri, Frassinelli, 2006) riflette che, se soltanto si considerano le grandi metropoli (quelle che hanno una storia millenaria, come Roma, Londra o Parigi) sono più i morti che le hanno popolate e che vi sono sepolti che non i vivi che le abitano in atto. E si chiede Akunin se non sarebbe legittimo pensare che queste città debbano appartenere più ai morti che si sono affastellati nel corso dei secoli che non ai vivi che le abitano. C'è da domandarsi se tutti questi morti non sprigionino una qualche forma di energia che si espande a partire dei loro luoghi di sepolutra e se non siano persistenti - presenti ed attive - tracce del loro passaggio.

Morire è una necessità dalla quale non si può eludere in alcun modo e immaginare di procrastinare oltre il lecito (e il naturale) il tempo in cui ci è dato di vivere è semplicemente follia.
Non ha senso favorire la domanda crescente di un maggiore tempo di vita: occorre piuttosto lasciare che ci siano un naturale avvicendamento e un ricambio generazionale, in modo da assicurare un equilibrio tra le vite che si spengono e quelle che cominciano.
Se così non fosse, come prospetta il metafisico romanzo di  Papi saremmo velocemente condannati all'estinzione per sovrappolazione. Detto crudamente: diventeremmo troppi per avere di che mangiare e per dividere sempre più magre risorse.
La morte prenderebbe il sopravvento per la mancanza di un naturale avvicendamento.

Primi-tornarono-a-nuoto.jpgIndugiare sulle immagini di morte, quando la morte altro non è che un transito da uno stato all'altro, è un modo per ricordarsi dell'impermanenza e della corrruttibilità.
Un'immagine è efficace in tal senso, in quanto estrapola da scenari di vita una possibile rappresentazione della morte e del passaggio da uno stato ad un altro: e questo può aiutare a riflettere e a prendere consapevolezza sul fatto che non vivremo in eterno, che siamo a predestinati a morire.
Questa è una certezza ineludibile,  anche se non possediamo la conoscenza del modo e del tempo in cui ciò avverrà.
E non dico, ovviamente, che si debba vivere cupamente, recitando come una litania "Memento mori", come facevano certi monaci di clausura (i Trappisti), votati al silenzio, ma autorizzati a pronunciare incontrando un altro confrate la fatidica frase, scavando così giorno per giorno la fossa che, da morti,li avrebbe accolti. Oppure come icona di riflessione sul tema della morte, possiamo pensare al fiociniere Queequeg che in Moby Dick sale a bordo, portandosi a spalla la bara dentro cui un giorno vorrebbe essere sepolto (dentro la quale si mette anche a dormire) e che, poi, quando il Pequod naufraga, colpito dalla furia assassina ed ominosa del grande Capodoglio bianco diventa il provvidenziale salvagente che porta Ismael in salvo.
Se riflettiamo sugli scenari di morte, saremo un po' più pronti ad accettare la fine quando verrà, ma sempre pensando alla pienezza della vita.
La società odierna, profondamente orientata all'edonismo, è troppo materialista per esprimere una riflessione profonda sulla morte e sul morire o anche un'accettazione consuetudinaria sulla nostra fragilità e sul nostro esssere transeunti.
Se si ha la consapevolezza della morte con la convinzione (tranquillamente accettata) che ogni giorno potrebbe essere l'ultimo, ogni giorno di vita che ci è dato sarà vissuto con pienezza e, quando quel momento fatidico verrà, non dovremo angustiarci perche "...non c'è più tempo", oppure perche "...non abbiamo fatto questo o quell'altro".
Benchè nessno potrà mai dire, in tutta sincerità, di essere pronto per il passaggio dentro una dimensione di ineffabile mistero, volgendo di tanto uno sguardo non terrorizzato ad un'immagine della fine, forse, potremo dire di essere almeno un po' più pronti.

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13 aprile 2012 5 13 /04 /aprile /2012 07:21

Panchine alla Villa accanto allo stadio, Palermo - Foto di Maurizio Crispi

 

Quante belle panchine...

 

Alcune allegre,

altre tristi

quelle malinconiche

e quelle ridenti

le solitarie  e le affastellate in gregge

bianche, grigie, verdi, marrone e rosse

di legno, di pietra, di ferro, di ceramica

o d'acciaio

 

Panchine per la sosta

Panchine per il riposo

Panchine d'amorosi sensi

Panchine per la lotta

e panchine conviviali

Panchine con il cuore

e panchine parlanti

Panchine per ridere

e panchine per piangere

Panchine d'amore

e panchine d'odio

(quello però soltanto un pizzico,

giusto perché le panchine non sono buoniste)

Panchine multiple

e panchine monoposto

Panchine abborracciate

e panchine vintage

 

Alcune già note

risorgono a nuova vita

Altre ignote

balzano all'attenzione

di noi pacati panchinari

 

E intanto il mondo scorre

mentre noi lo contempliamo sereni

imbarcati sulla nostra panchina preferita

come fosse un tappeto volante

in viaggio verso la magia di terre lontane

 

Ci mancano solo,

per completare il quadro,

la panchina della passione,

la panchina pasqualina

e, per finire,

anche quella sepolcrale

 

Ho fatto un sogno poco fa:

ed ero seduto su di una panchina

 

Mentre me ne stavo lì tranquillo

a ruminar pensieri,

arrivava Martin Luther King

s'accomodava a me vicino

e diceva:

I had a dream tonight...

I saw all the people

white&black

red&yellow,the rich&the poor

sitting on a single bench,

everyone talking

one language

everyone laughing

 

Panchine del Giardino Inglese, palermo - Foto di Maurizio Crispi

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12 aprile 2012 4 12 /04 /aprile /2012 20:34

 glicine.jpg

 

Mentre camminavo verso il tramonto
e il vento fresco ed umido mi intirizziva,
ho aspirato con gioia
il profumo sontuoso dei glicini

E' il segno inequivocabile dell'entrata della Primavera,
Ancora più della fioritura dei mandorli

Eppure, come sempre, quel sentore
così penetrante e dolce
m'intristisce assai,
rendendomi malinconico

Forse, è perchè come tutti i profumi naturali ricchi, densi e dolci
contiene in sé il germe della morte e del degrado,
avvicinandosi pericolosamente all'odore della decomposizione
Questa fioritura è dunque qualcosa che prelude all'arrivo dell'Autunno
e all'inelluttabile decadenza che fa seguito
ala sua entrata

Intanto, nel cielo vespertino, scorgo
ancora alte le prime rondini.
Intrecciano voli incerti ed esitanti
E come se facessero la conta:
Siamo tutte arrivate?
Ci saranno dei dispersi e dei caduti
dopo il lungo viaggio?
Devono essere arrivate da poco

dal lontano Sud in cui si rifugiano d'Inverno
Improvvisano voli,
ma non sono i voli gioiosi e matti dell'Estate
Anche quelli tuttavia - pur così spensierati -
preludono ad una dipartita
Di lì a poco, infatti, dopo quel carosello di voli forsennati,
prenderanno di nuovo le vie del cielo
per raggiungere i luoghi dello svernamento
E poi, nell'anno nuovo, faranno ritorno
in un ciclo che si ripete da sempre,
quasi eterno

Adesso, i rondoni sembrano smarriti
svolazzano,
stanchi dopo tanto viaggiare
e ancora incerti sul da farsi,
combattuti tra il desiderio di continuare ad andare
e l'impulso atavico a ristare nei luoghi della loro nascita

Il giorno di primavera
volge al tramonto ed imbrunisce,
lasciando dentro di me
una scuro alone di malinconia,
quello della vita che si è rigenerata,
ma il cui declino è già iniziato
Anche se ho la certezza che la Luce ritornerà al prossimo ciclo,
il dolore di vedere l'embrione della morte in ciò che nasce
rimane per me sempre grande

 

E' stato un giorno perfetto

Ho visto la perfezione e la bellezza
nella pacata compostezza d'un sasso di fiume
nel volo dei gabbiani nel cielo azzurro
e in quello incerto ed esitante delle prime rondini,
stremate dal lungo viaggio

E non si può che essere pensosi
davanti al mistero
di veder legate assieme la Vita e Ultime Cose

 

6 aprile 2012, Palermo

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2 aprile 2012 1 02 /04 /aprile /2012 17:05

big-fish.jpgBig Fish. Storie di una vita incredibile (Tim Burton, USA, 2003): nel bel film di Tim Burton (tratto dal'omonimo romanzo di David Wallace, Tropea) dopo molti anni di allontanamento e di totale silenzio un figlio si riavvicina al padre anziano e forse morente.
Edward Bloom è solito narrare, fra lo stupore di chi lo circonda, storie fantastiche e assurde riguardanti la sua vita: dall'incontro con un gigante alto cinque metri, a quello con una strega con un occhio di vetro, fino al celebre racconto del pesce incatturabile, preso proprio nel giorno della nascita del figlio epoi fuggito con il suo anello nuziale nella pancia. Suo figlio William, però, non apprezza questa sua presunta mancanza di serietà e per questo con il tempo si è allontanato da suo padre.
Il motivo della rottura, a suo tempo, era stato dovuto al fatto che William, divenuto più grande, non sopportasse più di sentire le reiterate narrazioni di quelle storie (peraltro meravigliose e che da piccolo lo affascinavano) in cui il padre era stato coinvolto da giovane.
Non sopportava più che il padre si esibisse pubblicamente (e tutte le occasioni erano buone per farlo)  in performance da "ballista", sentendosi umiliato da questi gratuiti show di fantasia a briglia sciolta, spacciate per reali accadimenti.
Eppure, staccatosi dal padre ed emigrato in Europa, era divenuto scrittore.
Tornando a casa dei genitori con Edward ammalato e forse in punto di morte, Will -attraverso ricordi e dialoghi - intraprende un personale viaggio alla scoperta della vita del padre per cercare di dividere la realtà dalla fantasia. Il padre Edward trae vita dal raccontare delle sue storie e, anche adesso, con incrollabile energia, le ripropone (anche adesso, come quando era più giovane).
Will, peraltro, peraltro è piccato che la moglie incinta sia affascinata da queste storie e che le ascolti avidamente. Tutto ciò lo porterà a scoprire il gusto del racconto e a rendersi conto con emozione che le storie raccontate dal padre hanno più verità di quanta se ne potesse immaginare.
Il padre ha una fede incrollabile che non morirà nel suo letto, magrado l'evidenza della sua vita.
"Non è così che uscirò di scena, lo so - gli dice - l'ho visto nel riflesso dell'occhio di vetro della strega. Io ho guardato, come gli altri miei, e non è così che finirò".
Il fim è profondo e commovente, ha a che vedere con la meraviglia del raccontare storie e con la scarsa importanza che le storie del proprio repertorio di ricordi siano vagliate con il setaccio della verità storica accaduta e documentate: quel che conta è la loro verosimiglianza psicologica e il fatto che gli elementi del reale si mescolino in una miscela in cui ciò che conta è la loro accettabilità emozionale e che, in generale, garantiscano e preservino una rappresentazione coerente del mondo vissuto e attraversato...
In questo senso, le storie del proprio passato possono diventare mitologia e, nello stesso tempo, servono per disegnare in qualche misura il proprio futuro e la propria transizione.

big-fish (1)Se ciascuno di noi potesse vedere nell'occhio finto della strega il proprio futuro e soprattutto la scena della propria fine, questo sarebbe rilevante veramente nell'influenzare i propri anni futuri in attesa del proprio fatidico momento?
E' difficile rispondere.
In una recente antologia nata da una raccolta di racconti raccolti quasi per gioco attraverso un sito web, si ipotizza che da una certa in poi, i cittadini di un'ipotetica società futura possano conoscere il tipo di morte che li attende: e tanti autori (di successo, ma anche alle prime armi) si sono cimentati in molteplici soluzioni a questo paradosso (da quelle più tragiche a quelle più grottesche): si tratto della racolta di racconti "La macchina della morte. Notizie da un mondo in cui le persone sanno di che morte morire" (a cura di Ryan North, Matthew Bennardo, David malki, Guanda, 2012).
Certo è che mano mano che si va avanti nella propria esistenza, ci si interroga sempre più sovente sulla fine.
A me capita di farlo, ovviamente.
Ipotizzo possibili scenari, ma non trovo risposte.
Nel panorama a me vicino conosco soltanto pochi possibili modi del morire.
La morte brusca ed improvvisa di un padre nel pieno delle forze che ha cessato di vivere forse senza nemmeno rendersi conto che era giunto il momento.
La morte seguita ad un progressivo (e rapido) venire delle forze di mia madre, sempre lucida sin quasi alla fine, e  che, quando ha visto che il corpo era rimasto dietro indietro ed era divenuto un fardello, ha fatto sì che la sua forte volontà mollasse la presa.
Sì è addormentata, consapevole che quello sarebbe stato l'ultimo suo sonno.
Le morti dei miei nonni paterni e della nonna e della prozie materne, entrame in età avanzate per "esaurimento" e "senescenza", ma senza una causa specifica.
I più essendo mentalmente lucidi con un corpo che ad un certo punto ha cominciato a declinare rapidamente o, a volte, precipitosdamente, dopo una vita longeva ed operosa.
Non ho altri esempi: troppo poco sono stato a contatto con le morti ospedaliere o con le morit causate da malattie devastanti, dolorose o inabilitanti, per avere disponibili altri modelli.
Ma i due che ho visto mi sembrano ragionevoli e praticabili.
Nessuno però può sapere in anticipo quale sarà il modo della propria fine.
Una cosa però mi piacerebbe: finire con un guizzo finale, con uno sberleffo, con una firma da mattacchione: una fine che più che da tragedia abbia le qualità della commedia.
Un bel finale sarebbe per me come quello de "La Giara" di Pirandello.
Con quella bellissima frase-suggello: "E l'ebbe vinta Zi' Dima".
Se le storie che si sono  costruite e raccontate continueranno ad essere tramandate,  si sarà conquistato un posto tra quelli che l'hanno avuta vinta sull'oblio della morte.
 

 

Big fish. Storie di una vita incredibile
 

Il finale di Big Fish
 

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14 novembre 2011 1 14 /11 /novembre /2011 15:45

DSC08230.JPG

 

Il burattino di legno voleva essere un bambino di carne e ossa. E, alla fine, il suo desiderio venne esaudito.
 

La rosellina di plastica era triste, perchè avrebbe voluto essere un fiore vero, ma anno dopo anno rimase di volgare plastica che con il sole e le intemperie si andava facendo vieppiù scolorita.

La incontrai un giorno, abbandonata in deliquio per terra, prostrata e malinconica

Io le ho detto: Non essere triste! Sei bella anche così e poi durerari molto più a lungo di qualsiasi fiore vero"...
E la rosellina replicò: "Non voglio vivere in eterno, voglio essere un fiore vero, anche se dovessi durare per un solo giorno. Voglio essere annusata e voglio che chi mi si avvicini possa cogliere la mia fragranza...Voglio sentire dentro di me la tensione della crescita del fiore ancora in boccio la cui linfa preme per trasformarsi in petali, stami e pistilli..."
E a questo punto la rosellina non disse altro...
Si chiuse nel silenzio triste d'un impossibile sogno...
E io non potei dire null'altro per placare la sua malinconia.
Ma prima di andar via, forse per consolarla, volli raccoglierla dal pavimento di nudo cemento dove era stata gettata con sprezzo e la deposi su di una fioriera, accanto a dei fiorellini di lantana, dall'odore pungente ed aspro.
Mi commiatai da lei: "Buona vita a te, Rosellina: magari un giorno il tuo sogno di esser vera sarà esaudito..."

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11 ottobre 2011 2 11 /10 /ottobre /2011 15:37

Ambiente-e-luoghi 9129

 

Quel che resta...
Brocca rotta...
Hospice
Vecchio sanatorio...
Vaso reclinato...
Cantaro o seggetta che dir si voglia
L'orrido nelle macerie del quotidiano
La malinconia nello sguardo che vi si posa
Accanto la festa, incongrua
O è incongrua questa visione?

 

Passi attraverso un buco nel muro
e nessuno se ne accorge
Il semplice transito
da una parte all'altra,
sgusciando nel pertugio
che solo tu hai notato,
innesca una potente macchina del tempo
che ti porta molto avanti
o molto indietro
ma tu non lo sai
dove sei finito
Puoi soltanto contemplare
disorientato
qualcosa che resta
inquietante
d'un tempo che fu o che non è ancora
- o è un altro mondo, parallelo al nostro -
mentre accanto c'è ancora festa
e qui, in una dimensione extra-temporale,
straniata,
domina il silenzio che diventa fragore dirompente,
insostenibile

Tu passi e nessuno si accorge
che sei scomparso,
transitato in un altrove

Poi ricompari,
e ancora una volta nessuno se ne accorge
come fossi l'uomo invisibile delle storie

E riprendi il tuo posto
nel flusso ordinario dei gesti quotidiani
ma il fragore di quel silenzio
ti è rimasto dentro
e ti accompagna

 

Foto di Maurizio Crispi

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27 agosto 2011 6 27 /08 /agosto /2011 12:12

DSC05768.JPG

 

Un povero esserino abbandonato sul duro cemento del marciapiedi tra le foglie secche di eucalipto in un giorno d'estate...
Come sarà finito lì? Perchè ha abbandonato la cucciolata di cui faceva parte o perchè è stato crudelmente esposto, quando ancora non era in forze per sopravvivere dal solo?
Troppo breve la fragile vita di questo gattino...
E il suo occhio vitreo ti guarda e ti ammonisce, raccomandandoti di essere più soccorrevole e caritatevole, se appena puoi.
Sì, è stato quello sguardo, spento e fisso eppure - al tempo stesso - eloquente, a colpirmi di più e a indurmi a scattare la foto...

Ci vorrebbe un piccolo cimitero solo per loro... Per tutte le creature che muoino lungo le strade e che nessun raccoglie, perchè a nessuno compete farlo...

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14 agosto 2011 7 14 /08 /agosto /2011 10:47

mamy meravigliosa creatura

 

Ieri (era il 13 di Agosto), passando da una via vicino casa (Via Principe di Paternò, Palermo) nell'assolata calura meridiana delle 13.00 ormai passate (ero di ritorno dall'aver fatto la spesa, ultimo cliente prima della chiusura per la pausa pranzo) una donna non anziana stava sistemando amorevolmente delle lenzuola con delle grandi scritte in rosso e in giallo e i palloncini colorati sullo spoglio muro di conci di tufo, di fronte all'ingresso di un condominio sull'altro lato della strada.
Un modo tenero e affettuoso di una figlia (e di una nipote) per ricordare la mamma e la nonna morta. Ho supposto che, da poco, in uno degli appartamenti di quel condominio fosse passata l'ala della morte a richiedere un suo tributo.
Il gesto mi ha emozionato: per il fatto che la donna con quelle lenzuola scritte con caratteri vivacemente colorati avesse voluto subito lanciare nel mondo un tributo di affetto e di riconoscenza, quasi un canto palpitante, per quella persona che non era più, anzichè far circolare la triste notizia con il classico necrologio listato a lutto, ma anche per quel tocco gioioso di palloncini colorati.
Tutto questo suggerisce che, al di là della morte, la vita continua sempre e che il momento del trapasso di qualcuno che ci è caro può anche essere il momento della festa che si accende non appena si attiva il ricordo della bellezza e delle qualità della persona cara che non è più.
Il gesto di questa donna è stato delicato e insieme fuori dall'ordinario, espressione del carico di struggenti sentimenti  che sentiva di voler esternare sulla cara estinta, ma ancora viva e palpitante nel cuore dei suoi cari.
I palloncini colorati rimandano all'idea della festa, ma anche allo slancio verso di un'anima che ha da poco lasciato il suo corpo.

Un modo per controbilanciare il dolore con un canto di gioia con una scrittura ultima, per una volta non listata di nero.

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21 giugno 2011 2 21 /06 /giugno /2011 06:53

Ambiente-e-luoghi-8314.JPG

 

Nella Villa Piccolo di Calanovella, nei pressi di Capo D'Orlando (Messina), all'interno del vasto parco, in cui la parte più vicina alla casa è tenuta a giardino, mentre quella più distante era - ed è rimasta - verde agricolo, subito all'esterno di un suggestivo percorso a L, deliminato da una doppia fila di pilastri che reggono un fitto rampicante, dove era - ed è -  possibile passeggiare e risiedere, avendone voglia, su piccole panchine di pietra, il visitatore curioso avrà la sopresa di imbattersi in uno spazio recintato da un basso muretto di mattoni di cotto e sormontato da una piccola ringhiera, ai piedi di un pino marittimo enorme e possente: uno spazio spoglio, se non fosse per la presenza di diverse file ordinate di lapidi di marmo bianco di forma vagamente romboidale, alcune un po' sbilenche, piantate nella nuda terra, ciascuna all'estremità di un rettangolo cinto da una semplice fila di mattoni.

Si tratta del "Cimitero dei cani" che, nella famiglia Piccolo, si sono succeduti nel corso degli anni.

Le lapidi, in tutto  35, portano inciso soltanto il nome dell'amico a quattro zampe.

Non ci sono nè date di nascita, né di morte.

Essenziale.

Si può soltanto supporre che nelle file, da quella più avanzata rispetto al piccolo cancelletto d'ingresso all'ultima, riposino i cani più antichi sino ad andare via via a quelli più recenti, come si vede anche dall'evoluzione dei nomi con cui ciascun cane è stato battezzato: nell'ultima fila rimasta incompleta (solo tre sepolture), infatti, spicca il nome di Rocky, mentre nella penultima il nome - alquanto comico - di Mammalouk.

A lato della prima fila, c'è una sepoltura proprio piccola: sulla pietra c'è scritto "Malatedda", una cucciola morta - evidententemente in tenera età. Si va dalle suggestioni dei romanzi di avventure londoniani (Puch) a nomi nobili di ascendenza araba (come, ad esempio, Bey), sino ad arrivare a nomignoli più anglofoni o ironici.

Si respira un'atmosfera calma e serena: è facile cedere al desiderio di sedersi sul basso muricciolo e fermarsi a riflettere sulla breve vita dei nostri amici cani e sul fatto che, il più volte, siamo noi a doverli seppellirli e a ricordarli per i tanti momenti gioiosi che ci hanno regalato. Di rado capita il contrario (che un cane sopravviva al suo padrone), a meno che questi non muoia precocemente e all'improvviso, come ci racconta - ad esempio - la storia di Hachiko, il celebrato cane giapponese, la cui vicenda è stata trasposta di recente in un film.

Ambiente-e-luoghi-8317.JPGChi ama i cani, quando invecchia e si sente prossimo alla fine, spesso, non cede più alla tentazione di averne uno nuovo per rimpiazzare quello che ha appena perso, perchè sa che non potrà più vivere abbastanza a lungo per occuparsene. Magari si accontenta di ricordare quelli che ha avuto nel corso della propria vita, immaginando che, al momento del suo trapasso quelli arriveranno come affettuosi psicopompi per essere d'aiuto e di accompagnamento nel transito da un mondo all'altro.

Mi è venuta in mente, tra l'altro, la visita al cimitero dei cani mascotte reggimentali, ricavato su uno degli spalti dell'antico Castello di Endimburgo, nel quale pure si respirava un'atmosfera di pace e di serenità, priva del tutto di retorica, che stillavano da quel prato verde e dalle nude lapidi appoggiate al parapetto.

E ho ricordato - accorato e dolente - il luogo in cui in campagna da me ho sepolto i miei cani. Soprattutto per la prima, una femmina di pastore tedesco - con grande fatica - durato un'intero giorno - non mi accontetai di scavare una fosse, ma trasformai la sepoltura in una vera camera mortuaria dove misi tutte le case amate da quel cane, la ciotola, la palla dei giochi, il guinzaglio e la coperta che usava come giaciglio, ricoprendo il tutto con assi di legno e malta, e ricavando infine nello spazio soprastante un'aiuola.

Anche i cani - non solo le persone - morendo lasciando un grande vuoto che è difficile colmare, perchè loro - molto delle più persone - con la loro presenza, con il loro esserci ci fanno sempre - il più delle volte - un dono totale di se stessi, senza chiedere nulla in cambio.

Penso che, prima o poi, dovrò far porre delle lapidi di pietra per indicare la sepoltura dei miei amici cani. Io lo so dove stanno a riposare, ma non altri: ecco, vorrei che anche altri potessero riconoscere il luogo del loro riposo.

 

Vedi anche in millenniumdogs.net, una sezione - con numerose fotografie commentate - sui monumenti funerari dedicati ai cani.

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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