Uno scenario confuso e subito, senza preambolo, come accade al protagonista di Il Vagabondo delle Stelle di Jack London nelle sue escursioni in realtà alternative alla sua, mi ritrovo nel bel mezzo delle cose.
C'è in corso un'invasione aliena che si presenta con la comparsa su edifici e manufatti, dai più grandi ai più piccoli, e sulla pelle delle persone di piccole placche di consistenza muco-gelatinosa che si sviluppano a partire da minuscole particelle piovute dallo spazio.
[Qui c'è qualcosa de La Guerra dei Mondi di Herbert George Wells...]
Le particelle sono insidiose: si accrescono per meccanismi di moltiplicazione molecolare sconosciuti e le placchette crescono di dimensioni sino a confluire in colonie più grandi, come vedere la crescita velocissima delle colonie batteriche su piastre di Agar.
Le placche bisogna rimuoverle velocemente prima che atteschiscano: perché, se sono inerti sugli oggetti e le superfici inanimate, sugli esseri viventi, sempre per mezzo di meccanismi sconosciuti, si radicano per mezzo di lunghi filamenti dendronici emesse dalle singole cellule con il suo sistema nervoso e ne prendono il controllo.
Ad occhio e croce, a parere degli scienzati che freneticamente si sono occupati di questa forma di vita aliena, sembrano rappresentare una forma di vita sinciziale che tuttavia esprimere volontà e di produrre pensieri: gli esseri viventi dominati da questa specie aliena sono in grado di compiere azioni finalizzate che però debordano dall'usuale e sembrano rispondere a delle finalità apparentemente indecifrabili.
[E qui c'è tantissimo de L'invasione degli ultracorpi nei suoi successivi remake, a partire dalla prima - fortunatissima - pellicola tratta dal non meno famoso romanzo SF di Jack Finney, Gli invasati (1955), pubblicato ai tempi nella mitica collana Urania, ma non posso non pensare anche a L'Ospite di Stephenie Meyer, la fortunata creatrice della saga di Twilighits]
E' abbastanza repellente osservare la fase iniziale della "colonizzazione" su di un singolo essere vivente e bisogna fare in modo da evitare che ciò accada: se la progressione va avanti oltre un certo limite, in termini di superficie del corpo occupata dalle placchette confluenti, non c'è più ritorno o recupero.
Io, nel sogno, faccio parte di una task force reclutata per fronteggiare l'emergenza: il nostro compito consiste nell'identificare nuove placchette e rimuoverle velocemente prima che prendano piede, sia su esseri senzienti sia su cose e oggetti, questi ultimi pericolosi perchè possono essere fonte di contaminazionie e di diffusione ulteriore ai danni dei viventi (le placchette sugli oggetti inanimati sono come le zecche che possono aspettare a lungo aggrappate ad uno stelo d'erba in attesa che passi vicino un animale a sangue caldo cui aggrapparsi).
E' una lotta difficile ed impari: alcuni scienziati, sulla base degli esami autoptici, hanno convenuto che esiste anche una forma viscerale di contaminazione legata alla ingestione o inalazione accidentale delle particelle spaziali. E sempre gli sicienzati hanno avvertito che i casi viscerali sono quelli più pericolosi ai fini di un ulteriore contagio: prorpio perchè viene a mancare l'elemento dsemeiologico primario di avvenuta contaminazione e cioè la placchetta cutanea con tendenza alla confluenza.
In questi casi, per quanto è conosciuto, non si può fare nulla se non sopprimere la persona che, nel momento in cui diviene sintomatica, non è più una "persona" in senso stretto e ha perso l'anima. Quindi i "sintomatici" di contaminazione viscerale devono essere soppressi senza alcuna esitazione.
E' duro doverlo dire, ma è quello che dovevamo fare: fortunatamente, i casi "viscerali" , quelli inapparenti, erano le eccezioni. Per costoro bisogna andare alla ricerca di segni meno tangibili e sostanzialmente più aleatori, come ad esempio il comparire a tratti di un bagliore metallico nello sguardo oppure un alito vagamente tartufato... E' per questo che spesso i casi viscerali ci esponevano a degli errori di giudizio e ponevano a molti della nostra squadra dei problemi di coscienza.
La soppressione delle persone contaminate avviene attraverso il fuoco che è l'unico sistema per evitare la diffusione aerea dei microorganismi invasori, legata alla immediata disgregazione delle placchette non appena nel loro ospite cessa il battito vitale del cuore.
Il lavoro era faticoso, l'invasione universale: ci sembrava che ci fosse stato affidato il compito di svuotare il mare con un secchiello.
Una routine: rimuovere le placchette, bruciarle trattando adeguatamente i fumi derivanti dalla loro combustione per evitare la propagazione o l'inalazione di minuscole particelle.
Un incubo: ci sembra di vivere i giorni di una fine del mondo ormai prossima ed ineludibile.
Dopo giorni e giorni di lavoro senza sosta e senza dormire: le esigenze erano così tante e così pure l'urgenza di agire tale che ci tenevano sempre svegli (almeno, finchè era possibile farlo senza nocumento) per mezzo di stimolazioni chimiche continue, in particolare con l'ausilio di un'avveniristica droga di guerra inventata per tenere svegli i soldati in azione sino a 48 ore consecutive senza i tipici danni prodotti dalle anfetamine e senza leconseguente paranoia o i down verticali dopo un eccesso di utilizzo.
Alcuni di noi dopo un po' crollavano: non ce la facevano più a confrontarsi con l'ignoto e con il rischio di essere contaminati a nostra volta.
Qualcuno finiva con l'essere contaminato: però, nei pochi casi verificatisi nella mia squadra, quelli che incappavano in quest'evenienza tendevano a nascondere ciò che stava loro capitando; oppure arrivano a infliggersi ferite e mutilazioni per rimuovere le placchette già in una fase avanzata di sviluppo.
Se identificati, andavano messi in quaratena e protetti anche da se stessi. Noi parliamo, poi, dell'ipotesi che qualcuno della nostra stessa squadra fosse affetto dalla forma viscerale: per questo motivo ci guardavamo l'un l'altro con sopsetto e diffidenza, alla ricerca di quei minimi segnali di contagio.
Insomma, dovevamo lottare di continuo su due fronti e tenere d'occhio in ciascuno di noi il progredire di un breakdown psichico o della possibilità di un burn out (e dalle molteplici possibilità dell'insorgere di deliri di avvenuto contagio e di allucinazioni placchettoptiche o quelle di avere le odiose placche in crescita sotto la pelle, con le conseguenze che vi lascio immaginare.
In quei giorni, preso dall'entusiasmo di essere stato scelto per compiere una missione che, in qualche modo, riguardava la salvezza dell'umanità, mi sentivo invincibile e avevo la sensazione che nulla mi avrebbe potuto toccare in questo frangente: e sostenuto da questa invincibile convinzione, ero quello della mia squadra che aveva resististo più a lungo.
Eppure, dopo tempo (avevo perso il conto dei giorni da quando ero stato reclutato), un mattino rivestendomi dopo le mie abluzioni (sì, ogni tanto accadeva che ci concedessero qualche ora di riposo) ed esaminandomi la pelle delle parti del corpo usualmente coperte mi accorsi con apprensione che ero invaso, letteralmente, da una serie di placchette gelatinose dall'aspetto vecchio, tuttavia.
"Sono stato preso" - pensai - "E' arrivata la mia ora"!
"Cosa dovrò fare, adesso" - mi chiesi.
La risposta al mio quesito era facile: conoscevo alle perfezione le regole emanate dall'autorità centrale per regolare il bonifico di eventuali infetti. Ma una cosa è applicare le regole, quando il destinatario dell'azione è uno altro da te, una cosa è farlo quando tu sei stesso il destinatario dell'azione.
Esaminavo le diverse possibilità.
Chiedere aiuto clandestinatamente, confidando ciò che mi stava succedendo a Clara, la donna della mia squadra con cui lavoravamo gomito a gomito, ma senza mai parlare e con cui si era stabilita una corrente segreta di simpatia.
Rimuovere le placchette da solo al costo di produrmi delle mutilazioni per garantirmi il successo con una loro asportazione manuale. E se la mano che reggeva l'affilatissima spatola che usavamo in questo frangente avesse tremato?
Terminarmi del tutto e in maniera radicale per evitarmi il percorso (sconosciuto) di una radicale colonizzazione che, comunque, non appena fosse stata estesa e non più dissimulabile avrebbe comportato egualmente la mia messa al bando dagli altri - ridotto al rango di "intoccabile" - e la mia soppressione.
Indecisione.
Black-out.
Fine