La notte è severa maestra,
ma anche apportatrice di doni
Nel buio della stanza
o con la lucetta del comodino accesa
c’è sempre il confronto con qualcosa,
a volte inquietante,
talvolta appassionante
con ombre che si agitano
e mi ghermiscono,
facendomi vivere situazioni
curiose e appassionanti,
perturbanti e disturbanti,
portandomi in luoghi lontani ed esotici,
o spingendomi a guardare
quegli stessi luoghi della quotidianità
con occhi diversi
e disvelando la meraviglia
e l’orrore (a seconda dei casi)
che sono racchiusi in essi
É come essere un pescatore di perle
che si tuffa e scende
verso il fondale
dove potrà trovare delle perle
oppure incontrare
il mostro che lo ghermisce
A volte credo di avere sognato
ed invece sono stato desto
a macerarmi nel dormiveglia,
talaltra invece ho dormito
credendo di essere sveglio,
talvolta sogno e sogno di viaggiare,
di andare lontano oppure di stare vicino,
immobile, mentre eventi si svolgono
tutt’attorno a me
ed io ne sono spettatore privilegiato,
osservatore,
o persino osservatore partecipante
Ma sempre me ne sto
ad occhi bene aperti
In fondo nel sogno cerchiamo la meraviglia
ma anche l’incontro con la paura
è desiderabile
poiché ci riconduce
alla nostra natura ancestrale
dell’Uomo, esploratore, cercatore,
cacciatore
che nel confronto con le forze più ostili
doveva cercare di sopravvivere
con le sue sole forze
Il piacere dell’esplorazione, dunque
La ricerca del senso di indicibile paura,
anche
La curiosità
Esperienze forti a cui attingere
a piene mani
Riti di iniziazione, oppure prove ordaliche
cui sottoporsi Eyes Wide Shut, pertanto
Mai deflettere lo sguardo
Sempre cercare di capire
oppure lasciarsi trascinare dall’onda
Chi è il sognatore?
Chi manda i sogni?
Chi li comanda?
Chi ne è il regista?
Questa notte ho vissuto
un’interminabile situazione
Un party
Un incontro poliedrico
con molti diversi personaggi
Una compagnia vagante ed itinerante
di guitti e saltimbanchi,
donne e uomini
con florilegi di tatuaggi bizzarri,
occhi bistrati,
unghie dipinte di nero
movimenti allusivi e ambigui
Andava a finire
che tutti facevano sesso
con tutti
in una ripetizione interminabile
in cui i figuranti realizzavano
composizioni di corpi e di membra
fantasiose ed improbabili,
un groviglio inestricabile
Ed io m’aggiravo per quella casa,
senza essere parte di nulla,
se non imbelle testimone del partouze,
senza potere evadere
senza potere dormire
o sprofondare nell’oblio
d’un sonno senza sogno
Poi mi sono svegliato,
o meglio sono riemerso,
con la sensazione di non aver dormito
per nulla e di non aver riposato
E come ogni volta
eccomi a fare il debriefing
di ciò che ho riportato con me
alla superficie,
tesori,
perle,
meravigliose conchiglie,
inutile robaccia,
mostri e diavoli
È la descrizione di un mio stato d’animo e di un frammento di sogno del 5 novembre 2021, di cui feci una prima trascrizione su Facebook, ma senza pubblicarlo qui nel blog.
L’ho recuperato attraverso l’algoritmo e dunque eccolo qui
Maurizio Crispi (5 novembre 2021)
Ho dormito profondamente
in due riprese
o forse tre
Ad un risveglio
con la testa ancora gonfia
d’un sogno indecifrabile
mi sono seduto a tavola
e ho mangiucchiato dell’uva passa,
masticando ad occhi chiusi
per assaporare meglio,
bevendo dell’acqua a grandi sorsi.
Era buona buona
quell’uva
mai mangiata una più buona
Il sogno che ho sognato
era vivido
ma ne ho perso
quasi ogni traccia al risveglio,
salvo un piccolo frammento
Una pioggia
improvvisa e violenta
trasportava via a valle
tutta la terra fertile
lasciando scoperto
lo strato di roccia e sassi
Cercavo di creare degli argini
all’azione erosiva dell’acqua
anche se il danno era già fatto
Non avevo con me
strumenti adatti
e potevo lavorare soltanto
a mani nude
Ho dato una veloce scorsa
a Faccialibro
Ho guardato le mail
Ho aperto un libro vero
e ci ho infilato il naso dentro
Io sveglio
e la forte consapevolezza
d’un mondo di dormienti
attorno a me
La notte è mia
tutta per me
in momenti
come questo
Quando accadono
li accolgo, senza respingerli
senza lottare,
senza dibattermi
in una futile opposizione
Li amo
e vorrei che si protraessero
il più a lungo possibile
assaporandoli lentamente
come quell’uva passa
Apprezzo il silenzio notturno,
a volte assordante,
rotto soltanto
dai latrati dei cani di ronda
Poi, respirando piano,
inalando ed esalando,
scivolerò di nuovo
nell’abbraccio di Morfeo
I sogni, a volte, sono complessi
e in essi ci ritroviamo a vivere
cose incredibili;
altre volte, invece,
sono di una disarmante semplicità
e rappresentano soltanto
piccole azioni quotidiane
senza alcuna importanza
I sogni arrivano da qualche parte
senza che il sognatore
possa influenzarne il contenuto,
o plasmarlo a suo piacimento
Per esempio, nel pomeriggio,
mi ero addormentato sul divano,
mentre leggevo e sorseggiavo una tisana
Il sogno è stato questo:
una mano (vedevo solo la mano)
accostava alle mia labbra
un cucchiaio carico di nutella
(o forse era burro di arachidi)
ed io protendevo le labbra in avanti,
contemporaneamente dischiudendole,
per accogliere il ghiotto boccone
Mi sono svegliato di colpo,
e mi sono accorto che questo movimento
delle labbra buffo e ridicolo
lo stavo in effetti compiendo
quasi pregustando il momento
di essere nutrito
come un uccellino nel nido
in attesa di gustosi bocconi
Ma Ale che era accanto a me
non si era accorta di nulla
Invece, poco fa, mi son svegliato
e c’era il residuo di un sogno
(mi pare che i sogni più floridi
vengono a me,
quando mi addormento sul divano)
Qui, io e altri avevamo a che fare
con tre tizie
con le quali non c’era nessun punto in comune
Erano svampite e superficiali,
apparentemente senza alcuno spessore,
vacue e interessate solo a futili argomenti,
indisponenti
cinguettanti
Perché le avevamo invitate?
Forse per una specie di scommessa,
o per da corso
ad un esperimento di psicologia sociale,
non saprei
All’appuntamento, delle tre tizie
se ne presentano soltanto due
La terza ha dato forfait
non si sa perché
La conversazione stenta a partire
Non ci sono degli argomenti comuni
Penso che queste due qui
siano delle autentiche sciacquine
con le quali non voglio avere
nulla da spartire
Eppure ora sono costretto
a sciropparmele
Poi sono seduto
in un basso balconcino, al primo piano,
aggettante su di una strada buia,
poiché é sera
e manca l’illuminazione
C’è una macchina blu
parcheggiata sotto,
di quelle che servono per scarrozzare
dignitari e potenti,
con uomini di scorta
solitamente armati e agguerriti
In effetti, attorno alla vettura,
ci sono tre figuri grossi come armadi
che si guardano attorno paranoici
(la paranoia é il succo del loro mestiere)
e tengono sotto controllo il territorio
Sono chiaramente in attesa
che arrivi il loro protegé
In effetti, di lì a poco,
vedo arrivare uno,
alto ed imponente,
vestito di blu,
tanto che a stento ne vedo emergere
volto e mani dalla coltre scura della notte
Dal poco che posso vedere,
ravviso dei tratti che mi sono familiari
E, sí, con emozione capisco
che si tratta d’un mio zio,
fratello dello mamma,
morto più di dieci anni fa
Lo chiamo “Zio, zio Aldo!”
Gesticolo, mentre lo chiamo per nome,
cercando di attrarre la sua attenzione,
ma niente: è come se fossi invisibile
e la mia voce non avesse suono
Lo zio, con indosso quell’abito blu,
sale sull’auto blu,
assieme agli uomini di scorta
vestiti di blu-nero
e parte per essere inghiottito dalla notte,
lasciandomi con la nostalgia
d’un incontro mancato
(Dissolvenza)
Poi ancora sono in un sogno
Sono in una situazione lavorativa
Portano un nuovo paziente
che deve entrare in comunità
É la prima sua esperienza per lui
Appena arrivato, deve ricevere
la somministrazione di un nuovo farmaco
in forma di polvere bianca
contenuta in un flaconcino di plastica altrettanto bianca,
senza etichette e senza diciture
Il farmaco si chiama “Tatmen”
(sento una voce che ne pronuncia il nome)
e, a quanto capisco,
il contenuto del flacone
serve per dieci giorni di trattamento
La dose del giorno viene somministrata
al nuovo paziente da un addetto,
forse un infermiere
Poi, io e un altro collega rimaniamo
a parlare con lui,
mentre Tatmen fa effetto
Poiché é alla sua prima volta
vorremmo spiegargli
le regole fondamentali della comunità
e ci sediamo vicino lui
Parliamo del più e del meno,
ma senza entrare nel merito delle regole
Poi soprassediamo e decadiamo di farlo
una prossima volta
Intanto, si è fatto il tempo
della quotidiana riunione di gruppo
e lo invitiamo a partecipare
Sono per strada
in una zona malfamata della città
e cammino con una valigetta
C’è uno davanti a me
che pure cammina
Al passaggio lungo una viuzza stretta
c’è da superare una gruppo di facinorosi,
forse i rappresentanti d’una gang
Al passaggio del tizio che mi precede
gli urlano contro parole che non comprendo,
forse insulti o espressioni di dileggio
o minacce
Ma non lo attaccano
Quello prosegue per la sua strada
senza proferire verbo
e senza reagire
Quando sopraggiungo io,
mi tocca lo stesso trattamento
e anch’io tiro innanzi
senza reagire
e senza subire attacchi fisici
Poi mi si affianca
uno che non conosco
e mi dice, riferendosi a quei bravi,
“C’hanno ‘u babbiu!”Arrivo ad un portoncino ed entro,
usando la chiave che ho con me,
per fare scattare la serratura
È come se fosse il mio alloggio,
per quanto temporaneo o di fortuna
Ma è minuscolissimo,
grande quanto una casa di bambole,
spoglio e privo di tutto
Che ci faccio lì?
Rimango, vorrei rilassarmi,
ma poi penso che è tardi
e che devo andare al lavoro
Vengo preso dal pensiero improvviso e disturbante
che non ho ben chiuso l’uscio
e che sono dunque facile preda di quei bravi
Vado per chiuderla,
sentendo l’affanno e il cuore in gola
Prima che io ci arrivi,
la porta che era semplicemente socchiusa
si spalanca di botto
e sulla soglia compare un ceffo spiritato,
grande e corpulento come un armadio
che impronta una tiritera offensiva,
una litania di improperi,
contro i medici che vivono in quel quartiere
e che non sono mai disponibili,
quando c’è bisogno di loro
Nel mentre sta per passare un’auto blu
Il tipo esaltato,
mi gira le spalle di botto,
per accostarsi all’auto
con un scatto repentino
e attraverso il finestrino semiaperto
cominciare a lanciare insulti
e verbosità querulomaniche
contro l’occupante della vettura
che è evidentemente un medico
Mi ritrovo a fare un viaggio in terre lontane e inospitali con mezzi di fortuna (una semplice bicicletta) e un’essenziale attrezzatura da giramondo globetrotter
Ho con me lo zaino con le cose fondamentali: e, cioè, libri, ovviamente, un’agenda per le mie annotazioni giornaliere (una sorta di diario di bordo), l’occorrente per scrivere e le macchine fotografiche (di cui una digitale compatta e l’altra digitale reflex)
Sono in una città nei pressi del mare, anzi dell’oceano che appare vasto e tempestoso con la superficie in continuo movimento e che, di continuo, si rigonfia a formare onde gigantesche e orride, un subbuglio di onde, tutte ammantate di candida spuma
Di onde non ce n’è solo una alla volta, ma ce ne sono cento, mille, che di continuo si fanno e si disfanno: è come se il mare oceano fosse abitato da un’idra con migliaia di teste o da giganti e titani che si agitano per venire alla luce con furia distruttiva
È uno spettacolo terribile, spaventoso, perturbante che dà la misura della forza incontrollabile della natura
Sarebbe di certo cosa prudente starsene alla larga, poiché la sensazione vivida che avverto é che queste enormi onde sulla superficie ribollente del mare potrebbero riunificarsi in una sola gigantesca ondata di Tsunami, pronta ad abbattersi sulla terra emersa e tutto spazzare via, noi uomini, cose, case e animali come fuscelli
Eppure mi pare di notare che sono soltanto io a gettare sguardi verso l’oceano, sentendomi da un lato attratto dall’orrido spettacolo e dall’altro impaurito e timoroso
É sempre così quando guardiamo l’Abisso: ci fa paura e, nello stesso tempo, ci attrae
Gli altri che affollano questo luogo, attorno a me, sono tutti intenti nelle loro quotidiane attività e non c’è nessuno di loro che sogguardi verso il mare in tempesta, come se non gli importasse, come se tutti costoro fossero insensibili o anestetizzati oppure come se quel mare in ebollizione orrido e minaccioso non esistesse proprio
Qualcuno, addirittura, buttato per terra, é dormiente, a poca distanza dal frangersi impetuoso di quei cavalloni
Il vento soffia di continuo e il ribollire dell’acqua, il formarsi delle onde, il loro rombo quando si spezzano nelle acque basse sulla linea della risacca, il gioco continuo delle esplosioni e delle implosioni di quelle enormi masse d’acqua alte come palazzi, producono una cacofonia di suoni violenti e di rumori laceranti che ottundono i sensi e riempiono le orecchie e la testa di sonorità insostenibili
Lascio la mia bicicletta, poggiata sul cavalletto laterale, per andare a fotografare lo spettacolo portentoso e orribile, affascinante e pauroso
Poi torno indietro di corsa, perché mi ricordo all’improvviso che, assieme al velocipede, ho lasciato il mio zaino con tutti i miei averi
Tutto a posto! E tiro un sospiro di sollievo
Lo zaino è sempre lì, incastrato nel telaio della bici e nessuno lo ha toccato
Sospiro di sollievo ancora una volta e ritorno indietro per poter scattare altre foto, cercando il punto di ripresa migliore
Mi avvicino molto alla linea della battigia, sempre alla ricerca dello scatto perfetto
E quasi ci sono: devo guadagnare ancora solo pochi metri per poter avere l’inquadratura ottimale
Nel mentre mi volgo indietro e mi accorgo che quelle onde gigantesche si stanno formando anche dietro di me: un vero e proprio aggiramento!
All’improvviso, mi sento in pericolo e cerco di ritornare indietro, guadagnando una posizione un po’ più sicura
Ma non so se riuscirò in questo mio intento
L’acqua ormai mi circonda ribollente da tutte le parti
Sono preso da un senso di sconforto e di mancanza di speranza e forse anche cedo ad una fatalistica presa di coscienza dell'irrevocabilità del mio destino
Mi ci vorrebbe un deus ex machina per salvarmi, o un Capitano Nemo che emerga dagli abissi con il suo inaffondabile Nautilus per portarmi al sicuro
Il mare in tempesta con questo spettacolo fascinoso ed orrido sembra essere il prodromo della fine del mondo
Quando la fine del mondo arriverà, nessuno se ne accorgerà
Solo io potrò guardare e sentire, mentre verro ghermito dall’abisso
Questa notte ho sognato mio fratello
Lo accompagnavo ad un evento
che si teneva in un grande palazzo storico,
irto di barriere architettoniche
Ad ogni passaggio
bisognava prenderlo di peso
con la sua carrozzina
e spostarlo al di là dell’ostacolo
Era una fatica da Titani
oppure degna di quel traghettatore
che poi ebbe nome di Cristoforo
Poi lo perdevo di vista
Ogni tanto lo scorgevo
Era come se avesse acquisito
la capacità di spostarsi da solo
pur imprigionato in quella carrozzina
(forse solo con la forza della mente)
E, da lontano, lo vedevo
andare a cacciarsi in posti impossibili
In cima a vertiginose scalinate
oppure su davanzali di enormi finestroni
aggettanti sul vuoto
Da queste postazioni
pareva che osservasse ciò che accadeva,
enigmatico o sornione,
come un Lone Ranger in carrozzina a rotelle,
anziché a cavallo
Avrei voluto raggiungerlo per aiutarlo,
ma ogni volta ostacoli
si frapponevano tra me e lui
oppure si attivavano complesse situazioni di folla,
acclamazioni o anche tumulti
Cercavo di gridare il suo nome,
di attirare la sua attenzione
ma dalla mia gola non usciva suono alcuno,
solo inefficaci gorgoglii
Lui si allontanava sempre di più,
sino a diventare evanescente
come un fantasma
oppure come un’entità metafisica
E poi non lo vedevo più,
la sua figura andava in dissolvenza
come in un film,
per poi scomparire del tutto
1. Bythos e Orthrus Kraken, Sinciziale My friends Amenità Disquisizioni Ogni tanto una news Ma non gliene frega più niente a nessuno Passata é la tempesta Odo augelli far festa Ieri sono stato ...
Scrissi questa nota, inclusa la trascrizione del reperto onirico, nella notte tra il 28 e il 29 ottobre 2023, poco dopo il passaggio dall’ora legale a quella solare.
Mi ero dimenticato di riportarla qui nel blog.
E dunque eccola!
Maurizio Crispi (29 ottobre 2023)
La luna naviga alta nel cielo
accompagnata da una vivida stella
Al culmine della notte silente
piove su tutto
un bagno di argentea luce,
fredda e fresca
L’orologio che ho al polso
mi dice che è quasi l’alba
ma l’ora del telefono
s’é già aggiornata
e segna le 4 e 48
È uno di quei momenti strani
in cui hai l’impressione
che il tempo corra
con due diverse velocità
e, per un attimo, tu rimani basito,
stordito e confuso
Dazed and confused
Senza più sapere
chi sei
dove vai
da dove vieni
Il furto di un’ora
e la sua restituzione
C’è in questa altalena ciclica
qualcosa che scuote alle fondamenta
il mio essere
Il pallido lucore lunare
che si posa su tutto
é straniante
e possiede insieme
un potere curativo
misterioso e arcano
Ed ecco che sogno
e mi ritrovo a raccogliere l’anamnesi
di un paziente
Per estrarre gli elementi necessari
utilizzo una specie di rudimentale aspirapolvere
tenendolo in funzione
per tutta la durata del colloquio
I ricordi e gli elementi significativi
vanno a finire tutti
dentro un grosso bottiglione panciuto
di vetro verde
Poi, finito il colloquio,
vado fuori in giardino
per fare pulizia
e mi ritrovo a gestire
il grosso contenitore
per poter passare all’esame
di ciò che ho raccolto
Cerco di svuotarlo
per separare le cose utili
da quelle scarsamente rilevanti,
il grano dal loglio
per così dire
Ma, niente!
Per quanto lo scuota
da un’imboccatura troppo stretta
non fuoriesce nulla
É tutto bloccato dentro,
e ad ogni scuotimento
si sentono fruscii e tintinnii
contro la parete di vetro
Poi scopro che dalla stretta apertura,
sporge un qualcosa,
come lanina e peli ammataffati
Comincio delicatamente a tirare
attento a non rompere l’intreccio
ed ecco che, in una filiera interminabile,
viene fuori
tutto ciò che prima avevo estratto
Sono veramente sorpreso,
stordito e confuso,
Poiché questo processo,
una volta iniziato,
sembra non voler finire più
Dio, quanta roba!
Cosa me ne farò?
(Dissolvenza)
E poi c’é dell’altro ancora
Sono in viaggio,
armato di macchina fotografica reflex
e tanto di zoom
Arrivo in un posto
che potrebbe essere l’atrio faraonico
di una delle due torri gemelle,
con il soffitto alto almeno otto piani
Inquadro e scatto
Mi muovo furtivamente
perché temo di essere ripreso
dalle telecamere di sorveglianza
Parlo bisbigliando
perché pavento la presenza di cimici
e microspie
Non mi sento tranquillo,
decisamente
Decido di partire
per un giro a piedi
ma prima voglio andare in bagno
(quello aperto ai visitatori)
per spillare due gocce
Mi infilo in una porticina
e prendo a scendere una ripida scala sospesa
Una donna, armata di un punteruolo rompighiaccio,
sale nello stesso tempo
in direzione ostinata e contraria
Appena mi vede
prende a retrocedere
poiché non v’è spazio per due
Io mi lancio in convenevoli
e comunque ringrazio per la cortesia
Poi sono di nuovo fuori
lanciato in una specie di corsa
assieme al fedele Black
Altri cani prendono a seguirmi
Sono cani sciolti, senza padrone
libere menti, finto aggressivi
e inscenano movimenti
che sono inviti al gioco, più che altro
Mi ritrovo ad inscenare una lotta gioiosa
con uno di loro
e lo blocco con il peso del mio corpo,
gravando su di lui sulla mia schiena
Quello uggiola e cerca di divincolarsi,
ma io mantengo la presa
É solo un gioco
Non c’é alcun intento di far del male
o umiliare
Poi sono di nuovo con Black, da soli
Correndo e camminando
arriviamo all’atrio di un’antica magione
tutta di pietra e con finestre a bifora
Dobbiamo scendere dentro un cortile interno
e da lì imboccare la via d’uscita,
se ve n’é una
Scendiamo dunque
e la scala di gradini diseguali
sembra interminabile
Quando sono a metà strada
dove c’é un pulpito aggettante
vedo arrivare un’ambulanza,
girofaro blu in funzione
Penso che i soccorritori
debbano scendere con la barella
e decido di risalire
per dar loro la precedenza
Mi accorgo tuttavia che la scala
è pressoché scomparsa,
lasciando il posto
ad una serie di irregolari appigli
Facendo buon viso a cattivo gioco
intraprendo la perigliosa salita,
mentre dalla loro postazione
gli ambulanzieri-langolieri
mi guardano,
mi incitano e mi applaudono
Anche stavolta
del sogno di questa notte,
quello prima del mio risveglio
irrevocabile, alle 04.15,
mi sfugge tutto
Invano ho cercato di ricordare,
anche un singolo dettaglio,
un minuscolo frammento,
un elemento-chiave
che mi consentissero di costruire
una narrazione
Malgrado i miei sforzi, niente!
O forse niente,
proprio a causa dei miei sforzi!
Fuori il vento ulula forte
(o sono soltanto io che lo immagino?)
Una seconda luna brillante
splende nel cielo, ammiccante,
promettendo avventure notturne,
meravigliose,
e quasi oscura con la sua presenza,
con il suo ingombrante esserci,
quella di sempre,
pallida e smunta
(…)
Il sonno deve avermi ghermito,
a mia insaputa,
e ho dormito
Mi sono svegliato dopo un po’,
piccato
per non aver sognato
Ed invece, no!
Mi sono reso conto
che ero stato condotto
nel reame del sogno,
in quel mio luogo preferito
fatto di infiniti luoghi,
di multiversi e di molti volti
Ero ad un convegno di psichiatria
Si discuteva e si conversava
nell’intervallo tra le dotte relazioni
Una dei temi di queste chiacchiere informali e casuali
era la possibile gheità di alcuni
e sui modi in cui tale orientamento
potesse in armonia convivere
con le proprie pratiche
Erano discorsi di caffé
ed io, sentendo l’esigenza
di ravvivarmi con un caffettuccio,
mi preparavo una caffettiera Moka
da una tazza
e la mettevo a bollire
su di un fornelletto elettrico
che avevo con me
(parte della mia attrezzatura base
di giovane marmotta)
che collegavo ad una presa di corrente
a portata di mano
Fatto ciò, partiva a palla
un condizionatore d’aria,
regolato a 21 gradi
che prendeva a far piovere
aria ghiacciata e falde di nevischio
sulla testa dei partecipanti
Alcuni per porre rimedio
all’improvvisa ondata polare
indossavano buffi berretti
forniti di ponpon,
altri delle berrette di lana
tipo scazzettelle multicolori,
oppure dei berrettucci marinareschi
alla maniera di Popeye,
alcuni ancora dei cappelloni rigidi
a tesa larga,
appena usciti dalle abili mani
d’un cappellaio matto
Altri tiravano fuori
imponenti soprabiti di pelliccia di castoro
e ci si paludavano dentro,
come vichinghi freddolosi
Altri - era evidente che fossero dei mutaforma -
assumevano le sembianze di orsi polari
Io mi scusavo con tutti
per l’incomodo,
assicurando che sarebbe stato
solo per poco
Ho fatto un viaggio
lungo e complicato
ma tutto accadeva in un sol giorno
benché le vicende che vi si verificavano
avrebbero richiesto nella realtà
un tempo ben maggiore
E, quindi, ero in un posto
dove si svolgeva un party
C’era un grande prato
dove si affollavano gli ospiti
ciarlieri e vociferanti
e qualche ciarlatano
mescolato tra loro
Qui non ricordo granchè
Poi, al momento di andar via,
indossavo un giaccone di velluto a coste
che mi stava troppo stretto
anche perché nelle tasche frontali
dovevo infilare un telefono fuori misura,
sicché sentivo una specie di piastrone rigido
che mi comprimeva fastidiosamente il ventre
come se avessi indosso un’armatura di ferro
oppure un carapace
o uno scudo granitico
Arrivava il momento dei congedi
ordinari e straordinari
Andavo in bagno e, qui,
per potere procedere alle mie necessità
dovevo liberarmi di tutta quell’armatura ingombrante
che indossavo
Questo bagno era strano ed era tutto allagato,
sicché era difficile muoversi senza scivolare
e senza mettere i piedi a guazzo
Poi partivamo e la strada che si snodava
lungo una spiaggia fiancheggiata da una distesa acquitrinosa
ogni tanto la strada si perdeva
e dovevamo andare a guado
Avevo il timore che il nostro mezzo potesse incagliarsi
Ero pronto a tutte le evenienze,
e al tempo stesso mi sentivo in colpa
poiché non avevo avvisato Alexa
(che non è la mia assistente virtuale)
di questo mio viaggio in terre lontane
Arrivavamo, dopo molto procedere
per un tempo soggettivamente infinito,
in un luogo
dove v'era una torre altissima,
una torre imponente ed esoterica
(così la pensavo),
che - solo a guardarla -
incuteva timore
Entravo all’interno della torre
attraverso un portale immenso,
decorato di gargolle
raffiguranti esseri mitologici e fantastici
per ritrovarmi in uno spazio grande
quanto la navata di una cattedrale,
ma sviluppato in verticale
Suoni incerti e misteriosi m’inquietavano,
ticchettii e sgocciolii,
spicinii cristallini
ma anche rumori di passi veloci
e scalpiccii furtivi,
senza che vedessi nessun altro,
voci sommesse e smorzate
Dall’alto scendeva poi,
con un lieve fruscio,
un grosso libro
Intuivo che era per me
Lo aprivo e scorrevo le sue pagine
ricoperte fittamente di segni
a me sconosciuti
Cercavo di decifrare
ciò che vedevo
Scorrevo le righe con gli occhi,
pagina dopo pagina,
febbrilmente
Ma non capivo,
non riuscivo a comprendere,
quelle parole rimanevano per me
mute e senza senso
Eppure pensavo di avere per le mani
un libro arcano e prezioso
che avrebbe potuto rivelarmi
il significato nascosto di ogni cosa,
del mondo intero e del cosmo,
del vivere e del morire,
tutte le segrete formule,
sia quelle per giungere
all’elevazione spirituale e all’ascesi,
sia quelle per sprofondare
nell’abiezione più assoluta
Il libro era legato ad una catenella
e, ad un certo punto,
mani invisibili
(o era per via d’un ingranaggio
comandato a distanza),
lo tiravano verso l’alto
ed io perdevo la presa su di esso,
benché avessi desiderato trattenerlo
con ogni fibra del mio essere
Evidentemente, lassù,
nella stanza di comando,
era stato deciso
che il tempo della consultazione
fosse scaduto
Guardavo verso l’alto
e il libro era ormai quasi del tutto scomparso
Potevo intravedere solo
un residuo biancore fluttuante
come le ali d’un grande albatro
in ascesa
in volo concentrico
dentro la spazio ristretto
di quella navata verticale
Nella parete vedevo
aprirsi una porticina
da cui si affacciava Alexa,
per un solo attimo
Mi chiedevo se si trattasse
di lei in carne ed ossa
o se non fosse piuttosto
una sua proiezione olografica
evanescente ed ingannevole
In ogni caso,
ero contento di vederla,
di sapere che fosse lì con me,
realmente o virtualmente
Ma come avrei potuto fare
per raggiungerla?
Le pareti della navata erano lisce,
prive di appigli, inattaccabili
Forse avrei dovuto andare all’esterno
per studiare se vi fossero
altre vie d’accesso
Mi accorgevo
con un senso di meraviglia
che nelle pareti, pur lisce e levigate,
erano incastonati oggetti di ogni tipo,
soprattutto giocattoli di plastica ed altri materiali,
tra i quali riconoscevo cavallucci a dondolo, tricicli
e costruzioni lego già assemblate
Un altro mistero nel mistero
(Dissolvenza)
Poi c’era l’incontro con il patriarca di una famiglia di nobile lignaggio ed io mi trovavo in mezzo a dover fare gli onori di casa e a mettere costui e la consorte a proprio agio
Facevo di tutto per ingraziarmi quel patriarca scorbutico e di poche parole con la difficoltà aggiuntiva che parlava una lingua a me sconosciuta
Quindi, per ben intenderci dovevo utilizzare altri strumenti che non fossero le parole, come la mimica e la gestualità
Mi ritrovavo a dover fare il Mimo malgrado la mia volontà contraria
Eppure, benché fossi (e sia) scarsamente propenso in ciò, i miei sforzi avevano successo
Vedevo che il patriarca aveva sempre più fiducia in me: lo avevo conquistato
E, se prima si era fermato solo per poco, interrompendo il suo viaggio per una visita veloce, ora capivo che aveva deciso di trattenersi ben più a lungo ed io ero diventato il suo interprete
Succedevano molte cose che non ricordo più
Sembrava che io fossi infilato in un loop onirico in cui succedevano di continuo le stesse cose
Ripetizioni, ripetizioni a cui si aggiungevano, ad ogni tornata, solo pochi dettagli
Mi sono addormentato di botto
e ho dormito un sonno di piombo
Ho sognato
Per qualche motivo futile
andavo a casa di mio figlio grande
Non so, forse dovevo portare qualcosa,
o prender qualcosa, forse un libro,
o dei libri
Andavo prima da sua madre
E le dicevo che sarei entrato
nell’appartamento contiguo,
quello di mio figlio,
anche se lui non c’era
La chiave, pur nuova e lucente,
stentava a girare nella toppa
Ma poi la serratura cedeva
Ed ero dentro
Nel mentre sopraggiungeva
proprio lui, mio figlio
Era altero e di poche parole
Non sembrava interessato
a sapere di me e del motivo
che mi aveva spinto
ad andare a casa sua
Lui aveva fretta,
era solo di passaggio,
aspettava altri amici
con i quali doveva incontrarsi
di lì a poco
per andare ad una di quelle serate turbinose,
di musiche, strepiti e danze
Rimaneva tutto in sospeso
Le parole restavano non dette
Presto tutto crollerà
o comunque finirà
Case ed edifici che si erano pensati eterni
cederanno logorate dal peso degli anni
Le tubature cederanno
Le mura vetuste si sgretoleranno
E noi che abbiamo vissuto per anni
chiusi in una fortezza impenetrabile
vedremo crollare
una per una
le nostre difese,
bastioni, casematte,
camminamenti di controscarpa,
passaggi sotterranei e rifugi anti-atomici
e saremo vulnerabili ed esposti,
improvvisamente fragili,
come tartarughe private del loro scudo
Alla fine nulla rimarrà,
solo puzzo di bruciato,
una pioggia lenta di cenere grigia
e le pagine sparse e corrose
di chissà quali libri smembrati
si solleveranno in volo
sospinte dalle brezze letali,
come un turbinio di foglie accartocciate
danzanti una danza di morte
dopo l’olocausto nucleare e le piogge nere
Monte dell'alba (foto di Maurizio Crispi)
Risveglio
Sentore di legna bruciata
Aria fresca e frizzante
Luce dorata
Monti dorati
Alba dorata
Il mattino ha l’oro in bocca
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.