Alla finestra d'un piano rialzato,
ogni giorno da dieci anni,
un uomo in piedi guarda fisso verso fuori
I riflessi cangianti sul vetro lo fanno apparire
fantasma, ectoplasma, apparizione evanescente,
miraggio, illusione ottica che tuttavia non si dissolve
L'uomo è vecchio, il volto sfatto, la barba ispida
Forse indossa una vestaglia lisa o un pigiama,
difficile dirlo per via dei riflessi di luce
Guarda verso fuori
con occhio vitreo, liquido.
Se ne sta immobile, non un muscolo si muove,
nel volto e nel corpo
È una fissità catatonica, la sua,
quasi fosse stato tramutato in statua di sale
dallo sguardo di Lot
Imbarazzato dallo quello sguardo, insistente,
pesante da sopportare,
il passante si gira da un'altra parte,
facendo finta di niente,
ma quando i suoi occhi tornano in quella direzione
il vecchio è sempre là, sospeso nella sua posa,
inquietante nella sua fissità
Ci si chiede se egli guardi davvero,
oppure se non insegua nella sua mente
immagini vaghe, frammenti di ricordi,
emozioni sbiadite, gioie e dolori,
che s'è lasciato alle spalle e stenta a ritrovare,
ricostruendo spezzoni ricombinanti e mutevoli
di un film della sua vita
Forse è così, ora che per lui il tempo è andato avanti,
mentre lui è stato risucchiato indietro
Al calar del buio,
quando i lampioni si sono accesi con un clack!,
da altri abitatori dell’appartamento
- familiari o badanti, non so -
la serranda di quella finestra viene abbassata,
ma è naturale pensare sempre al vecchio che guarda,
a immaginarlo ancora là sempre immobile
dietro il vetro oscurato,
anche se il suo sguardo non può penetrare
attraverso lo schermo opaco della tapparella
Forse, più tardi, qualcuno dei familiari verrà a prenderlo,
ormai irrigidito come una tavola di legno
per adagiarlo sul letto, così com'è…
E poi, il giorno dopo,
altri lo metteranno di nuovo dietro il vetro
a guardare il mondo
o a usarlo come specchio in cui riflettere sé stesso
Tempo addietro scrissi un articolo su "L'importanza del salutarsi" che è riportato e commentato tra le mie note su Facebook (inserito con relativo commento attorno al gennaio 2010). Quello che segue è uno stralcio di ciò che scrissi allora:
A questa regola nel corso della mia vita mi sono sempre ispirato, ottenendo sempre un contraccambio in parole o con un gesto. Anche nella mia pratica podistica, ho sempre cercato di applicare questa regola. Sia nei confronti di coloro con i quali mi trovo a condividere l’uso degli spazi urbani alle prime luci dell’alba, sia nei confronti di altri che – come – corrono.
È così che mi ritrovo a salutare l’edicolante, l’extra-comunitario che ha tenuto aperta per tutta la notte la rivendita di fiori e piante, perfino Ninetta, la homeless che arriva prestissimo –chi sa da dove – ad occupare la sua postazione e a gettare innocui improperi a chi passa. Ogni volta che incontro un podista intento nel suo allenamento (un mio simile, uno con il quale – in teoria – condivido la stessa passione) ho sempre salutato. "Ciao!!!", "Buongiorno!!!" a seconda dei casi: un saluto non costa niente e può far piacere salutare un proprio simile anche se le strade di ciascuno seguono traiettorie opposte.
Purtroppo, devo dire che i podisti metropolitani - ancora non ho trovato eccezioni a simile comportamento – a differenza del fiorista, dell’edicolante o dello spazzino, ignorano la regola di cortesia che mi è stata trasmessa. Invariabilmente, proseguono nella loro corsa, lo sguardo fisso nel vuoto, ingrugniti nello sforzo.
Alcuni pensano che la pratica sportiva dovrebbe ingentilire gli animi, nobilitare, arricchire interiormente gli individui che vi si dedicano. L'ignorare il saluto di un proprio simile ( di più: di un proprio pari, di uno che fa parte della stessa "comunità" specializzata) sembra contraddire un tale assunto. Forse, bisognerebbe ri-apprendere alcune regole elementari della cortesia, per dare un senso diverso alla propria dedizione allo sport: che attualmente, così come viene praticato sembra orientato verso forme di appartenenza "gruppale" esasperata, in cui il riconoscimento dell'altro può avvenire soltanto se l'altro è visto come "simile", "pari", in definitiva appartenente alla stessa tribù.
Per lo stesso motivo, se ad un gruppetto di podisti appartenenti alla stessa "conventicola" vuole aggregarsi uno "sconosciuto", il tacito accordo (subito messo in atto dal gruppo) è "Stronchiamolo!!!!" e tutti cominciano a correre come forsennati. Forse il rito del saluto (che, così concepito, lungi dall'essere vuota ritualità è anche scambio, relazione, riconoscimento del valore dell'esistenza dell'altro) s'è perso, con il concomitante smarrimento dell'affabilità, della cortesia, gentilezza, disponibilità che un tempo contraddistingueva la vita negli spazi urbani e non solo. Forse sempre più ci stiamo abituando a vivere chiusi dentro un duro guscio di solitudine che porta ciascuno ad ignorare l'Altro da sé, a non vederlo, a non sentirlo.
Alla "regola del saluto", quando cammino o corro, cerco sempre di uniformarmi.
Saluto sempre chi incrocio durante la mia corsa mattutina: sia esso passante, venditore ambulante o collega-podista".
(12 marzo 2021) Di questi tempi incontro sempre una podista lenta, incrociandola o in andata o di ritorno lungo il mio percorso mattutino.
Le prime volte io la salutavo sempre con cortesia. "Salve!", "Ciao!", "Buongiorno!", accompagnando le parole con un gesto di cordialità, ma traendone tuttavia sempre la stessa risposta: un volto sfingeo, occhi nascosti da grossi occhialoni neri anche in condizioni di semi-oscurità mattutina, labbra strette e rigide.
Se salutare è da parte di chi saluta espressione di armonia con il mondo e con gli altri, rispondere al saluto che ci è indirizzato dovrebbe essere una regola (se non altro mossa dalla cortesia).
E, invece, da parte di questa tizia, niente: mai nessuna risposta. Sempre la stessa faccia impenetrabile. Davvero incomprensibile….
Alla fine mi sono scocciato: in occasione degli ultimi incontri, contravvenendo alla mia regola - e quanto mi è pesato questo! - ho smesso di salutare, avvertendo dentro di me questa discontinuità come mossa da una certa aggressività.
In questi stessi giorni, quasi a lenire lo smacco del saluto sempre mancato o ignorato, nello stesso tratto di strada mi corre incontro festosamente un cane (non so se sia un cane perduto o un cane che il padrone lascia libero di scorrazzare), meticcio indubbiamente e con un collare di tela sdrucita (che parrebbe rimandare ad un'appartenenza).
Il cane ci corre incontro festoso, compie i rituali di saluti alla mia cagnetta e prende a trotterellarci accanto apparentemente felice, per alcune centinaia di metri, per poi ritornare da dove è spuntato.
In questo modo, quasi per compensazione, il rituale del saluto è rispettato…
Questo è uno scritto che risale al 2006, anche questo sepolto dentro i meandri del mio profilo Facebook. Lo ripropongo qui perché lo trovo carino ed è un bel ricordo, sia della cagnetta che, dopo una lunga vita, se ne è andata, sia perchè vi si racconta di un'interazione con mio Francesco di allora (allora appena tredicenne).
(Palermo, il 3.3.2006) Un giorno come tanti il cibo di Frida era già bell’e pronto nella sua ciotola, fumante.
Ho chiamato Francesco e gli ho detto: "Dai facciamo uno scherzetto a Frida".
Ho cominciato a fingere di mangiare dalla sua ciotola. Ci ho affondato la testa dentro, iniziando ad emettere una sinfonia di goduriosi rumori di masticazione ed ingurgitamento, con un intercalare di ostentati mugolli di piacere.
Poi, ho passato la ciotola a Francesco perché facesse lo stesso.
Frida se ne stava seduta ai nostri piedi e ci divorava con lo sguardo, attentissima.
Più volte ha deglutito: si vedeva chiaramente che aveva l'acquolina in bocca, ma che, nello stesso tempo, si sentiva terribilmente frustrata.
Ad un certo punto, persistendo lo scherzo, si è fatta lamentosa e ha preso ad emettere qualche guaito.
Abbiamo ripetuto la stessa sceneggiata più volte, scambiandoci la ciotola.
E Frida se ne stava sempre lì, seduta, seguendo con lo sguardo attento ora me, ora Francesco, senza perdersi nulla della scena.
Dopo un po' di quest'andazzo ho detto a Francesco, con un conclusivo mugolio di piacere e con una certa ostentazione; "Che ne dici, ne lasciamo un pochino di questo ottimo desinare a Frida"?
"Va bene", mi ha immediatamente fatto eco lui.
Ho posato la ciotola per terra, nel solito posto.
Frida ci si è avventata con furia e ha cominciato a mangiare ingordamente.
Mai l'avevo vista prima ingurgitare il suo cibo così celermente e con tanta foga.
Magari, mentre trangugiava, pensava: "E' meglio che mi sbrighi: se no questi due disgraziati ci ripensano e vogliono di nuovo mangiare dalla mia ciotola...".
Insomma, in quattro e quattrotto, Frida si è spazzolata tutto il cibo e per concludere ha sberleccato con meticolosità ogni centimetro quadro della sua ciotola, sino a renderla lucente e pulita.
Alla fine del fiero pasto ha emesso un rumoroso rutto e, dopo essere stata a ciondolare per un po' vicino a noi, nell'eventualità che ci fosse dell'altro cibo, è andata ad acciambellarsi nel suo solito angolo.
Con un sospiro di soddisfazione, s'è appisolata, sicuramente pensando: "Ma vedi cosa mi tocca subire..."
Ecco la Frida! Osservate come mi guarda, mentre mangio la sua carne… La sua carne? E cos'è successo?
Questa è la piccola storia che posso raccontarvi, a partire da questo sguardo.
Sono andato a fare i soliti lavoretti settimanali in campagna.
Avevo comprato dei petti di pollo da cucinare ai ferri.
Ma invece, per distrazione, ho preso dal surgelatore il pacchetto di tritato della canuzza (tipico!).
Quando mi sono accorto dell'errore, ho detto: "Pazienza! Farò a meno della carne!", avendo anche delle verdure da mangiare.
Ma poi ci ho ripensato: ho condito il tritato con olio, sale, origano, abbondante pepe e peperoncino, pan grattato. E l'impasto ho lasciato a riposare.
Ho preso dei pomodorini, li ho sminuzzati e li ho passati in olio caldo, aggiungendo poi tutto il tritato condito per far soffriggere il tutto.
E, quindi ho preso a degustare la carne trita: "Mmmmmmm! Com'è buona"!
La canuzza che, prima mi ha visto maneggiare il suo pacchetto di carne (ormai lo riconosce benissimo: mica stupida!), si è sentita vittima d'una palese ingiustizia.
Mi guarda vogliosa, comunicandomi, con il suo sguardo languido ed intenso insieme, di sentirsi vittima di un'ingiustizia.
Via! Gliene lascerò un poco!
Anche se la mia pietanza improvvisata é venuta su buonissima e sarà veramente duro metterne via una parte.
Ma le fedeli bestioline non bisogna mai tradirle!
Cammino nella luce chiara del primo mattino Il ginocchio incerto, il piede dolente Un passo dietro l'altro Esco al mattino dicendo a me stesso Vado a fare due passi con Frida l'amico cane defunto e
Questo scritto è stato lanciato come nota su Facebook il 29 agosto 2010. Anche questo è sfuggito alla pubblicazione alla pubblicazione nei iei due blog di allora. Lo rilancio qui, perchè il suo contenuto mantiene una sua attualità. E' un dolente amarcord tra i ricordi della mia infanzia sulle cose che avevamo e che non ci sono più.
Ecco quello che c'era un tempo d'estate e adesso non c'è più: un mio piccolo tentativo di amarcord di molte delle cose che abbiamo perso per strada.
Per le nostre strade passavano più volte delle speciali autopompe attrezzate con appositii spruzzatori che irroravano la sede stradale con getti d'acqua, in modo da mantenerne la superficie sempre fresca...
I grandi teloni che venivano stesi da un muro all'altro delle strade più strette e affollate, in modo tale da mantenere sempre l'ombra e la frescura. Questi teli venivano occasionalmente bagnati con acqua nelle giornate di maggiore caldo. Una simile usanza la si può riconoscere ancora negli antichi mercati di Palermo e, soprattutto in quello di Ballarò.
Il furgone del ghiaccio che, nelle prime ore del giorno, faceva un porta a porta presso tutte le case attrezzate con ghiacciaia per la consegna della/e barra/e di ghiaccio: e per effettuare la consegna, uno degli addetti saliva le scale portando la barra di ghiaccio a spalla, riparandosi la schiena e la testa con sacco di tela aperto su di lato e indossato a mo' di mantello con cappuccio. I piccini erano un po' intimoriti da questo "uomo del ghiaccio".
Le pale di ventilazione al soffitto in tutti i locali pubblici che erano regolate su di una rotazione lenta, in modo tale da realizzare con costanza la minima movimentazione di aria, eppure efficace. Una variante: il ventilatore casalingo a piantana (anni '50) con un pezzetto di barra di ghiaccio messo davanti alle pale, in modo da rinfrescare il flusso d'aria.
Il venditore di gelsi che quand'ero piccino passava per le vie della città il più delle volte su di una bici carica di piccoli cesti, ripetendo di continuo il suo richiamo "Asstura v'arrifriscano!"
L'ascaretto: nei giorni di gran caldo era il più bel premio che potesse spettare a noi piccini. Nel tempo che lo consumavi si formava sul rivestimento di cioccolatto fondente una sottile patina di condensa... Ma ancora più in antico, scivolando all'indietro negli anni in cui i nostri genitori erano giovani, un'autentica leccornia servita all'Extrabar (oggi scomparso e sostituito da un anonimo negozio di abbigliamento alla moda) la banana sbucciata, rivestita di cioccolatto fondente e conservata al freddo, da consumarsi come un gelato.
Le stanze dello scirocco in cui rifiugiarsi nei giorni di maggiore calura - e soprattutto di scirocco - e i teli di canapa alle finestre da tenere bagnati per rendere fresca l'aria proveniente dall'esterno.
Le lunghe passeggiate sul lungomare del Foro Italico sull'imbrunire, con la classica sosta da Ilardo per degustare un "pezzo duro" oppure lo spongato, rigorosamente servito in coppette metalliche (bene o male, per fortuna queste usanze si mantengono ancora abbastanza bene).
L'acqua ghiacciata servita con un'abbondante spruzzata di zammù.
Il venditore di anguria ghiacciata e il ficodindiaio: oggi, i loro baracchini vivacemente colorati tendono a scomparire e sono sostituiti da anonimi venditori ambulanti di paccottiglia globalizzata.
Il venditore di granita alle essenze più diverse (la più ambita: quella alla "granatina"), realizzata con il ghiaccio grattato o tritato sempre da un pezzo di quella barra di ghiaccio distribuito per l'uso delle ghiacciaie casalinghe
Se si pensa a tutto ciò, si prova un'acuta nostalgia per tante di questi oggetti e uanze scomparsi o divenute desuete che non torneranno più indietro! Cosa accadrà quando le generazioni che conservano ancora questi ricordi saranno scomparse?Per molti rimane soltanto il ricordo nostalgico di come le cose erano un tempo: e, forse, si era più contenti, quando non c'erano tutti gli ausili tecnologici di adesso.
Tutto oggi tende all'omologazione, alla globalizzazione, alla creazione e alla moltiplicazione di neo-bisogni e, soprattutto, si avverte la sistematica scomparsa delle cose che ho elencato e di tante altre che, in gran parte, erano accomunate dal fatto di possedere una forte "cifra sociale" e aggregante...
Oggi, al contrario, per combattere il caldo si sta al chiuso della propria stanza con aria condizionata oppure nel claustrum refrigerato dell'abitacolo della propria auto.
Ogni azione oggi è pervicacemente all'insegna del consumismo individualizzato (sempre più spinto), mentre gli spazi pubblici si desertificano e vengono sottoposti al massiccio inquinamento termico dei condizionatori d'aria che vanno a tutto volume per mantenere freschi gli spazi privati.
Questa nota l'ho scritta nell'agosto del 2013. Molto calzante ed appropriato quel testo, perchè in questo momento sta passando su Palermo una forte perturbazione con tuoni, lampi ed acquazzone.Il finale apre la via alla speranza.
Bomba d'acqua a Palermo (foto di Maurizio Crispi)
Tuoni e fulmini,
vento e pioggia
Buio come fossero le sette di sera
Il grande temporale avanza
Gabbiani volano alti
a stormo
allontanandosi dal fronte di nubi verdastre
che avanzano da Est
Saette solcano il cielo cupo
e si sente il rumoreggiare continuo
del tuono,
come quello di mille carri da guerra
trainati da destrieri al galoppo,
in folle corsa
su strade selciate di pietra
I soliti piccioni sono scomparsi quasi del tutto
per rintanarsi in luoghi sicuri,
al riparo e guardinghi
Anch'io sono fuggito via
alle prime avvisaglie
per cercare riparo
sentendo le narici
invase dal buon odore
di polvere bagnata
Ma poi
il temporale
è scampato velocemente
lasciando soltanto
una quieta pioggia
quella buona,
che viene assorbita dalla terra
Non si è verificata,
per questa volta,
l'apocalisse
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.