Il valore della relazione medico-paziente appartiene sempre meno al sentimento della comunità. Oggi assistiamo alla scomparsa della medicina generale e al predominio di quella specialistica, il corpo intero svanisce per lasciar posto alle sue parti. E quando le parti sono curate come separate, senza poi essere riunite nella mente del medico, il rischio è perdere di vista il compito principale: curare il malato, non solo la malattia. Instaurare una relazione di conoscenza e fiducia. Paradossalmente, sono proprio i successi bei confronti delle malattie ad avere determinato gli insuccessi nei confronti delle persone.
Un uomo fortunato. Storia di un medico di campagna (A Fortunate Man: The Story of a Country Doctor, nella traduzione di Maria Nadotti che é anche curatrice dell’opera) di John Berger, con le foto di Jean Mohr, pubblicato per Il Saggiatore, è un libro davvero straordinario che è diventato fruibile per i lettori italiani soltanto nel 2022 a distanza di oltre 50 anni dalla sua uscita in lingua originale (1967), significativamente, dopo i tempi del Covid e del consolidarsi di una pratica della Medicina sempre più spersonalizzata ed ipertecnologica.
C'è da rammaricarsi che nessuno abbia avuto l'idea di tradurlo e diffonderlo già al tempo della sua prima pubblicazione, perché ha tanto da insegnare, non soltanto ad un pubblico di lettori "laici", ma anche a tanti che esercitano la professione medica.
Credo che sia un libro che tutti coloro che si affacciano alla professione medica dovrebbero leggere, poiché è profondamente formativo e soprattutto mostra quanto dietro l'aspetto tetragono e distaccato di colui che cura vi possa essere un "guaritore ferito". che continuamente si risana attraverso il gesto della cura, attraverso il suo esserci, attraverso la sua capacità di custodire in sé la memoria storica di ciascuno dei suoi "pazienti"
E' un libro che parla della vita di un "medico di campagna" (come dice il sottotitolo) a cui viene attribuito il nome di John Sassall (un medico che vive ed opera in una piccola regione rurale dell'Inghilterra (nel villaggio di St Briavels, nella contea del Gloucestershire, poco distante da Bristol), avendo il carico di circa 2000 anime, gli "uomini del bosco" come vengono definiti da John Berger.
John Berger e Jean Mohr, quest'ultimo in veste di fotografo, hanno vissuto per tre mesi in quei luoghi, osservando e documentando l'attività di John Sassall, riflettendo sul suo modo di relazionarsi con i suoi assistiti (meglio con le "anime" che gli erano affidate), senza burocrazia di mezzo e con molta fattualità e attenzione.
Cosa sono tre mesi nella vita di un uomo? Niente, si potrebbe obiettare. Eppure possono anche essere un periodo molto lungo, ed essere isomorfici con tutto il resto che rimane nell'ombra, non espresso e non documentato, sufficiente a mettere in luce ciò che è nascosto e a dare un senso generale. E quindi, questi tre mesi di osservazione sono stati pregnanti: hanno consentito ai due atori a costruire il ritratto efficace di un medico di campagna, ma prima ancora di un uomo che sembra dedicare la vita agli altri, con estrema dedizione.
In questo testo, semplice e complesso nello stesso tempo, non ci sono conclusioni definitive, ovviamente. Rimane come un testo aperto, dal quale ciascuno può trarre le sue conclusioni
I due autori (uno attraverso le parole, l'altro con le immagini) fanno soltanto delle illazioni, propongono delle ipotesi. Quello che emerge è una buona prassi medica, il gesto di cura, l'attenzione per le persone che appunto sono persone, individui, portatori d'un carico di umanità e di storie, prima ancora dei semplici "assistiti" burocratizzati.
Per tutto ciò che è raccontato, la comunità, i luoghi, le persone, fa da tramite lui, John Sassall, "buon" medico di campagna che segue con abnegazione i suoi pazienti - in quanto curante - anche quando vengono ricoverati nel presidio ospedaliero della vicina Bristol.
Di Sassall non si sa molto altro, poiché viene visto elettivamente nella sua pratica di medico. Non viene minimamente menzionato se abbia una famiglia, dei figli (o meglio, viene appena accennato). Non si sa se vi sia dentro di lui n cuore di tenebra che crei delle turbative. E' ciò che fa, in sostanza.
Ed é' un medico abile, a quanto pare. Si è forgiato durante la guerra, come chirurgo militare. E' in condizione di affrontare le emergenze, di praticare piccoli interventi chirurgici, di assistere le partorienti. Gira in continuazione da una casa all'altra con il suo repertorio di farmaci; riceve i pazienti nel suo ambulatorio; si intrattiene con loro; assiste i morenti, è membro attivo della comunità, conosce - per quanto è possibile - i segreti di ciascuno.
In alcune foto lo si vede da solo, sperso nella vasta natura boschiva o mentre si incammina lungo un sentiero in salita per raggiungere un cottage; altre volte si vedono vasti paesaggi o l'ansa di un fiume, fiancheggiata da una strada bianca ed un auto che la percorre (sarà Sassall che, a bordo del suo veicolo, si reca in visita domiciliare da qualcuno dei suoi pazienti?)
E' probabilmente, anche, un uomo sofferente al suo interno, anche se non lo dà a vedere (e, d'altra parte, nella scelta di fare il medico, vi è spesso questo elemento, come fattore motivante e come carburante interiore).
Berger sottolinea nella sua narrativa che forse, all'inizio della sua pratica, per Sassall era importante "salvare vite" e che il suo intervento era questione di vita o di morte (senza possibili sfumature intermedie: in questo forte orientamento, Berger lo paragona ad un personaggio conradiano e in particolare al capitano di una nave che si accinge ad affrontare il mare in tempesta, avendo la responsabilità di tutte le anime a bordo e che non riuscendoci porterà il peso della colpa su di sé per il resto della vita.
Soltanto in seguito, questa posizione - un po' onnipotente secondo una griglia di lettura psicoanalitica - si stempererà in un assetto più accogliente delle sfumature intermedie: se non si può guarire, si può far star meglio; la cura medica si fonda allora anche sul conforto dell'anima, attraverso un approccio che non è più soltanto tecnico, ma dialogico, di apertura ed interesse nei confronti dell'Altro, di un suo riconoscimento.
A quanto pare questa trasformazione sarebbe avvenuta in Sassall, quando - prendendo atto di un suo nucleo di sofferenza interna - prese a a leggere e a consultare le opere di Sigmund Freud.
La sua pratica allora assume i contorni di una dedizione e di una capacità ancora più intensa di entrare in una "relazione di cura", a 360 gradi, con la consapevolezza che l'oggetto relazionale (che in questo caso è il Paziente, in tutte le sue possibili declinazioni) non sempre può essere risanato in maniera totale e definitiva e che, in talune circostanze, occorrerà accettare che rimanga come un "oggetto danneggiato" (in termini relazionali) che potrà essere aiutato a vivere meglio o semplicemente supportato dal conforto di parole e di attenzione. E ciò passa necessariamente attraverso l'accettazione di essere in primo luogo un "guaritore ferito", ciò uno che occupandosi di far star meglio gli altri risana in qualche modo il proprio nucleo interiore di sofferenza (che mai guarirà, tuttavia, in modo definitivo). Tutto questo non è semplice, poichè passa attraverso una presa di contatto della propria sofferenza: tutto l'opposto di chi si rifugia nella pratica medica per non dover sentire, per non doversi confrontare con i propri nuclei interni di sofferenza, costruendo attorno a sè una dura scorza di cinismo e di indifferenza (che è quella che, purtroppo, molte scuole di medicina odierne stanno insegnando, puntando tutto sulla iper-specializzazione, sulla settorializzazione, sul tecnicismo esasperato che scompongono la persona malati, in organi e apparati danneggiati)
Ecco questo è il ritratto di Sassall che Berger ci consegna.
Perchè viene definito un "uomo fortunato"?
Ecco ciò che ci viene detto quando il racconto si avvia ormai alla chiusura:
"Sassall è nondimeno un uomo che fa ciò che vuole. O, per essere più precisi, un uomo che persegue ciò che desidera perseguire. A volte la sua ricerca comporta tensione e sconforto, ma di per sé è la sua unica fonte di soddisfazione. Come un artista o come chiunque altro creda che il proprio lavoro giustifichi la propria la propria vita, Sassall - secondo i miserabili standard della nostra società - é un uomo fortunato" (ib., p. 176)
Poi, più avanti, si legge:
"Sassall, con l'intuizione astuta di cui ogni uomo fortunato necessita al giorno d'oggi per poter continuare a lavorare a ciò in cui crede, ha creato la situazione di cui ha bisogno. Non senza un costo, ma nel complesso soddisfacente: In essa lavora. E' al lavoro adesso, nel momento in cui scrivo" (ib. p. 187)
Ed qui che prende l'avvio la riflessione di John Berger sul fatto che questo scritto rimarrà incompiuto e non potrà giungere a conclusione definitive sulla vita e le opere di John Sassall, sul suo modo di essere stato medico, sul suo operare, esattamente come si farebbe con un artista che ha scritto i suoi romanzi o ha dipinto i suoi quadri, esaminando in maniera postuma le sue opere e mettendole in relazione con gli eventi della sua vita.
Un giudizio definitivo - dice Berger - può esser dato soltanto soltanto dopo, a posteriori (e non sempre una valutazione globale è possibile farla in una maniera compiuta: ogni vita è in qualche modo "unfinished", incompleta, ma in ogni caso, guardando a uomini ordinari che compiono cose straordinarie, ponendosi come un piccolo capolavoro, unico e irripetibile).
Mi è sembrato di leggere, dico "sembrato", perché poi questa frase non sono più riuscita a trovarla da nessuna parte nel testo, per quanto accuratamente ne abbia sfogliato le pagine, che dopo alcuni anni, Sassall abbia abbandonato la sua posizione e che sia andato a fare il "medico scalzo" cioè un medico che opera nei contesti rurali con uno strumentario minimo e spostandosi a piedi da un luogo all'altro. E' una leggenda? E' una mia allucinazione testuale? E poi dove? In Cina dove era diffusa, tradizionalmente questa figura? Oppure rimanendo in patria?
Certo è che la prassi del medico scalzo, un medico che viene ricompensato soltanto quando i suoi pazienti non manifestano segni e sintomi di malattia e che applica nel modo più corretto i precetti ippocratici, quali "il poco è il meglio" e l'attenzione estrema al potere delle acque, dell'aria, degli altri elementi e dell'alimentazione di interferire con la salute individuale e collettiva, rappresenta un logico sviluppo della medicina incentrata sulla relazione e sulla capacità del medico di essere egli stesso "farmaco".
Ma ritornando a quanto dicevo, circa l'impossibilità di emettere un giudizio definitivo, quindici anni dopo (nel 1999), in un'edizione successiva, Berger si sentirà in obbligo di aggiungere una postfazione, una postilla più che altro, per discutere dell'esito imprevisto e drammatico della vita di John Sassall che lascia aperto ed irrisolto l'enigma che lo riguarda e che, forse, apre uno spiraglio inquietante sul nucleo duro di sofferenza che egli si portava dentro.
Il testo scritto è corredato dalle splendide foto di Jean Mohr che mostrano i luoghi, la gente, il medico sia nell'esecuzione di atti propriamente medici sia nei momenti di relazionalità con i suoi pazienti e in momenti sociali, come nelle foto che documentano la discussione sul modo per intervenire per risanare il "Fossato" e restituirlo alla fruizione della comunità.
Il testo offre delle chiavi di lettura alle foto, ma nello stesso le foto arricchiscono le possibili chiavi di lettura del testo.
"Il dialogo tra testo e foto è uno degli aspetti più suggestivi di questo libro: la conversazione tra la scrittura di Berger e la fotografia di Mohr coinvolge lettrice e lettore in un'intimità partecipe, spesso dolente, mai invadente" (Vittorio Lingiardi, Prefazione, p. 11)
La prefazione scritta da Vittorio Lingiardi fa da "viatico" al testo, fornendogli chiavi di lettura, ulteriore spessore, ramificazioni concettuali e spunti di approfondimento, come ad esempio il riferimento alle teorizzazioni di Michael Balint e al presupposto di ogni pratica medica umanistica in cui sia il curante stesso a somministrare se stesso come farmaco.
Segue una breve introduzione di Iona Heath, la quale dice:
"Se nel corso della vita, mi fosse dato di leggere un solo libro sulla medicina generale, sarebbe questo. Per questo testo meraviglioso e senza età abbiamo un enorme debito di gratitudine
nei confronti di John Berger e di Jean Mohr". (ib., p. 22)
(Risguardo di copertina) "Un uomo fortunato" è una riflessione in parole e immagini sui rapporti tra l'individuo e la comunità che lo circonda. È un ritratto, allo stesso tempo poetico e sociologico, della dimensione più umana del lavoro del medico e di cosa significhi appartenere a una collettività e mettersi al suo servizio. Nel 1966 John Berger e il fotografo Jean Mohr seguono per tre mesi l'attività del medico di campagna John Sassall, documentandone la vita, le abitudini e gli incontri. Sassall vive nella foresta di Dean, in Inghilterra, tra i suoi pazienti, e ogni giorno si muove all'interno del territorio rurale per curare i malati, gli anziani e le persone sole. Ciò che affascina Berger e Mohr è che Sassall non si limita a prescrivere medicine, ma per la gente del luogo è anche un confidente, un depositario di ricordi. È preciso, attento e premuroso. Prima di fare un'iniezione pronuncia frasi rassicuranti. In inverno, quindici minuti prima di visitare un paziente, accende la termocoperta così da non fargli sentire freddo. È presente a tutte le nascite e a tutte le morti. In ogni situazione riconosce l'istante in cui può fare la differenza, ma conosce anche i propri limiti, come persona e come medico. Arricchita da una prefazione di Vittorio Lingiardi e da una introduzione di Iona Heath, quest'opera, finora inedita in Italia, ci rivela con grande delicatezza come ogni territorio, se guardato o osservato a distanza, sia ingannevole. Esso è infatti, innanzitutto, la rete disegnata dai gesti e dai pensieri dei suoi abitanti, dalle loro lotte, conquiste e sventure.
Gli autori
John Berger, nato nel 1926 a Londra è morto nel 2017, è stato critico d’arte, giornalista, sceneggiatore cinematografico, autore teatrale e disegnatore.
Nel 1972 assurge a grande popolarità quando la BBC trasmette una serie di documentari da lui ideati e condotti, con il titolo Ways of seeing.
In questi inviti a vedere l'arte nel quotidiano, Berger si è ispirato in parte all'opera di Walter Benjamin, e segnatamente a L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica.
Da sue sceneggiature, il regista svizzero Alain Tanner ha tratto i film Jonas qui aura 25 ans en l'an 2000 e Les années lumières.
Tra i suoi libri di narrativa tradotti in italiano, ricordiamo Qui, dove ci incontriamo (Bollati Boringhieri, 2005), Una volta in Europa e Lillà e Bandiera (Bollati Boringhieri, 2003 e 2006), Festa di nozze (Il Saggiatore, 1996), Ritratto di un pittore (Bompiani, 1961), Confabulazioni (Neri Pozza, 2017). Tra le altre opere: Modi di vedere (Bollati Boringhieri, 2004), Questione di sguardi (Il Saggiatore, 1998) e Sul guardare (Bruno Mondadori, 2003).
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Jean Mohr, fotografo svizzero,(1925-2018) è stato compagno di strada e di avventure di John Berger, suo collaboratore e ‘complice’ a partire dal 1962, quando si incontrarono per la prima volta a Ginevra. Risale a quell’anno l’avvio di un sodalizio professionale che, nel tempo, si è trasformato anche in una formidabile amicizia.
Ne sono nati una serie di libri la cui importanza politica, sociale, artistica e letteraria resta non solo attuale, ma tuttora anticipatrice: A Fortunate Man: The Story of a Country Doctor (1967), inedito in Italia, A Seventh Man (1975) [Il settimo uomo, Contrasto, 2017], Another Way of Telling. A Possible Theory of Photography (1982), da noi ancora inedito.
Una conversazione con Maria Nadotti sul volume "Un uomo fortunato" da lei curato
La reciprocità dello sguardo. John Berger e Jean Mohr - Guido Mannucci
Un uomo fortunato è la storia di John Sassall, un medico di campagna che lavora in una piccola comunità isolata nell'ovest dell'Inghilterra. Nel 1966, John Berger, scrittore, pittore e critico ...
https://antinomie.it/index.php/2022/12/20/la-reciprocita-dello-sguardo-john-berger-e-jean-mohr/
John Berger's A Fortunate Man: a masterpiece of witness
In their pioneering book about an outstanding, committed country doctor, John Berger and photographer Jean Mohr provide a timely reminder of how unique, and valuable, British general practice is
Ricordare Jean Mohr | Maria Nadotti
"Cara Maria, nel caso tu non l'abbia ancora saputo, Jean è mancato serenamente ieri mattina".
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