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25 giugno 2023 7 25 /06 /giugno /2023 16:21

Il valore della relazione medico-paziente appartiene sempre meno al sentimento della comunità. Oggi assistiamo alla scomparsa della medicina generale e al predominio di quella specialistica, il corpo intero svanisce per lasciar posto alle sue parti. E quando le parti sono curate come separate, senza poi essere riunite nella mente del medico, il rischio è perdere di vista il compito principale: curare il malato, non solo la malattia. Instaurare una relazione di conoscenza e fiducia. Paradossalmente, sono proprio i successi bei confronti delle malattie ad avere determinato gli insuccessi nei confronti delle persone.

Dalla prefazione di Vittorio Lingiardi (p. 10)

John Berger e Jean Mohr, Un uomo fortunato. Storia di un medico di campagna, Il Saggiatore, 2022

Un uomo fortunato. Storia di un medico di campagna (A Fortunate Man: The Story of a Country Doctor, nella traduzione di Maria Nadotti che é anche curatrice dell’opera) di John Berger, con le foto di Jean Mohr, pubblicato per Il Saggiatore, è un libro davvero straordinario che è diventato fruibile per i lettori italiani soltanto nel 2022 a distanza di oltre 50 anni dalla sua uscita in lingua originale (1967), significativamente, dopo i tempi del Covid e del consolidarsi di una pratica della Medicina sempre più spersonalizzata ed ipertecnologica.
C'è da rammaricarsi che nessuno abbia avuto l'idea di tradurlo e diffonderlo già al tempo della sua prima pubblicazione, perché ha tanto da insegnare, non soltanto ad un pubblico di lettori "laici", ma anche a tanti che esercitano la professione medica. 
Credo che sia un libro che tutti coloro che si affacciano alla professione medica dovrebbero leggere, poiché è profondamente formativo e soprattutto mostra quanto dietro l'aspetto tetragono e distaccato di colui che cura vi possa essere un "guaritore ferito". che continuamente si risana attraverso il gesto della cura, attraverso il suo esserci, attraverso la sua capacità di custodire in sé la memoria storica di ciascuno dei suoi "pazienti"

E' un libro che parla della vita di un "medico di campagna" (come dice il sottotitolo) a cui viene attribuito il nome di John Sassall (un medico che vive ed opera in una piccola regione rurale dell'Inghilterra (nel villaggio di St Briavels, nella contea del Gloucestershire, poco distante da Bristol), avendo il carico di circa 2000 anime, gli "uomini del bosco" come vengono definiti da John Berger.
John Berger e Jean Mohr, quest'ultimo in veste di fotografo, hanno vissuto per tre mesi in quei luoghi, osservando e documentando l'attività di John Sassall, riflettendo sul suo modo di relazionarsi con i suoi assistiti (meglio con le "anime" che gli erano affidate), senza burocrazia di mezzo e con molta fattualità e attenzione.

Cosa sono tre mesi nella vita di un uomo? Niente, si potrebbe obiettare. Eppure possono anche essere un periodo molto lungo, ed essere isomorfici con tutto il resto che rimane nell'ombra, non espresso e non documentato, sufficiente a mettere in luce ciò che è nascosto e a dare un senso generale. E quindi, questi tre mesi di osservazione sono stati pregnanti: hanno consentito ai due atori a costruire il ritratto efficace di un medico di campagna, ma prima ancora di un uomo che sembra dedicare la vita agli altri, con estrema dedizione.

In questo testo, semplice e complesso nello stesso tempo, non ci sono conclusioni definitive, ovviamente. Rimane come un testo aperto, dal quale ciascuno può trarre le sue conclusioni
I due autori (uno attraverso le parole, l'altro con le immagini) fanno soltanto delle illazioni, propongono delle ipotesi. Quello che emerge è una buona prassi medica, il gesto di cura, l'attenzione per le persone che appunto sono persone, individui, portatori d'un carico di umanità e di storie, prima ancora dei semplici "assistiti" burocratizzati.

Per tutto ciò che è raccontato, la comunità, i luoghi, le persone, fa da tramite lui, John Sassall, "buon" medico di campagna che segue con abnegazione i suoi pazienti - in quanto curante - anche quando vengono ricoverati nel presidio ospedaliero della vicina Bristol.

Di Sassall non si sa molto altro, poiché viene visto elettivamente nella sua pratica di medico. Non viene minimamente menzionato se abbia  una famiglia, dei figli (o meglio, viene appena accennato). Non si sa se vi sia dentro di lui n cuore di tenebra che crei delle turbative. E' ciò che fa, in sostanza.
Ed é' un medico abile, a quanto pare. Si è forgiato durante la guerra, come chirurgo militare. E' in condizione di affrontare le emergenze, di praticare piccoli interventi chirurgici, di assistere le partorienti. Gira in continuazione da una casa all'altra con il suo repertorio di farmaci; riceve i pazienti nel suo ambulatorio; si intrattiene con loro; assiste i morenti, è membro attivo della comunità, conosce - per quanto è possibile - i segreti di ciascuno.

In alcune foto lo si vede da solo, sperso nella vasta natura boschiva o mentre si incammina lungo un sentiero in salita per raggiungere un cottage; altre volte si vedono vasti paesaggi o l'ansa di un fiume, fiancheggiata da una strada bianca ed un auto che la percorre (sarà Sassall che, a bordo del suo veicolo, si reca in visita domiciliare da qualcuno dei suoi pazienti?)

E' probabilmente, anche, un uomo sofferente al suo interno, anche se non lo dà a vedere (e, d'altra parte, nella scelta di fare il medico, vi è spesso questo elemento, come fattore motivante e come carburante interiore).

Berger sottolinea nella sua narrativa che forse, all'inizio della sua pratica, per Sassall era importante "salvare vite" e che il suo intervento era questione di vita o di morte (senza possibili sfumature intermedie: in questo forte orientamento, Berger lo paragona ad un personaggio conradiano e in particolare al capitano di una nave che si accinge ad affrontare il mare in tempesta, avendo la responsabilità di tutte le anime a bordo e che non riuscendoci porterà il peso della colpa su di sé per il resto della vita.

Soltanto in seguito, questa posizione - un po' onnipotente secondo una griglia di lettura psicoanalitica - si stempererà in un assetto più accogliente delle sfumature intermedie: se non si può guarire, si può far star meglio; la cura medica si fonda allora anche sul conforto dell'anima, attraverso un approccio che non è più soltanto tecnico, ma dialogico, di apertura ed interesse nei confronti dell'Altro, di un suo riconoscimento.

A quanto pare questa trasformazione sarebbe avvenuta in Sassall, quando - prendendo atto di un suo nucleo di sofferenza interna - prese a a leggere e a consultare le opere di Sigmund Freud. 

La sua pratica allora assume i contorni di una dedizione e di una capacità ancora più intensa di entrare in una "relazione di cura", a 360 gradi, con la consapevolezza che l'oggetto relazionale (che in questo caso è il Paziente, in tutte le sue possibili declinazioni) non sempre può essere risanato in maniera totale e definitiva e che, in talune circostanze, occorrerà accettare che rimanga come un "oggetto danneggiato" (in termini relazionali) che potrà essere aiutato a vivere meglio o semplicemente supportato  dal conforto di parole e di attenzione. E ciò passa necessariamente attraverso l'accettazione di essere in primo luogo un "guaritore ferito", ciò uno che occupandosi di far star meglio gli altri risana in qualche modo il proprio nucleo interiore di sofferenza (che mai guarirà, tuttavia, in modo definitivo). Tutto questo non è semplice, poichè passa attraverso una presa di contatto della propria sofferenza: tutto l'opposto di chi si rifugia nella pratica medica per non dover sentire, per non doversi confrontare con i propri nuclei interni di sofferenza, costruendo attorno a sè una dura scorza di cinismo e di indifferenza (che è quella che, purtroppo, molte scuole di medicina odierne stanno insegnando, puntando tutto sulla iper-specializzazione, sulla settorializzazione, sul tecnicismo esasperato che scompongono la persona malati, in organi e apparati danneggiati)

Ecco questo è il ritratto di Sassall che Berger ci consegna.
Perchè viene definito un "uomo fortunato"?

Ecco ciò che ci viene detto quando il racconto si avvia ormai alla chiusura:

"Sassall è nondimeno un uomo che fa ciò che vuole. O, per essere più precisi, un uomo che persegue ciò che desidera perseguire. A volte la sua ricerca comporta tensione e sconforto, ma di per sé è la sua unica fonte di soddisfazione. Come un artista o come chiunque altro creda che il proprio lavoro giustifichi la propria la propria vita, Sassall - secondo i miserabili standard della nostra società - é un uomo fortunato" (ib., p. 176)

Poi, più avanti, si legge:

"Sassall, con l'intuizione astuta di cui ogni uomo fortunato necessita al giorno d'oggi per poter continuare a lavorare a ciò in cui crede, ha creato la situazione di cui ha bisogno. Non senza un costo, ma nel complesso soddisfacente: In essa lavora. E' al lavoro adesso, nel momento in cui scrivo" (ib. p. 187)

Ed qui che prende l'avvio la riflessione di John Berger sul fatto che questo scritto rimarrà incompiuto e non potrà giungere a conclusione definitive sulla vita e le opere di John Sassall, sul suo modo di essere stato medico, sul suo operare, esattamente come si farebbe con un artista che ha scritto i suoi romanzi o ha dipinto i suoi quadri, esaminando in maniera postuma le sue opere e mettendole in relazione con gli eventi della sua vita.

Un giudizio definitivo - dice Berger - può esser dato soltanto soltanto dopo, a posteriori (e non sempre una valutazione globale è possibile farla in una maniera compiuta: ogni vita è in qualche modo "unfinished", incompleta, ma in ogni caso, guardando a uomini ordinari che compiono cose straordinarie, ponendosi come un piccolo capolavoro, unico e irripetibile).

Mi è sembrato di leggere, dico "sembrato", perché poi questa frase non sono più riuscita a trovarla da nessuna parte nel testo, per quanto accuratamente ne abbia sfogliato le pagine, che dopo alcuni anni, Sassall abbia abbandonato la sua posizione e che sia andato a fare il "medico scalzo" cioè un medico che opera nei contesti rurali con uno strumentario minimo e spostandosi a piedi da un luogo all'altro. E' una leggenda? E' una mia allucinazione testuale? E poi dove? In Cina dove era diffusa, tradizionalmente questa figura? Oppure rimanendo in patria?

Certo è che la prassi del medico scalzo, un medico che viene ricompensato soltanto quando i suoi pazienti non manifestano segni e sintomi di malattia e che applica nel modo più corretto i precetti ippocratici, quali "il poco è il meglio" e l'attenzione estrema al potere delle acque, dell'aria, degli altri elementi e dell'alimentazione di interferire con la salute individuale e collettiva, rappresenta un logico sviluppo della medicina incentrata sulla relazione e sulla capacità del medico di essere egli stesso "farmaco".

Ma ritornando a quanto dicevo, circa l'impossibilità di emettere un giudizio definitivo, quindici anni dopo (nel 1999), in un'edizione successiva, Berger si sentirà in obbligo di aggiungere una postfazione, una postilla più che altro, per discutere dell'esito imprevisto e drammatico della vita di John Sassall che lascia aperto ed irrisolto l'enigma che lo riguarda e che, forse, apre uno spiraglio inquietante sul nucleo duro di sofferenza che egli si portava dentro.


 

Il testo scritto è corredato dalle splendide foto di Jean Mohr che mostrano i luoghi, la gente, il medico sia nell'esecuzione di atti propriamente medici sia nei momenti di relazionalità con i suoi pazienti e in momenti sociali, come nelle foto che documentano la discussione sul modo per intervenire per risanare il "Fossato" e restituirlo alla fruizione della comunità. 
Il testo offre delle chiavi di lettura alle foto, ma nello stesso le foto arricchiscono le possibili chiavi di lettura del testo.
"Il dialogo tra testo e foto è uno degli aspetti più suggestivi di questo libro: la conversazione tra la scrittura di Berger e la fotografia di Mohr coinvolge lettrice e lettore in un'intimità partecipe, spesso dolente, mai invadente" (Vittorio Lingiardi, Prefazione, p. 11)
La prefazione scritta da Vittorio Lingiardi fa da "viatico" al testo,  fornendogli chiavi di lettura,  ulteriore spessore, ramificazioni concettuali e spunti di approfondimento, come ad esempio il riferimento alle teorizzazioni di Michael Balint e al presupposto di ogni pratica medica umanistica in cui sia il curante stesso a somministrare se stesso come farmaco.
Segue una breve introduzione di Iona Heath, la quale dice:
"Se nel corso della vita, mi fosse dato di leggere un solo libro sulla medicina generale, sarebbe questo. Per questo testo meraviglioso e senza età abbiamo un enorme debito di gratitudine
nei confronti di John Berger e di Jean Mohr
". (ib., p. 22)

 


(Risguardo di copertina) "Un uomo fortunato" è una riflessione in parole e immagini sui rapporti tra l'individuo e la comunità che lo circonda. È un ritratto, allo stesso tempo poetico e sociologico, della dimensione più umana del lavoro del medico e di cosa significhi appartenere a una collettività e mettersi al suo servizio. Nel 1966 John Berger e il fotografo Jean Mohr seguono per tre mesi l'attività del medico di campagna John Sassall, documentandone la vita, le abitudini e gli incontri. Sassall vive nella foresta di Dean, in Inghilterra, tra i suoi pazienti, e ogni giorno si muove all'interno del territorio rurale per curare i malati, gli anziani e le persone sole. Ciò che affascina Berger e Mohr è che Sassall non si limita a prescrivere medicine, ma per la gente del luogo è anche un confidente, un depositario di ricordi. È preciso, attento e premuroso. Prima di fare un'iniezione pronuncia frasi rassicuranti. In inverno, quindici minuti prima di visitare un paziente, accende la termocoperta così da non fargli sentire freddo. È presente a tutte le nascite e a tutte le morti. In ogni situazione riconosce l'istante in cui può fare la differenza, ma conosce anche i propri limiti, come persona e come medico. Arricchita da una prefazione di Vittorio Lingiardi e da una introduzione di Iona Heath, quest'opera, finora inedita in Italia, ci rivela con grande delicatezza come ogni territorio, se guardato o osservato a distanza, sia ingannevole. Esso è infatti, innanzitutto, la rete disegnata dai gesti e dai pensieri dei suoi abitanti, dalle loro lotte, conquiste e sventure.
 

Gli autori
John Berger, nato nel 1926 a Londra è morto nel 2017, è stato critico d’arte, giornalista, sceneggiatore cinematografico, autore teatrale e disegnatore.
Nel 1972 assurge a grande popolarità quando la BBC trasmette una serie di documentari da lui ideati e condotti, con il titolo Ways of seeing. 
In questi inviti a vedere l'arte nel quotidiano, Berger si è ispirato in parte all'opera di Walter Benjamin, e segnatamente a L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica.
Da sue sceneggiature, il regista svizzero Alain Tanner ha tratto i film Jonas qui aura 25 ans en l'an 2000 e Les années lumières.
Tra i suoi libri di narrativa tradotti in italiano, ricordiamo Qui, dove ci incontriamo (Bollati Boringhieri, 2005), Una volta in Europa e Lillà e Bandiera (Bollati Boringhieri, 2003 e 2006), Festa di nozze (Il Saggiatore, 1996), Ritratto di un pittore (Bompiani, 1961), Confabulazioni (Neri Pozza, 2017). Tra le altre opere: Modi di vedere (Bollati Boringhieri, 2004), Questione di sguardi (Il Saggiatore, 1998) e Sul guardare (Bruno Mondadori, 2003).

____________________________
 

Jean Mohr, fotografo svizzero,(1925-2018) è stato compagno di strada e di avventure di John Berger, suo collaboratore e ‘complice’ a partire dal 1962, quando si incontrarono per la prima volta a Ginevra. Risale a quell’anno l’avvio di un sodalizio professionale che, nel tempo, si è trasformato anche in una formidabile amicizia. 
Ne sono nati una serie di libri la cui importanza politica, sociale, artistica e letteraria resta non solo attuale, ma tuttora anticipatrice: A Fortunate Man: The Story of a Country Doctor (1967), inedito in Italia, A Seventh Man (1975) [Il settimo uomo, Contrasto, 2017], Another Way of Telling. A Possible Theory of Photography (1982), da noi ancora inedito. 

Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire
Un uomo fortunato. Il ritratto toccante e avvincente di una pratica della medicina generale che tende a scomparire

Una conversazione con Maria Nadotti sul volume "Un uomo fortunato" da lei curato

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21 giugno 2023 3 21 /06 /giugno /2023 11:16
Italo Bonera, Il male che fa bene, Calibano, 2023

Con molto piacere ho letto il romanzo ultimo di Italo Bonera, Il male che fa bene, pubblicato da Calibano (2023).
Quella che vi è narrata è una vicenda che si muove tra atmosfere thriller,  spy story e avventura e se - vogliamo - anche con un pizzico di complottismo (con servizi occulti di intelligence che muovono come burattini i diversi personaggi), con un antefatto che si svolge a Milano nell'inverno del 1979 e un protagonista, Fausto Varriale, che essendosi lasciato alle spalle un passato problematico, è diventato uomo di ventura, mercenario prezzolato, killer ad ingaggio, che viene reclutato per compiere missioni pericolose e omicidi mirati (azioni che rappresentano "Il male che fa bene"). 
Fausto Varriale è un uomo che nella sua vita ha assunto molti nomi e che altri ne dovrà assumere: il suo lavoro comporta spesso dei repentini cambi di identità. Ha un socio, Adan - anche lui uomo di ventura - con il quale si accinge a compiere (e ci siamo spostati alla fine del secondo decennio del nuovo secolo, quindi a distanza di circa trent'anni dall'antefatto) una missione nel deserto della Siria per neutralizzare (o meglio "cancellare" del tutto) un laboratorio clandestino che opera nei territori controllati dall'ISIS
Ma qualcosa va storto, Adan viene colpito a morte, mentre Frank Domasio (il Fausto Varriale d'un tempo) sopravvive e salva una avvenente giovane donna, Layla, che è tenuta in quel laboratorio in una condizione di prigionia.
Quindi, il nostro intraprende la via del ritorno verso l'Italia, perché la morte di Adan lo ha messo in crisi e lo ha portato a desiderare di mettersi finalmente a riposo, prima che sia troppo tardi anche per lui.
Comincia quindi per lui, assieme a Layla, una lunga odissea attraverso Beirut, Istanbul e quindi su di un cargo come passeggeri clandestini (anche se paganti) sino in Italia e, dalla Puglia, l'ultima tappa sino alla nativa Brescia e al suo quartiere un tempo malfamato e oggi sede della movida, il Carmine, dove i due prenderanno alloggio con l'intenzione di rimanere (e l'illustrazione di copertina - di cui, per inciso, è autore lo stesso Bonera - rappresenta vividamente Via Giovita Scalvini, in pieno Carmine, dove i due trovano casa).
Fausto Varriale, alias Frank Domasio, alias Filippo Donati, è stato nei trent'anni precedenti un asset (come si dice in inglese, cioè una "risorsa") per i servizi segreti e l'intelligence (e per i manovratori occulti) e, inconsapevole, continuerà ad esserlo, mentre ai suoi danni (e a sua insaputa) si muovono delle trame.
Il male che fa bene si sviluppa con una narrazione splendidamente costruita (e supportata da un minuzioso lavoro di documentazione) che tiene il lettore incollato alla pagina, sino ad un'imprevedibile conclusione, nel corso dell'ultima tappa del lungo viaggio intrapreso da Fausto Varriale (e con lui dal lettore) che è l'India.
Se dovessi collocare quest'opera nella mia libreria, la metterei accanto ad alcuni sorprendenti romanzi di Giancarlo Narciso che mi sono particolarmente piaciuti. Vi è indubbiamente qualche affinità.  E trovo che sia del tutto differente da precedenti romanzi, con qualche contatto forse con Cielo e ferro. Il futuro è cambiato (scritto a quattro mani con Paolo Frusca, La Ponga, 2013), per via dell'ambientazione medio-orientale di cui Bonera è un grande appassionato (oltre che esserne profondamente documentato, anche dei risvolti sociali e geopolitici), anche se quest'ultimo si muove di più sul versante SF e anticipazione.

 

Italo Bonera

(Quarta di copertina) Trent'anni di fuga da tutto - da una condanna, da se stesso, dalle responsabilità verso gli altri - per diventare un mercenario, un avventuriero senza etica. Ma l'incontro con una ragazza rapita dall'Isis riporta alla luce il rimorso per tutto il male fatto: non un amore, ma la speranza di un'impossibile redenzione. 
Un'odissea individualistica che, tra la Milano degli anni Settanta e quella del terzo millennio, tocca il deserto siriano, le rovine della guerra civile, i palazzi di cristallo di Beirut, i vicoli di Istanbul, il centro storico di 
Brescia, l'India. Un'avventura mozzafiato e sorprendente.

 

L'autore. Italo Bonera, bresciano, 1962, ha pubblicato i romanzi “Ph0xGen!” (con Paolo Frusca, Urania Mondadori, 2010), “Io non sono come voi” (Gargoyle, 2013), “Cielo e ferro” (con Paolo Frusca, La Ponga, 2014), “Rosso noir, un pulp italiano” (Meridiano Zero, 2017) e diversi racconti su varie testate, tra le quali la rivista Inkroci e le collane da edicola Urania e Segretissimo di Mondadori.

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17 giugno 2023 6 17 /06 /giugno /2023 08:48
Douglas Preston, Lincoln Child, Senza sangue

Senza sangue (Bloodless, nella traduzione di Rosa Prencipe) a firma di Douglas Preston e Lincoln Child, pubblicato da Rizzoli, nel 2022, è l'ultima puntata della saga dell’agente speciale Aloysious Pendergast, della sua pupilla Constance Green e dell’agente FBI Coldmoon, sempre in attesa di assegnazione definitiva e divenuto, nel frattempo, la "spalla" di Pendergast.
I due, reduci da una precedente indagine, volano a Savannah, città di antiche origini e capitale della Georgia, per indagare su due misteriosi omicidi, le cui vittime sono state rinvenute totalmente dissanguate (Udite! Udite!).
Sembra riattivarsi e diventare realtà la leggenda del “vampiro di Savannah” (esiste un ciclo fiction sui "Vampiri di Savannah" scritto da una Raven Hart), ma la verità si rivelerà ancora più perturbante.
La premiata ditta Preston-Child ritorna con questo romanzo alle tematiche horror dei suoi primi romanzi, come ad esempio il magistrale ed insuperato Relic o il fantastico Reliquary.
Preston&Child ci daranno altre puntate della saga con i loro personaggi preferiti?
Io penso proprio di sì! 
Staremo a vedere e aspettiamo fiduciosi, chi sa con quali effetti a sorpresa e con quali cambi di personaggi avremo modo di confrontarci!
Le opere di Preston e Child sono - come ho già detto diverse volte - non ben catalogabili dentro un genere specifico, sia esso horror, thriller o poliziesco o mistero.
Appartengono, tuttavia, a pieno diritto al genere del feuilleton ovvero del romanzo d'appendice, tanto celebrato da Umberto Eco, e si allineano quindi nella tradizione di Dumas, del nostro William Galt, di Maurice Leblanc o dei creatori di personaggi come Fantomas (Alain Souvestre e Pierre Alain) o Rocambole.

Letteratura di intrattenimento allo stato puro!


(In sovracoperta) Il vampiro di Savannah: una vecchia leggenda sembra aver preso vita e lascia una scia di vittime. Un nuovo caso per l'agente Pendergast.
(Risguardo) Un fermacravatta, otto mozziconi di sigaretta e un castello di teorie. È ciò che si lascia dietro il dirottatore del volo Portland-Seattle che il 24 novembre 1971 ha preso in ostaggio i passeggeri, liberandoli solo a fronte di 200.000 dollari di riscatto. Rimasto sull’aereo, ha poi ordinato al pilota di fare rotta verso Città del Messico e si è paracadutato scomparendo nella notte. 
Mezzo secolo dopo, in Georgia, l’agente speciale dell’FBI Aloysius Pendergast e il collega Armstrong Coldmoon raggiungono Savannah per affiancare la polizia locale in un’indagine dai risvolti raccapriccianti: sono stati rinvenuti due cadaveri svuotati del sangue fino all’ultima goccia. Le notizie corrono veloci e la gente ha paura, pretende risposte. Vengono riesumate vecchie leggende che attirano sul posto ciarlatani e fanatici dell’horror, qualcuno sostiene che il Vampiro di Savannah sia tornato. Mentre la psicosi dilaga e il bilancio delle vittime aumenta, i continui colpi di scena imprimono alle indagini una traiettoria impensata portando Pendergast a immaginare, con l’occhio scaltro del federale che non dimentica i vecchi casi irrisolti, uno scenario che potrebbe collegare questi omicidi all’unico dirottamento aereo rimasto insoluto nella storia degli Stati Uniti.

 

Gli autori
Douglas Preston (1956) è uno scrittore statunitense, famoso per aver scritto bestseller appartenenti al genere techno-thriller e horror, alcuni scritti in collaborazione con Lincoln Child. 
Lavora per le riviste «The Atlantic Monthly», «The New Yorker», «Harper's Bazar» e «National Geographic» dove pubblica articoli riguardanti l'archeologia.
Insieme a Lincold Child ha firmato successi come La stanza degli orrori, Ice Limit, Maledizione, Marea, Dossier Brimstone, Relic, Due tombe, La mano tagliata, Labirinto blu, La costa cremisi, La stanza di ossidiana. Il loro romanzo più venduto è Il libro dei morti.
Dal 1978 al 1985 Preston ha lavorato come scrittore, editor e direttore editoriale per conto dell'American Museum of Natural History di New York.
In collaborazione con lo scrittore italiano Mario Spezi ha scritto sul caso del mostro di Firenze con Dolci colline di sangue. Nel 2019 esce L'uomo che scrive ai morti (Rizzoli) scritto con Lincoln Child.
Vive nel Maine con la famiglia.
Lincoln Child (1957) è editor, saggista e scrittore americano. Molti dei suoi thriller sono stati scritti in collaborazione con Douglas Preston. Tra questi ricordiamo: L'isola della follia, Sotto copertura, Le porte dell'inferno, Labirinto blu, La costa cremisi. Sempre con Douglas Preston nel 2019 esce L'uomo che scrive ai morti (Rizzoli).

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13 giugno 2023 2 13 /06 /giugno /2023 10:55
Bill Clegg, Novanta giorni, Il Saggiatore

Novanta giorni (Ninety Days, nella traduzione di Sara V. Barberis), pubblicato da Il Saggiatore, nel 2013, è un libro memoir di Bill Clegg, noto agente letterario e scrittore statunitense, una preziosa testimonianza che si pone come seguito ideale dell’autobiografico “Ritratto di un tossico da giovane” (Einaudi) dello stesso autore.
Se in quest'ultimo testo vi è la storia dell'evolversi di una grave forma di dipendenza patologica in cui si intrecciano abuso di sostanze ed eccessi sessuali e della descrizione lucida del modo in cui si strutturano e si mantengono le "abbuffate" di droga e sesso, con l'evolversi di gravi manifestazioni psicopatologiche (tipiche di chi fa uso massiccio di sostanze stimolanti di tipo dopaminergico in maniera massiccia e in un arco di tempo limitato, con subentranti assunzioni), in "90 giorni" troviamo l'altra faccia della medaglia e cioè, dopo un periodo di permanenza prolungato in una struttura riabilitativa residenziale in cui Bill è stato tenuto controllato e protetto, in sostanza avulso dal contesto sociale, il difficile percorso verso la sobrietà nella condizione di chi è ora "libero", nel senso di essere costretto a fronteggiare tutti i dilemmi dell'autodeterminazione: qui, dunque, la sobrietà è uno stato che non deriva semplicemente dall'astenersi dall'uso di sostanze (e di tutti i comportamenti correlati), ma dalla capacità (tutta da costruire) di combattere le forze interiori e i riflessi condizionati che spingono verso la ricaduta (relapse, come si dice in Inglese).

Alcuni passaggi sono eloquenti, come quello a pag. 92 (e seguenti) in cui Bill descrive la sua terza ricaduta.

"Anche se passano otto ore dalla telefonata iniziale, nulla mi distoglie dalla droga. E' come se avessi premuto un interruttore e fossi in pilota automatico. Nessuna telefonata, ripensamento o pensiero delle conseguenze può dissuadermi dal consumare droga".
 

E, in un attimo, undici giorni di sobrietà, si annullano e Bill deve ricominciare il conteggio da zero.
 

Come già con il suo prequel, ci troviamo di fronte ad una narrazione autobiografica tesa e vibrante, a tratti anche dura, senza sconti per il lettore (e nemmeno per colui che scrive che si mette a nudo sino all'osso, senza pudore, affrontando catarticamente la piena confessione, sino ai dettagli più scioccanti) e che consente di guardare con lucidità sin nelle pieghe più riposte della mente di un tossico in riabilitazione che - come in un gioco dell’oca - percorre la sua via verso la stabilizzazione dall’uso di ogni droga, costellata di trappole e di fallimenti, alla ricerca della sua prima meta (che non sarà mai quella definitiva) e cioè del raggiungimento dell'obiettivo di novanta giorni consecutivi di astensione dall'uso di qualsiasi droga (incluso l'alcool) ovvero di "sobrietà" che una delle parole cardine di A.A.. Da qui il titolo.
Dietro questo doloroso (e faticoso) percorso che si muove all'interno della filosofia degli Alcoolisti Anonimi (A.A.) (che, con piccole variazioni ed aggiustamenti, può essere applicata a tutte le diverse forme di dipendenza patologiche, ivi incluse quelle non farmacologiche: e si veda a tal riguardo un libro - pure memoir - di recente pubblicazione, dal titolo "Azzardo" che racconta la storia di una donna dedita al gioco con le slot e soccombente ad una devastante dipendenza) c’è la ricerca della Verità - per quanto dolorosa possa essere - e della solidarietà di altri e verso altri con i quali si condivide lo stesso percorso.
Ogni tossicodipendente sarà per il resto della sua vita “riabilitazione” e la sua sobrietà dipenderà esclusivamente dalla capacità di comunicare senza infingimenti e menzogne le proprie difficoltà e le proprie debolezze all’interno della complessa relazione che si viene a creare tra il tossico in riabilitazione, il proprio sponsor e altri tossici che magari stanno peggio e nei cui confronti può attivarsi il senso di responsabilità e la sollecitudine (secondo il modello originario scaturito dall'incontro di due alcolisti (tra i quali il co-fondatore Bill W.) che avevano smesso di bere e cercavano di mantenere la propria sobrietà). 
Tutto questo mediato dalle “stanze” dove avvengono le riunioni di auto-aiuto in cui si concretizza la filosofa degli AA con molteplici occasioni di incontro, di confronto e di discussioni, in cui ciascuno è incoraggiato a partecipare, mantenendo l'anonimato e che poi diventano anche delle stanze mentali, profondamente interiorizzate.
Novanta giorni é, infine, un libro che può interessare chiunque perché ragiona dell’importanza estrema della ricerca della verità nelle relazioni interpersonali.


(Risguardo di copertina) Novanta giorni è l'obiettivo. Novanta giorni puliti per uscire dal buio, solo novanta giorni. La sostanza di Bill è il crack. Ma le crisi di astinenza, le ricadute, il rehab si ripetono per ogni dipendenza. Novanta giorni è infatti la storia di chiunque sia caduto, almeno una volta, in quella spirale. È la storia di persone interrotte che insieme cercano di mettere ordine nelle loro vite. I nuovi amici di Bill sono ex tossici che provano, un giorno alla volta, a non farsi. Una comunità che si incontra, discute, partecipa a riunioni settimanali, s'incoraggia con entusiasmo sportivo e premura fraterna, una rete di solidarietà che condivide un obiettivo: la libertà dai lacci della compulsione. Legami che per il vecchio Bill, brillante agente letterario diviso fra cocktail mondani e attici sulla Fifth Avenue, sarebbero stati impensabili. Nei reticoli di Manhattan si incrociano i destini di Polly, insegnante elementare cocainomane, che non riesce a smettere perché vive con la sua gemella Heather che ancora si droga; Lotto, figlio adottivo di una coppia di gioiellieri ebrei, che ha girato dodici centri di riabilitazione e pensa di poter prendere in giro la vita ancora una volta; Asa, giovane studente, rosso di capelli, innamorato di Bill, salvifico e silenzioso. E Bill, che grazie ai suoi nuovi amici impara a raccontare la verità, la sua verità.
 

Bill Clegg

L’autore. Bill Clegg, agente letterario americano, è autore dei memoir Ritratto di un tossico da giovane (Einaudi, 2011) e 90 giorni (Il Saggiatore, 2013). Il suo primo romanzo, Mai avuto una famiglia (Bompiani, 2016), è stato selezionato per il National Book Award, il Man Booker Prize, la Andrew Carnegie Medal ed è stato definito uno dei migliori libri del 2015 tra gli altri dal Library Journal, da Booklist, dal Guardian, da Kirkus Reviews.

Bill Clegg, Ritratto di un tossico da giovane, Einaudi

Questo memoir che racconta la storia tossicomanica di Bill Clegg, prima che entrasse nel mondo della riabilitazione, è interessante, ma è una lettura davvero faticosa, capace di mostrare, quasi al microscopio i meccanismi e le dinamiche interiori che scattano quando uno è preso dalla voglia smodata e irrefrenabile di consumare la sua droga preferita e, in questo caso, si tratta del "crack", che - in forma di cristalli - si fuma in apposite pipette con il principio attivo che, in funzione della manipolazione chimica che ha subito per essere tramutato in cristalli, penetra la barriera emato-cerebrale, provocando degli effetti massivi e rapidissimi che, dopo poco svaniscono. Da qui la tendenza del consumatore di rimanere intrappolato nel meccanismo devastante del craving che lo spinge verso un consumo ripetuto a brevissimi intervalli di tempo, magari con la contemporanea assunzione di alcool e di altre sostanze psicoattive.
La dipendenza dal crack è una delle più devastanti in assoluto, poiché il consumatore immerso in un modello di consumo detto anche drug-binge (parola che che in italiana può essere tradotta con "abbuffata") è capace di spendere nel giro di pochissimo tempo quantità enormi di denaro, indebitandosi sino al collo ed incurante delle conseguenze su se stesso e sugli altri, familiari, parenti e amici.

E, naturalmente, il memoir di Bill Clegg è intessuto anche di ricordi antichi (storie infantili ed adolescenziali), il che è corretto, poiché il percorso che porta una persona (e in questo caso è Bill) a coinvolgersi in esperienze di uso dipendente di sostanze psicoattive, nasce da lontano, dalle dinamiche familiari, dal modo in cui si è costruito il rapporto con il corpo, da come si sono svolte le prime esperienze di masturbazione (e, soprattutto, se queste hanno assunto un carattere compulsive e sono state oggetto di un non-detto).
 

«L’orrore strisciante delle ultime settimane: ricascarci; mollare Noah, il mio ragazzo, al Sundance Film Festival quasi una settimana prima; mandare una e-mail alla mia socia in affari, Kate, dicendole di fare quello che le pareva della nostra attività, che io non sarei tornato; entrare e subito uscire da una clinica di riabilitazione di New Canaan, nel Connecticut; passare una sfilza di notti all’hotel 60 Thompson per poi buttarmi a capofitto nello scabroso clima drogato dell’appartamento di Mark, con gli sbandati che rimediano un po’ di crack gratis quando qualcuno organizza un’abbuffata. L’orripilante film dei miei recenti trascorsi mi balena dietro le palpebre, e il futuro senza una bustina, nella consapevolezza che passeranno ore prima di vederne un’altra, si staglia con l’evidenza del nuovo giorno che sorge».

Come Bill Clegg, giovane agente letterario di successo, si lascia travolgere dalla tossicodipendenza e perde tutto, dal lavoro agli affetti, sprofondando in una vita fatta di mille alberghi tutti uguali, voli aerei mai presi, avidità e paranoia, incontri maschili e sesso consumato senza ombra di passione.
Un memoir lacerante: l'esplorazione di una deriva cieca, narrata senza facili giustificazioni e priva di autocompiacimento.
La storia di una dipendenza assoluta, senza un vero perché.
Una discesa negli abissi della paranoia, raccontata con l'implacabile precisione ed eleganza della grande letteratura.

Di quest'opera hanno detto

«Bill Clegg ha scritto un memoir snello, teso, rutilante. Anche se sappiamo da subito come dovrebbe finire la storia, è difficile credere che il protagonista riuscirà a sopravvivere all’ordalia che descrive con tanta, terrificante ricchezza di dettagli».
Jay McInerney

«Questa storia di un uomo – quasi sempre rinchiuso in camere d’albergo e impegnato in una guerra straziante con se stesso – è destinata a diventare un vero e proprio classico della letteratura sulla droga».
Irvine Welsh

Alessandra Mureddu, Azzardo, Einaudi

Azzardo di Alessandra Mureddu (Einaudi, Collana "Gli Unici, 2023) viene presentato come un romanzo per il quale vige la formula “ogni riferimento a persone esistenti e a persone è puramente casuale”.

Ma, in realtà, si tratta di una storia fortemente autobiografica, come del resto ha rivelato l’autrice in successive interviste.
C’è il racconto di anni e anni di dipendenza dal gioco d’azzardo (che oggi con una recente definizione onnicomprensiva viene definito "ludopatia"), soprattutto da quello istantaneo e fulmineo delle macchinette, ovvero dalle slot machine.
Sono descritti nel libro tutti i passaggi di un’esistenza votata al gioco e alla dissipazione, apparentemente alla ricerca della vincita e della mitica cascata di monetine, ma in realtà dolorosamente porterà verso la sconfitta e la ripetizione coatta di questa esperienza.
Tutti i momenti e i passaggi vengono ritratti lucidamente nella loro essenza, compreso il disfacimento esistenziale che fa da inevitabile corteo alla ludopatia, come a quasi tutte le altre forme di dipendenza patologica.
È una lettura faticosa e dolente, per alcuni versi irritante.
Io stesso che ho lavorato per quasi tutta la mia vita professionale a contatto con le dipendenze patologiche e che dovrei avere gli strumenti per comprendere mi sono sentito fortemente irritato dal racconto, soprattutto dalla debolezza intrinseca di questa donna incapace di resistere al richiamo del gioco.
Come recita il Verbo degli Alcolisti Anonimi, applicabile a tutte le forme di dipendenza, soltanto il riconoscimento quotidiano della propria debolezza e della propria inemendabile condizione di dipendente possono essere d’aiuto nel fronteggiare - giorno dopo giorno - il richiamo illusorio dell’oggetto della dipendenza e dunque proteggere dallo spettro della ricaduta.

L’astinenza va conquistata giorno dopo giorno senza lasciarsi mai travolgere dalla hybris, con l'aiuto di un'implacabile ricerca della Verità, davanti a se stessi e davanti agli altri.

 

Per me si è trattato di una lettura di studio piuttosto che di svago o intrattenimento.

 

 

(Soglie del testo) «Entro nella sala col passo trionfale di chi va a riprendersi il mondo. Le banconote da cinquanta, a colpi di un euro al secondo, spariscono nella fessura una via l’altra. Le conchiglie, quando escono, fanno pof, come lo schiocco di labbra di un pesce».

A quarantun anni, nella pienezza della propria vita, una donna decide di salvare il padre, avvocato e giocatore patologico. E salvarlo significa addentrarsi nel mondo delle sale da gioco: un mondo senza finestre in cui non si distingue il giorno dalla notte, e neppure chi vince da chi perde, perché ogni vincita è destinata a finire nella fessura della slot: se ti è andata bene vorrai vincere di piú, se stai perdendo continuerai a giocare per rifarti. Cosí, la figlia che voleva salvare il padre si ritrova a dover salvare se stessa dalla malattia del gioco, che la trascina in un gorgo senza fine. Il conto si svuota, i capelli si imbiancano, il corpo sparisce sotto una larga tunica nera. Le relazioni, gli amici, i colleghi, la famiglia: tutto viene intaccato in nome di questa febbre morbosa. Gli ori di famiglia rubati ai genitori e svenduti nei «Compro oro» per una manciata di contanti da dilapidare in fretta.

Se può esserci salvezza, passerà forse dai Dodici Passi del Programma di recupero per i Giocatori Anonimi, ma le ricadute eroderanno ogni volta qualcosa di piú profondo. O forse la salvezza s’insinuerà in un sogno o in un piccolo gesto come quello del padre nella pagina finale del libro.

A raccontare questa storia, la sua storia, è una donna che ha superato da poco i quarant'anni. La sua voce è esatta, limpida, dura, il suo sguardo senza filtri. La sua mano non fa che infilare banconote nella fessura delle slot e premere il tasto start, per anni. Mentre la sua vita va a rotoli, lei aspetta «l'eco prolungata del solfeggio, le schegge di luce che si propagano al monitor». Perché ogni vincita è un battito in piú nel petto. Alessandra Mureddu racconta dall'interno, con una scrittura infiammata, potentissima, un mondo che pochi conoscono, eppure descrive un sentimento in cui è impossibile non rispecchiarsi: la dipendenza di cui parla - che passa dalle macchinette alle relazioni sessuali e affettive, al padre, al cane, e potrebbe estendersi a qualsiasi cosa - è il segno del nostro tempo. Azzardo è uno sfolgorante e feroce romanzo su ciò che abbiamo di piú umano: le nostre debolezze.

 

Per approfondire sui temi del gioco d'azzardo rinvio a questi miei articoli su questo stesso blog

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6 giugno 2023 2 06 /06 /giugno /2023 08:44
Robert Heinlein, Non temerò alcun male, Bompiani

Nel 1970 Robert Heinlein, uno dei più grandi maestri della SF pubblicò un opera che si colloca tra quelle in cui egli riflette sul fine vita, Non temerò alcun male (I Will Fear No Evil), il cui titolo originale è tratto dal Salmo 23:4 della Bibbia. Ricordo che lo lessi (lo divorai) nella forma di un tascabile Bompiani (uscito nel 1977) e, in effetti, la sua prima edizione italiana era stata fatta da Bompiani, nel 1972

Qui, in un mondo sovrappopolato nel XXI secolo, un tycoon, molto anziano e gravemente ammalato decide di avvalersi di un'avveniristica tecnologia per sfuggire al destino che l'attende e che gli consentirà di trasferire la sua mente in un corpo giovane.

Johann Sebastian Bach Smith, nato come Schmidt, ormai novantenne e decrepito, è tenuto in vita da un supporto medico, sicché decide di far trapiantare il proprio cervello in un nuovo corpo, offrendo un milione di dollari ai congiunti di un donatore in stato di morte cerebrale.

Non appena le circostanze lo consentono viene effettata l'operazione (a Heinlein non interessa dare spiegazioni tecnologiche sul perché e sul per come sia possibile compiere una simile cosa, non si sofferma sui dettagli tecnici: dice che è possibile e basta. E il lettore deve seguirlo). Le circostanze per dar corso alla "rinascita" di Schmidt sono che sia disponibile un corpo recipiente, in buona salute e in stato di morte cerebrale: la sorte vuole che il corpo donatore sia quello di una giovane donna che è Eunice Branca, sua segretaria che è stata uccisa da un balordo, e Schmidt nelle clausole del contratto avevo omesso di specificare controindicazioni circa il sesso del recipiente.
Quindi, al suo risveglio, Schmidt si ritrova dentro il corpo di una donna e, per giunta, molto avvenente e desiderabile.

Robert Heinlein, Non temerò alcun male, Bompiani (tascabili), 1977

Inizia così a vivere una nuova vita, avendo assunto l'identità di Joan Smith, guardando il mondo attraverso gli occhi di una donna, ma rimanendo uomo di esperienza e di appetiti sessuali assolutamente rinvigoriti (anche se orientati per necessità di cose verso il sesso maschile). Questo genera delle situazioni a volte imbarazzanti, a volte comiche, soprattutto quando egli si ritrova a confrontarsi con il suo più fedele collaboratore che è il suo avvocato di sempre Jakob Moshe Solomon) ed è nel fiore degli anni. Da donna (con quell'alchimia ormonale) si ritrova a desiderare un contatto sessuale con lui, ma la sua mente è quella di un uomo: insomma, Schmidt dovrà confrontarsi con grandi difficoltà interiori, sino a compiere il grande passo, dopodiché finirà per sposarlo.

Molti interrogativi restano aperti, tuttavia: cede a questo impulso perché è il corpo da donna che vuole così, oppure è lui - ancora uomo nella mente - che in modo inatteso - scopre delle valenze omosessuali dentro di sé?

Sin dall'inizio le cose si complicano ancor di più, poiché  probabilmente per via della persistenza della mente che aveva abitato quel corpo, la personalità del corpo recipiente si risveglia, iniziando un dialogo con Schmidt, prima occasionale e a sprazzi, poi sempre più costante e serrato.
Quindi, nel rapporto (che presto diventa stabile relazione) con l'uomo sono adesso in due ad interagire con una fantasmagoria di effetti. Il costante dialogo con Eunice Branca, aiuta Schmidt a destreggiarsi nella sua nuova identità.

E, alla fine, colpo di scena finale, Jakob Moshe Solomon muore all'improvviso per un ictus e, per una strana alchimia (anche qui Heinlein non ci fornisce alcuna spiegazione) entra nel corpo di Eunice Branca che già ospita la mente di Schmidt e quella di Eunice e quindi nel finale si trovano tutti e tre assieme a dialogare e a confrontarsi.
 

Ricordo che questo romanzo mi entusiasmò, al pari di "Straniero in terra straniera" che lessi subito dopo: ma questo forse ancor di più, perché Heinlein affrontava il tema del fine vita e dell'immortalità che del resto compare in altre opere come in Lazarus Long, l'immortale oppure nel precedente I figli di Matusalemme.

E qui si tratta di un Heinlein più maturo che affronta i grandi temi filosofici della vita e della morte, ben lontano da quello delle prime opere "spaziali", tipo "La fanteria dello spazio", considerato una vera pietra miliare nel contesto della Space Opera militare.

Perché tutta questa tiritera su Heinlein?

Ieri, scartabellando Netflix, mi sono imbattuto tra i new release in un film non troppo recente (USA, 2015) il cui titolo è "Self/less", con un buon cast di attori e di buona fattura.

Le battute d'inizio della pellicola mi hanno fatto pensare irresistibilmente a "Non temerò alcun male", perché anche qui un ricco tycoon, ammalato gravemente, con metastasi diffuse e destinato a morire di lì a poco, decide di rivolgersi ad una società (quasi clandestina e solo da pochi conosciuta per via del passaparola) che si rivolge ad una audience di clienti facoltosi e motivati per aiutarli a sopravvivere alla propria prossima morte. 

Self/less

L'industriale ultramilionario Damian Hale, maestro nell'arte del potere, allontanato dalla figlia Claire, si scopre malato di cancro. Di fronte alla propria malattia terminale, viene a sapere di un'organizzazione scientifica segreta che gli propone la creazione in laboratorio di un corpo sano in cui la sua brillante mente potrà continuare a vivere, secondo gli studi di transumanesimo del professor Jensen. Dopo aver inscenato la sua morte pubblica di fronte all' amico Martin O'Neil e al mondo, Damian si sottopone alla procedura si trasferimento della sua mente in un corpo giovane (che ritiene sia stato clonato), detta "shedding", risvegliandosi secondo le promesse in un nuovo corpo giovane. Successivamente ad un periodo di riabilitazione, inizia la sua nuova vita, dovendo però dipendere dall'organizzazione che gli fornisce misteriose pillole antirigetto avvisandolo di possibili allucinazioni post intervento che presto tuttavia spariranno.


La parte iniziale del film potrebbe essere stata presa di peso dal romanzo di Heinlein, anche se poi i dettagli e l'evoluzione successiva divergono fortemente dal modello originario. 

Poi, tuttavia, la storia di Self/less diverge radicalmente da quella raccontata magistralmente (e con grande ironia) da Robert Heinlein. Cosa accomuna, in realtà, il romanzo e questo film (come anche un altro film simile che mi è capitato di vedere recentemente sempre su Netflix e di cui in questo momento - sfortunatamente - non ricordo il titolo)?

Simbolo del Transumanesimo

Credo che sia il tema del "transumanesimo" (ovvero del "Transhumanism") di cui questa, presa da wikipedia, è una possibile - sintetica definizione: Il transumanesimo (o transumanismo, a volte abbreviato con >H o H+ o H-plus) è un movimento culturale che sostiene l'uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l'invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana.

Quando Heinlein scrisse il suo libro di transumanesimo ancora non si parlava del tutto e il termine non era stato nemmeno coniato: e, quindi, egli è stato, da questo punto un autentico precursore e un visionario. Ma questa è, del resto, l'essenza della più pura declinazione della SF.

Ho trovato in rete, un articolo in cui, nel contesto di considerazioni più ampie, viene tracciato un parallelismo tra "Non temerò alcun male" e il transumanesimo: 

"La scienza sta vivendo oggi un pericolo crescente: quello di trasformarsi in tecnoscienza tendente ad abbandonare l’approccio olistico del disallineamento fisico della persona umana e ad eliminare il rapporto medico-malato. Stanno aprendosi varchi di consenso a teorie che si inscrivono nella corrente del Transumanesimo  ipotizzante un trasferimento dei dati di coscienza degli umani dentro una memoria delocalizzata totalitaria, una specie di titanico CLOUD da utilizzare per una successiva reviviscenza del contenuto di una mente dentro altri corpi e/o dispositivi esogeni. Sul tema, fanno pensare le implicazioni tecno-etiche dello scrittore di fantascienza Robert Heinlein nel suo memorabile libro NON TEMERO’ ALCUN MALE nel quale viene narrata la cascata di effetti collaterali rivenienti da un trapianto di cervello di un uomo in un corpo di donna. Il Transumanesimo sta per essere a sua volta sorpassato a sinistra dalla corrente dell’INTRASPECISMO  dove la differenza tra umani e animali scompare in nome della eliminazione del pensiero antropocentrico..."1

Il film non tributa nessun credito letterario, d'altra parte. C'è da dire anche che la SF letteraria, nel corso degli anni, ha creato dei modelli che sono entrati con forza nell'immaginario collettivo e che, quindi, poi finiscono per permeare in modo originale altre opere oppure danno vita a nuovi modi di vedere, senza che si abbia più alcuna consapevolezza della loro scaturigine.

Guardate questo film (che merita), ma soprattutto leggete il romanzo di Heinlein!

 

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Note

1. Tratto dall'articolo Gli effetti delle pandemie e la tecnoscienza che incombe (dettiescritti.it). Maiuscoletti nel testo originario.

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1 giugno 2023 4 01 /06 /giugno /2023 11:00
Andreas Eschbach, Miliardi di tappeti di capelli, Fanucci

Miliardi di tappeti di capelli (titolo originale: Die Haarteppichknüpfer, nella traduzione di Robin Benatti), è stato il primo romanzo di Andreas Eschbach, portato a termine dopo anni di lenta gestazione, pubblicato nel 1996, ma lanciato in traduzione italiana da Fanucci (Immaginario Solaria) soltanto nel 2002.

 

Dalla prefazione dell’Autore: “Miliardi di tappeti di capelli è una di quelle storie che si portano a termine come se cadessero dal cielo. Sono un dono, perché prendono luce da un momento all’altro e bisogna solo metterle su carta
(…)
“È una storia di tessitori di capelli. Non posso promettervi che l’amerete. Non posso nemmeno promettervi che vi piacerà.
“Posso solo farvi una promessa: non la dimenticherete, mai.

In effetti è proprio così.

Il racconto tratta della storia di una vera e propria casta "privilegiata" di fabbricanti di tappeti di dimensioni standard (all'incirca 2 metri per 2 metri) che essi tessono, impiegando per un singolo tappeto l'intero arco della propria vita, con i capelli delle proprie mogli, concubine e figlie. Questa abilità viene tramandata dal padre al figlio maschio primogenito (gli altri figli maschi dovranno essere uccisi o sacrificati) e si pone al confine tra la dimensione artigianale ed una prettamente religiosa, eseguita a maggior gloria dell'Imperatore di tutto l'universo conosciuto; i manufatti vengono consegnati al fine di addobbare il palazzo dell'Imperatore. In questa società quasi medievale, il ruolo dei singoli è fissato rigidamente sin dalla nascita, e su di essi veglia la figura divina ed imperscrutabile dell'Imperatore, immortale, inarrivabile e da cui dipende ogni cosa del creato.
Lentamente nel corso del romanzo si dipana una trama complessa e coinvolgente, in cui brevi episodi, apparentemente slegati dal contesto generale fanno da viatico e da perno alla narrazione generale, contribuendo ad affascinare e trascinare il lettore verso la sorprendente conclusione.

 


É una storia che pur avendo alcuni spunti da space opera si propone al lettore con numerosi rimandi borgesiani (e soprattutto alla sua infinita "Biblioteca di Babele"), come sottolinea Robin Benatti nella sua postfazione: è vertiginosa l’idea di un impero che si estende a tutta la galassia e che a dominato centinaia di migliaia di mondi abitati in un arco di tempo di 250.000 anni guidato da imperatori che sono mantenuti in vita per migliaia di anni, mentre gli abitanti delle diverse migliaia di mondi sono tutti piegati alla missione di fabbricare tappeti usando i capelli delle mogli e delle figlie, uniti nell’eternità in un’unica insensata missione, sino a quando l’imperatore sarà in vita e la sua dinastia si perpetuerà.
In queste pagine riecheggia anche qualcosa di kafkiano e il rimando che mi è venuto spontaneo fare è stato a "Un messaggio dell'Imperatore".
La narrazione si articola in una serie di racconti, tutti embricati tra loro e intessuti nel filo conduttore di questo impero galattico in cui tutti i sudditi che vivono sparsi in centinaia di migliaia di mondi sono accomunati da questa unica missione che è quella di fabbricare questi mirabili tappeti di capelli umani.
Tutto, qualsiasi evento e aspetto organizzativo della vita è finalizzato a questo scopo.
Il testo offre, ovviamente, una riflessione profonda su come il Potere si regga spesso spesso su di una mistica leggendaria che finisce con il formattare tutti gli aspetti dell'Etica, della Morale e del pensiero religioso e come tutti questi aspetti possano finire con l'auto-mantenersi anche quando il loro motore primo ha smesso di esistere.
Quando agli abitanti di questo o di quel pianeta viene comunicato che l'Impero non esiste più e che l'Imperatore non governa più le loro vite, così come è stato negli ultimi 250.000 anni, i suoi abitanti stentano a credere ad una simile notizia e vogliono continuare a condurre la loro vita come hanno sempre fatto, a loro memoria, cioè fabbricando tappeti di capelli umani, con il pensiero che periodicamente delle astronavi verranno a prendere i tappeti ultimati per portarli al centro dell'Impero, dove adorneranno il Palazzo dell'Imperatore.
Solo alla fine del romanzo avverrà il disvelamento del perché e del per come l'Impero abbia preso questa via.
Ed è anche un finale ingegnoso quello che attende il lettore: un finale che non ha alcun significato evolutivo, ma che rappresenta soltanto la conclusione di un apologo o di un grande affresco allegorico.


(Risguardo di copertina) Miliardi di tappeti di capelli: Da tempo immemorabile, in un mondo lontano, alcuni uomini tessono tappeti annodando i lunghi capelli delle figlie e delle consorti. Nel corso della vita ogni tessitore porta a termine un solo tappeto, e l'arte viene trasmessa in eredità dal padre al discendente maschio, fin dall'inizio della Storia. I tappeti, miliardi di tappeti, sono destinati all'imperatore divino, suprema autorità del cosmo, per adornare il suo palazzo. Ma qualcosa sta cambiando: giungono voci inquietanti, forse dei ribelli hanno osato sfidare l'imperatore. Il dubbio si insinua in una società arcaica e immobile, e una realtà nuova si appresta a lacerare costumi e tradizioni immutabili.

 

Andreas Eschbach

L'Autore. Andreas Eschbach (Ulma, 15 settembre 1959) è uno scrittore tedesco, noto per la sua produzione fantascientifica.

Eschbach ha studiato ingegneria aerospaziale all'università di Stoccarda e in seguito ha lavorato come ingegnere del software.

Ha iniziato a scrivere dall'età di 11 anni. La sua prima pubblicazione professionale è stata il racconto breve Dolls, pubblicato nel 1991 dalla rivista tedesca di computer C't. Nel 1994 ha ricevuto la borsa di studio della Fondazione Arno Schmidt assegnata ai nuovi scrittori tedeschi di grande talento.

Tre dei suoi romanzi hanno vinto il Kurd-Laßwitz-Award, uno dei premi più prestigiosi nell'ambito della fantascienza tedesca. Ha ricevuto inoltre numerose volte il Science Fiction Club Deutschland, premio del fandom, tanto che nel 2000 ne è stato escluso per manifesta superiorità sui concorrenti.[senza fonte]

Alcune sue opere sono state tradotte in numerose lingue, inclusi inglese, francese, italiano, russo, turco e giapponese. Nel 2002 il suo romanzo Lo specchio di Dio è stato adattato per la televisione tedesca. Nel 2003 l'opera Eine Billion Dollar è stata adattata per la radio.

Vive nei pressi di Stoccarda ed è tuttora attivo come scrittore.

E' autore di una ventina di romanzi e di alcuni racconti, oltre che di opere destinate ad un pubblico giovanile. Dei romanzi soltanto pochi sono sinora tradotti in lingua italiana.

Lo si può sicuramente considerare uno dei maggiori - se non il più grande . scrittori di SF in lingua tedesca.

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25 maggio 2023 4 25 /05 /maggio /2023 09:10
David Quammen, Senza respiro, Adelphi, 2022

Spillover. L'evoluzione delle pandemie (Adelphi) di David Quammen venne scritto e pubblicato in lingua originale attorno al 2013, presentandosi per alcuni versi come un testo profetico rispetto a quanto si sarebbe verificato di lì a pochi anni. Con Senza respiro. La corsa della scienza per sconfiggere un virus letale (Breathless. The Scientific Race to Defeat a Deadly Virus, nella traduzione di Milena Zemira Ciccimarra), pubblicato da Adelphi (Fabula), nel 2023, costruisce un seguito a quel volume, raccontando i modi attraverso cui la pandemia da Coronavirus si è sviluppata, estendendosi a tutto il globo terracqueo e della corsa "senza respiro" compiuto dalla comunità scientifiche per identificare il virus e sequenziarlo, arrivando in tempi brevi (impensabili in altri tempi) a costruire dei vaccini. Cosa che non sarebbe stata possibile senza un lavoro intenso in altre direzioni condotto negli anni precedenti dai genetisti e dai virologi, le cui risultanze sono state messe a frutto ed applicate a questo caso particolare.
Questo saggio divulgativo, ma di ottimo livello, è scaturito da materiali di prima mano raccolti in approfondite interviste con biologi, virologi, genetisti, cerca di tirare le fila di tutto ciò che si sa sulla pandemia da Sars-CoV-2, dal suo esordio sino alla più recente evoluzione con la variante omicron.
Al pari di “Spillover”, anche questo saggio si legge come un romanzo che lascia il lettore avvinto alle pagine, tenendolo quasi “senza respiro”.
Si apprendono molte cose a cui i media non hanno dato il necessario risalto, altre vengono collocate in una corretta prospettiva, nel pieno rispetto dialettico delle diverse posizioni.
Quammen ci fornisce riflessioni, fatti, dati, lasciando a noi lettori il compito di trarre le conclusioni per quanto provvisorie.
Molto spazio viene dato all’origine del virus responsabile dell’attuale pandemia (da dove viene? Dove va?), toccando anche la vexata quaestio sulle sue possibili origini da una manipolazione in laboratorio, sfuggita di mano.
Certo è che la pandemia da Sars-CoV-2 è nata come una tempesta perfetta, a partire da una condizione di particolare adattabilità del virus a molte specie diverse di mammiferi (come evidenzia l'autore riportando un'ampia casistica e tutte le evidenze laboratoristiche, come ad esempio l'identificazione del "sito di scissione della furina" ed è altrettanto vero che dovremo convivere con esso ancora per molto tempo, poiché - come ci viene rammentato in uno dei capitoli più avvincenti - vi sono delle evidenze particolarmente significative sul fatto che il virus abbia innestato nel corso della pandemia un suo “ciclo silvestre” stante appunto la sua grande adattabilità a diverse specie di mammiferi selvatici.
Per esempio, si legge in uno degli ultimi capitoli: 
Questo virus ci accompagnerà per sempre. Sarà negli esseri umani - sempre da qualche parte - e sarà in alcuni degli animali che ci circondano. ‘Mai dire mai’ é una regola di buon senso, ma nessun esperto oggi può dirci in che modo potrà mai essere debellato il Sars-CoV-2. Nonostante decenni di sforzi non abbiamo debellatoné la polio né il morbillo, due virus che non hanno nessun altro posto dove nascondersi a parte gli uomini. Questo ha molte più alternative. Potremmo eliminarlo da ogni essere umano sulla faccia del pianeta (ma non è probabile) e rimarrà comunque nei cervi a coda bianca dell’Iowa, o nei visoni scappati dagli allevamenti che vagano nei boschi della Danimarca. 
Continuerà a cambiare. Si adatterà ai nostri adattamenti. L’ultima variante nel momento in cui scrivo queste frasi, la Omicron, sembra esserne un esempio lampante
”. (p. 403).
Sono affermazioni che devono far riflettere e che sono riferite in maniera nuda e cruda senza i giri di parole o le cautele dei politici che, a seconda di come gira il vento delle opportunità di consenso, minimizzano, nascondono, oppure amplificano e fanno allarmismo.
La dura verità degli scenari di viene immediatamente circonstanziata dalla previsione d'un incremento dei contagi da Covid-19 in Cina, nei prossimi mesi, dove si parla anche di picchi 60-65 milioni di nuovi contagi alla settimana.
L’intera trattazione di Quammen dovrebbe servirci ad acuire la nostra sensibilità verso altre possibili minacce virali ancora sconosciute, ma ciò nondimeno possibili (per eventi di spillover da parte di altri virus più letali). 
Si vedano a tal riguardo le recenti dichiarazioni del Direttore dell’OMS divulgate in rete.
David Quammen tiene a precisare che tutti i virgolettati sono stati estrapolati dalle interviste da lui effettuate, alcune della durata di ore. Per completezza di documentazione in calce al volume l'autore fornisce le schede coni dati essenziali su tutti gli scienziati intervistati e sulle circostanze delle interviste.
Il volume è corredato inoltre di indice analitico e di un’amplissima bibliografia riportante gli estremi di gran parte delle pubblicazioni citate (all’infuori dei “pre-print” (spesso di vita effimera) che sono citati solo nel testo.
Se mi è piaciuto? Sì, moltissimo!

 


(Soglie del testo) Il nuovo saggio dell’autore del bestseller Spillover racconta la battaglia per affrontare il Covid-19 dall'inizio della pandemia a oggi.
Secondo la teoria del caos, il battito d’ali di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del pianeta – e allo stesso modo il battito delle grigie ali di un pipistrello in una caverna nel Sud della Cina può seminare lutti a Times Square. Dall’inizio della pandemia, sei milioni e mezzo di persone sono morte nel mondo. Il Big One, descritto in termini quasi profetici in Spillover, ha bussato alle nostre porte, e non eravamo pronti. La nostra reazione ha seguito lo schema già illustrato da Lucrezio a proposito della peste di Atene: alla sottovalutazione iniziale è subentrata la ricerca di un capro espiatorio, poi il panico, e infine l’impulso, altrettanto irrazionale, della rimozione. La creazione dei vaccini ha ridotto il margine di manovra del virus, ma il nostro avversario ha già risposto con una contromossa, la « variante Omicron », che potrebbe essere la fusione di due ceppi diversi, ciascuno dei quali non è stato ancora ben indagato. Stiamo dunque assistendo a una battaglia non dissimile dalla partita a scacchi che nel Settimo sigillo vede il Cavaliere (la scienza, ma senza il conforto della religione) sfidare la Morte. Chi vincerà| Probabilmente si giungerà al pareggio, il che significa che dovremo convivere col virus in una guerra « a bassa intensità ». Ma al di là delle sofferenze inflitte al genere umano dal SARSCoV- 2, Quammen ci ricorda che i virus, come il fuoco, sono un fenomeno non necessariamente negativo, e che può anche portare vantaggi. Come i batteri, fanno parte di noi. Sono « gli angeli oscuri dell’evoluzione », meravigliosi e terribili, e questo li rende meritevoli di essere compresi, più che temuti e aborriti.

 

Hanno detto

«Il divulgatore scientifico americano, come già nel suo precedente scritto Spillover, di cui questo Senza respiro è (volenti o nolenti e con tutte le riserve del caso) una sorta di seguito spirituale, sceglie di accompagnarci nella lettura portandoci esattamente dove vuole lui, senza fretta, prendendosi i suoi tempi, ma con una scrittura agile e precisa, che non tralascia nulla e che analizza e viviseziona eventi, date, genomi di Rna.» - Filippo Ghiglione per Maremosso

 

David Quammen

L'autore. David Quammen (nato nel 1948, a Cincinnati) è un divulgatore scientifico, scrittore e giornalista del «National Geographic». Ha studiato letteratura a Oxford; oggi vive in Montana, ma viaggia molto per conto del «National Geographic». Ha lavorato anche per altre riviste e giornali, tra cui «Harper's», «Rolling Stone» e il «New York Times».
In Italia ha pubblicato saggi divulgativi con Adelphi e Codice. In particolare da ricordare Spillover. L'evoluzione delle pandemie, pubblicato nel 2017

Quammen, Perchè non eravamo pornti, Adelphi

David Quammen, Perché non eravamo pronti (nella traduzione di Milena Zemira Ciccimarra), Adelphi Editore (collana Microgrammi), 2020
In questo piccolo volume che si legge comodamente in poco meno di due ore, sono raccolti due articoli di David Quammen, “The Warnings” e “Did Pangolin Trafficking Cause the Coronavirus Pandemic?”, pubblicati ambedue su “The New Yorker”, rispettivamente l’11 maggio 2020 e il 31 agosto successivo.
Si tratta di due testi che esaminano gli esordi della attuale pandemia. Nel primo dei due articoli, l’autore prende in considerazione i motivi per cui il mondo non è stato pronto ad affrontare la pandemia, considerando le avvisaglie di precedenti episodi epidemici sostenuti da agenti infettivi diversi che avrebbero dovuto determinare un’attitudine di vigilanza. Nel secondo, invece, egli esamina l’influenza del traffico illecito dei pangolini nella diffusione della pandemia, tra l’altro demolendo l’idea che l’iniziale suo epicentro fosse stata la città di Wuhan. Il Coronavirus circolava già da prima, proprio a causa del commercio dei pangolini vivi che hanno amplificato il Coronavirus, consentendogli il salto di specie all’uomo.
Ma, avverte l’autore, per capire meglio la sequenza degli eventi e per poter essere meglio preparati in futuro, occorre fare delle ulteriori ricerche per meglio comprendere i meccanismi che hanno portato il virus a compiere lo spillover dal suo serbatoio naturale (i pipistrelli) al pangolino, nel quale all’inizio della pandemia é stato identificato un Coronavirus, affine geneticamente al 99%  con quello sequenziato ai primordi dell’attuale pandemia.
Quammen è un grande divulgatore.
Sapevamo come, e anche dove, i coronavirus ci avrebbero potuto colpire, eppure - eppure siamo a oggi, all'oggi inquietante e incerto da dove partono, proprio con questo testo, le nuove ricerche di David Quammen.

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23 maggio 2023 2 23 /05 /maggio /2023 10:09
Silvia Moreno-Garcia, Mexican Gothic, Mondadori, 2022

Mexican gothic (titolo originale: Mexican Gothic, nella traduzione di Giovanna Scocchera) della scrittrice canadese (ma di origini messicane) Silvia Moreno-Garcia, pubblicato da Mondadori (Oscar Fabula) nel 2022, è un romanzo ad ambientazione messicana, ma in realtà molto british perché riguarda una famiglia inglese che si è trasferita in un luogo sperduto del Messico, ricreando qui la sua antica magione gravata da una maledizione (che, ovviamente, è stata importata dai luoghi di origine).
La narrazione propone una serie di topoi propri del Gotico come genere letterario: ad esempio, vi é il tema della casa maledetta che rimanda con forza alle immagini de “La caduta di casa Usher” di E. A. Poe, ma anche quello del patto con il diavolo - o meglio con un’orrida entità sovrannaturale - che finisce con il dominare le menti di coloro che “infesta” (e qui si ravvisa un forte rimando ai temi cari ad H. P. Lovecraft); o ancora quello della casa maledetta che domina e controlla la mente  di coloro che la abitano, procurando loro sogni ed incubi, e inoltre tenendo vincolati i suoi abitanti come con fili invisibili ed indissolubili.  E High Place, la dimora di proprietà della famiglia altolocata di origini inglesi che fa da scenario alla narrazione, assieme al cimitero adiacente, cupo e perennemente infestato da una nebbia vischiosa, non è da meno rispetto a questo canovaccio di base: gli ingredienti richiesti li possiede tutti e in modo lussureggiante.
L’eroina Noemì (con l'accento sulla "i", si badi bene) con molta fatica e al prezzo di essere “assorbita” anche lei, riuscirà alla fine a fare la differenza e a spezzare l’incantesimo, portando in salvo se stessa, assieme alla cugina dalla quale era stata chiamata in soccorso in una lettera accorata.
Il libro si legge con molto interesse e con il desiderio di andare avanti, per capire come si dipanerà la matassa. 
E, in effetti, si rimane catturati da una costante progressione del ritmo narrativo.
Indubbiamente, siamo di fronte ad un bell’omaggio - originale per via del re-mix delle diverse tematiche - alla letteratura gotica e horror, pur con delle venature pulp, tendenza volutamente marcata nell'editare il volume con una sovraccoperta double face, il cui retro - solitamente bianco - si presenta con una grafica e con cromatismi vivaci e sgargianti che rievocano appunto le copertine delle vecchie pubblicazioni di Weird Tales dalle quali si originò il termine "pulp", per via della cartaccia da quattro soldi utilizzata per la stampa di quei fascicoli).
Rispetto alle tematiche horror che sono familiari a chi abbia dimestichezza con il genere, tuttavia, il finale risulta debole, poiché lascia ben pochi dubbi al lettore e il seme, proprio delle narrazioni horror, non germoglia: quel seme che lascia crescere nell'animo di chi ha letto la storia sino alla fine un sentimento di forte turbamento al cospetto di un potere malefico di cui si ha certezza che sarà destinato inevitabilmente a risorgere. 
L'autrice, pur di origini latine, è naturalizzata canadese e ha dunque pubblicato tutti i suoi libri in Inglese.

 

Silvia Moreno-Garcia, Mexican Gothic, Mondadori

(Soglie del testo) Una magione isolata e maledetta. Un gentiluomo carismatico ma inquietante. E una donna coraggiosa, decisa a svelare i loro segreti.
«Questa casa è marcia fino al midollo, puzza di putrefazione, trabocca di ogni possibile perfidia e crudeltà. Ho provato a restare sana di mente, a tenere alla larga questa malvagità, ma non ci riesco e sto cominciando a perdere la cognizione del tempo e dei pensieri. Ti prego. Ti prego
Noemí Taboada riceve una lettera angosciata e delirante da sua cugina Catalina, che ha appena sposato un inglese altolocato e che implora il suo aiuto. E così si reca a High Place, una tetra dimora sperduta tra le montagne del Messico.
Noemí è poco credibile nei panni della crocerossina: è una raffinata debuttante, più adatta ai cocktail party che alle indagini poliziesche, ma è anche caparbia, sveglia, e non si lascia intimorire facilmente: certo non dal marito di Catalina, uno sconosciuto dall'aria sinistra ma intrigante; né dal padre, l'anziano patriarca che sembra particolarmente attratto da lei; e neppure dalla casa, che inizia a invadere i suoi sogni con visioni di sangue e sventure. Il suo unico alleato in questo luogo inospitale è il più giovane membro della famiglia. Ma forse anche lui ha un oscuro segreto da nascondere. Mentre dal passato riemergono storie di violenza e follia, Noemí viene lentamente risucchiata in un mondo terrificante e seducente al tempo stesso. Un mondo dal quale potrebbe essere impossibile fuggire.

Silvia Moreno-Garcia

L’autrice. Silvia Moreno-Garcia (1981), messicana d’origine e canadese d’adozione, è autrice di molti romanzi acclamati dalla critica, tra cui Gods of Jade and Shadow e Mexican Gothic (Locus Award). Ha inoltre curato diverse antologie, tra cui She Walks in Shadows/Cthulhu’s daughter (World Fantasy Award). È direttrice editoriale della Innsmouth Free Press e editorialista del “Washington Post”. Si è laureata in studi scientifici e tecnologici all’Università della British Columbia con una tesi dal titolo Magna Mater: Women and Eugenic Thought in the Work of H.P. Lovecraft. Vive a Vancouver.

Mexican gothic. Un apprezzabile omaggio alla letteratura gotica nel pieno rispetto di tutti gli stilemi propri del genere
Mexican gothic. Un apprezzabile omaggio alla letteratura gotica nel pieno rispetto di tutti gli stilemi propri del genere
Mexican gothic. Un apprezzabile omaggio alla letteratura gotica nel pieno rispetto di tutti gli stilemi propri del genere
Mexican gothic. Un apprezzabile omaggio alla letteratura gotica nel pieno rispetto di tutti gli stilemi propri del genere
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18 maggio 2023 4 18 /05 /maggio /2023 11:01
Stephen King, Fairy Tale, Sperling&Kupfer, 2022

Qualche tempo fa, quando ho cominciato la lettura dell'ultimo romanzo di Stephen King, Fairy Tale (nella traduzione di Luca Briasco), pubblicato nel 1922 da Sperlinga&Kupfer (Pandora), ho scritto nel mio profilo social: “Con enorme piacere ho cominciato la lettura dell’ultimo romanzo di Stephen King, pubblicato in traduzione. Mi sta piacendo moltissimo e lo sto centellinando per non arrivare subito alla fine. Richiede una fine degustazione”.

E adesso che sono arrivato alla frase fatidica “The End”, mi sono dovuto commiatare dai suoi personaggi e soprattutto dall’avventuroso protagonista Charles Reade, che - per un concorso di circostanze - trova l’accesso ad un mondo fantastico, il Reame di Enpis - un tempo bellissimo, ma ora preda di una maledizione e corrotto, di cui Charlie in persona diverrà il salvatore e della sua fedele cagna di pastore tedesco Radar (Rades), ricevuta in eredità da un Howard Bodwitch, suo vicino di casa (che vive in una dimora dall'aspetto misterioso in cima ad una collina, un po' tetra e spaventosa, tanto che viene indicata dai ragazzi del quartiere come "la casa di Psycho"), primo scopritore di questo mondo, uomo dai molti misteri, e che proprio a Charlie Reade trasferisce la conoscenza del mistero e della meraviglia di quest'altro mondo.


A tutti gli effetti, Fairy Tale potremmo definirlo un romanzo "dark-fantasy".

Le ultime cento pagine le ho letteralmente centellinate, proprio perché non sarei mai voluto arrivare alla parola fine di questa avventura che tanto mi ha fatto immergere nella magia di una narrazione assolutamente all’altezza de Il Talismano (scritto a quattro mani con Peter Staub) e di altri romanzi del migliore King (come ad esempio, con una tematica affine, è stata la narrazione di "22/11/1963", in cui il protagonista, essendogli data la possibilità di spostarsi indietro nel tempo, tenterà di evitare l'assassinio di J. F. Kennedy).
Eppure ogni storia finisce, anche la più bella.
Ma potrà essere ri-narrata e, nel caso, ri-letta più volte.
Il volume è corredato dalle splendide splendide illustrazioni di due diversi disegnatori: i capitoli pari con quelle di Gabriel Rodriguez che ha già collaborato con Joe Hill nel suo NOS4A2 e per la realizzazione di molte graphic novel e i dispari con quelle di Nicolas Delort.
I disegni accrescono l’atmosfera horror-fiabesca, secondo la migliore tradizione delle narrazioni fantastiche.
Ci sono qui molteplici suggestioni e citazioni: tra queste anche un indubbio omaggio alle storie dei Fratelli Grimm (la fiaba di Tremotino, viene citata più volte) a H.P. Lovecraft (con alcuni cupi riferimenti alle tematiche dei "Grandi antichi", a proposito dal mostro che minaccia di uscire dalle profondità corrotte del regno di Enpis, quando le due lune in cielo si congiungeranno) e ad altre apocalissi. 
Per esempio, uno dei nomi che non deve essere mai pronunciato ad alta voce - e nemmeno bisbigliato, se è per questo -  nel Reame di Enpis è Gogmagog, una parola proibitissima che suscita negli astanti un terrore profondo e senza nome: facendo un minimo di ricerche si scoprirà che il termine si ispira direttamente al Libro dell’Apocalisse secondo San Giovanni.
Ho trovato queste indicazioni al riguardo: con l’espressione ‘goga e magoga’ si indica un luogo leggendario e favoloso, in qualche angolo remoto della Terra.
I nomi Gog e Magog appaiono nell’Apocalisse di San Giovanni, dove rappresentano una terribile minaccia, ma anche nel libro di Ezechiele, in cui Gog, signore di Magog, è un principe di cui si profetizza che si schiererà contro Israele.
Ma su Wikipedia si trova anche il riferimento ad un gigante possente che avrebbe fondato Albione: 

Gogmagog (anche Goemagot, Goemagog, Goëmagot e Gogmagoc) era un gigante leggendario, presente nella mitologia gallese e successivamente in quella britannica. Secondo la Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth (XII secolo), Gogmagog era un gigantesco abitante di Albione, gettato da una scogliera durante un incontro di lotta da Corineo, un compagno di Bruto di Troia. Gogmagog fu l'ultimo dei giganti che abitavano la terra di Albione, prima dell'arrivo di Bruto e dei suoi uomini. Secondo l'etimologia prevalente, Il nome "Gogmagog" deriva dai personaggi biblici Gog e Magog

La locuzione ha oggi perso il suo significato apocalittico, ma ha dato origine anche a un’altra espressione: «andare in goga e magoga», usata per descrivere il cadere dalle nuvole, perdere l'orientamento. 

 

Fairy Tale by Stephen King

(Soglie del testo) Un ragazzo, il suo cane, la discesa in un mondo magico e oscuro. Un'eccezionale favola dark. Benvenuti nel lato oscuro del «C'era una volta»
Charlie Reade è un diciassettenne come tanti, discreto a scuola, ottimo nel baseball e nel football. Ma si porta dentro un peso troppo grande per la sua età. Sua madre è morta in un incidente stradale quando lui aveva sette anni e suo padre, per il dolore, ha ceduto all'alcol. Da allora, Charlie ha dovuto imparare a badare a entrambi. Un giorno, si imbatte in un vecchio – Howard Bowditch – che vive recluso con il suo cane Radar in una grande casa in cima a una collina, nota nel vicinato come «la Casa di Psycho». C'è un capanno nel cortile sul retro, sempre chiuso a chiave, da cui provengono strani rumori. Charlie soccorre Howard dopo un infortunio, conquistandosi la sua fiducia, e si prende cura di Radar, che diventa il suo migliore amico. Finché, in punto di morte, il signor Bowditch lascia a Charlie una cassetta dove ha registrato una storia incredibile, un segreto che ha tenuto nascosto tutta la vita: dentro il capanno sul retro si cela la porta d'accesso a un altro mondo. Una realtà parallela dove Bene e Male combattono una battaglia da cui dipendono le sorti del nostro stesso mondo. Una lotta epica che finirà per vedere coinvolti Charlie e Radar, loro malgrado, nel ruolo di eroi. Dal genio di Stephen King, una nuova avventura straordinaria e agghiacciante, una corsa a perdifiato nel territorio sconfinato della sua immaginazione.

 

Hanno detto
«Per King non c'è mai confine tra i mostri che abitano la nostra vita quotidiana e quelli che potrebbero esistere in mondi paralleli, o persino nel nostro. Ma il punto è che sempre King riesce a creare qualcosa di nuovo. A raccontare da un altro punto di vista. A illuminare un altro pezzetto di realtà.» - Antonella Lattanzi, la Lettura
«Fairy Tale sa parlare bene della sofferenza, di una disperazione che fa stringere un patto con Dio: “Se lo fai per me, chiunque tu sia, farò qualcosa per te”.» - Thea Pellegrini per Maremosso

 

Stephen King

L'autore. Stephen King, nato nel 1947 a Portland nel Maine (USA), è autore di romanzi e racconti best seller che attingono ai filoni dell’orrore, del fantastico e della fantascienza, ed è considerato un maestro nel trasformare le normali situazioni conflittuali della vita – rivalità fra coetanei, tensioni e infedeltà coniugali – in momenti di terrore. Quando è ancora piccolo, sua madre deve far fronte a grandi difficoltà, perché il padre uscito di casa per fare una passeggiata non fa più ritorno. Nel 1962 inizia a frequentare la Lisbon High School e comincia a spedire i suoi racconti a vari editori di riviste, senza però alcun successo concreto. Conclusi gli studi superiori entra all'Università del Maine ad Orono, dove gestisce per un paio d'anni una rubrica all'interno del giornale universitario. Nel 1967 termina un primo racconto breve a cui fa seguito, qualche mese dopo, il romanzo La lunga marcia che riceve giudizi lusinghieri. Sottopone Carrie alla casa editrice Doubleday e ottiene un assegno di 2500 dollari come anticipo per la pubblicazione del romanzo.
A maggio arriva la notizia che la Doubleday ha venduto i diritti dell'opera alla New American Library per 400.000 dollari, metà dei quali spettano di diritto all'autore. Così, a ventisei anni, Stephen King lascia l'insegnamento per dedicarsi alla professione di scrittore. Da quel momento la sua carriera non avrà più interruzioni. Nel 1971 si sposerà con Tabitha, conosciuta due anni prima lavorando nella biblioteca dell'Università. Con un'operazione innovativa, il 14 marzo 2000 diffonderà esclusivamente su Internet il racconto Riding the Bullet. Nell'autunno dello stesso anno pubblicherà On writing: autobiografia di un mestiere, un'autobiografia e una serie di riflessioni su come nasca la scrittura. Tra i suoi libri più noti si ricordano Shining (1976; il film, del 1980, venne diretto da Stanley Kubrick); La zona morta (1979; versione cinematografica del 1983, per la regia di David Cronenberg); Christine la macchina infernale (1983; il film, dello stesso anno, è di John Carpenter); It (1986, il film è del 1990); Misery (1987; noto in Italia con il titolo Misery non deve morire, la pellicola è stata realizzata da Rob Reiner nel 1990), Mr Mercedes (2014). Tra gli altri ricordiamo: Cuori in Atlantide (2000), La casa del buio (2002), Notte buia, niente stelle (2010), Chi perde paga (2015), Fine turno (2016), The Outsider (2018), Elevation (2019), L'istituto (2019), Later (2021) e Fairy Tale (2022). È del 2016 la nuova edizione aggiornata di Danse macabre, pubblicato da Frassinelli con l'introduzione e cura di Giovanni Arduino. A Stephen King è stata assegnata nel 2003 la National Book Foundation Medal per il contributo alal letteratura americana, e nel 2007 l'Associazione Mystery Writers of America gli ha conferito il Grand Master Award.

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12 maggio 2023 5 12 /05 /maggio /2023 10:13

E' questo che non avremmo mai potuto capire a Oxford… perché va oltre la ragione. Non è razionale. (…) Questo è ciò che ho imparato negli ultimi sei anni, contrariamente a quello che insegnano a Oxford: il potere della non-ragione. Tutti dicevano… e per tutti intendo persone come me... tutti dicevamo: "Oh, è un tipo orribile, Hitler, ma non è completamente malvagio. E guardate le sue imprese: Dimentichiamo queste brutalità medievali antisemite, passeranno". Ma il punto è che non passeranno. Non si possono scindere dal resto. Sono parte integrante del tutto. E se l'antisemitismo è malvagio, è tutto malvagio.

Robert Harris, Monaco, p. 259

Robert Harris, Monaco, Mondadori, 2018

Monaco (Munich, nella traduzione di Annamaria Raffo) di Robert Harris, pubblicato da Mondadori (Omnibus), nel 2018, racconta della Conferenza di Monaco del settembre 1938, mettendo in scena una quantità di personaggi storici a cui sono mescolati alcuni caratteri fittizi (pochi a dire il vero), come il britannico Hugh Legat e il tedesco Paul von Hartmann.
Leggere questo romanzo è come immergersi in un capitolo di storia - ormai non tanto recente - e offre l’opportunità di una riflessione a proposito del fatto che gli esiti di breve termine delle azioni diplomatiche non sono quasi mai lungimiranti.
Per esempio, proprio la Conferenza di Monaco diede alla Germania di Hitler la possibilità di rafforzarsi ulteriormente con il beneplacito di Gran Bretagna (con il suo Primo ministro Neville Chamberlain) e della Francia, rappresentata dal suo plenipotenziario Daladier.
L’obiettivo di Francia e Inghilterra era scongiurare lo scoppio immediato di una guerra con la Germania, se questa avesse annesso il territorio dei Sudeti della Cecoslovacchia.
L’esito della Conferenza di Monaco, dopo veloci trattative nelle quali ebbe un peso la mediazione di Mussolini, fu la concessione alla Germania di potere occupare in un tempo di dieci giorni quel territorio rivendicato perché abitato da tre milioni e mezzo di Tedeschi, con la condizione di rispettare alcune indicazioni, in caso di divergenza, scaturenti da una commissione internazionale all’uopo costituita.
Tutto fu deciso senza ammettere alla discussione la delegazione cecoslovacca che poi fu indotta ad accettare le decisioni prese, pena un’immediata invasione.
E i giochi furono fatti. Le due massime potenze che avrebbero potuto contrastare l'espansionismo della Germania di Hitler, in definitiva, si scrollarono di dosso con quegli accordi (scellerati) le responsabilità precedentemente assunte nei confronti della Cecoslovacchia e, come Ponzio Pilato, molto concretamente, della faccenda, molto ipocritamente, se ne lavarono le mani.
Chamberlain e Daladier ritornarono in patria, acclamati dai rispettivi popoli come eroi che avevano scongiurato la guerra.
Hitler ebbe una “formale” autorizzazione a proseguire indisturbato nelle sue politiche espansionistiche nel cuore dell’Europa e, nello stesso tempo, ebbe agio di rafforzare ulteriormente la sua corsa agli armamenti, a dispetto delle prescrizioni del Trattato di Versailles, ancora in vigore.
La guerra arrivò più tardi, poco più di un anno dopo, nel 1939 con l’invasione della Polonia, per trascinare tutti nel suo vortice di morte e distruzione.
Una guerra immediata, nel 1938, forse avrebbe potuto avere esiti differenti (a sfavore di Hitler), ma nessuno fu tanto lungimirante da comprendere ciò. Ma, purtroppo, con i "se" e con i "ma" non si può riscrivere la storia.
Il romanzo di Harris, in questo grandioso scenario storico perfettamente documentato, racconta l’estremo tentativo da parte di una frangia di dissidenti tedeschi di aprire gli occhi alla diplomazia della Gran Bretagna e della Francia, ma senza alcun esito, purtroppo.
In questo romanzo di Harris ciò che affascina maggiormente è la ricostruzione storica più che l’intrigo.
Sono davvero contento di averlo letto.
La morale della Storia, considerando gli eventi di lungo termine dopo la Conferenza di Monaco, è che non c’è nessuna trattativa possibile con i dittatori e che qualsiasi speranza di una pace duratura con loro è pura illusione.

Scrive Robert Harris, andando alle radici più antiche della scrittura di quest'opera: 
Questo romanzo è la naturale conclusione del forte interesse che da oltre trent’anni nutro per il trattato di Monaco e vorrei ringraziare Denyd Blakeway, il produttore con cui nel 1988 ho realizzato per la BBC il documentario televisivo “God Bless You, Mr Chamberlain”, per celebrare il cinquantesimo anniversario della conferenza. Da allora condividiamo una specie di ossessione per l’argomento” (ib., p. 295)

 

(Risvolto di copertina) Settembre 1938. Hitler vuole la guerra. Chamberlain vuole a tutti i costi preservare la pace. Alla conferenza di Monaco si gioca il tutto per tutto. E il mondo sta con il fiato sospeso.
Settembre 1938. Hugh Legat è uno degli astri nascenti del Servizio diplomatico britannico e lavora al numero 10 di Downing Street come segretario particolare del primo ministro, Neville Chamberlain. L'aristocratico Paul von Hartmann fa parte dello staff del ministero degli Esteri tedesco ed è in segreto un membro della cospirazione anti-Hitler. I due uomini, che si erano conosciuti e frequentati a Oxford, non si sono più visti né sentiti per sei anni, fino al giorno in cui le loro strade si incrociano nuovamente in circostanze drammatiche in occasione della Conferenza di Monaco, un momento cruciale che definirà il futuro dell'Europa. Entrambi si ritroveranno di fronte a un grave dilemma: quando sei messo alle strette e il rischio è troppo alto, chi decidi di tradire? I tuoi amici, la tua famiglia, il tuo paese o la tua coscienza? Nella tradizione di Fatherland, che ha reso famoso Robert Harris in tutto il mondo, Monaco è un romanzo di spionaggio basato sui fatti reali che hanno cambiato il corso della storia, che parla di tradimento, coscienza e lealtà ed è ricco di dettagli e figure chiave dell'epoca – Hitler, Chamberlain, Mussolini, Daladier –, raccontati in maniera vivida e cinematografica.
L’autore. Robert Harris, nato nel 2958 a Nottingham, laureato alla Cambridge University, è stato giornalista alla BBC, e uno dei più noti commentatori dell'"Observer" e del "Sunday Times". È diventato famoso in tutto il mondo nel 1992 con Fatherland, il cui successo lo ha inserito a pieno titolo nel ristretto gruppo di autori che hanno ridefinito e ampliato i confini del thriller. Successo confermato da Enigma (1996), Archangel (1998), Pompei (2003), Imperium (2006), Il ghostwriter (2007), da cui è stato tratto un film diretto da Roman Polanski, Conspirata (2010), L'indice della paura (2011), L'ufficiale e la spia (2014), Conclave (2016), Monaco (2018), Il sonno del mattino (2019). Prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha scritto numerosi saggi, fra cui una celebre inchiesta sui falsi diari del Führer, I diari di Hitler (2002). Tutte le sue opere sono edite in Italia da Mondadori.

 

L'autore. Robert Harris, nato nel 1957, a Nottingham, laureato alla Cambridge University, è stato giornalista alla BBC, e uno dei più noti commentatori dell'"Observer" e del "Sunday Times". È diventato famoso in tutto il mondo nel 1992 con Fatherland, il cui successo lo ha inserito a pieno titolo nel ristretto gruppo di autori che hanno ridefinito e ampliato i confini del thriller. Successo confermato da Enigma (1996), Archangel (1998), Pompei (2003), Imperium (2006), Il ghostwriter (2007), da cui è stato tratto un film diretto da Roman Polanski, Conspirata (2010), L'indice della paura (2011), L'ufficiale e la spia (2014), Conclave (2016), Monaco (2018), Il sonno del mattino (2019). Prima di dedicarsi interamente alla narrativa ha scritto numerosi saggi, fra cui una celebre inchiesta sui falsi diari del Führer, I diari di Hitler (2002). Tutte le sue opere sono edite in Italia da Mondadori.

Buona parte della narrazione di Robert Harris si svolge all’interno del Fuhrerbau di Monaco di Baviera tuttora esistente ed oggi sede di una facoltà universitaria.  L'edificio del Führerbau (it. "Palazzo del Führer") è stato costruito tra il 1933 e il 1937 dall'architetto Paul Ludwig Troost in Königsplatz a Monaco di Baviera nel quartiere di Maxvorstadt. I progetti iniziali per la costruzione sono del 1931. Fu completato tre anni dopo la morte di Troost da Gall Leonhard.  https://it.m.wikipedia.org/wiki/Führerbau

Buona parte della narrazione di Robert Harris si svolge all’interno del Fuhrerbau di Monaco di Baviera tuttora esistente ed oggi sede di una facoltà universitaria. L'edificio del Führerbau (it. "Palazzo del Führer") è stato costruito tra il 1933 e il 1937 dall'architetto Paul Ludwig Troost in Königsplatz a Monaco di Baviera nel quartiere di Maxvorstadt. I progetti iniziali per la costruzione sono del 1931. Fu completato tre anni dopo la morte di Troost da Gall Leonhard. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Führerbau

La conferenza e il patto di Monaco

Il patto di Monaco del 1938

75 anni fa Francia e Regno Unito si accordarono con Hitler per la spartizione della Cecoslovacchia, diventando il simbolo di come non si deve trattare con i dittatori

Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1938 a Monaco i capi di stato e di governo di Francia, Regno Unito, Italia e Germania firmarono un documento con cui veniva permesso alla Germania di annettersi gran parte della Cecoslovacchia. Gli accordi furono salutati come un grande successo della diplomazia sulla forza e della pace sulla guerra.
I leader inglesi e francesi che vi avevano preso parte al loro ritorno in patria furono accolti da festeggiamenti. In realtà gli accordi di Monaco non servirono a fermare la guerra, ma la rimandarono soltanto di un anno. Gli accordi furono l’ultimo tentativo di fermare Hitler con la diplomazia e sono diventati il simbolo dell’arrendevolezza delle democrazie di fronte all’arroganza dei tiranni.

 

La strada verso Monaco. La conferenza di Monaco fu una riunione organizzata in tutta fretta nel disperato tentativo di fermare una guerra che, apparentemente, nessuno voleva. Da mesi la Germania nazista aveva innescato quella che divenne nota come la “crisi dei Sudeti”, cioè la minoranza di lingua tedesca che all’epoca abitava la Cecoslovacchia.
In una serie di discorsi durante tutta l’estate del 1938, Hitler aveva raccontato e ingigantito le sofferenze e le angherie a cui erano sottoposti i sudeti dal governo cecoslovacco. Contemporaneamente, tra i sudeti veniva formato un partito nazista e si organizzavano squadracce e bande armate con cui preparare un’insurrezione. Al culmine della crisi, il 24 settembre, Hitler presentò al governo Cecoslovacco un ultimatum che conteneva una serie di durissime condizioni: se non fossero state soddisfatte entro il 28 settembre, Hitler avrebbe invaso il paese.
Era il metodo che Hitler aveva già utilizzato con l’annessione dell’Austria e che avrebbe tentato di utilizzare di nuovo l’anno successivo con la Polonia. In teoria la Cecoslovacchia era protetta da trattati di alleanza con Francia e Regno Unito, ma entrambi i paesi fecero sapere ai cecoslovacchi di non essere pronti per la guerra e che difficilmente avrebbero potuto impegnare militarmente la Germania, almeno nel breve periodo.
Ugualmente, quando l’ultimatum di Hitler divenne pubblico, i governi di Francia e Regno Unito vennero presi dal panico. Gli ambasciatori cecoslovacchi fecero sapere che il loro paese avrebbe combattuto e questo rischiava di far sprofondare l’Europa in una nuova guerra mondiale. Il primo ministro inglese, il conservatore Neville Chamberlain, era particolarmente preoccupato.

 

Chamberlain a Monaco nel 1938

Chamberlain, l’uomo con l’ombrello. Difficilmente il Regno Unito avrebbe potuto sottrarsi alla dichiarazione di guerra alla Germania, visti i trattati che la legavano alla Cecoslovacchia. La guerra però era estremamente impopolare tra la popolazione e tra i membri di tutti i partiti. La situazione era particolarmente complessa da gestire per Chamberlain, il primo ministro inglese su cui in seguito vennero fatte molte ironie.
Uno dei nomignoli con cui Chamberlain era noto già all’epoca era “l’uomo con l’ombrello”. In un’epoca in cui dittatori come Franco, Mussolini, Hitler e Stalin si presentavano in pubblico vestiti da militari e con pose aggressive, Chamberlain sembrava l’incarnazione delle virtù pacifiche e borghesi. Si vestiva in genere in maniera molto formale e un po’ antiquata e spesso si presentava in pubblico proprio con un ombrello (che è tuttora considerato in certi casi un oggetto molto borghese e un po’ effeminato).
Sin dall’inizio del suo mandato, nel 1937, Chamberlain aveva cercato di inserire la Germania in un sistema di relazioni diplomatiche stabili in Europa, cercando di contenere, e probabilmente sottovalutando, l’aggressività del regime nazista. Con il tempo aveva conquistato l’immagine di politico difensore della pace, il che gli aveva procurato consensi non solo nel Regno Unito, ma in quasi tutta Europa.
Quando venne a sapere dell’ultimatum tedesco, Chamberlain si rivolse all’unica persona che credeva avrebbe potuto persuadere Hitler: Benito Mussolini. Alle 10 di mattina del 28 ottobre, quattro ore prima che scadesse l’ultimatum, Chamberlain, tramite l’ambasciatore a Roma, contattò il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano che a sua volta informò il Duce. Il governo inglese chiedeva la mediazione del governo italiano per persuadere la Germania a concedere altre 24 ore di tempo alla Cecoslovacchia e ad organizzare una conferenza per evitare la guerra.

 

La stretta di mano tra Chamberlain e Hitler che sancisce l'accordo di Monaco

Come si svolse la conferenza di Monaco. Mussolini, lo sappiamo dai diari di Ciano e da quelli di altri suoi collaboratori, fu molto felice di acconsentire alla richiesta inglese, soprattutto perché dava a lui e all’Italia il ruolo di importanti mediatori in faccende europee di primo piano. Mussolini si mise in comunicazione con Hitler e in poche ore riuscì ad ottenere un rinvio di 24 ore dell’ultimatum e a organizzare una conferenza a Monaco di Baviera.
La notizia arrivò a Londra mentre Chamberlain stava tenendo un discorso al parlamento. Quando disse che Hitler aveva accettato la conferenza, la sua voce venne sommersa dalle grida di gioia e dagli applausi dei parlamentari di entrambi gli schieramenti. La mattina dopo Chamberlain partì in aereo da Londra e arrivò a Monaco insieme al primo ministro francese Édouard Daladier e a Benito Mussolini.
Gli incontri cominciarono subito e alle discussioni non partecipò alcuna delegazione cecoslovacca, anche se alcuni membri del governo erano presenti in città. Fu una condizione imposta da Hitler a cui né Chamberlain né Daladier si opposero. Le discussioni andarono avanti tutto il giorno sulla base del cosiddetto “piano italiano”, che in realtà era stato preparato dal ministero degli esteri tedesco.
In sostanza l’unica cosa ad essere discussa fu quanta parte della Cecoslovacchia avrebbe dovuto essere annessa alla Germania nazista. A ora di cena, mentre i delegati italiani e tedeschi partecipavano a una festa voluta da Hitler, Chamberlain e Daladier incontrarono i cecoslovacchi e gli chiesero di accettare l’accordo o sarebbero stati lasciati soli ad opporsi alla Germania.
All’una e trenta di notte del 30 settembre l’accordo di Monaco venne firmato dalle quattro grandi potenze. La Germania otteneva quasi tutti i territori che aveva chiesto, una striscia lungo il confine occidentale del paese. Altri pezzi di Cecoslovacchia sarebbero stati annessi dalla Polonia e dall’Ungheria. Una commissione internazionale si sarebbe occupata di determinare altre eventuali questioni territoriali.

 

Chamberlain al suo ritorno con la promessa di una pace duratura tra Regno Unito e Germania: "Andate e fate sonni tranquilli!"

Dopo Monaco.  Gli accordi di Monaco vennero considerati come l’ultima concessione ad Hitler, quella che avrebbe finalmente fatto cessare le tensioni e le minacce di guerra che oramai da qualche anno attraversavano l’Europa. Ritornati in patria tutti i negoziatori vennero accolti con grandi festeggiamenti per essere riusciti a scongiurare la guerra. Mussolini fu celebrato dalla propaganda di regime non solo per avere mantenuto la pace, ma per aver riportato l’italia in un ruolo di primo piano accanto alle grandi potenze europee.
Il primo ministro francese, Daladier, aveva un quadro più chiaro della situazione e, come scrisse nelle sue memorie, sentiva di aver ceduto troppo all’arroganza di Hitler. Con sua grande sorpresa, anche lui venne accolto con numerosi festeggiamenti al suo ritorno a Parigi.
Ma quello che venne considerato il vero trionfatore degli accordi di Monaco fu Chamberlain. Al suo ritorno nel Regno Unito venne accolto come un eroe per essere riuscito ad evitare la guerra. Appena sceso dall’aereo che lo aveva riportato indietro da Monaco, Chamberlain tenne un breve discorso che all’epoca divenne rapidamente molto famoso.
Miei cari amici, questa è la seconda volta che siamo tornati dalla Germania a Downing Street con una pace onorevole. Io credo che sia una pace per la nostra epoca. Vi ringraziamo dal profondo dei nostri cuori. Ora io vi raccomando di andare a casa e dormire sonni tranquilli nei vostri letti.

Ironicamente, quasi esattamente un anno dopo, il primo settembre del 1939, l’Europa e il Regno Unito sarebbero entrati nel più sanguinoso conflitto della loro storia.

Scrive Robert Harris:  “Questo romanzo è la naturale conclusione del forte interesse che da oltre trent’anni nutro per il trattato di Monaco e vorrei ringraziare Denyd Blakeway, il produttore con cui nel 1988 ho realizzato per la BBC il documentario televisivo “God Bless You, Mr Chamberlain”, per celebrare il cinquantesimo anniversario della conferenza. Da allora condividiamo una specie di ossessione per l’argomento” (ib., p. 295)

Monaco. In un romanzo di Robert Harris, il racconto della Conferenza e del Patto di Monaco: mai trattare con i dittatori!
Monaco. In un romanzo di Robert Harris, il racconto della Conferenza e del Patto di Monaco: mai trattare con i dittatori!
Monaco. In un romanzo di Robert Harris, il racconto della Conferenza e del Patto di Monaco: mai trattare con i dittatori!
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DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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