Dopo lunga attesa,
dopo vuoto rullare di tuoni,
dopo giorni quasi estivi
e asciutti, come non mai,
finalmente piove
Piove!
Piove!
Speriamo che duri
Speriamo che si riempiano gli invasi
Speriamo che si colmino vasche e cisterne
Speriamo che le piante assetate
possano bere a loro piacimento
Il picchiettio della pioggia
oggi è benevolo
e di buon auspicio
Maurizio Crispi
Ha piovuto
Eppure manca l’acqua
L’invaso di Rosamarina non s’e riempito,
anzi è ancora semivuoto
Troppo brevi sono stati
i giorni della pioggia
Rimane solo l’acqua dei pozzi privati
Anche questi prima o poi si esauriranno
Le piante nel momento del bisogno
non potranno essere abbeverate
L’erba è secca
La zagara degli aulivi è scomparsa,
s’é squagghiata
prima di dare frutto
Che fare?
Aspettare!
Intanto le farfalle svolazzano pigre,
s’avvicinano ai fiori selvaggi,
quelli sopravvissuti al siccume,
suggono il nettare
e impollinano
Le poiane salgono in lenti giri
con le correnti ascensionali
e scrutano il territorio sottostante,
con occhi telescopici,
alla ricerca di prede
Piccioni e gabbiani
s’intersecano nei loro voli
L’aria è calda
Il sole picchia feroce
Vedremo…
Poi, quando tutte le speranze
saranno andate deluse
ci sarà ancora tempo
per la danza della pioggia
In un frammento di sogno sono in divisa da ufficiale dell’esercito
Entro in una stanza dove ci sono molti altri (che non conosco), ma in abiti civili; e, poi, - unico in divisa, pure da ufficiale - c’è anche un mio zio, fratello di mia madre
Mi esercito a mettermi sull’attenti, scattante e teso
Voglio mostrare a mio zio che ci so fare e che sono all’altezza
Ripeto per diverse volte il passaggio dalla posizione di riposo a quella di attenti
Dico anche a mio zio che, per realizzare un’impeccabile posizione di attenti bisogna stendere la colonna vertebrale verso l’alto, alzando contemporaneamente il mento e quindi protendere anche la testa verso l’alto, in modo da apparire il più possibile marziali, con lo sguardo fisso verso un punto lontano e l’espressione del volto assolutamente immobile
Mille richiami canori,
sento,
voci cinguettanti
intente in dialoghi fitti
per me incomprensibili
e più in alto
il verso del gabbiano
che intraprende i suoi primi voli,
e ognuno è seguito da tre brevi schiocchi
Strade deserte
prima dell’alba
quando la volta del cielo
trascolora dal nero intenso
ad un blu profondo
e gli alberi pian piano
emergono dal mondo delle ombre
con le loro sagome
e pare che prendano vita
Un passo dopo l’altro
Una salva di starnuti violenti,
spossanti
e via!
Un nuovo giorno mi attende,
con i suoi inattesi doni
E sono oggi 50 anni più due dal disastro aereo di Punta Raisi
Noi, i figli e i nipoti delle vittime, fratelli e/sorelle sopravvissuti continueremo a ricordare questo evento, con dolore, con nostalgia e forse anche con rabbia, perché tutto venne liquidato dalle autorità competenti in fretta, senza porsi troppi perché.
È stato un evento che ha segnato i modi indelebili tutti quanti noi
Che i nostri morti continuino a riposare in pace e che vengano sempre ricordati anche quando noi, custodi della loro memoria, non ci saremo più.
Anche noi rimasti siamo a termine: ci chiediamo chi negli anni futuri si prenderà carico di custodire il ricordo doloroso.
Vorremmo potere trasmettere a qualcuno questo testimone che è stato anche per tutti noi un fardello pesante da portare
La Città, poiché quell’evento fu un lutto cittadino di immani proporzioni, dovrebbe farsi carico, in modi più decisi, del ricordo e della rievocazione.
Qualcosa è stato fatto, ma non è ancora abbastanza.
La cresta del monte è ventosa
Appena i viaggiatori sono scesi
dai fuoristrada che, in lungo corteo,
si erano inerpicati su per lo sterrato
che a radi tornanti taglia
come con una lunga ferita,
il ripido pendio,
le raffiche si sono risvegliate
quasi volessero scacciare via
i visitatori timorosi e affranti,
pellegrini d'un dolore mai cancellato
che, ad ogni giro di giostra, si rinnova
E ora camminano, ingobbiti,
con la testa china, traballando incerti
e lottando contro l’impeto delle raffiche,
accecati dalle polvere,
mentre copricapi e berretti volano via
verso la grande croce di ferro
che si erge al centro di un rettangolo di terreno piantumato a cipressi,
alcuni appena giovani virgulti,
anche loro piegati dalla potenza delle raffiche
Sì, davanti a loro si erge
quella grande croce
con tutti quei nomi
incisi su lamine d’ottone
Solitamente sulle targhe commemorative,
dei defunti, si scrive l’anno di nascita
e quello di morte
Qui no! Per ciascuno dei 115,
solo le date di nascita, ovviamente
Nessuna menzione della data di morte
perché morirono qui tutti assieme,
nello stesso momento
E il giorno della loro morte é noto
Non c’è alcun bisogno di menzionarlo
Si sa bene che é quel fatidico giorno
che segnò il destino di molti, troppi,
il 5 maggio del 1972
L’anno, il mese e il giorno della dipartita
sono stati lasciati
alle sepolture individuali
Qui non c’è bisogno,
non ce ne sarà mai bisogno
Sotto la grande croce
ci si sente troppo piccoli,
quasi annichiliti
Mi chiedo quale fatica debba sostenere
la croce portando su di sé
giorno dopo giorno
il peso di tutte quelle vite recise
L’assenza dell’anno della morte
porterebbe a pensare che tutte quelle persone siano ancora vive
da qualche parte, in qualche luogo
E in effetti,
stando sotto quell’enorme croce
e guardandola dal basso
si ha l’impressione di essere
sotto ad un grande aereo,
come lo potrebbe concepire
la fantasia di un bambino,
pronto a spiccare il volo
in verticale,
portando con sé il suo carico
di vite e di speranze
Poi, c’è la camminata
verso il luogo dello schianto
E quel lato della cresta
é ora illuminato dal sole
che presto volgerà al tramonto
Alcuni vagano sperduti
camminando su un tappeto di erbe selvatiche
cresciute cos' fitte fitte da celare gli affioramenti calcarei,
bianchi ma tutti chiazzati di licheni
E il passo, di conseguenza, è incerto ed esitante
Tutti camminano isolati, alla ricerca di qualcosa
che forse mai potranno trovare
Per questo ritornano ogni anno
e continueranno a tornare,
augurandosi che un giorno lo faranno
anche i figli e, poi, i figli dei figli
Discosta dagli altri
una intona un canto,
di cui si sente solo la melodia,
mentre parole argentine
sono trascinate via dal vento
Altri, invece, timorosi di avventurarsi
attraverso quel mare d’erba,
infestato dalle processionarie,
sono rimasti assiepati
su di una piattaforma di pietra,
quasi a sostenersi reciprocamente
e guardano tutti ad ovest
interrogandosi sul mistero insondabile
Poi, quando arriva il momento
del congedo da quella coorte di vite troncate
per scendere di nuovo a valle,
ciascuno se ne va con i propri ricordi,
e con le proprie nostalgie
ma anche tutti quanti sono rigenerati
per essersi abbeverati
alla sorgiva d0una memoria collettiva
in un empito di silenziosa condivisione
Alba tranquilla
cielo terso
il tubare dei piccioni
il freddo e il duro
delle doghe di una panchina di ferro
sotto il culo
davanti alla statua benedicente del santo
Non si passa mai indenni
attraverso la vita
Ci sono strettoie
passaggi ardimentosi
tormente di ghiaccio
e venti infuocati
Ogni transito infligge ferite,
strappi, dolori lancinanti
Se si sopravvive, tutto passa
Lentamente
Poi rimangono soltanto i segni,
nelle ossa, sulla pelle
e nell’animo
Il tempo è un grande scultore,
disse una scrittrice
da me molto amata
Entro in un bar qualsiasi,
di periferia, forse
e mi confronto con un tizio esaltato
armato di un grosso coltello
Altri presenti
sono tutti ammassati da una parte
spaventati, terrorizzati
Io mi faccio sotto
per cercare di disarmarlo
e ridurlo all’impotenza,
riconducendolo anche
nel terreno della ragionevolezza
(se ciò sia possibile)
Anche io sono spaventato,
terrorizzato,
eppure mi faccio sotto
con finte e controfinte,
schivando più volte la lama
(pur facendomela sotto)
Mettiamo in scena una danza,
io duellante a mani nude
Lo blocco con presa d’acciaio,
lui si divincola,
fissandomi con torvi occhi di fuoco,
e ogni volta la danza riprende
Il tizio mena dei fendenti
e ogni volta mi par di sentire
il sibilo della lama che mi sfiora Whooooosh!
Alla fine, riesco a bloccarlo
ancora una volta
Lo costringo ad allentare la presa
e quel coltellaccio letale
cade a terra con un tonfo,
ma ora rimane la parte difficile
che è quella di ricondurre
quell’esaltato alla ragione,
e per raggiungere quest'obiettivo
occorre neutralizzarlo
in modo radicale
Cogliendo la sua sorpresa,
per essere rimasto privo dell’arma
gli mollo una violenta testata sulla fronte
(la cosiddetta presa di bella),
seguita - quasi in simultanea -
da una potente ginocchiata nei testicoli
Insomma, roba da supereroe
o da super Jeeg Robot
o da un berserker, invasato dallo spirito di Odino
o da beekeeper la cui mission è occuparsi
del benessere dell’alveare
Non mi riconoscevo in questo sogno
Mi guardavo agire,
come fossi stato il personaggio di un film
The Beekeeper è un film del 2024 diretto da David Ayer. I Beekeepers sono un'unità scelta di agenti operativi incaricata di correggere le anomalie e i pericoli presenti all'interno della società...
Lascia lente le briglie del tuo ippogrifo, o Astolfo,
e sfrena il tuo volo dove più ferve l'opera dell'uomo.
Però non ingannarmi con false immagini,
ma lascia che io veda la verità e possa poi toccare il giusto.
Da qui, messere, si domina la valle: ciò che si vede, è.
Ma se l'imago è scarna al vostro occhio,
scendiamo a rimirarla da più in basso
e planeremo in un galoppo alato
entro il cratere ove gorgoglia il tempo
Mura in parte dirute,
ancora imponenti
Arcate ardite
che lasciano immaginare inauditi fasti
Il giallo delle ferule
e poi i sonagli delle pecore condotte al pascolo
con i fischi del pastore che le conduce in gruppo serrato,
con l'ausilio del cane fedele
Qualche mucca sparuta al pascolo
In un altro campo
una compagnia di ciuchini
si appresta attorno ad una mangiatoia
dove sono state disposte balle di fieno
Nel cielo intrecciano voli, a decine,
le cornacchie che trovano alloggio
nelle cavità dei bastioni diroccati
Alcune dopo aver razzolato nell'erba alta
si levano in volo
con qualche grasso lombrico
pendente dal becco
C'è silenzio profondo,
rotto appena dai richiami delle cornacchie,
di altri volatili,
forse anche dal cra cra di un corvo
e dal soffio del vento
Dall'alto della rocca
si domina la valle
ed è una veduta di grande serenità
e d'impegno
Vorrei levarmi in un volo a spirale
in groppa ad un cavallo alato,
salire verso il firmamento
sino a toccare le stelle
per poi ridiscendere al fondo della valle
ove gorgoglia il tempo
Ho sempre visto da lontano i ruderi del Castello di Cefalà Diana: quella torre svettante e la sagoma di quell'arco slanciato mi hanno sempre attratti, provocando in me un senso di soggezione per via
«Perché si vede sorgere d'un tratto la sagoma della nave dei folli, e il suo equipaggio insensato che invade i paesaggi più familiari? Perché, dalla vecchia alleanza dell'acqua con la follia, è nata un giorno, e proprio quel giorno, questa barca?
[…]
La follia e il folle diventano personaggi importanti nella loro ambiguità: minaccia e derisione, vertiginosa irragionevolezza del mondo, e meschino ridicolo degli uomini.»
Siamo barcaioli al governo
d’una imbarcazione che naviga,
sempre, senza sosta,
senza mai gettare l’ancora,
sempre stipata all’inverosimile
delle sue capacità
I posti a disposizione dei passeggeri
devono sempre essere tenuti occupati
Uno spazio vuoto a bordo é causa di squilibrio
Se uno per sfiancamento o a fine corsa scende,
un altro deve immediatamente rimpiazzarlo
I vuoti devono essere subito colmati
Uno sale, uno scende
Uno scende e un altro sale
Soffriamo di horror vacui
Questa nostra nave deve sempre viaggiare al massimo del suo carico
Si viaggia senza meta
oppure si sta alla fonda,
per giorni e giorni
Sia che siamo fermi
sia che siamo in movimento
siamo sempre un piccolo avamposto
sperduto nel mare deserto
in attesa di qualcosa che non arriverà mai
e senza poter mai giungere in un porto che sia vero e tale
Il fatto è che il viaggio mai è l’obiettivo principale
anche se ci dicono che lo sia
Noi siamo la ciurma
Noi siamo gli esecutori
Tra noi ci sono i comandanti
Ma ci sono anche i serventi ai pezzi,
i cambusieri, i cuochi e i manutentori
e anche gli agrimensori,
per non parlare degli storiografi
e dei geografi e degli ortolani
Noi guidiamo la nave
e governiamo i passeggeri
preoccupandoci di far sì che, per loro,
il periodo del traghettamento
trascorra nel modo migliore
È un traghettamento fine a se stesso
Non c’è una vera meta
Non c’è un passaggio evolutivo
I nostri passeggeri sono qui,
giusto per essere messi da qualche parte,
perché non c’è un’altra parte
dove possano stare
e quindi è stabilito
che debbano stare sulla nave
La nave viaggia ma,
nello stesso tempo, non viaggia
perché è radicata al fondo del mare
da catene d’acciaio
È incagliata su di una secca,
ma scenari mobili
danno di continuo l’illusione del movimento
Le vele schioccano,
gonfiate da alisei costanti
A tutti i passeggeri viene detto “Stai qua!”
oppure “Sulla nave farai il tuo percorso!”
Ma loro non lo sanno che saranno obbligati
a stare sempre fermi,
per giorni, per settimane,
per mesi e per anni,
e noi con loro
Loro diventando ogni giorno più vecchi
e noi altrettanto
Tra i passeggeri ci sono i ritrosi
ed anche i riottosi,
i disturbatori,
i manipolatori,
i prepotenti e i violenti
Noi governiamo la nave,
la ciurma allo sbando
e i passeggeri, a colpi di frusta,
con fruste di parole e di opere,
con pillole, capsule e gocce a tempesta
Ogni tanto qualcuno scende
Ogni tanto qualcuno sale
Noi siamo sempre a bordo
Siamo il team che si occupa della Narrenschiff,
ma non siamo i soli naviganti:
assieme a noi molti altri
a bordo di tante altre piccole navi
in navigazione senza meta,
le navi dei folli,
senza meta e senza tempo,
a prendere tempo,
a far trascorrere il tempo,
a governare le diversità
per cui altrove non c’è posto
e poi si vedrà
La nave dei folli ( Das Narrenschiff) è un'opera satirica in tedesco alsaziano di Sebastian Brant, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1494 a Basilea. Composta da una serie di 112 satire brevi...
Ero indaffarato
Facevo cose
Incontravo persone
Andavo a giro in posti diversi
Tornavo a casa
Uscivo
Rientravo
Prendevo un libro
Lo posavo, dopo aver letto alcune pagine
Salivo sulla cima d’un alto edificio
Mi sporgevo a guardare giù
oltre la ringhiera
Osservavo i gabbiani in volo planato
Pensavo che mi sarebbe piaciuto
possedere un paio di ali
e librarmi con loro
oppure scendere in picchiata
per poi risalire
Tornavo giù
scendendo lungo strette rampe di scale
gradino per gradino Tump Tump Tump
Questo era il suono della mia pesantezza
Poi mangiavo, anche
o sgranocchiavo
E poi ripetevo
Ripetevo
Ripetevo
Leggevo e facevo una partitella a scopa
Preparavo merende succulente
Poi uscivo a condurre a passeggio il cane
(oppure era lui a condurre me)
Inciampavo e cadevo rovinosamente
a terra, come un sacco di patate
Mio figlio che era con me mi diceva: Papà, prima d’ora
non ti ho mai visto cadere!
Capita, sì, che all’improvviso
un figlio assista alla caduta a terra del padre
per un improvviso acciacco
o per un inciampo
e che ciò rappresenti un’epifania
Ricordo che mio padre cadde davanti a me
mentre andavamo in bici,
io ancora alle prime armi,
lui esperto ciclista e mio ruvido istruttore
Lui cadde, io no
Fu questa una premonizione?
Forse
Non so
Eppure
Quando mi sono rialzato,
mio figlio era preoccupato
e mi s'è fatto vicino
offrendomi la sua spalla
come appoggio
Non ce n'era bisogno, a dire il vero,
ma il gesto ha avuto un senso
Ho visto poi un grosso e grasso lombrico
strisciare sul pavimento,
vicino al muro
Si arricciava e si distendeva,
procedendo lentamente nel suo viaggio avventuroso
Cercavo di raccoglierlo,
senza fargli del male,
per portarlo in un terrario
oppure nel luogo del compostaggio
Ancora una volta mi son fermato
al cospetto dell’albero orecchio
e gli ho parlato
con parole silenziose
e lui mi ha risposto
Ho voluto fermarmi
accanto ad un altro albero possente,
toccare la scabra superficie del suo tronco
per sentirne la forza
e poi abbracciarlo
per un contatto rigenerante
Anche questo ho sognato
in questa notte di pochi sogni
Appena mi son messo in clinostatismo e ho poggiato la testa sul cuscino, sono subito crollato in un sonno profondo
Non ho avuto nemmeno il tempo di pensare, oppure di pormi la domanda se avessi voglia di leggere per un po’
La transizione dalla veglia al sonno è stata immediata e senza consapevolezza, repentina come quando si muove un interruttore da on a off
Ho dormito per diverse ore di seguito, contrariamente alle mie abitudini, e quando mi sono risvegliato il traghettamento dalla notte al giorno era quasi compiuto
Ho sognato vividamente, ma ricordo solo frammenti
In uno di essi ero al lavoro e, al mio arrivo, constatavo che la disposizione dei mobili dell’ambulatorio era stata mutata senza criterio
Mi rendevo conto che nel modo in cui gli arredi erano disposti adesso non mi ci ritrovavo assolutamente
Cercavo di ripristinare allora la vecchia disposizione, ma andavo incontro a non poche difficoltà pratiche e, dopo ogni tentativo, il risultato raggiunto non rispecchiava mai nemmeno per un po’ la disposizione originaria… anzi era peggiorativo.
Tutto ciò era molto frustrante
In un frammento successivo, mi recavo in una banca per discutere di alcune importanti questioni
Stranamente, la banca si trovava al 12º piano di un grattacielo e per arrivarci bisognava prendere un ascensore superveloce
In attesa c’era un sacco di gente e non era semplice potere entrare in uno degli ascensori del grande atrio a disposizione dei visitatori, a meno di non fare il furbetto
Ero in compagnia di altri: formavamo un gruppuscolo di tre e dovevamo salire assieme, senza separarci. Ciò rendeva le cose più complicate
Ricordo confusamente il momento in cui riuscivo a sgattaiolare dentro l’ascensore mentre la porta scorrevole stava per chiudersi
Compivo una vera e propria acrobazia per insinuarmi dentro senza essere schiacciato dalla porta mobile che era, con molta evidenza, sprovvista del consueto meccanismo di arresto di sicurezza automatico
Ricordo anche che, una volta dentro, a forza di braccia - come un energumeno - impedivo alla porta scorrevole di chiudersi definitivamente e - anzi - riuscivo ad allargare il varco così da consentire alle altre due persone con me di entrare dentro anche loro
Quelli che già erano in attesa all’interno guardarono la mia entrata e le successive acrobazie con palpabile disapprovazione
Ma a quel punto eravamo dentro e riuscivamo a salire
Giunti al piano, ci addentravamo in un dedalo di uffici sino ad arrivare a quello che io cercavo
Dovevo confrontarmi con un impiegato malmostoso e scostante
Spiegavo il motivo della mia visita, ma non ottenevo alcuna risposta utile
Anzi, dirò di più, l’impiegato si insospettiva poiché considerava i miei motivi non plausibili e pretestuosi e cominciava guardarmi con sospetto, insinuando che l’utilizzo dell’ascensore da parte mia fosse stato illegittimo e sottolineando che l’uso di esso era riservato soltanto ai clienti che avessero un motivo valido per rivolgersi a lui
E io gli chiedevo: "Qual è un motivo valido? Come si fa a stabilire cosa sia valido e cosa non lo è?"
Quello rispondeva: "É a mio insindacabile giudizio! Io sono arbitro e giudice! Io sono Dio e le mie decisioni sono senza appello!"
Capivo che di là dovevo scappare immediatamente e cominciavo a cercare una via di fuga visto che l’uso dell’ascensore mi era ormai precluso per la decisione (o sanzione) presa da dio in persona
Capivo che avrei dovuto scendere usando le scale
Avrei potuto farlo se solo avessi saputo dove fossero, ma la porta che conduceva ad esse era ben mascherata, né vi erano cartelli che segnalassero vie di fuga in caso di pericolo
L’unica alternativa era calarsi con una corda o con altri mezzi di fortuna: ma questa era sicuramente una soluzione acrobatica che non mi si addiceva per nulla (e non mi si addice nemmeno da sveglio)
Mi accostavo ad un finestrone e spingevo il mio sguardo verso l’alto, osservando il grattacielo di fronte che si stagliava su di uno sfondo di cielo blu abbacinante
Mi accorgevo che sul tetto di quell’edificio vi erano delle automobili che facevano manovra come se là, su quella stretta terrazza, vi fosse un parcheggio d’auto
Mi chiedevo come quelle vetture fossero arrivate lì
Capivo anche che l’unica altra alternativa per andare via di lì potesse essere ascendere verso l’alto, sì da raggiungere il tetto-parcheggio di quell’altro edificio e da lì prendere un taxi
Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre
armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro
intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno
nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).
Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?
La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...
Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...
Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e
poi quattro e via discorrendo....
Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a
fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.
E quindi ora eccomi qua.
E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.