L'altra mattina portavo a spasso a Frida...
Ho incrociato una signora che portava al guinzaglio tre cagnotti tracagnotti (tutti e tre minuscoli ed altezzosi, da "grembo" - come si suol dire...)...
Dall'altro lato, avanzava contegnosa una signora, anche lei legata al guinzaglio con un biancocane vecchiotto alquanto e dondolante sulle corte gambe...
Trafficato il marciapiede alle 10.00 del mattino...
Cose che succedono quando si è pensionati...
Un "tecnico" di qualcosa era intento, assieme ad un suo collega, a trascinare un grosso televisore demodé lungo lo stesso marciapiedi...
Fatica improba, visto che il suddetto era poco più di un rottame con viscere catodiche oscenamente esposte e fili pendenti come nervi recisi.
Il tizio - moderno Sisifo - si è distolto un attimo dalla sua fatica e, evidentemente colpito dal profluvio di cani in transito, prendendo me come interlocutore privilegiato (forse per via dell'inevitabile complicità scaturente dall'appartenenza allo stesso sesso), ha detto: "La prossima volta che nasco, voglio nascere cane... Almeno, la vita me la godo... senza pensieri".
Giusto pensiero... Ma, evidentemente, il tizio vedeva solo il lato roseo delle cose e aveva in mente essenzialmente il modello di cane vezzeggiato, coccolato, nutrito, bagnettato e spazzolato, umanizzato, in altri termini, quella categoria di cani che, a causa nostra, hanno perso lo statuto di animale, ma non possono conquistare quello di persona... come bene osserva Marcel Grenier, nel suo Le Lacrime di Ulisse (Edizioni e/0, 2003), citando un'enorme mole di esempi tratti dalla letteratura, a partire - ovviamente - dall'episodio dell'incontro di Ulisse, reduce dal lungo esilio durata ventanni, con il suo cane Argo.
Il tizio che vagheggiava di poter vivere da cane al suo prossimo giro di ruota, non pensava certo alla miriade di cani macilenti, derelitti, ramenghi, abbandonati, denutriti, maltrattati o mangiati (come accade in Corea) che popolano il mondo intero...
Ma anche per questa categoria di cani si aprono spiragli improvvisi per la costruzione di un forte legame con l'Uomo (vedi, per esempio il poetico racconto di Paul Auster, Timbuctù, commovente e profondo)
I
Il cane di Odisseo (Odissea libro XVII, versi 290-329)
Mentre questo dicevano tra loro, un cane
che stava lì disteso, alzò il capo e le orecchie.
Era Argo, il cane di Odisseo, che un tempo
egli stesso allevò e mai poté godere nelle cacce,
perchè assai presto partì l'eroe per la sacra Ilio.
Già contro i cervi e le lepri e le capre selvatiche
lo spingevano i giovani; ma ora, lontano dal padrone,
giaceva abbandonato sul letame di buoi e muli
che presso le porte della reggia era raccolto,
fin quando i servi lo portavano sui campi
a fecondare il vasto podere di Odisseo.
E là Argo giaceva tutto pieno di zecche.
E quando Odisseo gli fu vicino, ecco agitò la coda
e lasciò ricadere la orecchie; ma ora non poteva
accostarsi di più al suo padrone. E Odisseo
volse altrove lo sguardo e s'asciugò una lacrima
senza farsi vedere da Euméo; e poi così diceva:
"Certo è strano , Euméo, che un cane come questo
si lasci abbandonato sul letame. Bello è di forme;
ma non so se un giorno, oltre che bello, era anche veloce
nella corsa, o non era che un cane da convito,
di quelli che i padroni allevano solo per il fasto".
E a lui, così rispondevi, Euméo, guardiano di porci:
"Questo è il cane d'un uomo che morì lontano.
Se ora fosse di forme e di bravura
come, partendo per Troia, lo lasciò Odisseo,
lo vedresti con meraviglia così veloce e forte.
Mai una fiera sfuggiva nel folto della selva
quando la cacciava, seguendone abile le orme.
Ma ora infelice patisce. Lontano dalla patria
è morto il suo Odisseo; e le ancelle, indolenti,
non si curano di lui. Di malavoglia lavorano i servi
senza il comando dei padroni, poi che Zeus
che vede ogni cosa, leva a un uomo metà del suo valore,
se il giorno della schiavitù lo coglie".
Così disse, ed entrò nella reggia incontro ai proci.
E Argo, che aveva visto Odisseo dopo vent'anni,
ecco, fu preso dal Fato della nera morte.
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