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24 novembre 2014 1 24 /11 /novembre /2014 07:21

Un fuori gioco entropico

In una vecchia struttura, adibita a Centro di Salute Mentale. Lunghi corridoi su cui si aprono stanze di dimensioni dverse.

E' tutto fatiscente e c'è un grande disordine: mucchi di derrate alimentari scadute e imputridite, vecchi indumenti impilati scompostamente, rottami di vecchi arredi mai rimossi.
C'è un grande ambiente con una piscina piena di acqua non proprio pulita e le pareti rivestiva di una crescita di limo verdastro e crescite strane sulla superficie immota.
Ti aspetteresti di vedere spuntare all'improvviso un coccodrillo con le fauci spalancate pronto a ghermirti.

Non mi ci tufferei mai per una una nuotata salutare.

Malgradociò, la struttura è ancora pienamente funzionante.
Non sono semplicemente in visita, ma sono lì per affrontare un colloquio psichiatrico in compagnia di uno psicologo e di un'assistente sociale.

E' un ritorno, in verità.
Io sono mancato per molto tempo e sono sorpreso per il modo in cui le cose si sono rapidamente deteriorate durante la mia assenza.

Sembra che il terzo principio della termodinamica abbia preso il sopravvimento, portando ad un rapido decadimento entropico qualsiasi forma di organizzazione e l'intera struttura.

Mi mostrano la stanza dove dovrebbe svolgersi il colloquio.

E' semplicemente orribile, più che uno studio di consultazione che dovrebbe ispirare un'atmosfera serena e rilassata e una dimensione di ordine e di armonia mentale, al tempo stesso sufficientemente neutrale per consentire al paziente di non sentirsi assalito da input frammentati e schizofrenogenici, appare come la bottega di un rigattiere o di un banco di pegni affollata degli oggetti più disparati o forse anche una stalla.
A quest'ultima impressione concorre l'aria stantia e pesante.

Ho un moto di ripulsa al pensiero di dovere svolgere un'attività professionale in un simile antro.

E cerco di negoziare un a situazione di maggiore ordine e , se possibile, ottenere un ambiente decente.

Ma le mie richieste si scontrano davanti ad un muro di indifferenze e suscitano delle reazioni di scherno da parte degli altri.

Cosa voglio del resto? - sembrano volermi dire con i loro sguardi ironici -dopo tanto tempo arrivi e vorresti imporre il tuo ordine? Le cose sono cambiate adesso e non sei più tu ad avere la guida di questo posto! Non puoi fare che adattarti!".

Mentre le trattative vanno avanti, senza che peraltro ci possa metttere in un assetto operativo, mi rendo conto con grande imbarazzo di essere senza scarpe e calze.

I miei piedi sono nudi, forse anche un po' sporchini e con le unghie non tagliate di fresco, e mi dà un certo ribrezzo doverli poggiare sul pavimento chiazzato di macchie dubbie e sulla quelle stratificazioni di sporcizia, frutto di anni di incuria.

Mi ritrovo a lottare strenuamente per indossare - senza farlo apparire - un paio di calzini che trovo a portata di mano, pensando che siano i miei, ma - con grande imbarazzo - mi accorgo che non mi appartengono e che facevano parte di un mucchio di indumenti logori buttati in un angolo.

Mi sento disgustato ed infelice.

Vorrei essere altrove e capisco che non c'è più posto per me.
Il mondo che conoscevo è andato avanti o è rimasto indietro. 

Vorrei potermi infilare in una capsula viaggiante nel tempo ed andare via alla ricerca di un luogo migliore.



Un fuori gioco entropicoMi sono ricordato dei tempi in cui lavoravo come psichiatra e della difficoltà di mantenere nella struttura e nell'organizzazione di lavoro l'ordine e delle regole funzionale. E come - in assenza di interventi correttivi - volti a mantenere l'omeostasi del sistema o una sua evoluzione verso livelli di maggiore complessità organizzativa in modo da poter rispondere a nuove richieste ed esigenze - tutto quello che era stato fatto si disperdeva e si annullava, poiché nessuno metteva un briciolo di iniziativa per supportare struttura ed organizzazione.
Tutto all'insegna del principio della deresponsabilizzazione individuale e, talvolta, anche dell'ostruzionismo o, a volte persino, di una larvata forma di protesta.
Il lavoro era immane e assumeva le sembianze della proverbiale fatica di Sisifo.

 

 

Londra, il 17 novembre 2014

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Come sono arrivato qui

DSC04695.jpegQuesta pagina è la nuova casa di due blog che alimentavo separatamente. E che erano rispettivamente: Frammenti. Appunti e pensieri sparsi da un diario di bordo e Pensieri sparsi. Riflessioni su temi vari, racconti e piccoli testi senza pretese.

Era diventato davvero troppo dispendioso in termini di tempi richiesti alimentarli entrambi, anche perchè nati per caso, mentre armeggiavo - ancora alle prime armi - per creare un blog, me li ero ritrovati ambedue, benchè la mia idea originaria fosse stata quella di averne uno solo. Infatti, non a caso, le loro intestazioni erano abbastanza simili: creatone uno - non ricordo quale dei due per primo - lo ho "perso" (per quanto strano ciò possa sembrare) e mi diedi alacremente da fare per ricrearne uno nuovo. Qualche tempo - nel frattempo ero divenuto più bravino - il blog perso me lo ritrovai).

Ohibò! - dissi a me stesso - E ora cosa ne faccio?

La risposta più logica sarebbe stata: Disattiviamolo!. E invece...

Mi dissi: li tengo tutti e due. E così feci. E' stato bello finchè è durato...

Ma giocare su due tavoli - e sempre con la stessa effcienza - è molto complicato, ancora di più quando i tavoli diventano tre e poi quattro e via discorrendo....

Con overblog ho trovato una "casa" che mi sembra sicuramente più soddisfacente e così, dopo molte esitazioni, mi sono deciso a fare il grande passo del trasloco, non senza un certo dispiacere, perchè il cambiamento induce sempre un po' di malinconia e qualche nostalgia.

E quindi ora eccomi qua.

E quello che ho fatto - ciò mi consola molto - rimane là e chiunque se ha la curiosità può andare a dargli un'occhiata.

 

Seguendo il link potete leggere il mio curriculum.

 

 


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