E' un dato quasi universale: i bambini adorano le pozzanghere che si sono formate a terra dopo una pioggia.
Questo fascino - questa forza attrattiva - si accresce ancora di più, se le pozzanghere sono fangose ancora di più.
Appena ne adocchiano una, ecco che subito ci zompano dentro con un ardore quasi fanatico e degno di una miglior causa e cominciano a pestare con i piedi, sollevando infiniti schizzi.
Un'attività che viene solitamente svolta, applicandovi la stessa concentrazione che meriterebbe un lavoro di fino e che sembra generare un'autentica goduria.
Quando ero piccolo, appena vedevo una pozzanghera, mi ci fiondavo dentro immediatament e, possibilmente, con le scarpe nuove appena comprate dalla mamma.
E mamma mi gridava dietro... sia mentre lo facevo sia mentre mi riportava indietro a casa, con le scarpe tutte infangate e i vstiti schizzati di fango.
Però, poi - a distanza di ore o di giorni - era un episodio che raccontava a parenti e ad amiche...
Le mie malefatte gianburraschesche erano sempre oggetto delle sue narrazioni nelle cui filigrana - dietro una riprovazione di circostanza - si intravedeva un certo compiacimento che, percepito da me, nella posizione di ascoltatore delle sue storie, rinforrzava ulteriormente il mio primitivo impulso di zompare nella pozzanghera la prima volta che dovesse presentarsene di nuovo l'occasione.
Vedere Gabriel Babacino che istintivamente fa la stessa cosa mi ha riportato conprepotenza indietro nel tempo.
Forse in questo fascino primigenio delle pozzanghere risiede l'attrattiva che per molti esercita la corsa in natura, soprattutto quando le condizioni climatiche sono incerte e i sentieri sono fangosi e ci sono delle distesa d'acqua neo-formate da superare, attraversando alti schizzi.