Quella cucina della casa dove abitavamo, in Viale Regina Margherita, rimane per me un luogo magico e denso di ricordi...Era una stanza lunga e stretta, ma resa spaziosa dal soffitto alto, come oggi non ne fanno più. Luminosa di pomeriggio e fresca di mattino.La finestra si apriva sul lato corto , di fronte alla porta che dava sul lungo corridoio, esattamente a metà strada esatta tra la zona giorno e la zona notte. Su uno dei suoi lati lunghi, c'era - pensate un po'! - una struttura in muratura rivestiva di maioliche, su cui erano impiantati tre fornelli a legna, e sotto il ripiano dei punti cottura s'apriva lo spazio per tenere legna e carbone e tutto il necessario per attizzare e governare il fuoco (la casa era sta costruita negli anni trenta del XX secolo). Allineata con la struttura in muratura che ospitava i fornelli, c'era una ghiacciacia di legno, rivestita di zinco, bassa e tozza. D'estate, una volta ogni due o tre giorni, arrivava un omone con la schiena possente rivestita da un sacco aperto di ruvida iuta con un angolo agganciato alla testa a mo' di cappuccio e ci portava una mezza sbarra di ghiaccio.
La cucina viveva di una sua vita propria, pulsante.
Sin dalla mattina iniziavano frenetiche attività, diretta dalla nonna ed eseguite dall'anziana Marietta e poi, quando costei, anziana e malata, dovette andare via, da cameriere più giovani.
La nonna - giorno per giorno - decideva cosa si doveva cucinare, impartiva le sue istruzioni e, benchè fosse semicieca per via della cataratta, eseguiva lei stessa parte dei lavori necessari. Io, prima del tempo delle Elementari, e poi, soprattutto d'estate, stavo sempre tra i piedi, eccitato da tutto questo andirivieni, a cui si accingeva il movimento dei fornitori e dall'arrivo di nuove scorte di cibo.
Ad un certo punto i vecchi fornelli a legna non vennero più utilizzati, soppiantati da una più moderna macchina per cucinare (moderna si fa per dire, ma per quei tempi lo era), smaltata di bianco, con tre punti di cottura, alimentata con la bombola a gas, ed anche con quella la nonna faceva miracoli.
Spesso e volentieri, io mi inserivo da protagonista, in quel silenzioso ed operoso trambusto con le mie piccole monellerie e cattiverie maliziose...Per esempio, con molta frequenza d'estate, prendevo del ghiaccio dal frigo - sì, ad un certo punto, la vecchia giacciaia, andò via e venne sostituita da un modernissimo (per quei tempi) frigorifero FIAT tutto bombato e morbidoso, interamente bianco, salvo che per la cromatura del maniglione - e facevo scivolare questi ghiaccioli dentro il grembiule della donna di servizio che si contorceva e lanciava gridolini per l'improvvisa sensazione di gelo nella schiena. Altre volte, afferrata una mezza cipolla, cominciavo a strofinarla con grande vigore sul grembiule della poveretta (ed io grandi risate). Oppure, approfittando di attimi di disattenzione portavo i miei soldatini di plastica e li esponevo al fuoco per vedere cosa succedeva.
C'erano delle pietanze che richiedevano preparazioni lunghe e complesse: e, in tali occasioni, io ero incantato e andavo in sollucchero in attesa della degustazione che sarebbe seguita, perchè si trattava di cose di cui ero particolarmente goloso.
Una di queste circostanze era quella della preparazione dei "panzerotti" ripieni da friggere: che noi però chiamavamo "ravioli", con ripieno salato (besciamella, piselli e pezzetti di formaggio e prosciutto cotto, oppure solo con la ricotta che erano quelli che io preferivo sopra ogni cosa) e dolci (con farcitura di marmellata). Per questa preparazione si cominciava di mattina e si finiva quasi ad ora di pranzo e, mentre ci sedevamo a tavola, ancora nuovi ravioli uscivano dall'olio bollente e venivano portati in tavola accastati in grosse pile. In quei giorni, naturalmente, non si mangiava altro: ci si riempiva sino a scoppiare dei deliziosi panzerotti ripieni. Si cominciava da queli salati e si finiva con quelli dolci.Quelli che avanzavano (quelli con la ricotta, in specie) erano la mia merenda di scuola dei giorni successivi oppure anche la merenda di metà pomeriggio (e freddi eranocora più buoni).
Un'altra preparazione lunga e complessa era quella delle "pagnottelle ripiene", non saprei come meglio definirle.Si partiva da speciali rosettine (michette, forse direbbero i milanesi) che, come primo atto, venivano delicatamente aperte, togliendo il coperchietto sommitale e svuotate di tutta la mollica, che veniva in parte messa da parte. I panini così svuotati venivano velocemente passati in olio bollente. Intanto a parte si praparava la besciamella, i piselli, oppure i carciofi fatti a pezzetti minuti, formaggio e prosciutto cotto a cubetti. Quando la besciamella era pronta si amalgamavano i vari ingrendienti e, quindi, si procedeva al riempimento delle pagnotelle. Il cerchietto sommitale che era stato asportato, ma conservato a parte, veniva ricollocato nella sua posizione originaria.Le pagnottelle farcite e ben chiuse venivano, quindi, immerse nuovamente nell'olio bollente per una'ulteriore leggera frittura dell'esterno e per riscaldare per bene il ripieno: infine, estratti, dall'olio bollente, venivano serviti caldi.
Anche questo, per quello che ricordo, era un piatto unico e se ne ne mangiava a volontà.
Quei giorni, quelli di queste cucinate particolari erano delle occasioni veramente speciali di cui ricordo l'acciottolio di stoviglie, l'affancendarsi delle donne, e il coinvolgimento di tutti nel dare una mano, l'attesa piena di eccitazione, e poi il desinare con gusto consapevoli di quanto quella pientanza fosse un "dono" per tutti, ma la "direttrice" suprema e operosa di questo piccolo reame, mai autoritaria e severa tuttavia, era la nonna Maria.
Bei giorni...
Quella che segue è la ricetta esatta delle "pagnottelle ripiene", così come è stata trascritta da mia cugina Luciana: la mia descrizione di prima - lo ammetto - è un po' più fantasiosa, ma ho scritto ciò che emergeva nel mio ricordo.
Panini ripieni (una ricetta di Nonna Maria)
15 panini tondi all'olio o rosette.
Togliere il dischetto dalla parte superiore del panino e metterlo da parte. Grattuggiare un po' la crosta, estrarre la mollica e imbottirli. L'interno può essere quello delle arancine, o besciamella con carciofi, o besciamella con olive, capperi e acciughe, o besciamella con fontina e capocollo, o besciamella con gruviera e prosciutto cotto, etc. Si chiudono, si bagnano nel latte, si passano al bianco d'uovo battuto, poi al pangrattato e, infine, si friggono.