(Maurizio Crispi) Un'opera di Stephen King si può recensire in molte o in poche parole, come anche può essere piaciuta tanto da collocarla al top della sua produzione o, viceversa, non tanto.
Dopo tante attese su - nientemeno - il seguito di Shining (un vero "mostro sacro" nella produzione letteraria del Nostro, la cui fama - per di più - é stata amplificata da un magistrale film di Kubrik, tuttavia sconfessato per misteriosi motivi da King, perchè non rispondente alla sua parola scritta), molti - apparentemente - nel trovarsi tra le mani la sua ultima creatura "Doctor Sleep" (Sperling&Kupfer, 2014) ne sono rimasti delusi.
Chiariamo, un punto, innanzitutto.
Doctor Sleep non è un pedissequo e sequel di uno dei più celebri romanzi de Il Re. Definirlo tale sarebbe banalizzarlo.
Da esso, tuttavia, prende le mosse.
Come spiega lo stesso Autore nella sua puntuale postfazione (come sempre indirizzata al suo "fedele lettore"), per moltissimi anni dopo l'uscita di Shining (ma anche del film), erano tanti i lettori che gli chiedevano notizie sul piccolo Dan Torrance, che possedeva la qualità della "luccicanza" (cosa gli era accaduto dopo la morte del padre e la rovina dell'Overlook Hotel? Come era cresciuto? Cosa aveva fatto nella vita?), quasi che egli fosse un personaggio reale che si era perso di vista.
A distanza di oltre 30 anni, Stephen King ha accettato la sfida e ha deciso di provare a scrivere la storia di Danny, nel frattempo divenuto un giovane adulto, anche se non esattamente felice, nel momento in cui lo rincontriamo.
Malgrado che - grazie ai buoni consigli di Richard halloran, cuoco dell'Overlook, intervenuto in extremis a salvarlo con la mamma Wendy dalla follia omicida del padre Jack - egli abbia trovato un modo di tenere a bada di tenere i fantasmi che ogni tanto tornano a visitarlo, la sua vita è un disastro.
La paura delle visioni (di quelle visioni legate all'Overlook) è troppo forte, ma soprattutto quella capacità di essere in contatto con l'Io nascosto degli altri e di percepire i loro pensieri e il loro lato oscuro, è per lui un costante disagio che presto impara a tenere a bada con l'alcol.
Ma - caso o necessità - quando ha raggiunto il fondo (per usare l'espressione cara agli AA) e mentre sta cercando di riemergere, dovendo di continuo confrontarsi con i sensi di colpa per i danni che ha causato agli altri nella sua esistenza vissuta irresponsabilmente tra una sbornia e l'altra, giunge in una piccola cittadina montana dell'Est (nel New Hapshiree) e qui si ferma per intraprendere un suo percorso di riabilitazione, dando ascolto ad una voce interna che gli dice: "Questo è il posto".
Non dirò di più sulla trama, se non il fatto che, nel corso della lettura, si raggiunge un picco di tensione e di piacere a circa metà della storia (che si dipana in oltre 500 pagine), mentre nella seconda metà il flusso narrativo prende una piega relativamente quieta e quasi scontata.
A mio avviso, e a dispetto delle critiiche che gli amanti dei romanzi in copia carbone hanno formulato, c'è una ragione in tutto ciò ed è - credo - il fatto che ogni romanzo rispecchi lo stato evolutivo e l'età, non solo del suo personaggio protagonista, ma anche dell'autore che lo ha scritto.
Momento evolutivo: sì!
Ogni individuo, di fatto, nell'arco della sua vita vive esperienze diverse, evolve e si trasforma.
Se guardiamo i romanzi di Stephen King, nel loro insieme oppure ci soffermiamo su questi due in particolare, scritti a distanza di otre 30 anni uno dall'altro, possiamo dire che, come nel naturale sviluppo psico-affettivo, all'inizio prevalgano i grossi contrasti, i momenti in cui i massimi sistemi sono in conflitto quelli delle grandi battaglie tra il Bene e il Male, con l'Orrore che è sempre dietro la porta (oppure sotto il letto), pronto a gherrmire il malcapitato che osi soltanto curiosare.
Per contro, i suoi romanzi più recenti sono nostalgici, narrano di piccole cose, di rievocazioni d'un passato ormai lontano (vedi, ad esempio "Joyland" che ha immediatamente preceduto Doctor Sleep) e del tempo della giovinezza del protagonista (che è anche l'autore).
Voelndo formulare le cose in termini di psicologia dell'età evolutiva, si potrebbe dire che Stephen King nel suo personale processo di elaborazione interiore (di cui i suoi romanzi sono lo strumento principe, per quanto non dichiarato, perchè se interrogato lui risponderebbe che scrive solo romanzi, senza alcun intento autobiografico o di confesssione interiore) sia passato da una fase schizo-paranoide (intesa nel senso kleiniano del termine, ad una fase propriamente depressiva, che riflette l'attitudine interiore di un uomo che è finalmente divenuto adulto e che riflette sui danni che l'indulgere alle tempeste dell'assetto schizo-paranoide - e la megalomania sottesa - ha provocato agli oggetti relazionali e all'impossibilità di ripararli del tutto, anche se rimane aperta la possibilità di "redimersi" (cosa che del resto inizia a fare Danny, quando - lavorando come carer in una casa di riposo per anziani, si ritrova naturalmente ad assistere i morenti, usando con loro le sue facoltà empatiche per assicurare loro un trapasso sereno e privo di ansia).
Quando un individuo (sia attraverso un percorso terapeutico, sia seguendo altre vie, come può essere il supporto di un gruppo di auto-aiuto quali sono i gruppi AA) approda alla fase depressiva, sembra che nella sua vita non succeda più niente di rilevante: le relazioni con gli altri si fanno quiete, non hanno più la qualità tempestosa di prima, la routine di vita si fa quieta e tranquilla, come espressione del raggiungimento di uno steady state. Nello stesso tempo si affaccia all'orizzonte mentale un'inedito stato melanconico che lo porta a riflettere con nostalgia al tempo perso in cose futili e dannose, ma anche il rimorso per il danno causato ad altri e la tristezza per non potere più porre rimedio, assieme al al dolore per l'irrimediale confronto con oggetti relazionali rotti e danneggiati con i quali bisogna imparare a convivere, amandoli per quelli che sono.
E' la condizione tipica che fece dire ad un giovane psicoanalista in supervisione, al suo supervisore: "Con questo paziente, sembra che non succeda più niente di rilevante. E' diventato poco interessante. Mi sembra che sia depresso".
E, a quel punto, il supervisore, masticando e suggendo il cannello della sua pipa, gli rispose: "Bene, bene! Se è depresso, allora finalmente comincia a stare meglio!".
Scusatemi la breve digressione che vuole essere anche un omaggio alla memoria di uno dei miei supervisori nel percorso psicoanalitico che segui a suo tempo (il dottor Roberto Tagliacozzo, purtroppo da qualche anno scomparso), ma mi è sembrato che l'esempio fosse calzante per applicarlo all'analisi di un'opera letteraria.
Dan (e dietro di lui, l'autore) è a un punto di svolta della sua vita e vive il cambiamento faticosamente: soprattutto, perchè sembra che non accada più nulla di importante nella sua vita (anche se non beve più e dunque sta meglio), ci sono soltanto piccoli eventi quotidiani, il confronto assilante con i propri ricordi, con le proprie sofferenze, con un passato ingombrante e con delle derive che devono essere di continuo contrastate e rintuzzate.
C'è per Dan Torrance il bisogno di affrontare il presente, redimendosi dalle azioni compiute in passate: e ciò accade attraverso il confronto diuturno con il proprio dolore e con quello degli altri.
Piccole cose, minuti accadimenti, con la vita che scorre - dopo giorno - come un ampio fiume tranquillo, dove tuttavia si ritrovano - o si trovano - gioie ed affetti. E dove si può ritrovare la capacità di amare pienamente gli oggetti relazionali danneggiati e dove ci si può riappacificare con il passato.
Un fiume tranquillo, sì, ma un fiume dove all'improvviso può comparire una rapida perigliosa che lo riporta all'improvviso a quel passato che si vorrebbe dimenticare (i fantasmi dell'Overlook tornano a perseguitare Danny, ma sarà soltanto per poco): la posizione schizo-paranoide è insidiosa e le derive verso di essa sono forti, ma è anche uno strumento di conoscenza e di controllo della realtà.
Occorre che Dan affronti un'ultima sifda prima di approdare definitivamente alla propia vita di adulto.
Forse, proprio per questo, si ha la sensazione (e ciò può capitare a quelli che vorrebbero leggere i romanzi di Stephen King come tante copie conformi di una matrice originale), che Doctor Sleep finisca e si concluda a coda di topo.
Ma è la posizione nei confronti della vita di Stephen King ad essere cambiata nel frattempo.
Aggiungiamo, per completezza, che Doctor Sleep è anche un romanzo sulla dipendenza alcoolica, sul "toccare il fondo", e sulla via di uscita da essa attraverso il lavoro su se stessi, catalizzato dall'incontro con l'organizzazione di AA (Alcoholics Anonymous) che, Stephen King mostra di consoscere a fondo - e non soltanto per la lettura di una documentazione sull'argomento o per semplice cultura libresca, ma probabilmente per esposizione personale ad un perocrso similare, visti i suoi trascorsi etilici (e di utilizzo, forse, anche di altre sostanze psicoattive).
In questo senso, è un grande omaggio alla filosofia AA, cioè quella del "giorno dopo giorno", professando come principio basilare la necessità di una resa ad un potere superiore (aconfessionale).
Se si legge Doctor Sleep, tenndo conto di questi possibili riferimenti, ci si renderà conto che ancora una volta siamo davanti ad un grande romanzo.
D'accordo, potrà piacere o non piacere!
Ma a me è piaciuto e ho provato a spiegare perché.
Non piacerà certamente a coloro che cercano sempre i grandi conflitti tra Bene e Male, le descrizioni terrorizzanti, il sangue sparso, le membra straziate e, soprattutto, non piacerà a coloro che sono lontani dall'aver ancora raggiunto un tranquillo - seppur precario - equilibrio nella propria esistenza, essendosi lasciati alle spalle trascorsi tumultuosi e problematici, o che hanno fronteggiato la morte, una grave malattia o una severa forma di addiction.
(Dal risguardo di copertina) Perseguitato dalle visioni provocate dallo shining, la luccicanza, il dono maledetto con il quale è nato, e dai fantasmi dei vecchi ospiti dell'Overlook Hotel dove ha trascorso un terribile inverno da bambino, Dan ha continuato a vagabondare per decenni. Una disperata vita on the road per liberarsi da un'eredità paterna fatta di alcolismo, violenza e depressione. Oggi, finalmente, è riuscito a mettere radici in una piccola città del New Hampshire, dove ha trovato un gruppo di amici in grado di aiutarlo e un lavoro nell'ospizio in cui quel che resta della sua luccicanza regala agli anziani pazienti l'indispensabile conforto finale. Aiutato da un gatto capace di prevedere il futuro, Torrance diventa Doctor Sleep, il Dottor Sonno. Poi Dan incontra l'evanescente Abra Stone, il cui incredibile dono, la luccicanza più abbagliante di tutti i tempi, riporta in vita i demoni di Dan e lo spinge a ingaggiare una poderosa battaglia per salvare l'esistenza e l'anima della ragazzina. Sulle superstrade d'America, infatti, i membri del Vero Nodo viaggiano in cerca di cibo. Hanno un aspetto inoffensivo: non più giovani, indossano abiti dimessi e sono perennemente in viaggio sui loro camper scassati. Ma come intuisce Dan Torrance, e come imparerà presto a sue spese la piccola Abra, si tratta in realtà di esseri quasi immortali che si nutrono proprio del calore dello shining.
La recensione di IBS. L’Overlook Hotel non esiste più. Raso al suolo da un incendio causato da una caldaia difettosa, l’albergo più inquietante della storia letteraria e cinematografica di tutti i tempi è ora soltanto un cumulo di cenere e macerie.
In tre sono sopravvissuti al disastro: la moglie e il figlioletto del custode ubriacone Jack Torrance e il cuoco dell’albergo, Richard Halloran. In seguito all’esplosione i due adulti hanno riportato gravi ferite, mentre il bambino, illeso fisicamente, si è ritrovato con una psiche completamente devastata.
Doctor Sleep racconta cosa è accaduto dopo quell’esperienza terribile e narra la storia di Dan, il piccolo bambino che nel film di Kubrick vagava, smarrito, per i corridoi dell’Overlook, cercando di sfuggire alla furia di Jack.
L’idea del romanzo è venuta a King dopo aver lanciato nei mesi scorsi un sondaggio dal proprio sito in cui chiedeva ai lettori se avessero preferito il sequel di Shinning oppure un nuovo libro della serie Dark Tower.
L’esito non ha lasciato dubbi: tutti aspettavano di conoscere la sorte del povero Dan. Da queste premesse nasce Doctor Sleep
Nel sequel ritroviamo il bambino che, salvatosi dalla pazzia del padre, combatte ancora con i demoni della sua mente: i maledetti fantasmi dell’Overlook che continuano a tormentarlo fino a farlo cadere nell’alcool e a imprigionarlo in una forma di depressione acuta.
Questa sorta di autodistruzione si conclude quando, all’alba dei quarant’anni, Dan chiede aiuto agli alcolisti anonimi che lentamente lo riportano alla vita. In quegli anni il ragazzo decide di sfruttare il dono dello shinning per curare, insieme ad un gatto dai poteri paranormali, i malati terminali di un ospizio: è il Doctor Sleep di cui parla il titolo.
Nel frattempo incontra Abra, l’altra grande protagonista del libro, una ragazzina dotata dello stesso potere di Dan, la luccicanza, e per questo inseguita da una banda di malvagi: i True Knot, vampiri dello shining alla ricerca dei bambini con questo dono per poterli uccidere e assorbirne il potere.
Non è necessario aver letto Shining per farsi inquietare dalla lettura di Doctor Sleep, questo nuovo romanzo vive da sé grazie ai diversi temi che affronta: è soprattutto un libro sulla sensibilità che diventa condanna e sulle dipendenze, famiglia in primis.
L’autore torna a parlarci dei sogni che generano mostri: Danny è costretto a fronteggiare da una parte i demoni della stanza 217 dell’Overlook Hotel, e dall’altra gli spietati True Knot. La scrittura di King è sempre avvincente e anche quando tende troppo alla suspense o al paranormale non perde mai di vista il pathos e l’aspetto umano.
La storia, che si risolve nella lotta epica tra il Bene e il Male, si sviluppa attraverso registri narrativi che fondono insieme realismo e fantasia. Alla fine della lettura il romanzo ci restituisce la sensazione che è impossibile sfuggire ai propri demoni e la consapevolezza, in parte nichilista, che nessuno è davvero innocente, nessuno si salva davvero e nemmeno al piccolo bambino che vagava con il triciclo è concesso avere una vita ordinaria.