Passeggiare e camminare sono un modo dell'esistere, non v'è alcun dubbio su questo. Come del resto lo è correre, in primis il correre lento.
Sono dei modi che rimandano alla condizione dell'uomo ancestrale che, essendo fondamentalmente nomadico, si muoveva di continuo nel suo territorio, a volte correndo (per le esigenze della caccia), a volte muovendosi al passo, più indolentemente (in relazione alle esigenze della raccolta di tutto ciò che avesse un valore commestibile, dai tuberi, alle bacche, ai frutti).
Ma, in un caso e nell'altro, vigeva il principio dell'osservazione, poichè tutto era magico, tutto era permeato d'un divino immanente, tutto era pieno di cose che attiravano la sua curiosità, ma a cui l'uomo di allora non poteva dare alcun nome e che sentiva, il più delle volte lui parte minuscola di un tutto sovrumano, come ominoso ed incombente.
E tutto, essendo magico e collegato con il soprannaturale, diventava fonte e oggetto di meraviglia: ogni piccola cosa poteva contenere una scintilla del divino.
L'uomo si muoveva nei suoi contesti, meravigliandosi, consapevole della sua piccolezza e della sua fragilità di fronte all'incommensurabilità e all'impossibilità di controllare i grandi eventi naturali.
Quando passeggiamo (o corriamo), se soltiamo abbandoniamo quella odiosa certezza di tutto conoscere (che toglie mistero a ciò che percepiamo e lo appiattisce) e che ci rende superficiali perchè tutto diventa scontato, possiamo ritornare - almeno in parte - a quella disposizione d'animo dell'uomo ancestrale.
Occorre fare riferimento al dio delle piccole cose: a quel dio che porta a permeare ogni oggetto di una scintilla di divino, sia esso manufatto o prodotto naturale: ogni cosa, osservata nel suo insieme e poi isolata dal suo contesto, interpretata, diventa il tramite per sperimentare il senso della meraviglia, il novum, il mistero.
Qualche volta chi mi vede fotografare, si sofferma a guardarmi strano: come sei io fossi uno bizzarro e mezzo matto, che fa qualcosa di incomprensibile.
Una volta, mentre fotografavo, si sono fermati i poliziotti che passavano in auto e sono scesi dalla macchina, chiedendomi allarmati: "Cosa è successo?", come se io stessi fotogrando la scena di un crimine e, invece, ciò che aveva attirato la mia attenzione era soltanto una bambola rotta.
Qualche volta però accadono delle razioni inaspettate che mi riempiono di meraviglia.
Qualcuno si accorge che sto fotogrando una piccola cosa a distanza ravvicinata e mi guarda con aria interrogativa, oppure - in altri casi - si avvicina a curiosare.
Io gli mostro ciò che sto fotografando (poche parole di commento, lascio poi che sia l'altro a scoprire) e la persona, uomo o donna che sia, guarda insieme a me, accorgendosi per la prima volta d'un oggetto o di una configurazione che ha sempre avuto davanti (ci è passato tante volte davanti) senza mai riuscire a vederlo.
E, quando ciò accade, io sorrido e quell'altra persona sorride assieme a me per la scoperta condivisa.
Si attiva un senso di complicità.
Ed è accaduto un novum nel panorama esistenziale di quella persona: quella forma di istantanea condicisione è anch'essa un novum e si è creato un punto di rottura nella percezione ordinaria della realtà...
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