Il sole picchia forte
E' un giorno di scirocco e, a tratti, arrivano folate di vento caldo dal Sud,
ma per nulla rinfrescate per avere attraversato il mare
Oltre la linea dell'orizzonte c'è l'Africa
Capo Bianco con le sue falesie di calcare bianco friabilissimo
nella luce spietata del sole è abbacinante.
E' un posto antico che conserva una forte energia
Il luogo di un'antica città fondata dai Fenici
e poi colonia greca, consacrata ad Eracle
costruita con questo stesso calcare bianco
friabilissimo però che il vento corrode con facilità
e la pioggia perfora e fa sciogliere.
Gli antichi che costruirono questa città non previdero questo, forse.
Pensavano che la loro città sarebbe stata eterna
Eppure era destinata a sciogliersi sotto i loro piedi
e a tramutarsi in polvere
Ogni volta che vengo qui, tra queste pietre antiche mi chiedo
come dovesse essere vivere qui
Questa città era un avamposto della civiltà,
così la immagino:
da un lato, il mare sconfinato del Canale di Sicilia,
dall'altro, l'entroterra selvatico e boschivo
e posso vedere i suoi abitanti, avvolti in tuniche candide
in piedi sulla cittadella a scrutare l'orizzonte
in attesa dell'arrivo di navi sospinte dai remi
e dal vento a favore che gonfiava bianche vele
E, in basso, c'è la magia di un fiume - il Platani -
che, con una barchetta o una canoa, è ancora oggi navigabile
per qualche centinaio di metri
e che forse in tempi remoti dava riparo alle biremi
in arrivo dai luoghi al di là del mare
Dovevano sentirsi eroici ed intraprendenti quei coloni
e qui avevano i loro templi dove facevano voti e sacrifici ai loro dei
per avere una pace prospera e per poter portare avanti i propri commerci
e dove consultavano gli aruspici per sapere della vita e della morte
Ora, c'è solo il vento che soffia tra quelle pietre corrose
e solo qualche turista che vi si aggira, sentendo - se ci riesce - la meraviglia
del peso di secoli di storia
Tutt'attorno una campagna che, un tempo, era coltivata
e dove nel nostro dopoguerra furono intraprese
grandi opere per renderle irrigue
Oggi sono tutte desolatamente abbandonate
Si intravedono ancora i campi delimitati da filari
di agavi e di fichi d'india, corrotti dall'incuria e dagli incendi
e al centro appezzamenti di terreno invasi dalle sterpaglie
che saranno facile preda di altri incendi
in un processo di deterioramento senza fine
Dei grandi impianti d'irrigazione rimangono solo rovine inutilizzate
In confronto, probabilmente, ha resistito più a lungo
la colonia di Eraclea al collasso e al decadimento
C'è della malinconia in tutto questo
E ogni volta che giungo qui mi sento profondamente triste
per quello che succede alle opere degli uomini e ai loro manufatti,
dovendo mestamente constatare
che non siamo capaci di far sopravvivere e di salvaguardare
ciò che abbiamo restaurato
All'interno del sito archeologico,
c'era un chiosco dove erano in vendita bibite fresche:
ma oggi è desolatamente chiuso
Si sentono le voci dei custodi
provenire dall'interno dei locali ombrosi del museo
Non sono disponibili alle richieste dei visitatori:
badano soltanto ai fatti propri e chiacchierano
con voci sguaiate d'un tono troppo elevato
La visita è ostica e non c'è nessun incentivo
ad avventurarsi tra quelle pietre calcinate
Tettoie di plastica sono state collocate a salvaguardia delle rovine,
onde evitare che dagli elementi atmosferici siano corrose ancora di più,
ma anche dall'incauto calpestio dei turisti
Nel suo complesso, il sito risulta ancora più corrotto
di quando lo scopersi per la prima volta
più di trenta anni addietro
Il vento soffia di continuo
e ogni tanto arriva una folata più forte
che fa sollevare nugoli di polvere
che sembrano fantasmi,
i fantasmi di quelli che un tempo vissero nella città bianca
e che ora protestano e si lamentano
nel vedere lo stato miserevole in cui versa adesso
Dagli alberi cadono le foglie rinsecchite dalla calura,
accartocciate e crocchianti,
bruciate dalla calura
inscenando un autunno precoce
Più in là, da qualche punto dell'entroterra,
si levano verso il cielo i fumi di un incendio,
formando grosse nubi grigio-mere
che rapidamente si disperdono
in una sottile foschia residua
Seguendo la strada bianca, abbacinante,
arrivo al punto di discesa sulla spiaggia
della Foce del Platani
Mi sento un Robinson, sperduto in un paesaggio ostile
C'è vita attorno a me
farfalle e scarabei operosi,
mosche cavalline, grosse formiche neri
che sgorgano dai loro tunnel sotterranei.
Grumi di chioccioline in quiescenza appollaiate
sulle pale di fico d'India e su vecchi pali di legno corrosi
Il terreno è crepato per la grande siccità: ma da quanto tempo qui non piove?
Da quanto tempo il sole picchia impietoso,
senza essere stemperato dall'umido di una pioggia?
Lontano, si staglia tortuosa la Foce del Platani che scorre
nelle sue ultime centinaia di metri nel bel mezzo d'un fitto bosco
che però è arido e non offre sollievo alcuno
La spiaggia è piena dei soliti detriti
ma ci sono anche i cadaveri di piccoli granchi , miracolosamente integri
o i loro carapaci
ormai svuotati della polpa
E, frammisti alla sabbia giallo-dorata del bagnasciuga,
sassi grandi e piccoli
luccicanti quando sono bagnati dalle onde che rullano
di continuo,
ma che, appena esposti al sole, diventano opachi e polverosi
La roccia di Capo Bianco vista dal basso è ancora più abbacinante.
Standoci sopra sembra la prua di una nave, puntata verso il mare
Chiudendo gli occhi sento soltanto il fruscio del vento
e il rullìo delle onde
e me ne sto sotto il sole che mi fa bruciare la pelle
in totale solitudine,
assaporandola.
Scopro una grotta ombrosa e misteriosa,
la cui imboccatura è in parte nascosta dagli arbusti selvatici
Il suo pavimento è reso morbido
dal progressivo sfaldamento della pietra,
ma anche dal guano degli uccelli
che qui vi trovano rifugio, come si comprende
dalle numerose tracce sulla sabbia morbida
Poi, dopo qualche ora, intraprendo il viaggio di ritorno
senza incontrare, di nuovo anima viva,
ma solo la solitudine e l'abbandono e il degrado
di quei campi un tempo coltivati
Vorrei bere una Coca Cola e dissetarmi
e, mentre compio le ultime centinaia di metri sotto il sole
me la raffiguro, con una mirade di goccioline di condensa
che scivolano in basso
Ma quel chiosco benefico è chiuso
Mi seggo su di una piccola panchina rustica
subito fuori dall'ingresso dell'area archeologica
Bevo avidamente l'ultimo residuo di acqua
e prima, con qualche preziosa goccia, cerco di dare refrigerio
alla pelle bollente
Indugio su quella panchina ombreggiata
ascoltando il fruscio del vento
e i bisbiglii delle anime di coloro che, secoli prima,
hanno vissuto nella città
e ascolto anche gli scricchiolii delle foglie raggrinzite
che, cadendo, si frantumano, oppure che vengono fatte rotolare dal vento
qui e là
E poi, vado,
è tempo di ritornare a casa
E guido la mia auto, mentre il sole tramonta
e il vento soffia a raffiche ancora più potenti,
spazzzando via tutto, imperioso
e poi nell'imbrunire,
attraverso campi di grano appena falciati
d'un giallo che rapidamente si scurisce
man mano che la sera avanza
e per rigorose geometrie di vigneti
che, invece, mentre la stagione avanza,
si fanno sempre più verdi e scuri.
E alla fine vengo inghiottito
nel mistero della notte,
portando dentro di me
un giorno radioso e di malinconia
E questo è il mistero della vita
Vedi anche un mio articolo del 2010: Una gita al mare: il ricordo di due estati fa, ancora fresco come se fosse di ieri