Bruce Chatwin in "Anatomia dell’irrequietezza" scrive: “Danzare è andare in pellegrinaggio”.
Leggendo "Storia del camminare" di Rebecca Solnit ho imparato che l’espressione cinese per “andare in pellegrinaggio” significa: rendere omaggio alla montagna.
Ecco, danzare e rendere omaggio stanno al centro della viandanza. È una parola bellissima che tanti anni fa mi sono ritrovato in bocca. Ho iniziato a usarla e ho notato che subito si installava in altre bocche, al punto che oggi è diventata quasi di uso comune.
È successo, credo, perché è una parola eufonica e solare: tiene assieme l’immagine del viandante che danza sulla via e quella della via che si fa danza, una grande festa, un tripudio di umanità e natura…
(da Luigi Nacci, da Non mancherò la strada. Che cosa può insegnarci il cammino, Laterza, 2022)
Luigi Nacci, originale cantore della 'viandanza', della vita come cammino, si interroga in quest'opera sul valore che ha in questi tempi concitati e iperconnessi la pratica ancestrale e stravolgente del viaggio a piedi.
«Ci sono estati chiuse come scatole, sigillate. Sono estati che trascorri in una stanza, in ufficio, o su un letto d'ospedale, in una cella, in uno spazio delimitato da pareti che ti sono ostili. A volte è il lavoro che ti costringe alla clausura, altre volte la malattia, tua o di un tuo caro, oppure la necessità di concentrarti per originare un'opera, o è la depressione che ti impedisce di uscire. Sei rinchiuso in un buio che non se ne va nemmeno quando spalanchi le finestre. Sei al centro della stanza ma è come se non ci fossi. Capitano estati così. È da quel buio che nasce il desiderio incontenibile del cammino. Non è desiderio di andare in ferie dopo un anno di lavoro. Chi è al centro del buio non ha bisogno di ferie, non sa che farsene. Né di spiagge, di hotel, di baite, di centri storici, di musei. Chi sta in quel buio vuole di più. Vuole solamente una cosa: il cammino».
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