Dovevo andare alla celebrazione della messa
in memoria di mio fratello
che si sarebbe tenuta
nella cappella d’un grande ospedale
Quando arrivavo ero distolto da questo obiettivo
dal dover portare a compimento, prima,
alcune pratiche di tipo fiscale
Mi aggiravo quindi lungo interminabili corridoi,
affacciandomi in molte stanze
dove regnavano sovrani caos e disordine,
portando il carico di enormi faldoni
pieni di documenti
di cui non capivo nulla
e lasciandomi dietro una scia
di pezzi di carta, stropicciati
e ricoperti di oscuri geroglifici,
che andavano sfuggendo
da quei faldoni sovraccarichi
Arrivavo dal commercialista
e posavo sul suo tavolo il mio fardello
Lei (era una donna)
guardava prima me,
poi i faldoni, inarcando il sopracciglio,
e senza mezzi termini
mi diceva: Eh! Così non ci siamo proprio!
Riprendevo le mie peregrinazioni
all’interno dell’ospedale
Entravo e uscivo dai reparti
alla ricerca di mio fratello e della cappella
Mi ritrovavo in una stanza di rianimazione
e un’infermiera veniva verso di me
spingendo un grande letto a ruote
drappeggiato di panni verdi chirurgici
Era inquietante
Non capivo se sotto quei drappi
ci fosse un paziente
oppure se il letto fosse vuoto,
pronto per me
Scappavo da lì, spaventato,
pensando che mai sarei riuscito
ad arrivare in tempo per la messa in memoria
In questo mio vagare,
incrociavo anche mio fratello in carrozzina,
sospinto dal suo badante
Quindi Tatà era ancora vivo,
c’era pure lui!
Eppure, sapevo che era morto
Anche lui stava andando alla messa in memoria (ma di chi poi?)
Cominciavo a dubitare
su chi fosse morto
e su chi fosse ancora in vita
Poi, le nostre strade divergevano di nuovo
Per recuperare tempo
decidevo di percorrere una via sotterranea
dove scorreva a serpentina
un enorme tappeto su rulli
come i marciapiedi mobili
che si vedono negli aeroporti
o in certe stazioni ferroviarie moderne
Solo che questo serviva a raccogliere i rifiuti solidi
che arrivavano dai reparti di cura sovrastanti
In altri termini, mi ritrovavo
dentro la cloaca dell’ospedale
Ad intervalli irregolari da grandi bocchettoni
cadevano grumi di rifiuti indifferenziati
Io cercavo di modulare la mia andatura,
accelerando il passo o rallentandolo,
per evitare di esser centrato dalle deiezioni
ma di rado ci riuscivo e venivo di continuo beccato in pieno
da quelle masse puzzolenti
Era davvero uno schifoda cui non vìera scampo
e speravo che questo arduo percorso sarebbe finito presto
Arrivavo avventurosamente alla cappella:
mi dicevano però che la celebrazione
non si sarebbe tenuta li,
ma in un differente luogo di culto,
sempre all’interno dell’ospedale,
anche se meno conosciuto
E riprendevo a cercare
Mi sembrava di dover fare il giro del mondo,
mentre un Dio crudele si beffava di me
Giungevo tutto trafelato alla seconda cappella
Mio fratello se n’era già andato
Tutti erano andati via,
persino il prete
Lì, non c'era più niente per me
Le panche erano state ammassate tutte da un lato
Il pavimento era cosparso di rifiuti
le candele e le lucine devozionali erano state spente
S'avvertiva greve un lieve sentore
di decomposizione e di morte
che promanava da ghirlande e cuscini di fiori
precocemente appassiti, gettati alla rinfusa in un angolo
Riprendevo a camminare lungo un'altra serpentina
di marciapiede mobile
Dai bocchettoni sempre presenti
cadevano adesso fiotti di sabbia e polvere di cemento
Pensavo che sarebbe stata
una buona occasione
per fare rifornimento di cemento per i miei lavoretti
Almeno, in tanta confusione,
qualcosa di utile!
E ne raccoglievo un sacco
Si faceva subito avanti un tipo,
un levantino
segaligno e dalla carnagione olivastra
chiedendomi il pagamento
in contanti però, cash!
Dicevo: Quanto?
E lui: Otto euri!
Mi sembra troppo per un solo sacco di cemento!, faccio io
No, è quello che è!
Prendere o lasciare, replica lui,
implacabile e avido
Rassegnato, ho cominciato
a ravanare dentro una tasca
alla ricerca di monete,
tirandone fuori una manciata di diverso valore
Il Levantino ha proteso verso di me
una mano sporca come può esserla
quella di chi passa tutto il giorno
a maneggiare denaro
Le unghie erano adunche e orlate di nero
Devo trattenere un conato di vomito
per quanto mi fanno schifo
Comincio a contare i denari
per poterglieli passare
evitando un contatto diretto
con quella mano lurida
In effetti ci riesco
Una moneta da un euro e una da cinquanta cent
riesco a posarle sul palmo del tizio
rivolto verso l’alto
Nel mentre, però altre monete cascano giù
S’avvicina subito,
tale e quale un avvoltoio,
un tipo maghrebino,
dalla faccia intagliata
e in abiti tradizionali,
carico di carabattole di scarso valore.
di ombrelli e di occhiali da sole
(pronto per tutte le evenienze climatiche)
che porta in giro per la vendita
(è un vu cumprà, per usare un termine politicamente scorretto)
Ma è anche un rapace
Ha subito adocchiato le monete a terra
e si china repentinamente
nel tentativo di ghermirle
Levati!, gli urlo infuriato
spintonandolo via
Recupero le monete
e riprendo la conta
facendole cadere una ad una
sul palmo lurido del Levantino
Conto sino a 6 euri e cinquanta centesimi
e mi fermo
Il Levantino mi dice: Non hai finito, bello mio!
Ancora mi devi un euro e cinquanta!
Cazzo, questi te li ho già dati prima!
Non te ne ricordi?
Prima che mi cadessero le altre monete per terra.
No no! Non mi hai dato proprio niente!, fa quello,
condendo la frase con un sorrisetto di supponenza e mellifluo
dietro il quale intravedo
il ghigno del Lupo Cattivo,
irto di denti affilati
Mi adiro e m’infurio
Mi metto a gridare
Gli metto le mani addosso
Gli strizzo le guance tra le dita
come se volessi strappargli le carni
da quella faccia di merda che si ritrova
Ora ti faccio vedere io,
stronzo che non sei altro!, grido,
io stesso spaventato da questo accesso di ira non usuale
E qui il sogno finisce
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