Ho sognato
Camminavo
Camminavo in una valle arida e desolata, piena di polveri e di miasmi: più che un luogo disegnato dalla natura, pareva una infossatura, simile ad una vallata - o meglio un avvallamento - che interrompeva la piatta distesa di un'infinita distesa di rifiuti solidi, interpunta da pozze di liquami fetidi e maleolenti, scintillanti sotto i raggi di un sole implacabile e fumanti.
Dopo aver compiuto questa lunga traversata, mi ritrovavo in una camera che mi risultava familiare nell'aspetto, ma in rovina, polverosa e puzzolente, con l'aria pesante, poiché le finestre erano state per lungo tempo rinserrate.
Uno che era stato mio silenzioso compagno di viaggio si muoveva in giro per aprire le finestre e per cercare di rendere l'aria più respirabile. Nello scostare i pesanti tendaggi i cui colori e disegni originali erano soltanto un'ombra, del tutto stinti ormai, questi si sbriciolavano e cadevano a pezzi. E ciò accresceva la sensazione di disperazione e di mancanza di speranza.
Il mio silenzioso compagno di viaggio, addirittura, per arieggiare meglio levava gli infissi della finestra e li appoggiava al muro.
Ma non c'era niente da fare, quella non era più casa: era solo una stamberga, un catoio degradato: nulla di ciò che era stata un tempo poteva essere salvato. Nulla poteva tornare a rivivere come prima.
[stacco]
In un momento successivo, mi ritrovavo in un hub vaccinale.
Tutt'attorno stesso spettacolo di desolazione di prima, come se fossi nel bel mezzo di una città devastata da una catastrofe o da un evento apocalittico di inimmaginabili proporzioni.
E dovevo fare due cose urgenti.
Ricevevo dal mio medico curante una serie di schede e di vaccini: zaino in spalla, dovevo andare in giro a fare delle vaccinazioni domiciliari.
L'altro motivo per cui mi ritrovavo nel centro vaccinale era che io stesso dovevo sottopormi alla vaccinazione di richiamo.
Mi presentavo allo sportellino blindato e dicevo, parlando attraverso una stretta fessura, che ero lì per questo.
Dall'interno, l'addetto alla reception mi chiedeva il documento attestante la precedente somministrazione e le schede già compilate.
Mi accorgevo con imbarazzo e fastidio che non avevo nulla con me.
Andavo a rovistare nel mio zaino che avevo lasciato da parte. Guardavo dovunque, tasche e tasconi compresi nella mia meticolosa ricerca, e niente! Non avevo con me nessuno dei documenti richiesti.
Tornavo allo sportello e, pieno di frustrazione, riferivo all'impiegato della mia ricerca infruttuosa.
Lui a questo punto mi chiedeva se avessi il codice che mi era stato attribuito, al momento della prima vaccinazione, come fosse il numero che veniva impresso, in forma di tatuaggio, sulla superficie anteriore dell'avambraccio dei deportati nei campi di concentramento.
E, sì, tornavo a rovistare nello zaino e vi trovavo un talloncino autoadesivo, con un codice a barre e sotto di esso, anche un codice numerico.
Mostravo il talloncino all'impiegato che a questo punto annuì: "Vediamo cosa posso fare!" per poi andarsene, ciabattando abbuttato, in un'altra stanza, probabilmente a rovistare in uno schedario.
Wow! L'Uomo dell'Hub ha detto yes!, pensavo tra me e me, sollevato e giulivo.
Rimanevo in attesa, ma - nello stesso tempo - respiravo di sollievo, perché così avrei potuto completare la mia vaccinazione e svolgere la mia attività di vaccinatore itinerante, senza che le dosi di vaccino che mi erano state affidate andassero a male.
Dissolvenza
Chi sa perchè si parla di "Hub" vaccinali, e non di "centri" vaccinali? Cosa è mai questa anglofonia ridicola da parte di persone - come siamo mediamente noi italiani - che per lo più non hanno molta propensione a parlare le lingue straniere? E invece abbiamo espressioni come hub vaccinale, oppure road map delle vaccinazioni e altre espressione che invadono i comunicati e che diventano come un'epidemia. Già l'infodemia è anche questo. L'uso a tempesta di determinate parole, senza in alcun modo chiedersi il perchè e il per come. Come, ad esempio, l'altro tormentone che à la "bomba d'acqua" per indicare un piovasco improvviso e violento.
Molti non sanno che "hub" può avere questi significati, limitandosi a ripetere pappagalescamente la parola:
- In una rete informatica, dispositivo che collega i vari clienti al server, raccogliendo i cavi provenienti dai diversi computer.
- Aeroporto internazionale di transito, cui fanno capo numerose rotte aeree e che raccoglie la maggior parte del traffico di un dato paese.
La parola "hub" peraltro entra in alcune parole composte come, ad esempio, "wheel hub" che è l'espressione equivalente in Inglese del nostro termine "mozzo della ruota".
L'immagine del mozzo della ruota estende i possibili significati della parola "hub", al di là dei riferimenti informatici, poichè starebbe ad indicare il punto in cui tutti i raggi convergono: e dunque potrebbe diventare illuogo di convergenza di attività di vario tipo, un nodo, un punto focale.
Per noi che siamo Italiani, tuttavia a ben vedere, la semplice parola "centro" per dire "Centro vaccinale" rimane molto più azzeccata e pertinente.
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