Una lettura particolarmente adatta in questo nostro tempo di Covid è 1918. L'influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo (Feltrinelli, Universale economica, 2018).
Il saggio storico di Laura Spinney (divulgativo, ma solidamente fondato nelle sue argomentazioni) è del 2017, scritto dunque quasi al ricorrere del centenario della pandemia influenzale del 1918-1919: e, d'altra parte, appartiene ad una folta di altri saggi, storici e non, riguardanti non solo la pandemia influenzale, ma anche - in generale - le diverse malattie virali derivanti dal fenomeno, noto tra gli epidemiologi come spillover, ovvero il travaso di agenti virali da specie animali all'Uomo. E se solo si ha il tempo da dedicare a queste letture ci si potrà accorgere che in tutti loro vi sono anticipazioni circa una nuova possibile pandemia, sostenuta ad un agente virale che si diffonda per via aerea.
E' una di quelle opere che sono utili a raccogliere le idee e a comprendere quanto la nostra memoria storica degli eventi sia corta e dominata da meccanismi di rimozione collettiva.
La "Spagnola" fu, a tutti gli effetti, una delle più grandi catastrofi demografiche mai registrate nella storia dell'Umanità.
Eppure, sembra quasi che noi ce ne siano dimenticati, anche perché non è stato mai fatto alcuno sforzo per tramanda nella memoria, anche semplicemente in forma di doverose commemorazioni.
La nostra memoria corta non ci permette nemmeno di ricordare la pandemia di Encefalite letargica di von Economo (eziologia non ancora nota) che impazzò nel mondo tra il 1916 e il 1925 (dunque in parte sovrapposta alla pandemia influenzale), lasciando dietro di sé una scia di centinaia di migliaia (se non milioni) di vittime e altrettanto numerosi quelli che guarirono, ma con esiti di permanenti disabilità neurologiche, tra le quali si annoverà il Parkinsonismo post-encefalitico.
Nè del pari ci si ricorda più, ammonisce la Spinney, della pandemia influenzale del 1957 (asiatica) che causò forse cinque milioni di morti o di quella suina degli anni Ottanta del '900.
E, dunque, malgrado la storia debba insegnare qualcosa, e benché molti studiosi e divulgatori abbiamo ripetutamente avvertito della possibilità concreta del travaso di organismi virali dal mondo animale agli uomini l'arrivo del Coronavirus ci ha trovati sostanzialmente impreparati e stupefatti, costretti a ripercorrere gli stessi errori già registrati precedentemente e a sottostimare il rischio.
Anzi, pur in presenza di numeri relativamente più modesti rispetto alla pandemia del 1918-1919, si ha da un lato la percezione che sia in corso una grande catastrofe, anche se - dall'altro - persiste da parte di molti un atteggiamento di cecità e quasi di cinica indifferenza con una vasta gamma di posizioni a partire da quella dei negazionisti ad oltranza sino ad arrivare agli atteggiamenti incuranti e di arroganza di taluni: il tutto supportato da un elemento che è un grande facilitatore della rimozione collettiva.
Che poi sarebbe il fatto di avere, nel corso degli anni, sempre di più tecnologizzato la pratica medica, di averla centralizzata in strutture super-specialistiche, avendo - di conseguenza - allontanato la sofferenza, la malattia e la morte dalle case e dall'esperienza comune della gente.
Ai tempi della Spagnola la gente, invece, moriva a grappoli nella case e non vi erano nè strutture di degenza sufficienti per tutti nè tecnologie di assistenza medica ai pazienti sub-comatosi e comatosi.
La malattia e la morte, in altri termini, erano dovunque.
Qui, in fondo, nessuno crede perchè nessuno vede e nessuno sperimenta direttamente. Gli ammalati vengono chiusi nelle case in isolamento fiduciario e se si aggravano vengono portati in ospedale: e chi li vede più?
Mi chiedo se ci sia qualcuno che si trovi a riflettere alle centinaia di migliaia in Italia- e ai diversi milioni di persone nel mondo che sono chiuse in casa in isolamento, perchè trovate positive oppure sintomatiche in attesa di un tampone: e si tratta di una lista che in questa seconda ondata si sta allungando ogni giorno di più.
Ci vorrebbe più coraggio da parte dei media: se, piuttosto che fare ogni giorno la litania dei numeri (nuovi infetti, numero di tamponi effettuati, attualmente positivi, guariti, morti), si soffermassero maggiormente su narrazioni che facciano capire veramente dove sta il problema che è quello, sostanzialmente, di una Sanità al collasso perchè ha troppo investito in tecnologie e poco (o pochissimo) nell'implementazione di personale adeguatamente preparato ad affrontare questo tipo di emergenze sanitarie.
Il saggio della Spinney va letto e meditato perchè offre significativi spunti di riflessioni sull'attualità pandemica del 2020.
(Quarta di copertina) Quando si chiede qual è stato il principale disastro del XX secolo, quasi nessuno risponde l'influenza spagnola. Davvero l'abbiamo dimenticata? Eppure nel 1918 ha letteralmente cambiato il mondo uccidendo in soli due anni milioni di persone. Tra le vittime anche artisti e intellettuali del calibro di Guillaume Apollinaire, Egon Schiele e Max Weber. Nonostante l'entità della tragedia, le conseguenze sono rimaste a lungo offuscate dalla devastazione della Prima guerra mondiale e relegate a un ruolo secondario. Laura Spinney ricostruisce la storia della pandemia seguendone le tracce in tutto il globo, dall'India al Brasile, dalla Persia alla Spagna, dal Sudafrica all'Ucraina. Inquadrandola da un punto di vista scientifico, storico, economico e culturale, l'autrice le restituisce il posto che le spetta nella storia del Novecento quale fattore in grado di dare forma al mondo moderno, influenzando la politica globale e il nostro modo di concepire la medicina, la religione, l'arte. Attraverso queste pagine si legge il passato, ma si può tentare di immaginare il futuro: la prossima pandemia influenzale, le armi a disposizione per combatterla e i potenziali punti deboli dei nostri sistemi sanitari. Arriveremmo preparati ad affrontare un'eventuale emergenza?
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