Ricordo che quando ero piccolo, guardavo sempre un manufatto di ceramica a casa dei nonni.
Si trattava di una tavoletta di terracotta (o ceramica, adesso non ricordo bene) - dimensioni presunte: un buon 15x20 se non di più -, la cui superficie era lavorata in rilievo così da apparire della consistenza di un muro di mattoni, in cui si stagliava una finestrella aperta con le imposte e gli stipiti verdi. Al davanzale stava affacciato, puntellandosi sui gomiti un omino con cappello nero a cilindro e palandrana scura.
Il volto dell'omino era sormontato da un naso adunco e non aleggiava sul suo volto l'ombra di un sorriso.
Mia nonna dai capelli bianco-azzurrini (la nonna Erminia che per me era la nonna "Ia") per farmi stare buono prendeva una seggiolina, mi ci faceva sedere proprio al cospetto dell'omino alla finestra e mi diceva: "Stai qua a guardare e vedrai che, a un certo punto, l'omino chiuderà le imposte e se ne andrà!".
Io ci credevo, e passavo ammaliato molto tempo su quella seggiolina, cercando di cogliere nel busto e nel volto dell'obiettivo il fremito di un movimento, anticipatore della complessa azione che la nonna mi aveva annunciato.
E, ogni volta che andavo in visita dai nonni, volevo sedermi proprio là davanti, in contemplazione.
il meraviglioso e il fantastico sono fatti di queste cose:
il più delle volte si stratta di un'atmosfera, di qualcosa che si anticipa con la fantasia e non importa se la cosa vagheggiata si manifesta veramente nella realtà.
E' sufficiente il fatto di poter pensare che un evento magico atteso potrebbe accadere per renderlo quasi reale.
L'omino di terracotta, affacciato alla sua finestra è ancora nella mia mente e spesso, nella realtà, mi pare di rivederlo in fortuiti avvistamenti.
Quello che segue è il racconto originale, ouvbblicato con il titolo "L'omino affacciato alla finestra. Un ricordo d'infanzia" nel mio profilo Facebook, tra il 2009 e il 2010.
Quando ero piccolo e andavo in visita a casa dei miei nonni, la nonna aveva escogitato un sistema per farmi stare buono, visto che solitamente ero irrequieto e scalmanato, come solo i bimbi piccoli sanno esserlo. Nella loro sala d'ingresso, appesa al muro, c'era una statuina di terracotta dipinta - molto realistica - che rappresentava una finestra con le persiane spalancate e dipinte (in verde), a cui stava affacciato - leggermente proteso in fuori e appoggiato al davanzale a braccia conserte - un ometto in nero (compreso un cappelluccio a tesa larga) con una faccia enigmatica su cui campeggiava un naso lievemente adunco.
Questa statuina si trovava appesa al muro ad altezza degli occhi di una persona di statura media, ma per me che allora ero alto quanto un soldo di cacio, ad una distanza incommensurabile.
Mia nonna prendeva una seggiolina per bambini la metteva di fronte alla statuina e mi diceva:
"Ora se tu stai qui a guardare, vedrai che, ad un certo punto, quel signore con il cappello chiuderà la finestra e se ne andrà. Però lo farà soltanto se tu te ne starai qui bello fermo a guardare per tutto il tempo senza distogliere la tua attenzione".
Io, pieno di meraviglia e - al tempo stesso - timoroso, mi mettevo lì con lo sguardo levato verso l'alto e stavo a guardare, a guardare, a guardare, attendendo l'evento meraviglioso annunciato.
Dopo un po' di tempo, quando mi rendevo conto non era accaduto niente, andavo da mia nonna a lamentarmene, quasi con le lacrime agli occhi.
"Non è successo niente, nonna!", mi lagnavo.
E lei: "Sicuramente, perchè non sei stato fermo abbastanza!"
Oppure: "Magari, ha chiuso la finestra proprio adesso che te ne sei andato!, vai a controllare!"
Ed io ci tornavo di corsa, per rimanere ogni volta con un palmo di naso.
L'omino era lì. affacciato alla finestra a guardare il mondo e me.
Ancora oggi penso spesso all'omino nero affacciato alla sua finestrella e mi chiedo se stia ancora là a guardare il mondo con la sua espressione un po' sorniona oppure se non si sia ritirato, per andarsene a riposare dopo così tanti anni.
Mi piacerebbe fare ritorno in quella casa (dove ora abita ancora una mia zia) per verificare se adesso quella finestrella di ceramica non si sia finalmente chiusa.
Non mi rammarico affatto dello stratagemma di mia nonna: penso che sia bello instillare nei bambini il senso del mistero e la capacità di attendere giorno per giorno qualche evento meraviglioso e fuori dall'ordinario.