Morningside Heights è un buon punto per partire. Incastrato fra la cima di Central Park e il fondo di Harlem, è un punto di partenza buono come ogni altro per le peregrinazioni di questo flâneur contemporaneo, il narratore nigeriano-tedesco Julius, che nella città-simbolo della modernità incontra persone, luoghi ed epoche differenti, e lascia che ogni impressione germogli in idee per il nostro tempo.
Scritto in una prosa che ricorda quella di W. G. Sebald e J. M. Coetzee, questo poliedrico esordio ha fatto di Teju Cole una delle voci più promettenti e acclamate del panorama letterario contemporaneo.
Città aperta del nigeriano Teju Cole (Open City, nella traduzione di Gioia Guerzoni (pubblicato da Einaudi nel 2013, collana I Coralli) è un susseguirsi di capitoli, nei quali Julius, alter ego dell'autore, racconta delle sue passeggiate e dei suoi spostamenti per New York, Manhattan prevalentemente, con delle puntate nei borough adiacenti (non manca il resoconto di una maliconica permanenza a Bruxelles, oltre che vari riferimenti alla sua infanzia e adolescenza nigeriana).
I suoi percorsi si svolgono in giorni della settimana differenti e in orari diversi, senza alcuna abitudinarietà e con l'unica guida del piacere della scoperta di itinerari nuovi.
Non necessariamente c'è una meta in essi: potrebbero definirsi, a tutti gli effetti, forme di erranza metropolitana, in cui l'essenza è il percorso, più che la necessità di arrivare in qualche posto partendo da un altro.
Ci sono scoperte casuali, ci sono incontri con personaggi normali e/o eccentrici, ci sono micro-eventi, ma tutto sembra svolgersi in un continuo bagno di solitudine.
Si potrebbe pensare che la solitudine del passeggiatore sia l'ingrediente necessario alla scoperta che è sempre un mix tra elementi esterni (siano posti, oggetti, eventi, persone) e interni che scaturiscono dalla memoria e dal flusso associativo.
Ed è così che le passeggiate di Julius doventano memorabili per il lettore: nulla di ripetibile tuttavia. Per quanto possa venir la voglia di mettersi sulle tracce di Julius e di ripercorrerne le passeggiate, non si potrebbero emularle utilizzando i suoi capitoli come guida per il flaneur metropolitano nelle strade della Grande Mela.
I percorsi che descrive sono piuttosto eccellenti per delineare un "metodo" di approccio alla realtà circostante, un modo impareggiabile per conoscere il mondo, imparando a conoscere se stessi in un medesimo movimento "sinfonico". Non a caso l'ultimo capitolo descrive un concerto che Julius va a sentire in cui viene messa in scena l'ultima grande sinfonia di Mahler, rimasta incompiuta.
Come i libri di W. G. Sebald, (cui del resto è stato paragonato Teju Cole) Città aperta è incatalogabile. Forse potrei metterlo in compagnia dei libri sul camminare, oppure nella sezione dei libri di viaggio. Ma, in realtà, la cosa da fare che mi sembra più appropriata è posizionarlo (per motivi essenzialmente di risonanza emozionale) accanto ai libri di Sebald e forse metterci assieme anche "Le fantasticherie di un passeggiatore solitario" di Jean-Jacques Rousseau.
(Dal risguardo di copertina) Nato da madre tedesca e padre nigeriano, formato alla Nigerian Military School di Zaria e trapiantato adolescente negli Stati Uniti, lontano da affetti e radici, il narratore Julius, all'ultimo anno di specializzazione in psichiatria, non appartiene a nessun luogo. Quando comincia a vagare per le strade di New York, nell'autunno del 2006, lo fa con il distacco dell'outsider, la profondità dell'intellettuale e l'agio del flâneur. La migrazione degli uccelli è l'occasione per riflettere sul «miracolo dell'immigrazione in natura», ai cartelli che annunciano la chiusura della catena Tower Records fanno da contraltare le meditazioni sulla musica amata, Mahler in testa, e un acquazzone sulla Cinquantatreesima è causa di una precipitosa ritirata nell'American Folk Art Museum e della conseguente fascinazione per la pittura di John Brewster lì esposta. Di casualità in intenzione, Julius si muove nelle geografie newyorchesi incontrando persone di ogni classe e cultura, vedendo scorci scolpiti o in mutamento, lasciando che ogni impressione si depositi sul fondo della coscienza e da lì, come cerchio in uno stagno, si propaghi ad altri cerchi, ad altre impressioni. Molte di esse rilucono attraverso il prisma del colore della pelle: ascoltando un concerto alla Carnegie Hall, il narratore nota stancamente quanto siano rari gli spettatori neri nella sala, e un taxista sulla Sixth si mostra indignato al mancato saluto di un «fratello» come lui. L'outsider Julius rifiuta recisamente quelle istanze di appartenenza («non ero dell'umore per sopportare gente che pretendeva qualcosa da me»), e tuttavia la cartografia del sopruso che, con spirito quasi archeologico, va scavando nelle pieghe della città - quando visita l'antico «luogo di sepoltura per negri» di Brooklyn, o raccoglie il racconto del mite lustrascarpe haitiano o quello rassegnato del giovane liberiano recluso nel centro di detenzione per clandestini del Queens - incide necessariamente la questione identitaria.
Mentre accoglie universi, Julius rimane impenetrabile. La sua storia personale resta semioscura perfino quando affronta un viaggio a Bruxelles per riscoprirla, e così i cerchi sullo stagno si ricompongono su segreti scuri come quell'acqua.
L'autore. Teju Cole, scrittore, storico dell'arte e fotografo, è cresciuto in Nigeria e vive a Brooklyn. Città aperta, il suo primo romanzo, pubblicato da Einaudi nel 2013, ha vinto il PEN/Hemingway Award, il New York City Book Award for Fiction e il Rosenthal Award, ed è risultato finalista al National Book Critics Circle Award, il New York Public Library Young Lions Award, e l'Ondaatje Prize della Royal Society of Literature. Inoltre, è stato giudicato uno dei migliori libri dell'anno da più di venti testate, fra le quali «The New Yorker», «The Atlantic», «The Economist», «The Daily Beast», «The New Republic», «Los Angeles Times», «Salon», «Slate», «New York magazine» e «Kirkus Reviews». Nel 2014, sempre per Einaudi, è uscito Ogni giorno è per il ladro.
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