Sono alle prese con un esercizio ginnico.
Devo arrampicarmi su per una pertica di cinque metri, come facevo con molta prestanza ai tempi della scuola (ero uno dei migliori e riuscivo anche a salire a forza di braccia con le gambe a squadra).
Ma i tempi sono cambiati, sento il mio corpo pesante e i muscoli poco reattivi.
Ciò che prima era facile come bere un bicchier d'acqua, ora s'è trasformato in un'impresa difficile e rischiosa
A fatica, mentre ogni parte del mio corpo urla di dolore, riesco a sollevarmi centimetro dopo centimetro, fino ad arrivare alla cima.
Una grande conquista per me, ma nessuno mi ha visto.
Mentre compio quest'impresa vedo che c'è un armo (è un quattro di coppia) pronto ad andare con i remi tesi indietro per abbracciare l'acqua con una prima spinta.
Ed io non faccio parte dell'equipaggio.
Avverto una vibrazione di rammarico dentro di me.
Vorrei gridare: "Aspettatemi!", ma la voce mi manca: ho sprecato tutte le mie forze (risibili) per arrampicarmi lungo la pertica.
E dall'alto della coffa che ho faticosamente raggiunto guardo l'imbarcazione che, con bracciate vigorose e coordinate, si allontana, facendosi sempre più piccola, per finire inghiottita dall'orizzonte lontano.
Una voce fuori campo sussurra che avrei dovuto dirlo prima, se avessi avuto intenzione di partecipare all'impresa e che tutti avevano pensato che non fossi interessato, visto il mio silenzio persistente e sprezzante.
Il corpo con gli anni cambia: e, alla fine, senza nemmeno essercene resi conto ci ritroviamo diversi da quelli che eravamo stati, altre persone, con altre capacità, con diversi limiti, con una diversa morfologia, senza più la sensazione di una capacità illimitata, avendo perso la sensazione di potersi espandere a dismisura, avendo invece soltanto uno spazio ristretto a disposizione, uno spazio a volte non più grande di una piccola gabbia.
Ma qualche volta, anche se fiaccato, il vecchio leone ritorna a ruggire
Un insolito metodo di pesca tipico delle culture dello Shi Lanka. Le foto realizzate a Koggala, sono lo specchio di come l’uomo, in base al territorio ed alle sue risorse, possa pescare in maniera veramente sostenibile.
La pesca con la pertica, chiamata in inglese stilt fishing, è praticata all’alba e al tramonto, i pescatori sono seduti su di un trespolo o pertica in legno, a pochi cm dall’acqua. I pali che vengono piantati in acqua rimangono un “patrimonio familiare” che viene tramandato di generazione in generazione.
Appollaiati su questi pali, i pescatori catturano sardine, aringhe e piccoli sgombri che la mattina vengono poi portati al mercato del pesce.
Le canne da pesca, semplici bastoni di bambolo, sono dotati di una lenza che riporta l’amo, a cui i pescatori innescano vermi di sabbia raccolti sul luogo di pesca.
Il palo portante è fissato sul fondo del mare e quasi in cima c’è una barra trasversale, chiamata Petta, su cui i pescatori si siedono.
L’equilibrio precario fa si che il pescatore con una mano trattenga la canna e con l’altra si appoggi al palo per evitare di cadere in acqua.
E' una tradizione di pesca che tende a deperire, purtroppo.