Hans Killian fu un medico tedesco, appassionato di arte e di fotografia.
Questa sua passione ebbe una singolare convergenza, quando egli decise di realizzare una serie di fotografie di pazienti in preda al dolore e sofferenti delle entità cliniche più disparate, in alcuni casi di malattie terminale.
Realizzò le foto per mezzo di primi piani, raramente indulse nella rappresentazione dell'intero corpo.
Siamo nei primi anni trenta del secolo scorso e Hans Killian si muoveva in un ambito in cui la Medicina si andava modernizzando e accoglieva nelle sue pratiche moderni mezzi di indagine.
Basti pensare al fatto che già con i primi dagherrotipi, gli anatomisti e i fisiologi presero a studiare gli effetti della stimolazione elettrrica su alcuni gruppi muscolari proprio per mezzo di tecniche fotografiche: ricordo che il trattato di Anatomia su cui studia da studente di Medicina (un classico: il Testut-Latarjet, ovvero il Trattato di Anatomia Umana scritto da Jean Léo Testut e da André Latarjet) vi era - nel capitolo che studiava i muscoli del volto - un corredo di immagini che mostravano gli effetti della stimolazione elettrica di singoli muscoli facciali. Ma possiamo anche ricordare gli studi fotografici di Eadweard Muybridge (considerato anche un precursore della cinematografia) che - mediante l'utilizzo di una serie di apparecchi fotografici in serie - riuscì ad ottenere interessantissime documentazioni del corpo umano in movimento, con le quali diede un prezioso contributo sia ai fisiologici che cercavano di pptenere una documentazione oggettiva di sequenze motorie, sia agli artisti che avevano bisogno di una rappresentazione dettagliata del gioco dei diversi gruppi muscoli implicati nele più diverse esecuzioni motorie.
E, quindi, anche le tecniche fotografiche iniziavano a fare il loro ingresso nelle più disparat ediscipline mediche, come strumento di indagine e di documentazione, anche perchè l'istantanea fotografica consentiva una veloce rappresentazione dello stato delle cose senza dover ricorrere a lunghe e complicate descrizioni verbali.
La pratica del medico e la tenuta della cartella clinica vennero così a semplificarsi e ad essere di più immediata consultazione.
Ma questo uso della fotografia - a detta di alcuni - esponeva al rischio dell'ossessione classificatoria e scopofila, in alcuni casi. mentre in altri casi rimandava a pratiche reclusorie, come fu il caso della foto segnaletica che veniva incluso all'inizio di una lungodegenza in Ospedale Pschiatrico, foto che periodicamente veniva aggiornata per documentare le trasformazioni - a volte massive - che sopraggiungevano nell'aspetto esteriore del paziente: una pratica spersonalizzante e da "istituzione totale", secondo le successive definizioni delle correnti anti-psichiatriche. La foto d'ingresso nelle istituzioni manicomiali venne assimilata alle foto "segnalatiche" e a quelle che venivano fatte ai detenuti al momento del loro ingresso in carcere, provenienti "dalla libertà", come venne ampiamente documentato in uno splendio saggio edito da Mazzotta e successivamente, nel 2003, riproposto da Bruno Mondadori (Ando Gilardi, Wanted. Storia, tecnica ed estetica della fotografia criminale, segnalatica e giudiziaria).
Hans Killian, mise la sua passione per la fotografia al servizio delle arti mediche e volle documentare i "i volti del dolore".
A quale scopo? Cosa si aggiungeva a quello che il Medico poteva già constatare con i suoi occhi?
Probabilmente nulla.
E, in questo senso, in quei volti sofferenti mi sembra di ravvisare il tentativo di scorgere qualcosa che vada al di là della sofferenza, una scintilla di trascendenza forse: ma quei volti sono chiusi ed incupiti, sembra senza alcuna speranza.
E, quindi, in questa serie di foto che vennero poi pubblicate in volume nel 1932 (Facies Dolorosa) rimane soltanto un'impronta fortemente voyeuristica, ma fondamentalmente gratuita e priva di senso: anche se ai suoi tempi, questo lavoro venne considerato pionieristico e al servizio dell'epistemologia medica per documentare in modo oggettivo un'entità clinica sfuggente e, sino ad allora, confinata più che altro nel reame dei "sintomi" (soggettivi), più che in quello dei "segni" (aventi valore di incontrovertibile oggettività).
Uno dei motivi per cui lo sforzo documentaristico di Killian era destinato a fallire risiede nel fatto che è lo sguardo di chi fotografa a definire una certa cosa e a darne le coordinate interpretative: e dunque, nello sforzo di dcoumentare "oggettivamente" il dolore, egli ottenne quello di realizzare, attraverso i suoi molteplici esempi, una galleria di immagini delle proprie rappresentazioni del dolore nelle più diverse situazioni.
Ecco al riguardo cosa dice Marco Belpoliti in un bel saggio in cui ricorda Ando Gilardi e in cui, ovviamente, parla del significato epistemico delle fotografia segnalatica:
Il nostro problema davanti alla macchina fotografica che ci identifica è quello di dare un’immagine compiuta e veritiera di noi.
Tuttavia nessuno posto davanti alle “Gemelle Ellero” riuscirebbe a trasmettere all’obiettivo un senso di beatitudine.
E non solo per una ragione soggettiva, ma anche per una evidente ragione oggettiva: è lo sguardo che produce il criminale, lo sguardo classificatorio e punitivo della macchina che ci ritrae e, con feed-back, il nostro stesso sguardo spaventato, iroso, depresso, angosciato. L’identità, premessa per l’identificazione, è un oggetto che dipende da molte variabili, tra cui anche la realtà esterna; l’identità con una retroazione produce realtà, e questo è un paradosso con cui la fotografia ha iniziato a partire dai ritratti criminali a fare drammaticamente i conti.
All’inizio del secolo scorso la medicina stava entrando nella sua età più matura e progredita; eppure, come abbiamo spesso notato (vedi ad esempio i metodi per aprire una bocca descritti in questo articolo), la pratica terapeutica mancava ancora della doverosa attenzione per il paziente e per la sua sofferenza.
Nei primi anni ’30 il Dr. Hans Killian, uno dei più conosciuti anestesiologi e chirurghi tedeschi, sentì che era tempo di cambiare l’attitudine dei medici nei confronti del dolore.
Secondo il Dr. Killian, non soltanto ne avrebbero beneficiato i pazienti in quanto esseri umani, con una propria dignità e sensibilità, ma perfino la pratica medica: riconoscere i sintomi della sofferenza, infatti, avrebbe dovuto essere parte integrante dell’anamnesi clinica.
Come esporre la questione in maniera scientifica e al tempo stesso incisiva?
Il Dr. Killian era appassionato di arte e fotografia, ma fino ad allora aveva tenuto ben separati i suoi interessi estetici dalla professione medica.
Il suo primo libro di fotografie, intitolato Farfalla, mostrava suggestive immagini delle farfalle che lui stesso allevava, e venne pubblicato sotto pseudonimo, per non mettere a repentaglio la “serietà” del suo status di chirurgo.
Questa volta, però, la posta in gioco era troppo alta per non rischiare.
Così il Dr. Killian decise di pubblicare a suo nome (anche a discapito della sua carriera) il progetto che più gli stava a cuore, e che avrebbe contribuito a cambiare il rapporto medico-paziente.
Eadweard Muybridge ( Kingston upon Thames, 9 aprile 1830 - Kingston upon Thames, 8 maggio 1904) è stato un fotografo inglese. Fu un pioniere della fotografia del movimento. Battezzato Edward James...
Eadweard Muybridge (Kingston upon Thames, 9 aprile 1830 – Kingston upon Thames, 8 maggio 1904) è stato un fotografo inglese. Fu un pioniere della fotografia del movimento. Battezzato Edward James Muggeridge, cambiò il cognome prima in Muygridge, infine in Muybridge.
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